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L'importanza di chiamarti amore
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L'importanza di chiamarti amore
E-book353 pagine4 ore

L'importanza di chiamarti amore

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Info su questo ebook

Numero 1 nelle classifiche italiane

Giada sa bene di essere una ragazza dal carattere piuttosto difficile, quindi non si stupisce affatto di trovarsi in una fase della propria vita nella quale non va d’accordo con nessuno: con il suo ragazzo storico la situazione è appesa a un filo e del rapporto con i suoi genitori… meglio non parlare. Ma Giada ha un obiettivo: laurearsi con il massimo dei voti e il prima possibile. Il resto dei problemi può passare in secondo piano. Così credeva, almeno finché lo stage presso una prestigiosa società di consulenza di Milano non la mette di fronte a quello che per lei è sempre stato  il prototipo dei ragazzi da evitare come la peste: Ariberto Castelli, fiero rappresentante del partito delle camicie su misura e dei pullover firmati. E tra loro c’è un precedente molto imbarazzante che potrebbe crearle qualche complicazione che non aveva assolutamente messo in conto...

Un’autrice da mezzo milione di copie
Vincitrice del Premio Bancarella
Numero 1 in classifica

«Anna Premoli è capace di tuffare il genere del rosa nazionale in suggestioni internazionali e ben piantate nello spirito del nostro tempo.»
la Repubblica

«Anna Premoli è uno spot vivente del self-publishing: dal web al Premio Bancarella con il suo romanzo d’esordio.»
Vanity Fair

«Il primo vero caso italiano di self-publishing fortunato.»
La Stampa
Anna Premoli
È nata nel 1980 in Croazia e vive a Milano, dove si è laureata alla Bocconi. Lavora nel campo degli investimenti finanziari per una holding di partecipazioni. La scrittura è arrivata per caso, come “metodo antistress” durante la prima gravidanza. Ti prego lasciati odiare è stato il libro fenomeno del 2013: è stato per mesi ai primi posti nella classifica, i diritti cinematografici sono stati opzionati dalla Colorado Film e ha vinto il Premio Bancarella. I suoi romanzi sono tradotti in diversi Paesi. Con la Newton Compton ha pubblicato anche Come inciampare nel principe azzurro; Finché amore non ci separi; Tutti i difetti che amo di te; Un giorno perfetto per innamorarsi; L’amore non è mai una cosa semplice; L’importanza di chiamarti amore; È solo una storia d’amore; Un imprevisto chiamato amore e Non ho tempo per amarti.
LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2016
ISBN9788854195813
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    Anteprima del libro

    L'importanza di chiamarti amore - Anna Premoli

    Indice

    Cover

    Collana

    Colophon

    Frontespizio

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Epilogo

    Ringraziamenti

    en

    1263

    Prima edizione ebook: maggio 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9581-3

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Anna Premoli

    L'importanza di chiamarti amore

    omino

    Newton Compton editori

    Per Alessandra, Andrea, Giada e Marcella, in rigoroso ordine alfabetico, per i bellissimi anni passati insieme all’università. Avervi conosciuto ha fatto una grande differenza.

    Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano.Senza fiori senza verde, senza cielo senza niente. Fra la gente, tanta gente. Sapessi com’è strano darsi appuntamenti a Milano In un grande magazzino, in piazza o in Galleria che pazzia, che pazzia!Eppure, in questo posto impossibile tu mi hai detto ti amoio ti ho detto ti amo.

    Innamorati a Milano, Memo Remigi e Alberto Testa (1965)

    Capitolo 1

    Dovrebbero farmi santa.

    Dico davvero: sarebbe cosa buona e giusta che qualcuno si prendesse a cuore il mio caso e mi facesse una statua a grandezza naturale. O magari anche più alta, visto che non sono esattamente una pertica e ne ho sempre sofferto. Così la gente potrebbe portarmi fiori e doni. Perché una cosa è certa: me li merito tutti.

