I colori della meraviglia
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Anteprima del libro
I colori della meraviglia - Cristina Pescatori
l’arcobaleno".
La realtà
Il grande libro con le figure da colorare si aprì alla prima pagina, come se una mano invisibile iniziasse a sfogliare un mondo ancora inanimato, che da lì a poco avrebbe preso vita vedendo le forme riempirsi di colore.
Un clown guardava la realtà dalla pagina bianca aperta, in attesa del primo colore, quello che dava il via alla storia, e sentiva dentro di se che da quel momento tutto avrebbe preso la sua consistenza, con il colore nelle forme come presenza della vita.
Già la vita, ma in fondo cos'è la vita?
Per lui, lì aggrappato al foglio, semplicemente un colore e poi un altro e poi un altro ancora, a consolidare ogni sua parte nell'insieme di quello che è il suo corpo.
Poi, alla fine la consapevolezza di essere una figura, quando ogni suo spazio risplende di un colore luminoso, e lì, in quell'insieme di luce, la scoperta della sua realtà e della sua essenza.
L’uomo davanti al foglio osservava il clown, una perfetta armonia di colori che sembrava saltar fuori dalla pagina, e fissando quell'immagine la vedeva sdoppiata, l’attimo prima senza colore e l’attimo dopo una esplosione di riflessi luminosi.
Proprio come la vita, pensò, può apparire soltanto nei suoi contorni, oppure essere un insieme di tinte che identificano degli spazi, e tutto questo dipende dalla magia con cui ogni essere umano sa usare i colori.
Guardando l’immagine sul foglio, l’uomo si accorse così di guardare la sua vita e di vederne i contorni, le linee di una esistenza che fino ad allora si era svolta senza colori, e non per mancanza di obbiettivi o di sogni, ma semplicemente perché tutto nella sua esistenza mancava di qualcosa, a cui, però, non sapeva dare un nome.
Pensando e ripensando, iniziò a scartare le varie ipotesi e così cestinò passione, entusiasmo, curiosità, desiderio, e passando in rassegna ogni sentimento, si rese conto che era sulla strada e che le posizioni raggiunte erano state il suo obbiettivo di partenza, ma comunque aveva smarrito qualcosa.
Il clown davanti ai suoi occhi, stava cercando di trasmettergli l’unico messaggio che in quel momento della sua vita, poteva offrirgli un appoggio e molto di più.
Una mano amica pronto a sostenerlo nell'attimo in cui avrebbe dovuto decidere come proseguire il suo cammino.
Il momento si stava rivelando ai suoi occhi in maniera così reale, che si accorse di vivere in un istante particolare, dove essere coincide con tutto quello che esiste intorno, sentendo se stessi e la realtà come una sola cosa.
Allora decise in fretta e lasciò che il momento prendesse vita dall'esterno, così che sentirsi coinvolto dalla realtà sarebbe stato entrare in contatto con la figura del clown sul foglio, per ascoltare il suo messaggio.
Era come essere in un sogno, nella sua parte più reale, quella che poco prima del risveglio ti lascia nella mente i ricordi, insieme alla sensazione di essere stato in un luogo familiare con persone che conosci.
In quel posto fuori dal tempo, l’uomo e il clown erano seduti uno accanto all'altro, a contemplare dall'alto, qualcosa di nuovo per l’uomo ma di conosciuto per il clown, che attendeva soltanto un gesto per iniziare la conversazione.
Una distesa di acqua racchiusa fra le montagne, un contorno di cielo sfumato all'ora del tramonto, e due esseri aperti ad un momento speciale che trovava la vita dell’uno sul percorso dell’altro.
Ed ecco la storia prendere vita e con essa i nostri protagonisti.
Il clown esordì dicendo: Questo è il tuo momento, è la parte della recita dove devi dimostrare di aver letto il copione, e aver imparato le tue battute; hai davanti il palco e tutt'intorno gli spettatori, quindi dai inizio allo spettacolo
.
