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Overdose
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E-book152 pagine1 ora

Overdose

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Nell'inverno della "city" Nada Montenero, una scontrosa giornalista di cronaca nera, si mette sulle tracce di una donna scomparsa, nella convinzione che dietro si celi un omicidio. La verità, però, si fa sfuggente, al pari della sua stessa esistenza.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2020
ISBN9788831694520
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    Anteprima del libro

    Overdose - Daniela Servidati

    Adams

    CAPITOLO 1 - LA BIONDA

    La facciata è di un verdognolo indefinito con riflessi marrone fogna. O forse è la luce, forse è grigio e basta, come il resto. Grigio putrido in terra, bianco smunto nell’alto dei cieli. In mezzo, fra il cielo e la terra, tanfo di smog e claustrofobia.

    La city: è lì che incontro Jeanne. Si chiama proprio così, come quella di Ultimo tango a Parigi.

    È mattina, ho addosso una camicia di flanella a quadri e nessun giubbotto, muoio di freddo e dalla voglia di prendermi un’influenza e chiuderla presto, questa giornata. Qualcosa mi gratta in gola, sputo fra le pozzanghere sotto il cielo latte rancido, un coperchione unto e fradicio che ci suda addosso di continuo. Quando comincia, l’autunno, non finisce mai. È tutto un piovere, uno spisciazzare, uno stillicidio di acqua zozza. Grondano anche i modelli sui cartelloni pubblicitari, con le loro facce immusonite, grondano e si annoiano. E così noi che ci tocca guardarli.

    Jeanne abita in uno di quei casermoni in fibra di amianto e collanti all’ossimetilene, che rischi il cancro solo a guardarli da fuori. Do un’occhiata intorno, non che il resto del panorama sia tanto migliore; cemento armato, acciaio inossidabile, titanio, catrame, bitume, polimeri termoplastici, polistireni. Gli organi interni della city. Incontro qualche sguardo. La gente che incrocio mi squadra con quella faccia lì, la faccia di uno quando gli buchi una gomma.

    Quella con cui vado in giro io invece è una faccia giallo rancido, di una che sta per vomitarsi sulle scarpe. Con questa faccia mi presento alla portineria del palazzo. Un’altra non ce l’ho.

    «Salve. Sono una giornalista».

    Che presentazione del cavolo, penso. Il portiere solleva il sopracciglio, mi guarda da sopra gli occhiali e biascica:

    «E allora?»

    «Allora tua sorella».

    Gli sventolo sul naso un pezzo da venti, non è giornata per le discussioni. Quello risolleva il sopracciglio, afferra i miei soldi e il cancello fa il magico clic. Gli pianto il dito medio dietro le spalle e mi avvio per il cortile, fra aiuole spelacchiate e ciuffi di erba matta.

    La scala C si apre su un lugubre corridoio, la luce non funziona e nemmeno il riscaldamento. Un ascensore stretto come una bara si spalanca sulla mia faccia rovesciandomi addosso odore di vita grama e aglio fritto. Ne escono due cinesi, mi attraversano senza dar segno di avermi notata. Questo posto ammuffisce a vista, penso. Prendo le scale, ultimo piano. Patisco il mal di ascensore. E poi c’è quel tizio che qualche giorno fa è finito con le gambe al terzo piano e il busto al quarto mentre cercava di arrampicarsi fuori dall’ascensore bloccato. Uno dei modi più cretini che abbia mai sentito per tirare le cuoia. Forse ho dimenticato di dirlo; scrivo di cronaca nera. Per lavoro e per vocazione, perché non so fare altro nella vita che correre dietro alle tragedie. Ma torniamo a noi, anzi a lei, alla bionda. A parte il nome, altro di lei non so. Il campanello è vuoto, privo di riferimenti. Lo sono tutti ai giorni nostri. Pare che nessuno voglia far sapere a nessuno dove abita. Il che è una grandissima scocciatura per noi giornalisti. Busso. Sento dei passi, tacchi leggeri sulla ceramica che vengono in direzione dell’ingresso. Mi levo gli occhiali, li strofino con un lembo della camicia per pulirli dalla pioggia mentre mi faccio venire in mente un modo non troppo stupido per spiegare a questa Jeanne il motivo per cui sono qui.

    Una vestaglia fucsia di seta mi apre la porta. Come quelle che indossano le bionde dei film porno quando arriva l’idraulico, penso. Poi mi rimetto gli occhiali e metto a fuoco che dentro la vestaglia c’è proprio una bionda da film porno.

    Una sventola alta uno e ottanta. Tipo Julia Ann¹. La guardo da capo a piedi come guardo le donne io; come un uomo.

    «Avevi un appuntamento?» chiede Jeanne e fa svolazzare onde di biondume davanti alla mia faccia.

    «Sono una giornalista. Volevo farti qualche domanda su Amanda Rosso».

    «Accomodati» dice la sventola.

    Sorride. Nessuna porta in faccia e già questo non è un traguardo da poco. L’appartamento è arredato con colori vistosi, roba di buon gusto, qualche oggetto di antiquariato rivela una ricercatezza di certo non a poco prezzo. L’unico neo è un divano di pelle di mucca al centro del soggiorno. Constato che è più bello che comodo. E noto anche che la parola bello non ha più molto a che fare con l’estetica.

    «Vuoi un tè?»

    Jeanne si avvicina al frigo. Le guardo la forma del culo, l’immagino sodo, bianco e tondo. Bisogna avere un fisico come quello per portare della seta di quel colore senza somigliare a un suino.

    «Se hai una birra mi fai un favore».

    Non mi piacciono le donne. Mi piacciono i loro corpi. Dio con Jeanne ha usato il compasso, con me ha tirato una riga.

