Tanta Voglia di Lei
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Anteprima del libro
Tanta Voglia di Lei - Mario Liverano
Mario Liverano
TANTA VOGLIA DI LEI - Sospesi tra la terra e il Cielo
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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com).
Semplicemente... IL PRIMO Amore.
PREFAZIONE
Come resistere a una simile tentazione?
Concluso il lavoro di editing, continuare a viverlo scrivendo la prefazione a un romanzo che nella sua semplicità è di rara intensità, nella narrazione dei sentimenti, delle esperienze e dei risvolti che queste hanno a un livello che è quello della percezione interiore delle sensazioni.
Lo sforzo dell’Autore di pensare e di esprimersi come un adolescente raggiunge il suo scopo, ci troviamo di fronte Gianni e guardiamo il mondo con i suoi occhi, facciamo il tifo per lui, ripercorriamo con la memoria scene vissute e dimenticate.
È una storia che trae le sue origini dall’infanzia e dall’adolescenza dell’Autore tra paese e campagna, dall’appartenenza a una classe sociale modesta, a una categoria di lavoratori che nella loro umiltà non rinunciano all’orgoglio che deriva dal fare bene il proprio lavoro e all’ambizione di sistemare
i pur numerosi figli.
Una storia che prende vita dai ricordi, quelli di Mario, che si trasformano in quelli di Gianni per rappresentare poi quelli di una generazione di adolescenti a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80.
Indispensabile, la prima parte del racconto, per introdurre il lettore nella tipica quotidianità pugliese, nella casa di Gianni, ma in primis nella sua testa e nella sua anima, perché è lì che si svolge la vera storia, la metamorfosi repentina, il passaggio simbolico. Lo sviluppo fisico accompagna soltanto la voglia prepotente, che va oltre la temuta timidezza, di crescere, abbandonare i giochi da bambino, le rivalità, i dispetti, l’arcaico modo di pensare degli abitanti di Palagiano, il paese più bello del mondo
, per aprirsi alla vita, all’amore.
E l’amore, il primo grande amore, quello sognato, desiderato, atteso con trepidazione, può arrivare inaspettatamente. E con lui la ricerca affannosa del primo bacio, vissuta intensamente con la tenerezza e l’emozione che solo un quindicenne può provare.
Fra personaggi grotteschi e scene di vita scolastica quotidiana in un istituto superiore a Castellaneta, la musica degli anni ’70 e un sogno ricorrente sono il filo conduttore di questo romanzo legato a un luogo e a un’epoca ma comunque libero e senza tempo come lo è qualunque storia che rievochi sentimenti, amori e passioni.
Alessandra Fornari
"E per sempre vorrei restare qui con Lei.
Sospesi... tra la terra e il cielo"
PROLOGO
La Notte mi gira le spalle. Solo, combattere me stesso senza nessuna regola, una lotta spietata all’ultimo ricordo dove qualsiasi arma è lecita, nessun arbitro assegna un punteggio, nessuna incitazione del pubblico, nessun testimone.
La Notte riesce a farmi indossare un’ armatura invisibile, magica, misteriosa, capace di condurmi in uno spazio dove il tempo non respira.
La Notte mi crea situazioni imbarazzanti e nel profondo buio che osservo a occhi aperti appaiono pensieri limpidi, scevro da ogni filtro che durante il giorno si attiva automaticamente in mia difesa.
La Notte sbriglia i miei ricordi, liberandoli dall’ immenso inconscio, mi rivolta nelle lenzuola dove La scorgo in uno specchio invisibile che assorbe il mio disagio.
Questa Notte regala solitudine profonda capace di rendere chiara ogni mia memoria.
Questa Notte è l' Essere che mi fa sognare.
CORRO…
Otto, nove…dieci….VIA!