Cominciò così il mio viaggio attraverso me stesso e la mia vita, un viaggio in compagnia di qualcosa di più di un amico, un maestro forse, comunque quella parte di me che non avevo mai ascoltato o mai lasciato parlare, e che ora chiedeva attenzione fornendomi un passaggio per la tappa più importante, quella che mi avrebbe portato alla scoperta di un meraviglioso pianeta sconosciuto: me stesso.
Percepii la confusione come unico sentimento vivo in me, e tutto quello che pensai fu che se era un sogno era molto reale, ma se non lo era ci si aspettava qualcosa da me e non sapevo cosa.
Guardai il clown e i suoi occhi mi confermarono che non era un sogno, mentre mi invitava a rivolgere l’attenzione alla frase scritta sul foglio che mi porgeva: Racconta te stesso nel gioco della vita, il gioco dei colori
.
Folle pensai, e non soltanto parlare con un clown uscito da una pagina di un libro, ma soprattutto parlare di me, della mia vita e vederla come un gioco e ancor più con dei colori.
E’ difficile da credere, ma riflettere su questo e ritrovarmi subito dopo ad accettare di farlo, fu così rapido e immediato che non mi accorsi di compiere un gesto affermativo con la testa, nella direzione di quello che iniziavo a considerare come un amico.
Il monologo della mia esperienza iniziò da lì, in uno scenario incantevole e davanti ad un pubblico silenzioso e invisibile.
E l’esordio mi fornì la prima di una lunga serie di consapevolezze, che quella strana avventura mi avrebbe fatto acquisire.
Quando ero bambino il gioco divertente e colorato era la mia vita, un gioco appassionante condiviso con altri bambini, dove non esistevano limiti di tempo e di spazio.
Ma quello era soltanto un momento, come un periodo che ti viene concesso mentre qualcuno è troppo occupato a fare altro per badare a te, e ti parcheggia insieme ad altri esseri della tua età, in una realtà isolata dal resto.
In quel mondo non c’erano confini, le forme non avevano nomi, e così gli occhi potevano vedere tutto senza essere dotati di lenti, e la vita appariva proprio come un gioco colorato.
Poi, ogni periodo successivo a quello, ha iniziato ad essere un insieme di linee, contorni che identificavano tutto, dalle parole ai gesti, dalle cose ai pensieri, ma sempre soltanto contorni, spesso di un unico colore, o caratterizzati da una luminosità che sbiadiva nella trasparenza.
E allora l’esistenza non fu più un gioco e io non vidi più colori.
Pur avendoli visti prima, non sapevo cosa rappresentassero, e così quando li persi, smarrii la cognizione stessa del gioco, iniziando a percepire la realtà in bianco e nero, dove il nero era il contorno di me stesso che si muoveva sul bianco, il foglio della vita.
Passo dopo passo, esperienza dopo esperienza quel contorno viveva la mia storia in assenza di colori, senza mai rendersene conto veramente.
Nella vita nessuno ti insegna a vedere i colori, perché potrebbero distrarti dal netto del bianco e del nero, dalle posizioni radicali, dalle tesi, dai ragionamenti che tendono ad indirizzare il tuo cammino su una strada quasi sempre diritta e agevole.
E così, forse, ho dimenticato i colori e non ho mai visto quello che soltanto loro possono mostrare.
Ed ora mi domando, dal centro di quello che sono, verso quale direzione la mia vita si è diretta?
Da dove mi trovo adesso, la vedo dirigersi verso percorsi che ho battezzato con nomi densi ma fantasiosi, come rettitudine, moralità, successo, posizione sociale.
Ora però mi accorgo che ognuno di loro, dopo un po’ s’interseca con il percorso delle cose giuste e di quelle sbagliate, delle scelte vantaggiose e di quelle svantaggiose, delle decisioni fondamentali coerenti e del profitto certo.
Nomi densi perché definiscono posizioni importanti, eppure fantasiosi perché nella vita mi sono sempre mosso verso quegli obiettivi, senza averne mai avuto una reale consapevolezza, sospinto nel cammino da tutto quello che