La Cubana
Di Bertie Owl
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Anteprima del libro
La Cubana - Bertie Owl
Note
La cubana
A Claudia e Pietro
In una città non sua può prendere per mano il presente ferito e portarlo per strada senza ritegno.
Armando Cipriani, I racconti di Jana
Aveva fatto tutto quello che doveva fare per sentirsi a posto con la coscienza. Non doveva dimostrare più niente a nessuno. Aveva deciso di smetterla col lavoro anticipatamente, non voleva più saperne di orario da rispettare e di ansia che cresce nelle ore di punta ad ogni accelerata o frenata. Ora è lì, all’Avana, dove si sta godendo la fortuna di aver cambiato vita sotto le stesse sembianze: le rughe, le guance un po’ pendule e le borse sotto agli occhi. Ha imparato ad apprezzare anche quella decina di lettere che compongono il suo nome: Chiaraluce. Forse perché quando si presenta si sente rivolgere un ¡encantado! o ¡mucho gusto! con la esse che in cubano se ne va e si sente solo mucho gutto che conferisce una nota sensuale, mai avvertita prima, a quel nome. Si sente davvero incantevole e sexy come Rita Hayworth in una Gilda di un tempo solo suo.
Vive in un appartamento piccolo nel quartiere di Miramar, al secondo piano di un edificio circondato da un giardino disegnato da una siepe d’ibisco. Sul lato destro della casa un alto frangipani arriva fino al terrazzo dove lascia cadere i suoi fiori bianchi dal cuore giallo che vagamente le ricordano il profumo di zagare. Li raccoglie regolarmente, li depone in una ciotola e per molti giorni ospita quella fragranza migliore di qualsiasi deodorante per ambienti. Sempre da destra le arriva il rumore del mare, ne vede solo una piccola porzione tra gli edifici che si spingono verso l’acqua fino ad esserne lambiti. Quando il vento imperversa da nord est, una nebbiolina salata imperla la sua sedia a dondolo - c’è sempre una sedia a dondolo in una casa cubana - e rende più inquieta la coppietta di pappagallini verdi e rosa, che le tengono compagnia.
S’è portata dietro il suo bagaglio di sogni lasciando i ricordi custoditi nei diari nella sua vecchia casa. All’Avana l’interrogativo sul senso dell’esistenza ha smesso di incalzarla.
– Il senso della vita?…Vivere – le ha risposto con tono sorpreso Gregorio Fuentes quel giorno in cui è andata a trovarlo a Cojimar sulle orme di Hemingway. Quell’affermazione semplice, quasi ovvia per chi è addestrato a contorcersi l’anima, se la conserva dentro a mo’ di balsamo lenitivo. L’ha trasformata in una melodia che sopperisce all’ansia di certezze, una melodia che fa scorrere sinuosa sotto le onde del mare o dietro l’ombra delle palme che ondeggiano elastiche, nella contemplazione di ciò che fuori da sé.
Il ritmo della cuadra
Si sveglia piuttosto presto.
Sono i pappagallini ad avvertirla dell’arrivo del giorno. Il chiarore la conduce al terrazzo e si stiracchia in quel silenzio distratto dall’odore della sigaretta di Lazarita, la sua vicina. Il sole poi si innalza rapido e rimane, alto, fisso, a bruciare fino al tramonto.
Deve essere inverno. Sicuramente lo è nel suo paese. Lì, in quel clima mite, lo percepisce dai frangipani che non hanno foglie ma solo fiori intensi alle estremità dei rami: sembrano candelabri ebraici, votivi, rivolti a cielo.
La giornata di Chiaraluce ha un suo ritmo, le vola via leggera come un colibrì e non lascia tracce in echi notturni.
– Ritagliati il tempo per te!
Il refrain che si doveva ripetere per allentare la morsa dei doveri è acqua passata, ora deve solo occuparlo, il tempo.
Si concede quasi quotidianamente il bagno nell’oceano, è il piacere con cui avvia la mattina, il momento in cui l’acqua è più calma, cercando un punto accessibile nella scogliera. Come una cubana, assicura le chiavi di casa al collo con una corda sottile, infila le scarpe da tennis logore, una gonna pantalone corta sopra al costume, giusto per coprirsi le cosce ed affrontare la strada. Mentre attraversa veloce, si sottopone ai rituali pss... pss, sibili leggeri che viaggiano verso di lei accompagnati da smack risucchiati con passione, dello stesso rumore dei baci dati sulle guance dei bambini per farli ridere di solletico. Quell’apprezzamento della sua femminilità, anche se l’imbarazza un po’, la fa sentire desiderata, un’emozione persa nel suo paese – l’impegno politico offuscava la sua appartenenza di genere. I maschi cubani hanno conservato un gallismo adolescenziale accattivante, spontaneo, mai volgare. L’alleggerisce: le donne sono donne, sempre oggetto di desiderio, a ogni età.