    Questo è più o meno l’ultimo posto al mondo dove mi farei trovare in condizioni normali, eppure ci sono comunque, con i piedi ben piantati per terra. E anche volontariamente, perché in fondo al mio cuore di pietra è nascosta una fastidiosa briciola di bontà. Ogni tanto prende il sopravvento sulla mia vera natura senza che io possa farci niente.

    Francamente, una gran scocciatura.

    Un broncio sboccia del tutto spontaneo sulle mie labbra non appena mi rendo conto della tipologia di persone presente nel locale, perché, va bene la folle e improvvisa bontà, ma sono pur sempre il grinch dei posti da puzza sotto il naso. Senza contare che la mia capacità di fingere non è esattamente memorabile. Mi dicono sia colpa del mio carattere: pare che io sia troppo diretta. Considerando che tutti me lo hanno sempre rinfacciato, si potrebbe quasi pensare che si tratti di una cosa negativa, mentre nella mia lista di priorità, quella di non raccontare cazzate occupa il primo posto. Ecco perché sono portata inevitabilmente a non reggere un sacco di persone che incontro: è evidente che diamo importanza a cose molto diverse.

    Il locale è buio, ma per mia sfortuna non abbastanza da nascondere certi visi e certe espressioni: è tutta gente che desidera disperatamente divertirsi. Mi chiedo spesso quanti di loro ci riescano davvero e quanti invece tornino a casa ubriachi solo perché non vogliono ricordare di essersi annoiati a morte. Sospetto una percentuale considerevole.

    Davanti a me la pista da ballo è piena di esemplari umani esaltati. Mi verrebbe da alzare gli occhi al cielo, ma riesco in qualche modo a minimizzare il gesto e a non farmi beccare dalle mie amiche. Esiste un motivo nobile se mi trovo circondata da figli di papà sudati e insopportabili: sono qui per amicizia. Nessun’altra ragione avrebbe potuto trascinarmi in una tale missione taglia-vene. Mai stata una fan della Rettore, ma in questo momento nella mia testa rimbomba senza sosta la sua canzone.

    Lavinia si illude di essere qui per poter trascorrere del tempo con Giovanni. Ma Lavinia – Vinny per noi amici – è una cara ragazza, esempio di grande innocenza, che non ha ancora capito come va il mondo. O come si forzano certe mani di carte. Io e i trucchi, d’altra parte, parliamo la stessa lingua.

    «Allora, ce la facciamo una foto?», domando, sforzandomi di trasudare entusiasmo.

    Vinny, che sarà anche un’anima pura, ma è pur sempre dotata di un cervello funzionante, mi scruta come se avessi bevuto acido muriatico misto a un concentrato di veleno per topi. Tutta colpa del maledetto bancone illuminato e delle mie discutibili qualità di attrice: se questo locale fosse stato davvero buio, nessuno si sarebbe accorto della mia espressione poco convinta.

    In effetti, per la cronaca, non nutro grande amore per le fotografie postate sui social, specie di gente che si dimena in discoteca con un drink in mano. Le persone dovrebbero rendersi conto che da qualche parte nell’universo internettiano queste foto esisteranno per sempre e che qualcuno le tirerà in ballo nel momento meno opportuno della loro vita. Mai abbassare la guardia. Non che io sia solita mostrarmi d’accordo con Seb – ci sono dei limiti alla mia follia – ma sul tema dei selfie apparteniamo allo stesso partito. Lui perché difende ideali nobili come la privacy, io perché in genere vengo sempre un discreto orrore in foto.

    «Bell’idea!», acconsente subito Alessandra, viva eccitazione negli occhi e voce gioiosa. È proprio vero che gli opposti si attraggono…

    Prima che Lavinia possa addurre chissà quali scuse, prendo il mio cellulare dalla borsa e scatto in fretta una memorabile foto di noi tre che ci sforziamo, ognuna a modo proprio, di risultare felici e spensierate. Poi la posto sulla mia bacheca, taggando le altre due grazie e indicando chiaro e tondo il luogo in cui ci troviamo.

