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L'eredità di mio padre
L'eredità di mio padre
L'eredità di mio padre
E-book93 pagine1 ora

L'eredità di mio padre

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Info su questo ebook

Teresa, appena dopo la laurea, scopre la malattia che nel giro di poche settimane uccide suo padre. La storia investe poco più di un anno della vita della protagonista, fino alla fine dell'estate dell'anno seguente: è il periodo dello stato depressivo che segue l'inaspettato lutto. Esplora le sensazioni fisiche e psichiche, della vita di ogni giorno, immersa nella fatica quotidiana di mettere in relazione il mondo "fuori", che continua a scorrere con un ritmo rapido ed incalzante, con il vuoto che percepisce "dentro", dal sapore lento e pesante. Una busta gialla svela alla protagonista una immagine nuova del padre, meno severa e rigida: come uomo manifestava evidenti limiti nella propria volontà ma non nel desiderio di "fare la cosa giusta" per Teresa. Il rapporto padre-figlia viene quindi a ridefinirsi nei suoi contorni e nelle sue sfumature anche dopo il lutto: tramite il contenuto della busta e i ricordi dei momenti condivisi, si aprono per Teresa nuove prospettive sul futuro.
LinguaItaliano
Data di uscita28 ago 2016
ISBN9788898414949
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    Anteprima del libro

    L'eredità di mio padre - Alba Passarella

    Contemporanea

    Alba Passarella

    L’EREDITÀ DI MIO PADRE

    © La Memoria del Mondo Libreria Editrice

    Via Garibaldi, 51 - Magenta (MI)

    www.memoriadelmondo.it

    edizioni@memoriadelmondo.it

    isbn 9788898414949

    Alba Passarella

    L’eredità di mio padre

    Dedicato a mio padre,

    ovvio, ma non solo…

    Dedicato a chi mi è stato accanto,

    sicuramente, ma non c’è esclusività…

    I pensieri corrono… allora…

    Dedicato a tutte le persone

    che scelgono

    comunque

    la vita…

    Introduzione

    (che consiglio di leggere)

    Non ero neppure sicura di scrivere questa prefazione quindi sarò breve. La storia che segue è tratta da un episodio realmente accaduto: le righe più intense facevano addirittura parte del mio diario personale. Ovviamente tutt’intorno vi ho ricamato situazioni e personaggi di fantasia che nulla hanno a che fare con la realtà se non per puro caso.

    La critica che penso si possa muovere contro tale scelta è da annoverare fra quelle che sanno di pornografia, nel senso della scelta di rendere in qualche modo visibile una parte tanto intima del dolore. Qualcuno potrebbe dire che potevo farne a meno e non gli darei neppure tutti i torti! Solo che la machiavellica affermazione il fine giustifica i mezzi è stata per me l’esortazione decisiva che mi ha portato a scrivere in questo modo: se leggendo queste pagine, ci fosse anche una sola persona a ritrovare la speranza o a comprendere forse un po’ meglio chi si trovi a transitar per tale travaglio, so che sarebbe valsa la pena di esporsi fino a questo punto.

    La prima parte di questo libro mette a contatto con la crudeltà del dolore, scoprendo la carne ed esponendola al contagio, fino all’epilogo della morte, trascinando il lettore nel vortice precipitante del periodo cupo, depressivo e apatico della rielaborazione del lutto. Nella seconda parte si inizia timidamente a ricordare, gli eventi iniziano ad incasellarsi nel passato e ciò consente di volgere lo sguardo al futuro

    Infine c’è una grande e tacita verità: nessuna legge (a parte a scuola!) impone di leggere i libri. Se al lettore sensibile apparisse troppo cruda la prima parte, potrebbe decidere di legger direttamente la seconda, accontentandosi di sapere che in quelle pagine si racconta della morte di un uomo e dello stato d’animo della figlia.

    PARTE PRIMA

    Raccontarsi per sopravvivere

    1. La storia dei fatti

    Appuntamento al bar

    Oggi è il primo martedì di settembre, piove e vista l’ora sono già in ritardo al mio appuntamento con Francesca. Mi aspetta al solito bar, quello vicino all’Università dove studiavamo fino a qualche mese fa, prima di diventare finalmente dottoresse. Vuole vedermi perché dice che non le piace la mia voce al telefono… del resto non sa nulla della morte di mio padre e io non so perché ma per telefono non me la sono sentita di dirle nulla. Quando mi ha chiamato la scorsa settimana, mi ha raccontato entusiasta e tutto d’un fiato, della sua vacanza in sud America: luoghi straordinari, persone meravigliose e colori incantevoli; per la prima volta nella vita ho ascoltato un’amica senza sentirmi minimamente coinvolta, ho solo preso nota del suo entusiasmo che tanto strideva dentro di me con i ricordi dolorosi di quest’estate. Ho ascoltato comunque attenta il suo racconto, almeno fino al momento in cui non ho pensato che presto o tardi mi avrebbe fatto sussultare con l’insostenibile domanda: «…e tu Teresa, cos’hai fatto di bello?»

