L’ultimo granello del mondo
Di Flavia Idà
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Info su questo ebook
Senza nome. Senza razza. Senza nazionalità. La superstite della catastrofe perfetta lotta per preservare se stessa e la sua speranza di essere trovata — da esseri umani.
“Sono femmina, di trentadue anni, sola nell’ultimo granello del mondo. Il mio nome, la mia razza e la mia nazionalità non sono importanti. Non so perché la pestilenza mi abbia risparmiato. Mi ha tolto ogni persona ed ogni cosa. Tutte le macchine e tutti gli orologi sono morti. Ciò che continua a farmi respirare è la speranza che io non sia l’unico custode del pianeta.”
Flavia Idà
Flavia was born and raised in Arena, a medieval hill town in Calabria, the ancient “instep” of the Italian Peninsula, and studied Classics and European Literature at the University of Naples. She wrote her first short story when she was 12, and ever since then, writing has been the most important thing she does.When she was 28, she came to live in San Francisco, where she learned English by watching children’s television programs with her son Adam, then four years old. She loves English as much as she loves Italian, for different reasons but in the same measure. She writes in English and in Italian, she thinks in English and in Italian, and she dreams in English and in Italian.In 1984, she graduated Summa Cum Laude in Creative Writing from San Francisco State University, where she also got her Master’s Degree. The six years at SFSU were without a doubt the happiest of her life; she remembers those long hours spent in the library with books as a wonderful time spent with dear friends.From a student of Creative Writing at SFSU she went on to become a teacher of Creative Writing, a most rewarding job where she met many young people with a true gift for writing. She was the recipient of the Emily Dickinson Award sponsored by the Poetry Society of America. She has taught Italian at the Italian Institute of Language and Culture in San Francisco and in several other schools throughout the Bay Area.She has also worked for many years as a translator and consultant for the Italian Consulate General, specializing in Citizenship applications; another rewarding job where over her fourteen years she has helped hundreds of people of Italian descent reach their goal of reconnecting with the land of their ancestors. She lives in Pacifica, California, right at the edge of the ocean where the continent ends.
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Anteprima del libro
L’ultimo granello del mondo - Flavia Idà
Capitolo
Primo
Un’altra notte in cui il mondo sembrava così bello che quasi avrebbe potuto convincerla fosse opera di creatori. La luna piena era sospesa nel cielo senza nuvole, gocciolando argento sulla nera distesa del mare, e i pini s’ergevano alti sotto una folla di stelle. Se il mondo era opera di creatori, si chiese, lo avevano creato perché erano soli?
Illuminate solo dall’arco rosso del faro di segnalazione che pulsava dalla porta d’ingresso, vedeva le forme oscure delle case sorgenti accanto alla sua lungo la scogliera, non una luce accesa nelle finestre. Era proprietaria di tutte quelle case. Se ne avesse avuto voglia, avrebbe potuto trascorrere ogni giorno in una diversa.
Ogni casa aveva le sue attrattive, ogni abitante le aveva fatto un lascito. Gli abitanti della casa dietro l’angolo le avevano lasciato una trapunta fatta a mano, quelli della casa dirimpetto all’asilo un armadietto delle spezie completo di tutto, quelli della casa vicino all’ufficio postale un pianoforte a coda. Non poteva far uso di tutti i lasciti, ma se li desiderava erano tutti suoi. Era la donna più ricca del paese.
Come s’era fatto silenzioso il mondo. Niente più clacson d’automobili, niente più canti d’uccelli, niente più risa di bambini. Niente più sirene d’ambulanza urlanti giorno e notte per chilometri intorno. Accese il dispositivo audio portatile. Una cascata di note stupende, antiche di secoli, si riversò in ogni angolo della casa. A volte teneva il dispositivo audio sempre acceso. Non aveva altre voci umane che quelle dei cantanti; senza di esse avrebbe perso la ragione.
In un angolo del salotto v’era il televisore, sordo e muto. Niente più film, niente più cartoni animati, niente più documentari, niente più previsioni del tempo, niente più eventi sportivi. Niente più notizie. Quando il mondo era un nido affollato si era chiesta se, librandosi nello spazio, si sarebbe sentito un anello auditivo attorno al pianeta, l’incessante ronzio di miliardi di anime e miliardi di macchine che parlavano tra loro.
In un angolo della scrivania v’era il computer, una volta re degli strumenti e poderoso messaggero della terra. La rete vasta quanto il mondo non aveva più punti da connettere. Ma il computer era ancora utile per scrivere; forse avrebbe potuto usarlo per scrivere un diario, alla maniera dei naufraghi abbandonati su isole deserte.
Non aveva mai sentito il desiderio di scrivere un diario. Assieme a tutti gli innumerevoli bisogni di ognuno che fosse mai vissuto, provava il bisogno di avere uno scopo. Ora l’unico suo scopo era preservare la propria esistenza; narrare la cronaca dei ridotti, insignificanti compiti da assolvere per preservare la propria esistenza le sembrava tempo sprecato. E chi avrebbe letto il suo diario?
Conosceva storie di naufraghi abbandonati; le conoscevano tutti. Gli esseri umani, creature sociali per eccellenza, erano affascinati dalla congettura di cos’avrebbero fatto se fossero stati privati della reciproca compagnia. Una storia narrava dell’unico superstite di una ciurma annegata, un’altra dell’unica superstite di una tribù estinta; entrambi erano riusciti a resistere finché non erano stati salvati, vari anni dopo. Non avrebbe mai immaginato che lei sarebbe rimasta naufraga su un’isola deserta comprendente l’intero pianeta.
Se mai avesse deciso di scrivere un diario, sapeva come lo avrebbe cominciato.
Sono femmina, di trentadue anni. Vivo nell’ultimo granello del mondo, in cima a una scogliera che s’affaccia su un mare sterile. Il mio nome non è importante. Non c’è nessuno che mi chiama per nome. La mia razza non è importante. Non ci sono più razze. La mia nazionalità non è importante. Non ci sono più nazionalità. Sono trascorsi dieci mesi, tre settimane e cinque giorni da quando sono stata nominata custode del pianeta. Tutte le macchine sono morte. Tutti gli orologi si sono fermati. Non so perché la pestilenza mi abbia risparmiato. Mi ha portato via tutti coloro che amavo, tutti coloro che odiavo e tutti coloro che non ho mai conosciuto. Non passa giorno che non penso di togliermi la vita. Ciò che continua a farmi respirare è la speranza che io non sia l’unico custode del pianeta.
Andò nella cucina, illuminata come tutte le altre stanze da potenti torce elettriche che aveva avvitato ai muri sotto gli angoli del soffitto. Da quando era rimasta sola aveva preso l’abitudine di parlare tra sé.
«Hmmm … Mi va di cucinare stasera? No, stasera no. Faccio solo una tazza di tè e … Cos’altro prendo? Dei biscotti, sì, e delle pesche.»
Versò nel bollitore dell’acqua imbottigliata e accese uno dei fornelli della cucina portatile. Dalla credenza prese un barattolo di pesche, dal cassetto il suo utensile da cucina più importante, l’apriscatole. Controllò la data di scadenza delle pesche: ancora buone per più di sette mesi. Sull’etichetta del barattolo c’erano due sorridenti coltivatori in un frutteto e le frasi Tutto Naturale e Senza Pesticidi. Non che facesse alcuna differenza: niente più coltivatori, niente più pesticidi, niente più problemi. Canticchiò il motivetto pubblicitario che aveva invogliato alcuni acquirenti a comprare quella marca di pesche in barattolo invece di un’altra.
Ricordava il sapore delle pesche di stagione, la loro buccia rosea