    Per la serie, piccolo hacker informatico, ti sfido a non presentarti qui al volo…

    Essendo bastarda fino in fondo, aggiungo pure qualche frase allusiva su una possibile compagnia maschile. A questo punto non mi rimane che attendere che la storia faccia il suo corso.

    E lo farà, ne sono certa.

    Qualche volta persino le relazioni migliori hanno bisogno di una decisa spinta nella direzione giusta. Il fato è un concetto molto nobile, se uno ama credere alle favole. E io chiaramente non faccio parte della categoria. Questa sera il mio umile ruolo consiste appunto nel sostituirmi alla divina Provvidenza. Un po’ da megalomane l’idea, me ne rendo conto. Ma sono pur sempre quella che darà a Lavinia e Sebastiano la famosa spinta o, più romanticamente, la fatina che farà in modo che i due innamorati comprendano una buona volta che separati sono atroci. Per il loro bene e per il nostro. Non ne posso più di avere a che fare con una ragazza così tesa e frustrata. Immagino che i parenti e gli amici di Seb condividano appieno il mio pensiero.

    Devo solo attendere una mezz’oretta e sono certa che le vicende prenderanno tutt’altra piega. Seb è un tipo molto strano, ma persino i nerd sanno essere prevedibili quando si tratta di amore. La cosa difficile sarà sopportare questo ambiente barboso per il tempo necessario. Davvero, la mia statua non sarebbe affatto esagerata, visto l’immenso sacrificio di questa sera…

    «Oh, ecco Giovanni!», esclama Lavinia, che ce la sta mettendo tutta per dissimulare il suo reale stato d’animo. Non che Giovanni sia un cattivo ragazzo, e nemmeno brutto, se a una piace il banale biondo e perfetto, ma tra lui e Lavinia è proprio questione di assenza di chimica. Zero. Potrebbero essere fratello e sorella, vista la poca attrazione che si percepisce le volte in cui si incontrano.

    Se ne sono accorti persino loro, motivo per cui fanno finta di rincorrersi da anni, senza che nessuno dei due provi l’interesse necessario per rendere la cosa un tantino più stabile. Ed è curioso, perché sulla carta sono una coppia ideale: entrambi biondi, sempre sorridenti, entrambi estremamente gentili con tutti. Davvero non so come facciano o quale droga prendano.

    A una prima occhiata Seb avrebbe dovuto essere la persona meno adatta per una ragazza come la mia amica. Ma mi è bastato osservarli insieme per soli cinque minuti e ho quasi gridato al miracolo: fuoco, fiamme e scintille generate spontaneamente. Veri fenomeni fisici da indagare, insomma. L’attrazione tra di loro a me è parsa sin dall’inizio così evidente che quasi non mi capacito di come non si siano saltati addosso la prima settimana che si sono conosciuti.

    Essendo due anime completamente opposte, Lavinia e Sebastiano hanno avuto bisogno di annusarsi a fondo, conoscersi bene e superare le rispettive personali paure. Numerose, va specificato.

    A voler essere precisi, al momento non hanno ancora superato un bel niente, ma nutro grandi speranze per la serata. Ho bisogno di interrompere questo circolo vizioso di gente perennemente sull’orlo del baratro e vedere finalmente una coppia felice. Io non lo sono più da tanto di quel tempo che quasi non mi ricordo come ci si senta. Lavinia forse può insegnarlo a tutti noi. O almeno lo spero.

    Giovanni è seduto su uno dei divanetti scuri, lontano da noi, ma si alza non appena ci vede avvicinarci. La sua educazione è oggettivamente ineccepibile. Nemmeno io che ho sempre da ridire su tutto e tutti trovo molto da obiettare ai suoi modi.

    «Pare che finalmente ce l’abbiamo fatta a incontrarci!», si rivolge a Vinny, sporgendosi per baciarla sulla guancia.