    «Che lavoro fai, se si può sapere?» Jeanne sculetta tutta orgogliosa.

    «La puttana, perché non lo sapevi?»

    Poi torna con una bottiglia da sessantasei per me. Mi solleva sempre una buona seisei. Avevo il timore che mi offrisse una di quelle birrucce da venticinque, buone appena per i gargarismi.

    Si accomoda davanti a me. Ha due occhi da gatta morta, addestrati a guardare con languore anche il sacco della spazzatura. Mi guarda con quello sguardo lì, non con quello più innocuo che immagino dovrebbe usare con le ospiti femminili.

    «Puoi fumare se vuoi».

    «Anche Amanda faceva la… ?»

    «La puttana? Qualche volta».

    «Quanto bene la conoscevi?»

    «Abbastanza. Perché parli di lei al passato?»

    Accavalla le gambe come fossi uno dei suoi clienti abituali, scandalosamente a proprio agio. Mi accendo una sigaretta, con ʼsta coscia che mi secca i pensieri.

    «Sto cercando di capire che fine abbia fatto. È scomparsa. Da quanto non la vedi?»

    «Mesi, ora che ci penso, non ci incontravamo così di frequente».

    «Dov’è la sua famiglia?» Fa un gesto d’impazienza.

    «È scappata di casa quando aveva diciassette anni, come me. Non li ha più visti da allora».

    Prendo nota sul mio taccuino mezzo bagnato. Pessimi rapporti familiari, scrivo. E chi ne ha di buoni?

    «Come si guadagnava da vivere?»

    La bionda fa spallucce e sorseggia il suo tè bollente.

    «Fa la cameriera e la prostituta. A volte si fa mantenere».

    «Aveva un uomo?»

    «Ha sempre qualcuno».

    «Qualcuno che conosci? Qualcuno di recente intendo».

    «Mi aveva accennato di uno. Per me stai perdendo tempo. Amanda fa così, ogni tanto sparisce».

    «E dove se ne va?»

    «Col tizio di turno. Si diverte un po’, finché si annoia, lo molla e torna a casa».

    «A casa sua la porta era aperta, con le chiavi all’interno».

    «Sarà stata una partenza improvvisa».

    «Questo di sicuro. Dimmi di questo tizio, quello di cui ti ha accennato Amanda».

    Jeanne ride.

    «Non so molto di lui. Lo chiamava Max il detective. L’aveva agganciato a uno speed dating».

    «Dove?»

    «Lo Chat Noir. È un locale nella zona del lago».

    Segno sul taccuino; detective, Chat Noir, speed dating. Punto di domanda.

    «Perché una che fa la prostituta dovrebbe andare a uno speed dating? Pensavo fosse uno degli ultimi posti dove si scopa ancora gratis».

    Jeanne sfodera uno dei tanti sorrisi con scritto sopra malizia all’ennesima potenza.

    «Un diversivo, immagino».

    Il suo sguardo pesa un quintale. Non lo distoglie mai, mi sfida con un chiaro piacere sadico. Mi fa sentire una quindicenne brufolosa.

    «Mi sa che la tua amica ha fatto una brutta fine» le dico. Jeanne si allunga sul divano.

    «Diceva sempre che voleva cambiare vita. Quando uno vuole sparire, non mette i manifesti».

    Jeanne si accende una sigaretta, incrocia le braccia lasciando che la scollatura si apra su un considerevole manufatto estetico- chirurgico. Mi sforzo di non guardare. Invano.

    «Dammi retta, ogni tanto Amanda sparisce, è fatta così».

    «Sei mesi. Un po’ lunga come marchetta».

    Sembra che la bambola di gomma non abbia molto altro da aggiungere. Mi alzo e dico grazie.

    «Magari ci risentiamo. Ti lascio il mio numero, in caso ti venisse in mente qualcosa».

    «Posso farti una domanda io?»

    «Non mi piace rispondere alle domande».

    «Come hai fatto ad arrivare a me?»

    «Cherchez la femme».

    «Cosa?»

    «C’entra sempre una donna, così si dice».

    Mi avvio all’uscita. Jeanne si alza e mi segue. Ancheggia ipnotica. Mi torna in mente una tigre che vidi allo zoo quando avevo sei anni. Lei avanzava fissandomi e io non sapevo più se fosse lei quella nella gabbia oppure io. Jeanne e la tigre, pure la stessa fame negli occhi. Resto paralizzata. La sua lingua torbida mi accarezza le labbra. La lascio entrare. Vorrei aggrapparmi al suo corpo, entrare nella sua vestaglia al caldo, lasciarmi drogare, perdere coscienza, morire e dio.

    «Devo andare, baby».

    «Peccato. Era gratis».

    Esco che bolle tutto. Mai visto nella city un autunno così torrido.

    ___________________

    ¹ Julia Ann è lo pseudonimo di Julia Tavella, attrice pornografica e regista statunitense di origine italiana

    CAPITOLO 2 - SPEED DATING

    Così mi metto a cercare il detective. In un bel posto per sfigati, nientedimeno. Tampino la receptionist per tre giorni, m’invento la fiaba di questo ragazzo di nome Max che ho incontrato una sola volta e devo assolutamente rivedere. Colpo di fulmine. Credi ai colpi di fulmine? Ci crede. Finalmente mi richiama per dirmi che il mio uomo si è registrato per la serata del mercoledì. La city c’ha le sue regole; i padri e i figli si sono spartiti la città.

    Nel weekend spadroneggiano orde di barbari postindustriali coi calzoni che penzolano dai culi piatti. I loro padri si vedono dal lunedì al giovedì parcheggiare le chiappe spolpe sugli sgabelli dei locali di speed

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