Non calcolo più i battiti del cuore, ora bisogna correre come un etiope ad una finale di olimpiade, senza mai girare la testa per non perdere un solo secondo. Mi insegue, sento che vuole soltanto me anche se tutti gli altri mi si affiancano con la faccia stravolta e impaurita. Ci guardiamo senza diventare complici, ognuno per la sua strada, il pericolo è troppo alto per aiutarsi a vicenda. Scelgo il quartiere più agricolo, Abbasc la terr
, dove un contadino striglia il suo cavallo bianco, stanco dopo una giornata faticosa trascorsa a tirare un malconcio carretto di legno. L’uomo mi guarda attonito, vorrebbe intervenire mettendomi fuori pericolo ma corro, corro come una freccia, sfuggo da tutti. Raggiungo la via in pochissimi minuti. Spalle al muro mi blocco per respirare. La porta del caseificio è sempre aperta, l’odore di mozzarelle appena intrecciate dalla signora coi mustacchi agevola il mio voltastomaco. Il vecchio castello con una porta disfatta mi attrae pregandomi di entrare. Basta una spallata e riesco a penetrare senza nessun permesso e senza pensare alle conseguenze. Dentro è buio pesto, l’odore è antico, non vedo più nulla e con l’avambraccio proteggo il mio naso. Cerco di conquistare un nascondiglio sicuro ma una figura ansimante appare dal nulla con le mani in alto in segno di resa. E’ Salvatore. Lo disprezzo, mi ha preceduto, spero sia catturato presto. Lancio uno sputo senza colpirlo, meglio uscire rapidamente, tirare dritto e continuare a correre. I polmoni vorrebbero esplodere ma devono avere pazienza. Allargo le narici, stendo il braccio sulla fronte per asciugare il sudore, comunque una goccia penetra nei miei occhi accecandomi. Mi piego sulle ginocchia sbucciate, rimango fermo per riprendere fiato e la Graziella nuova di Gennaro apparsa dal nulla mi ridona speranza. Non è ancora finita, posso farcela. Balzo su con un piede, lo abbraccio stringendo il suo collo da tergo, elemosino un passaggio. Il gigante buono non parla, ha capito tutto. E’ grande, grosso, ma non ha mai fatto del male a nessuno, posso fidarmi. Muove le sue labbra come a voler formare un sorriso, solleva lo sguardo in aria, cambia espressione sul volto, si incattivisce, alza la ruota posteriore della bici e carica una forza sovrumana nelle sue gambe. Parte furioso ricavando una velocità sorprendente ad ogni pedalata. Mi accompagna in fretta all’estremità del paese, in mezzo all’era
, vicino la villa comunale dove mi inginocchio davanti ad una fontana che finalmente placa la mia arsura. Gennarino
mi osserva contento, non apre ancora bocca, abbassa il capo mentre si allontana spingendo i prodigiosi piedi ai pedali: la sua missione e’ finita, è ora di ripartire, è ora di mettere in salvo qualcun altro. Ringrazio il mio alleato mostrando i denti e arricciando il naso. Mi siedo comodamente sui gradini di marmo, qui sono al sicuro, non riuscirà a trovarmi, troppo lontano e davvero pericoloso per lui
dato che i camion in viale Chiatona sfrecciano noncuranti delle persone che tentano di attraversare invano la strada. Devo studiare l’itinerario migliore per ritornare. Il sottopasso è distante centinaia di metri, meglio evitare, ha spesso il cancello chiuso e la puzza di piscio è nauseante.
«Vé tutt buen?»
Non sono più solo, il mio testimone di battesimo, U Nunn, ha notato preoccupazione nei miei occhi, mi soccorre come un padre.
<>
Non posso certo raccontargli cosa sta succedendo e lo rassicuro con una scusa ed un sorriso. Quando è necessario so fingere bene. Scambio due parole di circostanza, scocciato osservo una giovane mamma che spinge la carrozzina desiderosa di accompagnare il suo pargolo nella villa comunale. So già che li attende una vasca zeppa di pesciolini rossi e un gobbo custode che continuerà a lagnarsi dell’ennesima panchina rotta dai vandali la sera prima. E un incontenibile senso di colpa mi assale riportandomi alla cruda realtà: hanno bisogno di me, devo salvarli, solo io posso farlo, non è finita ancora, devo farmi coraggio e proseguire fino alla fine. Non me lo perdonerei per tutta la vita. Forza guerriero, forza!
Saluto il mio compare con un bacio sulla guancia. Intanto quattro ragazzi figli dei fiori riconosciuti da tutti come Anarchici
guadagnano il nostro gradino, non aspettavano altro che sfilarci il posto. Uno di loro afferra i suoi capelli lunghi prima di poggiare bocca sul tubo della fontana, un altro sbriciola tabacco fra le sue mani con un filtro di cartone tra le labbra. L’altro sogghigna mentre adora una copertina dei King Crimson
. L’ultimo ride e basta.
Inizio a camminare, passo spedito in viale Stazione, dove la stazione non c’è! M’intrufolo rapidamente nelle stradine del cinema Surico
, Filippo sta già montando la pellicola porno del film di stasera. Urlo nell’aria il suo nome mentre faccio attenzione a non scivolare sulle chianche stanche e rese lisce dal peso di uomini passati nei vari secoli. Il fornello della macelleria di Mazzarrino sprigiona gustose fragranze. Alla mia destra sento gridare don Arturo: «Avaaaantiii». Più avanti Minguccio è pronto con i suoi gelati artigianali e in piazza l’imperioso palazzo rosso con il suo orologio fermo è fiero davanti a panchine in pietra sotto oleandri secolari. Geremia corre anche lui, ma in senso opposto al mio, ride inconsapevole mentre arruola tutti per l’imminente guerra. Eliot strimpella la sua chitarrina cantando la Bibbia. Vituccio del bar si fa aiutare da Agostino a spostare dal camioncino il nuovo flipper appena arrivato. "Z Lin" rientra piano piano nella sua tabaccheria dopo aver cercato invano l’uomo che gli ha rubato un pacchetto di Diana. Fernando intanto si lamenta a bassa voce:
«Da chi ha preso il figlio mio che Ta… Tar… Tart… tartaglia sempre».