    In sua compagnia ci sono altri tre esemplari della razza bocconiana: tutti piuttosto attraenti e ugualmente banali. Alla sua destra, in particolar modo, siede un ragazzo che ho già notato più volte all’università: capelli mossi scuri, grandi occhi color nocciola, un naso talmente perfetto che i chirurghi estetici potrebbero prenderlo a esempio, due zigomi pronunciati e labbra sorprendentemente carnose per un tipo banale come lui. Voglio dire, una bocca simile avrebbe avuto molto più senso su un attore o un artista, invece che su uno che al massimo aspira a lavorare nell’azienda del papy. Sempre che aspiri a lavorare e non si limiti direttamente a far fuori il patrimonio di famiglia. Da queste parti non sarebbe di certo il primo. Ogni tanto mi chiedo se esistano dei corsi universitari segreti con una simile specializzazione. C’è gente che ne ha fatto quasi un’arte.

    Credo che il fanciullo sia il miglior amico di Giovanni, ed è l’uomo a cui dovrebbero assegnare il premio di Mister camicia più attillata della storia. Davvero, mio malgrado mi sono già domandata in altre occasioni se il sarto gliele cucia direttamente addosso e se gli sia possibile respirare dopo averle indossate. Ho i miei dubbi.

    Lo sguardo mi cade automaticamente sul suo petto, dove spiccano in bella vista le iniziali: ac. Of course. Per uno come lui deve essere stato un grandissimo sacrificio essersi limitato a due sole lettere. Sono pronta a scommettere tutti i miei adorati piercing (al momento due, uno alla lingua e uno all’ombelico, ma sto pensando di incrementare prima o poi il numero) che è iscritto al partito dei fieri rappresentanti dei cognomi multipli esponenziali, di quelli che ci tengono e se li fanno segnare tutti sulla carta d’identità, con il problema poi di dover passare un’ora per apporre una firma qualsiasi vita natural durante. Ah, cosa non si fa per il vacuo senso di superiorità…

    Mister camicia attillata si sposta quanto basta affinché Lavinia possa sedersi accanto a Giovanni e poi solleva lo sguardo, accorgendosi della mia presenza. Quei suoi occhi scuri paiono riconoscermi. Incredibile come incrociare per anni perfetti sconosciuti nei corridoi di un ateneo possa creare una strana illusione di intimità.

    Il suo sguardo è diretto e piuttosto intenso, tanto che una strana sensazione di disagio si impadronisce di me. Non ha alcun motivo per soffermare così a lungo i suoi occhi su di me. Nessuno.

    Quasi non mi accorgo di trattenere il fiato, quando finalmente sposta la sua attenzione su Alessandra. Sto per sedermi e rilassarmi, ma un minuto dopo quegli occhi nocciola tornano su di me. E lì si fissano. Dannazione.

    «Lavinia, questi sono i miei amici: Ariberto, Stefano e Luca». Giovanni sta presentando i ragazzi a Vinny, che allunga la mano per salutare tutti.

    Ariberto… ma certo!

    Game, set, match per me. Che amerò anche vincere facile, ma sono comunque una grande esperta della natura umana.

    A fatica trattengo una prima risata. Davvero, rimanere impassibili è troppo persino per una stoica come me. Ma cosa diavolo beve la gente prima di dare i nomi ai figli? Vodka importata direttamente dalla Siberia?

    Poche cose mi toccano nel profondo, ma il signorino spalle larghe insieme a quel suo nome ridicolo potrebbe essere motivo di una delle mie più sincere espressioni d’ilarità degli ultimi tempi. Se solo mi fosse permesso scoppiargli a ridere in faccia… Cielo che fastidio le convenzioni sociali!

    Sono quasi certa di avere la situazione sotto controllo, quando una seconda ondata mi travolge a tradimento e la risata, in effetti piuttosto spudorata, parte a razzo dalla mia bocca. Lo giuro, ho provato sul serio a fermarla!

