La "fata" non meritava quella fine
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Anteprima del libro
La "fata" non meritava quella fine - Franco Bellandi
AUTORI
FRANCO BELLANDI
LA FATA
NON MERITAVA QULLA FINE
Collana Spazio autori
©Franco Bellandi
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GPM EDIZIONI www.gpmedizioni.it
EDITRICE GDS www.gdsedizioni.it
Ogni riferimento a fatti, persone e/o luoghi realmente esistenti e/o esistiti è puramente casuale.
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Il telefono squillava ripetutamente, ma non avevo la forza per alzarmi per andare a rispondere. Mi trovavo in quello stato d'incoscienza che è il dormiveglia. Sentii bussare alla porta della camera, era mia madre che mi avvisava che mi volevano al telefono. Accesi la lampada sul comodino, erano le tre del mattino - Chi è quel rompi palle che mi chiama a quest’ora? - Mi alzai a fatica, ero madido di sudore, faceva un caldo terribile quell’estate a Genova. Uscii dalla camera come un sonnambulo e raggiunsi il telefono. Mia madre, in vestaglia mi osservava con apprensione. Una telefonata nel mezzo della notte non annunciava nulla di buono. Le feci un cenno, come a dirle: Torna in camera e stai tranquilla
. Ovviamente lei non si mosse.
- Pronto! Sì, sono io. De Luca cosa vuoi? Sono le tre di notte! Omicidio. Dove? Ho Capito. Mandami una automobile, arrivo subito. -
Mi vestii in fretta mentre mia madre mi aveva già preparato il caffè e un panino. Trangugiai al volo il caffè e non mangiai il panino. Era la previsione di mia madre, relative alla languidezza di stomaco che mi avrebbe inesorabilmente colpito da lì a qualche ora. Volai giù dalle scale e arrivai in strada contemporaneamente all’automobile di servizio che mi era venuta a prendere.
- Buon giorno commissario Dodero - La guardia autista.
- Bellin…un buon giorno di merda! Sono le tre del mattino. -
Arrivammo sul posto del misfatto: una bella zona signorile sulle colline di Genova con tutti i palazzi costruiti di recente, dopo la guerra, con visione panoramica sul porto. M'informai da un agente.
- Terzo piano, Commissario, c’è l’ascensore. -
Entrai nell’appartamento. Sul ballatoio, alcune persone guardate a vista dagli agenti, coinquilini della vittima svegliati dal trambusto. All’interno una gran confusione, era arrivata già la scientifica, informata dal mio secondo, ispettore De Luca, che mi venne incontro dicendomi:
- È di la commissario, - indicandomi il corridoio - è una nostra conoscenza.-
Con gesto automatico infilai la mano nella tasca della giacca e tirai fuori il mio bocchino. Avevo smesso di fumare da quando il mio amico medico mi aveva detto che se avessi continuato con le Nazionali
, queste mi avrebbero fatto marcire i polmoni. Così avevo rinunciato alle sigarette sostituendole con quel maledetto bocchino.
- Una conoscenza? Bellin chi è la vittima? Di chi si tratta? -
- La Fata
, commissario. -
- La Fata
? Accidenti…ma lavora giù al bar di Dario…anzi lavorava. Come l’hanno accoppata?-
- Sembrerebbe strangolata. -
- Lei abitava qui o…-
- Dai primi accertamenti risulta che abitava qui. -
Mi guardai intorno: la casa era arredata in modo signorile e con una certa ricercatezza.
- Una casa molto signorile per il mestiere che faceva. - Osservai - Vediamo la vittima.-
Entrammo in un piccolo soggiorno, i fotografi della scientifica e il medico legale erano già al lavoro. La povera Fata era lì su una poltrona, in posizione scomposta, gli occhi spalancati facevano impressione. Un'ecchimosi bluastra le deturpava la mascella destra. Il capo riverso, in modo innaturale sulla spalliera della poltrona. Indossava una semplice vestaglia, una delle gambe stesa e rigida. Indossava la biancheria intima. Povera Fata, la conoscevo: lavorava, se così si può