    Sono quasi arrivata e tutto sommato il ritardo è contenuto. Mi sono portata anche la busta gialla che ho ricevuto dal Dott. Marenghi, direttamente dalle sue mani dieci giorni or sono e che non ho ancora avuto il coraggio di aprire. Mi affascina, mi turba, mi inquieta e mi fa compagnia. Quella busta sta diventando un’ossessione, una droga a cui non so resistere: la porto sempre con me, pena, un senso d’angoscia devastante! Eppure non ho idea di cosa contenga…

    Eccomi sotto l’ombrello, sotto la pioggia e sotto un cielo grigio e cupo. Francesca è sulla porta del bar e dopo un breve saluto entriamo e ci sediamo al solito posto: mi piace questo tavolo d’angolo, vicino alla finestra e al termosifone, mi sento bene qui e da qui voglio raccontare a Francesca quello che è successo.

    «Cosa prendi?» mi chiede lei gentilmente; vorrei dirle che ho solo voglia di vomitare ma credo sia inopportuno.

    «Caffè macchiato e una brioches vuota».

    Mi pesa parlare, mi pesa la mia testa, mi pesano dentro le lacrime che so di non voler (dover?) sfogare ora in questo luogo, ma Francesca è qui di fronte sorridente e in trepidante attesa delle novità.

    «Ho le foto del Brasile, dopo te le mostro», io sorrido «Ok.»

    L’arrivo delle brioches spezza la mia tensione e dopo aver sospirato profondamente dico «Mio padre è morto da sei settimane: tumore fulminante al fegato.»

    Francesca perde il sorriso e questo mi dispiace ma io non ho ancora trovato un modo più tenue per dirlo agli altri (e a me stessa!).

    «Mi dispiace… scusa io non sapevo, il Brasile e le mie cazzate! Avevo capito che qualcosa non andava ma credevo si trattasse di qualche problema con il tuo fidanzato… condoglianze».

    Cerchiamo di far colazione come le persone normali che stanno al bar con noi: tutti hanno i loro problemi e supererò anche questa, lo so, però percepisco le persone che mi circondano in modo diverso. Sento le voci e vedo le immagini come se fossi di fronte ad un film, come se la vita scorresse su uno schermo e io fossi al di fuori di essa, sospesa in un limbo fatto di dolore, solcato a tratti da apatia. I suoni mi sembrano tutti forti, come se non li avessi mai sentiti prima, ecco che cade una tazzina sul pavimento e si rompe: quel rumore echeggia nella mia testa e nella mia anima come se fossero vuote. Io mi sento svuotata e ciò che mi circonda è come se apparisse per la prima volta ai miei sensi, così tendo a stare più attenta: le voci dei nostri vicini di tavolo che ordinano, lo squillo di un cellulare, lo spiffero d’aria che arriva alle mie spalle, il colore intenso del rosso della tovaglia… tutto sta là fuori, sento di non aver più nulla dentro e vorrei riempire quel vuoto con tutte quelle cose, come se affamata mi potessi nutrire! Vivo in un limbo strano da descrivere e definire.

    Solo Francesca fa parte del mio limbo in questo momento e le permetto di chiedermi e mi permetto di risponderle…

    La scoperta della malattia

    Lasciata da parte la brioches inizio il mio racconto: Francesca mi ascolta con attenzione e un velo di tristezza le copre il viso.

    «Quando mio padre era ricoverato, in attesa di un banalissimo intervento per asportare dei calcoli renali, mi trovavo in vacanza ad un paio d’ore d’auto dall’ospedale e dunque la scelta di andare a trovarlo appare normale. Lo straordinario sta nel tempismo: pur avendo ben due settimane a mia completa disposizione ho deciso di andare dopo tre giorni dal mio arrivo, esattamente di mercoledì. Proprio il giorno in cui hanno rivelato a mio padre di avere un cancro.

    Arrivata all’ospedale mi ha subito detto dei dolori insopportabili che da mesi lo tormentavano specialmente

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