    Certo, anche i miei non si sono fatti mancare niente, dal momento che il mio nome completo è Giada Elettra Ludovica Borghi. Psicolabili completi, ma questo già si sapeva. Immagino di dover essere grata a mio padre per aver messo quella fondamentale virgola dopo Giada, per cui la mia umiliazione è stata in parte evitata. Sia chiaro che mi porterò il segreto dei miei secondi nomi nella tomba.

    «C’è qualcosa che non va?», osa domandarmi. Dico, deve proprio chiederlo? Il suo bel naso è del tutto sprecato se la testa non è dotata di un numero minimo di neuroni.

    «Niente, Ariberto…». Non resisto dal prenderlo in giro. Le cose o vanno fatte per bene oppure tanto vale rinunciare in partenza.

    I suoi occhi si riducono a due fessure e un velo di rabbia compare nella sua espressione. Oh, finalmente un accenno di carattere da parte sua! Stavo iniziando a sospettare che lo avesse offerto come merce di scambio quando distribuivano zigomi perfetti. Anche all’università pare essere sempre così fastidiosamente di buonumore…

    Ci sono persone che fingono di non avere mai alcun problema nella vita, vedasi per esempio Vinny, e poi ci sono quelli che davvero sono sempre di buonumore. E io in tutta sincerità non so quale categoria mi terrorizzi di più. Forse la seconda.

    «E tu saresti?», domanda solo lievemente infastidito.

    «Oh, nessuno di importante per te», ribatto come se niente fosse, espressione totalmente innocente sul viso.

    «Rimane il fatto che sono curioso. Immensamente…», rimarca. «A proposito, Ariberto Castelli, piacere».

    Ma piacere di cosa?

    Lo osservo sospettosa, non capendo il perché della sua insistenza. E mollami e non parlarmi mai più in vita tua, no? Sono una che ti è appena scoppiata a ridere in faccia!

    «Lei è Giada», si intromette Lavinia, che non ama gli scontri. Sono anni che le dico che dovrebbe lavorare un po’ su quella sua natura pacifista. È risaputo che i mediatori spesso facciano una brutta fine a causa del fuoco amico. Vinny è il classico tipo sole-cuore-amore. Io, affatto…

    «E questa è Alessandra», sta andando avanti la mia amica come se nulla fosse.

    La tecnica è sopraffina: spostare l’attenzione da un’immensa rompiscatole come me a una ragazza molto più normale e rassicurante come la nostra amica. Tra l’altro, Ale non indossa nemmeno una sfilza di grossi braccialetti borchiati. E sono affilati. Mi servono per lasciare segni indelebili su quelli che osano allungare le mani senza essere invitati. E non lo sono mai, sia chiaro.

    A questo punto sono matematicamente certa che Ariberto-camicia-perfetta solleverà i suoi grossi occhioni da Manga dalla mia inquietante personcina e li poserà su qualcuno di molto più adatto a lui. Senonché la mia previsione non solo non si verifica, ma avviene piuttosto il contrario: mi trafigge con lo sguardo come se io fossi un mistero che deve risolvere a tutti i costi. Ora che ci faccio caso, non pare nemmeno più arrabbiato. Piuttosto, affascinato.

    Una strana sensazione di allarme si annida in fondo al mio stomaco. Ma questo che diavolo vuole?

    «Allora, bevete qualcosa?», ci chiede Giovanni in modalità perfetto padrone di casa, interrompendo lo scambio di sguardi.

    «Perché no? Un Long Island per me», risponde con un sorriso a trentadue denti Lavinia. Cielo se si vede che si sta sforzando…

    «Io un Bloody Mary», comunico invece, cercando di mantenere un’espressione di totale indifferenza.

    «Uh, assetata di sangue», ha pure il coraggio di commentare Ariberto.

