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il volo del calamaro
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E-book230 pagine3 ore

il volo del calamaro

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Info su questo ebook

Storia che potete capire solo leggendola
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2016
ISBN9788822863164
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    il volo del calamaro - Giacomo Bonessa

    IL VOLO DEL CALAMARO

    1

    .

    .

    .

    .

    Il commissario Giovanni Camilleri era abituato alle uscite imprevedibili del suo vice per cui anche l'idea del romanzo sulla macchina del tempo lanciata di primo mattino, non lo sconvolse più di tanto.

    .

    replicò Tomatis e stava per aggiungere qualcosa quando squillò il telefono sulla scrivania del commissario.

    e, scritto un appunto su un foglietto, Camilleri si alzò dalla poltroncina e intimò al suo vice: .

    e salendo sulla sua Citroen Gran Picasso azzurra, accese l'apparecchio sintonizzato su radio Marconi.

    chiese Tomatis ripetendo il gioco fatto mille volte perché a Camilleri, appassionato di musica classica, piaceva provare a indovinare il brano e l'autore nel minor tempo possibile.

    , il terzo tempo, quello col temporale. E' il primo brano che ho imparato a conoscere in assoluto da bambino, grazie alla nostra maestra delle elementari che ce lo faceva ascoltare in classe. A casa avevo anche fatto dei disegni coi pennarelli che rappresentavano questa musica. Li avevo portati alla maestra che se li era tenuti, li aveva incorniciati e li aveva appesi al muro nella sua casetta al mare, a Rapallo. Ma perché ti racconto tutte queste cose? Tanto a te che te ne frega?>

    .

    Dopo venti minuti e altri tre quiz musicali risolti, Camilleri e Tomatis entravano nell'appartamento al terzo piano di corso Indipendenza 15, già domicilio di Elvira Delucidis, 73 anni, vedova benestante, madre di due figli e nonna di cinque nipoti. La donna giaceva a terra, nel centro del salotto, vestita elegantemente, gli occhi ancora aperti e sbarrati e un'espressione interrogativa sul volto, come a chiedersi perché fosse successo quello che le era successo. Nell'appartamento di cinque locali, tutti arredati con un buon gusto che sconfinava nella raffinatezza, tutto appariva in ordine e stonava con quel gesto brutale che qualcuno aveva commesso poco prima.

    chiese Camilleri.

    .

    chiese a Morandotti, il capo della scientifica al lavoro con i suoi già da un'ora.

    .

    Camilleri decise di non rispondere alla provocazione. Era vero, a lui piaceva il lavoro che faceva e ci si impegnava anima e corpo. Per questo pretendeva il massimo dagli altri come da se stesso. Nella sua caccia a un assassino si mischiavano molte grandi principi ma il trionfo della giustizia non era certamente al primo posto. No, se avesse dovuto fare una classifica degli istinti che lo animavamo nel suo lavoro al primo posto avrebbe messo la Curiosità con la c maiuscola. Quella che lo prendeva davanti a ogni mistero o enigma della vita, dai più grandi come le ragioni dell'esistenza, ai più piccoli, come un indovinello che gli faceva uno dei figli. C'era la curiosità di scoprire il chi, ma soprattutto il perché un individuo era arrivato a commettere un delitto. E anche se i moventi si riducevano a tre o quattro come insegnavano i manuali di criminologia, l'animo umano con i suoi slanci e i suoi contorsionismi rivelava sempre delle sorprese. Poi, al secondo posto, Camilleri metteva il suo spirito agonistico-sportivo che si risvegliava a ogni caso come se l'assassino lo sfidasse a una gara d'astuzia o d'intelligenza.

    .

    Sullo stesso pianerottolo si affacciavano altri due ingressi, uno a destra e l'altro a sinistra di casa Delucidis. Camilleri suonò prima al campanello di destra. Su una targa d'ottone dorato era inciso a lettere arabescate il cognome Bentivoglio. Dopo dieci secondi la porta si aprì e una ragazza straniera, a prima vista filippina, con un perfetto completo da cameriera, balbettò un sorpreso .

    disse la ragazza imboccando un lungo corridoio che sembrava perdersi nei meandri della casa.