Il fabbro del paese, chiamato da tutti Il Grande Chiodo, batte distrattamente il martello sull'incudine e lancia uno sguardo interessato al fondoschiena di Memena in minigonna,lasciandosi andare a un apprezzamento volgare che fa sorridere solo i suoi vecchi clienti.
Erasmo espone i suoi super santos
racchiusi in una gigante rete.
Sono vicinissimo alla chiesa Madre, tremo. Da questo momento il pericolo che possa beccarmi senza avere via di scampo mi fa vacillare nervosamente. Tonio è stato distrutto anche se correva come un puma, Salvatore non riesce a consolarsi: è stato appena polverizzato da uno strillo impietoso. Sono rimasto solo, ma la dignità mi obbliga a continuare,fermarsi non è più possibile. Prego il Signore affinché mi dia la forza di andare avanti. Chiudo gli occhi, carico tutto il fiato rimasto in gola e corro, corro per via De Gasperi senza guardare il vigile malizioso in bicicletta che, barcollando, quasi mi travolge. L’ufficiale con il cappello bianco sotto il braccio ha un pallone appena sequestrato ai bambini che giocavano per strada senza disciplina. Mi fermo solo un attimo per chiedergli scusa, mi distraggo e… poi…poi…
poi accade l’inevitabile.
«Mozzareeellaaaaaa! Ti ho beccato!».
Vincenzo Lo Scorvo mi ha scovato, è il mio amico-nemico di sempre. Ulula mentre scappa come un animale verso la sua tana. E io corro, corro per superarlo. L’ultimo salva tutti, è la regola più conosciuta al mondo. Filiamo veloci spalla a spalla. Schivo la sua maschera malefica da cacciatore indios ma non il suo perfido piede che tocca il mio tallone. Inciampo nella sua trappola, lui ne approfitta e batte la sua piccola mano sul grande portone della chiesa, casa di un protettore distratto. Sprofondo al centro della terra dove gli inferi mi accolgono con cattiveria. No, non ce l’ho fatta, non sono riuscito a salvarli.
A nascondino non voglio giocarci mai più!
E piango, piango,piango.
E allora sogno.
1979
A SUD
L’INSONNIA
Troppo presto sono andato a letto ieri sera. Mi sento sveglio come un neonato con gli occhi sbarrati nella notte. Domani sarà il primo giorno di scuola superiore, l'emozione mi gioca brutti scherzi e il sonno è volato via lasciandomi in questo letto a due piazze dove mio fratello è riuscito a conquistare un terzo dello spazio disponibile. Il sonno è del tutto assente, anzi, mi sento carico di energia, perfettamente in forma. Non mi capita spesso di essere colpito da un attacco d'insonnia, quando succede cerco di concentrarmi, tento di riaddormentarmi pensando al mare, alle onde schiumose che raggiungono la spiaggia bagnando i piedi di una bella ragazza solitaria. Ma questa volta nulla da fare, mi agito invano attivando l'effetto contrario. E non mi rimane che giocare a mosca cieca con la mano fino a quando afferrando la bottiglia di vetro al mio fianco riesco a bere una sorsata d'acqua e mi lascio trasportare passivamente a pensieri bizzarri che durante il giorno rimangono nascosti nella testa. Come quando m'incammino da solo nella pineta di Ventidue a cercare funghi, passeggiando senza fretta con un secchio di plastica celeste che mio padre ha ricevuto in regalo dall'omino che ricicla ferro. Un signore alto, magro come uno scheletro, che dà l'impressione di potersi spezzare in due alla prima ventata di tramontana. Nel mio bosco mi sento sicuro, lo conosco come le mie tasche, osservo la vegetazione accostando gli occhi come una talpa e sciolgo la mente lasciandola libera di produrre pensieri di nulla e nello stesso tempo di tutto mentre procedo spingendomi nella pineta, senza paura di smarrirmi. E' la ricerca degli artari
una delle mie passioni. Questi funghi, con un cappello rosa schiacciato al centro, per noi sono rari come i porcini in montagna, i più indicati da cuocere alla brace o friggere con la pastella.