    Sbatto le palpebre incredula. Dico, si rende conto di quello che rischia provocandomi? «Mi offri il tuo, ragazzo con la camicia cucita addosso?»

    «E se anche te lo offrissi?», ribatte, riuscendo a bilanciare alla perfezione una punta di provocazione e un atteggiamento quasi rilassato. Oggettivamente, un colpo da maestro. Per un attimo rimango quasi sbalordita. In genere la sua categoria è molto più prevedibile. Si offendono tutti in mezzo secondo.

    «Sono un vampiro dai gusti difficili, caro. Ho come il sospetto che il tuo sangue per me potrebbe rivelarsi… come dire… zuccheroso».

    «Cosa ne sai, potresti rimanere sorpresa», insinua con una strana sfumatura che sa inaspettatamente di… sensuale. Inspiro per contenere la sorpresa e per non trapassarlo seduta stante con le mie borchie. Anche se lo meriterebbe alla grande.

    Ok, questo gioco è durato decisamente troppo. Va bene soffrire per amore di Vinny, ma qui la cosa sta diventando ridicola. Questo tipo non penserà mica di poter avere l’ultima parola?

    «Sono molto poche le cose che mi sorprendono davvero. Tu non sarai una di quelle», sentenzio senza alcun sarcasmo. Sono maledettamente seria. Voglio che gli sia chiaro.

    «Ne sei proprio certa?». Più io divento cupa e più lui pare divertirsi e il suo tono farsi leggero. È evidente che tendiamo verso i due estremi opposti di una retta. Ognuno proteso verso il suo infinito. Io quello negativo, lui quello positivo. La geometria non è dalla nostra. «Te la sentiresti di mettere alla prova la tua teoria con un ballo?».

    Si solleva dal divanetto e – orrore degli orrori – allunga una mano nella mia direzione. Bel palmo, mano grande, dita lunghe. Io invece mi mangio le pellicine. E si vede.

    I miei occhi scorrono lungo tutta la sua notevole figura finché – grazie al cielo – non trovano un altro punto debole: i pantaloni con il risvolto da acqua alta in casa. Davvero, questa moda tremenda andrebbe vietata per legge con tanto di fiducia posta dal governo. Voglio dire, la chiedono due volte a settimana per questioni decisamente più sciocche, come la legge di stabilità o la riforma del lavoro. Se i pantaloni troppo corti non donano a uno come Ariberto Castelli, che non mi pare avere problemi di fisico, per il resto del mondo non ci sarà mai speranza.

    Comunque, orlo orrendo o meno, se s’illude che io arrivi a sfiorarlo, anche solo per sbaglio, è il caso che ci ripensi. Subito. Anche perché ha al polso uno di quegli orologi pretenziosi che sanno tanto di regalo per i diciotto anni da parte di mamy e papy. Preciso: l’orologio è bellissimo e di ottimo gusto. Quello che stona del tutto è che si trovi al polso di un ragazzo che non si è mai dovuto guadagnare niente. Se già prima non avevo intenzione di avere nulla a che fare con lui, ora siamo proprio ai massimi livelli di fastidio.

    Sì, mi infastidisco facilmente. Sono fatta così.

    Sì, ho un brutto carattere. E ne vado quasi fiera.

    «Perché non andiamo a ballare tutti?», si intromette Giovanni, voltandosi verso Lavinia.

    Lei coglie al volo la proposta. «Grande idea!». Il tono è talmente eccessivo e squillante che sia io che Ale ci voltiamo a fissarla preoccupate. O Seb si muove a presentarsi qui e se la porta via, oppure Lavinia scoppierà come un palloncino a forza di cercare di apparire troppo gioiosa. Non ho mai pensato che fosse possibile prima d’ora, ma pare che si possa morire dal troppo ridere. Lo sapevo che avevo fatto bene a rimanere ostinatamente cupa.

