il volo del calamaro
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Anteprima del libro
il volo del calamaro - Giacomo Bonessa
IL VOLO DEL CALAMARO
1
Il commissario Giovanni Camilleri era abituato alle uscite imprevedibili del suo vice per cui anche l'idea del romanzo sulla macchina del tempo lanciata di primo mattino, non lo sconvolse più di tanto.
Dopo venti minuti e altri tre quiz musicali risolti, Camilleri e Tomatis entravano nell'appartamento al terzo piano di corso Indipendenza 15, già domicilio di Elvira Delucidis, 73 anni, vedova benestante, madre di due figli e nonna di cinque nipoti. La donna giaceva a terra, nel centro del salotto, vestita elegantemente, gli occhi ancora aperti e sbarrati e un'espressione interrogativa sul volto, come a chiedersi perché fosse successo quello che le era successo. Nell'appartamento di cinque locali, tutti arredati con un buon gusto che sconfinava nella raffinatezza, tutto appariva in ordine e stonava con quel gesto brutale che qualcuno aveva commesso poco prima.
Camilleri decise di non rispondere alla provocazione. Era vero, a lui piaceva il lavoro che faceva e ci si impegnava anima e corpo. Per questo pretendeva il massimo dagli altri come da se stesso. Nella sua caccia a un assassino si mischiavano molte grandi principi ma il trionfo della giustizia non era certamente al primo posto. No, se avesse dovuto fare una classifica degli istinti che lo animavamo nel suo lavoro al primo posto avrebbe messo la Curiosità con la c maiuscola. Quella che lo prendeva davanti a ogni mistero o enigma della vita, dai più grandi come le ragioni dell'esistenza, ai più piccoli, come un indovinello che gli faceva uno dei figli. C'era la curiosità di scoprire il chi, ma soprattutto il perché un individuo era arrivato a commettere un delitto. E anche se i moventi si riducevano a tre o quattro come insegnavano i manuali di criminologia, l'animo umano con i suoi slanci e i suoi contorsionismi rivelava sempre delle sorprese. Poi, al secondo posto, Camilleri metteva il suo spirito agonistico-sportivo che si risvegliava a ogni caso come se l'assassino lo sfidasse a una gara d'astuzia o d'intelligenza.
Sullo stesso pianerottolo si affacciavano altri due ingressi, uno a destra e l'altro a sinistra di casa Delucidis. Camilleri suonò prima al campanello di destra. Su una targa d'ottone dorato era inciso a lettere arabescate il cognome Bentivoglio. Dopo dieci secondi la porta si aprì e una ragazza straniera, a prima vista filippina, con un perfetto completo da cameriera, balbettò un sorpreso
Camilleri sentì un concitato vociare, poi, dopo nemmeno trenta secondi, apparve la signora Bentivoglio, una donna alta, bionda, decisamente bella, con il piglio di chi è abituato a comandare a a ottenere sempre dalla vita e dalla gente quello che vuole.
.
La custode era il vero prototipo della portinaia. Una donna piuttosto bassa, con un sedere immenso, due piccoli occhi porcini nei quali si alternavano lampi di curiosità e di diffidenza.
cinguettò con una voce acuta da soprano che strideva decisamente con la sua stazza oversize.
lo interruppe precipitosamente la portinaia che già pregustava la fama che le avrebbe dato quella
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Tomatis abbozzò un sorriso e in tono scherzoso rispose con un secco:
Camilleri uscì in strada e fu piacevolmente investito da un fresco venticello che rendeva fragrante l'aria primaverile. Salì in macchina e si diresse verso il commissariato. Si sentiva leggero e quasi felice. Mentre era al volante i suoi pensieri andarono alla moglie e ai figli (
Camilleri bussò un paio di volte, due colpi non forti ma decisi finché non sentì il baritonale
E così dicendo Annibaldi si appoggiò coi sui quasi due metri d'altezza e suoi 100 chili ben distribuiti allo schienale della sedia-poltrona in pelle nera facendola scricchiolare pericolsamente.