Da piccolo li portavo a mia nonna e lei era contenta. Ricambiava lanciandomi un paio di fichi secchi e dopo aver rovistato perbene nell'antica cassapanca, tirava fuori le inconfondibili caramelle al latte ripiene di mou. Conosceva bene i miei gusti, a differenza del nonno che, fra l'altro, mi scambiava sempre per mio cugino Vincenzo! Non ricordava mai il mio nome tra i tanti nipoti che i suoi sette figli gli avevano regalato.
«Vincè, lascia il secchio vicino il braciere che tra poco questi funghi li metto sulla graticola ad arrostire, poi prendo una bottiglia di vino primitivo che ha fatto tuo padre e ...me ne vado a letto a dormire contento!».
Eccole!
Memorie prive di un senso logico risalgono a galla. Scene vissute, vaganti. Stanotte mi tocca vivere da spettatore. Incatenato. Schiavo. Costretto a subire lo spettacolo che l'inconscio propone senza il mio consenso. La mente umana è davvero un misterioso mondo dove cellule intelligenti si divertono a prendersi gioco di noi. Accetto questa realtà e mi abbandono sul guanciale.
Mio Dio che fame! Ecco, succede sempre così. Quando mi sento agitato ho voglia di mangiare qualsiasi cosa.
Ma e’ troppo presto per alzarmi, le friselle sono state già divorate da mio fratello Piero ieri sera. Quando torna dalla ginnastica, nell'associazione Fides, ingurgita tutto ciò che trova di commestibile. Potrei sostituirle con pane secco bagnato nell'acqua, condirlo con olio e pomodorini, ma... rischierei di gonfiare la mia pancia già provata dall'emozione. Pazienza, aspetterò fino a domani mattina quando una zuppa di latte fresco, lasciato dal pastore in bicicletta che lo consegna a domicilio, sarà servito bollente nella mia scodella di ferro con biscotti a tre buchi. Sono i più gustosi. Così buoni che a scuola elementare li nascondevo nella cartella mangiandoli furtivamente durante le lezioni della mia brava maestra. Lei era bellissima, non ancora trentenne... mi piaceva! Aveva un metodo d'insegnamento moderno e a differenza di altri suoi colleghi non usava la bacchetta di legno da picchiare sulle mani. Una novità per la mia scuola. Urlava raramente e invitava allo studio usando parole dolci in lingua italiana senza alcuna cadenza dialettale! Insisteva nel farci comprendere l'importanza della cultura soprattutto in un paese come il nostro genericamente agricolo. L'adoravo a tal punto che la mattina non vedevo l'ora di incontrarla. Il chilometro di distanza che divideva casa da scuola non terminava mai e la cartella appesa alla mia mano diventava sempre più pesante passo dopo passo! Alcuni giorni sembrava uscita dal mensile «Vogue», alla moda, come il pantalone rosa e il nastro celeste legato molto alto tra i capelli biondi ossigenati. Sempre truccata con sobrietà, sfoggiava la sua eleganza con gran classe attirando gli occhi scombussolati e un po' viscidi dei colleghi ultra quarantenni. M'incantava quando insegnava geografia. Apriva i suoi libri segreti e leggendo ad alta voce, come una fata, raccontava di luoghi misteriosi e poco conosciuti distanti chissà quante migliaia di miglia da questo mio paese abbandonato da tutti! La passione che sprigionava attraverso la voce delicata catturava la fantasia, e ogni volta nella mia mente partiva Parsifal
, un LP dei Pooh che adoro ancora adesso! A ogni sua lezione mostrava una cartolina e, mentre l'ascoltavo, viaggiavo senza nessun biglietto da pagare; a volte su un battello, altre su una mongolfiera colorata d'inizio '900. Il sabato mattina entrava in classe sorridendo con in mano delle costose riviste patinate acquistate dall'edicola di via D'Aquino, in città a Taranto. Le comprava soltanto per me. Io, ero...ero affascinato e ad ogni pagina che sfogliavo, scoprivo nuove cascate, villaggi, grattacieli, e perfino le più alte montagne d'Oriente divenivano meno faticose da scalare mentre fantasticavo di saltare in groppa a strani quadrupedi chiamati yak. E poi amava la capitale inglese. Riuscì a contagiarmi la sua passione con impeto e da allora sogno spesso di vedere Londra con il suo Big Ben passeggiando tra distinti signori con ombrello e bomber lungo le sponde del Tamigi. Si, ora la amo anch'io questa città. Sono certo che da adulto noleggerò una roulotte per attraversare tutta l'Italia fino ad arrivare in Francia e… con la nave raggiungerò l'isola della Gran Bretagna e... dalle bianche scogliere di Dover tirerò dritto per il centro della metropoli inglese per osservare da vicino l'orologio sopra la cattedrale di Westminster. E… e finalmente