    I nostri biondi si allontanano sulla pista da ballo, come pure Ale e gli altri due amici di Giovanni. Io mi volto e sollevo un sopracciglio, sorpresa di trovare Ariberto ancora fermo nella stessa posizione di prima. L’espressione è di sfida, ed è forse una delle poche cose a cui non so resistere.

    «Vediamo se hai coraggio o meno…», mormora con fare seduttivo. Non può pensare davvero che quel suo tono da sono-un-Dio-e-le-donne-cadono-ai-miei-piedi funzioni con una come me. Dico, mi ha guardato per bene?

    Sollevo una mano e gli indico le mie borchie. «Le vedi queste? Non sono un trucco cinematografico. Servono per infilzare le teste di cavolo come te». Gli sorrido, ma il tono è glaciale.

    Invece di offendersi o scappare a gambe levate, scoppia a ridere. «Quindi non sei una di quelle ragazze che fingono solo di vivere pericolosamente?», osa pure domandarmi.

    «Fingere? Bellino, io non fingo un bel niente. Io vivo pericolosamente», lo correggo subito. Meglio chiarire certi equivoci.

    «E allora dimostralo… Miss istrice», mi apostrofa, avvicinando ancora di più la sua mano.

    «Che c’è? La tua è una vita triste e noiosa e hai bisogno di stimoli?», cerco di provocarlo, costi quel che costi, con tono di supponenza. Il mio piano – nemmeno tanto segreto – è quello di fargli finalmente perdere le staffe e di costringerlo a scappare a gambe levate. E, modestia a parte, in genere non ho bisogno di tutto questo tempo per far allontanare le persone. Ho anni di esperienza con quelli come lui.

    «No no, non funziona…», mi risponde con una risata che mi spiazza non poco.

    «Cosa?», chiedo cupa.

    «Il tuo piccolo tentativo di depistaggio. Ma devo ammettere che era valido», osa persino congratularsi.

    «Hmmm», è il mio solo commento. Sto prendendo tempo per farmi venire in mente una risposta brillante che possa troncare una volta per tutte quest’assurda discussione. Ma la mia mente, in genere veloce, è in difficoltà. Tutta colpa di quest’aria viziata. In tutti i sensi.

    «Allora Giada, vuoi perdere altro tempo oppure lasciarti questa piccola sfida alle spalle? A proposito, hai un nomignolo come Vinny? Intendo, a parte l’istrice di prima…», chiede estremamente divertito.

    Io davvero non riesco a comprendere cosa stia succedendo: com’è possibile che sia ancora un uomo libero, invece di essere in un manicomio? Mi pare piuttosto palese che sia del tutto fuori di testa.

    Accortosi finalmente della mia espressione assassina, sfodera quello che immagino nella sua testa bacata vorrebbe essere un sorriso rassicurante. Certo, come no… Cosa pensa, che sia nata ieri? Questo tizio è innocuo più o meno come la fibra dell’amianto inspirata a pieni polmoni. Sono stata su questo pianeta un tempo sufficiente da riconoscere a prima vista quella che è un’evidente rottura di scatole. Di dimensioni bibliche.

    «La-ragazza-che-ti-spezzerà-le-ossa-a-una-a-una, se non la finisci con le finte moine. Mi danno ai nervi». Lo sappiamo entrambi che è una minaccia difficile da realizzare: io non arrivo al metro e sessantacinque e questa montagna di fronte mi supera di quasi trenta centimetri. Ma, dove non arriva l’altezza, può arrivare il carattere: questa sera mi sento un po’ come uno di quei nevrotici chihuahua tanto di moda di questi tempi. Per la serie, guai a chi cerca anche solo di accarezzarmi.

    «È l’unico motivo per cui lo faccio», mi conferma e mi sorride ancora. E che fastidio quella sua dentatura perfetta!

    «Ti verrà una paresi».

    «Non credo proprio. Ho anni di esercizio alle spalle. Esattamente come ce l’hai tu a tenere quel finto broncio», rimarca con soddisfazione.

    Incredibile, pensa sul serio di potermi decifrare.