Dalla scogliera lancia lo sguardo lontano per verificare eventuali presenze sgradite, si tuffa con tutto addosso perché non le rubino niente e gode di quella libertà. La gonna si gonfia d’acqua e le scarpe diventano pesanti, ma quel piccolo ingombro è compensato dagli scenari che si gode, bracciata dopo bracciata. Spugne a forma di anfore e pesci colorati annullano il timore per gli squali martello. Dopotutto non si avvicinano mai tanto da quelle parti. Così le hanno detto.
Non è che siano ladri, i cubani. È che non hanno un soldo, così un indumento, un asciugamano o scarpe lasciati incustoditi spariscono appena si gira la faccia.
Esce dall’acqua dopo quaranta minuti – più o meno la nuotata ha sempre la stessa durata – si asciuga al sole giusto pochi minuti per non sgocciolare sul pavimento di casa e conservare più a lungo possibile la freschezza dentro al corpo. Tutto è spontaneo, semplice, naturale.
La frenesia dei primi tempi, di sfiancarsi in giro per il centro quotidianamente, se n’è andata. L’Avana non ha più angoli segreti, adesso per una fuga a Piazza della Cattedrale approfitta delle giornate nuvolose, ordina succo di mango al bar, qualche volta un mojito e passa lì la mattina, leggendo, ascoltando Salsa dal vivo e osservando il movimento di stranieri carichi di buste di plastica di Cubalse (la catena di supermercati cubani), armati di videocamera e macchine fotografiche. E guardandoli pensa alle sovrastrutture di chi ha troppo ed è posseduto dall’ossessione di accumulare immagini, souvenir per le patetiche ostentazioni di viaggi esotici ad amici e parenti che con invidia annoiata ascolteranno i racconti in cene pseudoetniche. Invece, i cubani hanno poco, più o meno una casa degna di questo nome, bene o male mangiano, riso e fagioli, un pasto c’è sempre per tutti e, quando hanno un soldo in più, derivante da qualche traffico in dollari, si comprano una bottiglia di rum e se la spassano.
Al di là degli sporadici tuffi nel consumismo
, passa la maggior parte del tempo nella cuadra, ha imparato presto a capire che quel termine non significa semplicemente isolato
. La cuadra è un microcosmo con caratteri ben distinti e diversi dagli altri isolati. La vita si svolge lì in tutti i suoi bisogni e la calle non è semplicemente strada, ma una palestra per apprendere i meccanismi di sopravvivenza economica: la mecanica.
Anche lei, in quella cuadra, abitata più da donne e bambini che da coppie – moderne Amazzoni che lottano per garantire dignità alle proprie famiglie - appaga tutti i suoi bisogni con il dizionario per cercare di capire e di esprimersi. Il campanello della porta suona in continuazione per quel mercato nero parallelo, di calle che si sviluppa porta a porta, scampanellio dopo scampanellio. L’offerta di merce è piuttosto ripetitiva: aglio e cipolle. Si sorprende ogni volta che le dicono il prezzo, lo considera davvero esagerato pagare dieci pesos per una testina o un bulbo. Un bene prezioso. Le uova arrivano ogni due settimane; patate, avocado, mango, mamoncillo, fruta bomba (il nome popolare per papaia, che bisogna guardarsi bene dall’usare per evitare commenti piccanti e risatine dal momento che è l’equivalente di fica), arance o altri frutti di stagione si vendono secondo la disponibilità degli orti. Più raramente arrivano latte in polvere e caffè, che devono essere pagati in dollari, e che di solito risultano più convenienti che nei supermercati, ma bisogna tenere a mente i prezzi, altrimenti...sei fregato. Pure i medicinali, quelli che non si trovano nelle farmacie di Stato, sono reperibili attraverso quello strano mondo che scorre sotterraneo.
L’unico che non suona è Onei, che si annuncia per il consueto biscottino del pomeriggio dando calci alla porta. È così piccolo che non arriva al pulsante. La sua richiesta è supportata da uno sguardo afflitto, a quattro anni sa già ben interpretare il ruolo dell’orfanello che