    Camilleri sentì un concitato vociare, poi, dopo nemmeno trenta secondi, apparve la signora Bentivoglio, una donna alta, bionda, decisamente bella, con il piglio di chi è abituato a comandare a a ottenere sempre dalla vita e dalla gente quello che vuole.

    chiese con l'aria di chi era stato distolto da un'occupazione importante dall'improvvisa apparizione di due seccatori.

    e Camilleri si soffermò su quello per far capire alla bella donna che la loro intrusione era tutt'altro che ingiustificata.

    .

    .

    biascicò la bella donna che in un attimo pareva aver perso tutte le sue sicurezze .

    .

    .

    .

    .

    e così dicendo il commissario uscì sul pianerottolo accompagnato come un'ombra da Tomatis.

    disse Camilleri suonando alla porta di sinistra. Ma dopo tre squilli ripetuti a distanza di trenta secondi l'uno dall'altro, si convinse che in casa non c'era nessuno.

    .

    La custode era il vero prototipo della portinaia. Una donna piuttosto bassa, con un sedere immenso, due piccoli occhi porcini nei quali si alternavano lampi di curiosità e di diffidenza.

    cinguettò con una voce acuta da soprano che strideva decisamente con la sua stazza oversize.

    >

    lo interruppe precipitosamente la portinaia che già pregustava la fama che le avrebbe dato quella rendendola per qualche giorno e chissà, per qualche settimana, protagonista delle chiacchiere in tutto il vicinato.

    .

    .

    .

    .

    .

    .

    .

    e così dicendo Domenica Erba in Fattori volse le spalle ai poliziotti e sparì in cortile alla ricerca di secchio e moccio.

    disse Camilleri che ogni tanto era preso da questi attacchi di sicilianità. Pur essendo lombardo da tre generazioni, infatti, da quando aveva scoperto grazie alla moglie i racconti del suo omonimo agrigentino, era diventato un come lo canzonava  Ginevra e anche a casa si scambiavano spesso espressioni in siciliano.

    Tomatis abbozzò un sorriso e in tono scherzoso rispose con un secco: .

    Camilleri uscì in strada e fu piacevolmente investito da un fresco venticello che rendeva fragrante l'aria primaverile. Salì in macchina e si diresse verso il commissariato. Si sentiva leggero e quasi felice. Mentre era al volante i suoi pensieri andarono alla moglie e ai figli (), poi, per chissà quale strana associazione d'idee, pensò all'assassino o agli assassini: , come era soprannominato in questura, erano tra i doveri più fastidiosi del suo lavoro perché Annibaldi era una specie di carro-armato. erano il suo motto, subito storpiato dai sottoposti in . Criteri sacrosanti, pensava Camilleri, che però potevano essere interpretati con un po' di elasticità. Ma Annibaldi non sapeva neanche dove stesse di casa la parola elasticità. Per lui o era bianco o era nero, o era giusto o era sbagliato. E più di una volta pensando a lui a Camilleri era venuto in mente lo spietato sergente addestratore di .

    gli annunciò il vecchio Guidi che da quarant'anni faceva l'usciere davanti all'ufficio del questore.

    Camilleri bussò un paio di volte, due colpi non forti ma decisi finché non sentì il baritonale di Annibaldi:

    .

    tentò di scherzare Camilleri ma Annibaldi frustrò sul nascere ogni tentativo di trovare un aspetto spiritoso nella faccenda.

    .

    E così dicendo Annibaldi si appoggiò coi sui quasi due metri d'altezza e suoi 100 chili ben distribuiti allo schienale della sedia-poltrona in pelle nera facendola scricchiolare pericolsamente.

    .

    , ammise Camilleri che si sentiva sempre più a

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