    I miei occhi si spalancano oltraggiati. «Credimi, altro che finto, con te davanti».

    «Per qualche strano motivo, no, non ti credo».

    «Oddio, non sarai mica uno di quegli esaltati, convinti che le donne debbano tutte cascare ai tuoi piedi perché per puro caso ti ritrovi un viso carino…», esclamo fingendomi preoccupata per lui.

    «Quindi trovi che il mio viso sia carino, eh?», ripete tronfio. Lo sapevo: non ha capito una beata mazza di quello che stavo dicendo. Ma quand’è che il sarcasmo è passato di moda? O, meglio ancora, perché sono nata in un’epoca in cui l’ironia estrema non è considerata l’unico metodo di valutazione dell’intelligenza di una persona?

    «Chiariamo in fretta una cosa: il tuo aspetto fisico ha per me l’appetibilità che potrebbe avere una bistecca al sangue su un vegano integralista. Ci siamo intesi?», cerco di chiarirgli il concetto. Come se non bastasse, gli lancio un’occhiataccia che definire belligerante è fin troppo soft. D’altronde, io ci ho provato con le buone. È colpa mia se per Ariberto Castelli-vien-dal-mare servono le cattive?

    Per la prima volta da quando abbiamo iniziato a battibeccare, il suo sorriso cede in modo quasi impercettibile. Il ragazzo dai boccoli perfetti non si aspettava una presa di posizione così drastica da parte mia. Ingenuo, io sono molto più che drastica. Dovranno coniare una nuova parola per quelle come me.

    Cerca di dissimulare in qualche modo il colpo mortale al suo ego, ma è evidente che il mio fendente ha fatto almeno qualche danno. «Qui faremo notte…», si lamenta, alzando gli occhi al cielo e cambiando atteggiamento.

    «Odio dover replicare a una simile banalità, ma è già notte. Da un pezzo», rispondo da saputella insopportabile.

    «Come ho fatto a non accorgermene…».

    «Senti, ora che abbiamo chiarito che non sono affatto come avevi immaginato in un primo momento, cosa ne diresti di cambiare aria?». C’è poco da fare, sono una ragazza molto diretta.

    Ariberto pare meditare sulla mia proposta – molto intelligente, se mi è permesso – e proprio quando sono certa che finalmente girerà i tacchi delle sue costose scarpe, ecco che assume un’aria determinata. «Sai che c’è… No!», afferma solenne, dopo averci pure riflettuto.

    Lo fisso come se fosse del tutto impazzito. Mi pare evidente che questa non sia la mia serata fortunata. Stufa e sconfitta – sensazione a cui non sono affatto abituata – opto per una vera risposta matura: gli faccio la linguaccia, mettendo così in bella mostra il mio piercing. È un segno distintivo, nonché di potere. Forse non avrò dalla mia l’altezza, ma almeno non sono banale come Mister-spalle-infinite con le sue camicie perfettamente stirate e le iniziali ricamate ad arte.

    Cerco con tutta me stessa di scacciare la tentazione di far posare ancora una volta i miei deboli occhi sugli avambracci messi in bella mostra grazie a maniche perfettamente arrotolate. Mai trovato alcun fascino prima d’ora negli avambracci maschili. Voglio dire, sono pezzi di braccia. Niente di così trascendentale…

    Sfruttando il mio piccolo momento di distrazione, Ariberto mi afferra con la stessa mano che mi aveva porto, trascinandomi in direzione della pista da ballo. Per essere un uomo dalla stazza simile, si muove in modo molto celere. Cerco di resistere puntando i piedi, ma la presa sul mio polso è salda. Con mio grande fastidio, riesce nel suo intento senza nemmeno pungersi sul mio bracciale.

    E come se la sua presenza non fosse una punizione sufficientemente pesante, la musica cambia e una versione remix di Love Me Like You Do inizia a propagarsi con forza dalle casse acustiche, che causeranno

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