Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Nel Vortice della Morte: Matthew Scudder, #3
Nel Vortice della Morte: Matthew Scudder, #3
Nel Vortice della Morte: Matthew Scudder, #3
E-book227 pagine2 ore

Nel Vortice della Morte: Matthew Scudder, #3

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nel Vortice della Morte (In the Midst of Death) è il terzo romanzo in cui figura Matthew Scudder, il personaggio più coinvolgente di Lawrence Block. Tormentato dai rimorsi, ha lasciato la moglie e i figli nella sua casa di periferia e ha restituito il distintivo della Polizia di New York. Ora conduce un'esistenza monastica in un albergo nel quartiere di Hell's Kitchen, vivendo di caffè e whisky nel bar di Jimmy Armstrong, dietro l'angolo. Guadagna quello che gli serve lavorando come investigatore privato senza licenza, facendo ciò che lui definisce 'favori agli amici'.

 

Ecco cosa dice una recensione online a riguardo:

"Per la prima volta nella serie di Matt Scudder, ora al terzo titolo, compare la terribile parola 'alcolizzato'. Non è Matt che la pronuncia, ma un amico che si interessa a lui. Matt nega ogni cosa: può smettere quando vuole, non beve poi molto, non interferisce con le sue capacità. Ma, mentre risolve questo caso, Matt raramente resta molto tempo senza un drink, soffre già di qualche blackout, e commette alcuni errori tattici pericolosi a causa di una mente annebbiata dal caffè e dall'alcool.

Ma, tra una bevuta e l'altra, abbiamo un nuovo complicato caso. Questa volta il cliente di Matt è un poliziotto che prendeva bustarelle, era diventato troppo avido ed era stato incastrato in modo da far sembrare avesse ucciso una prostituta. E incontriamo alcuni personaggi originale e intriganti: come  Doug Furhman, che sarebbe stato perfetto per un attore come Elisha Cook, Jr., e Kenny, il proprietario del Sinthia's, un bar per gay nel Village. Elaine, la squillo, comparsa nel primo titolo della serie, riappare adesso con una parte più sostanziosa. E poi c'è la moglie del cliente, con la quale Matt ha un'avventura; Matt manda avanti la relazione dicendole le parole che la donna vuole sentirsi dire, oppure le pensa veramente, ed è invece lei che guida le sue emozioni?

New York è una città grande e sporca, ma sono lieto che ci viva Matt Scudder, e che Lawrence Block ci faccia seguire le sue avventure".

 

Un altro lettore aggiunge:

"Attenzione! Una volta iniziato questo libro, non lo lascerete finché non lo avrete terminato. È un giallo interessante e soddisfacente. Non stonerebbe accanto alle opere migliori di Dashiell Hammett e di Raymond Chandler. Davvero!".

LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2022
ISBN9798201920258
Nel Vortice della Morte: Matthew Scudder, #3
Autore

Lawrence Block

Lawrence Block is one of the most widely recognized names in the mystery genre. He has been named a Grand Master of the Mystery Writers of America and is a four-time winner of the prestigious Edgar and Shamus Awards, as well as a recipient of prizes in France, Germany, and Japan. He received the Diamond Dagger from the British Crime Writers' Association—only the third American to be given this award. He is a prolific author, having written more than fifty books and numerous short stories, and is a devoted New Yorker and an enthusiastic global traveler.

Autori correlati

Correlato a Nel Vortice della Morte

Titoli di questa serie (36)

Visualizza altri

Ebook correlati

Gialli hard-boiled per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Nel Vortice della Morte

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Nel Vortice della Morte - Lawrence Block

    Capitolo 1


    Ottobre è bello anche in città. Anche gli ultimi caldi dell’estate sono terminati e il vero freddo non è ancora arrivato. In settembre aveva piovuto anche parecchio, ma ora il tempo si era rimesso. L’aria era meno inquinata del solito e la temperatura la faceva sembrare anche più pulita di quanto in realtà non fosse.

    Mi fermai a una cabina telefonica della Terza Avenue. All’angolo, una donna anziana spargeva briciole di pane per i piccioni, tubando anch’essa mentre dava loro da mangiare. Credo che esista un’ordinanza comunale che vieta di nutrire i piccioni. La citavamo spesso al Dipartimento quando spiegavamo ai novellini che alcune leggi si applicano e di altre ci si dimentica.

    Entrai nella cabina. Evidentemente era stata scambiata almeno una volta per un pisciatoio pubblico, ma questo è all’ordine del giorno. L’apparecchio, almeno, funzionava. Adesso, la maggior parte dei telefoni funzionano. Cinque o sei anni fa, invece, nelle cabine sulle strade gli apparecchi erano sempre fuori uso. Dunque, non è vero che tutto va peggio. Certe cose in realtà vanno meglio.

    Composi il numero di Portia Carr. La sua segreteria telefonica rispondeva sempre al secondo squillo così, quando l’apparecchio suonò per la terza volta, pensai di avere sbagliato numero. Stavo cominciando a dare per scontato il fatto che lei non fosse mai in casa ogni volta che la chiamavo.

    Invece, stavolta lei rispose.

    Sì?.

    Miss Carr?.

    Sì, sono io. La voce aveva un tono meno basso di quello registrato sulla segreteria e l’accento inglese era meno marcato.

    Mi chiamo Scudder, dissi. Vorrei venire da voi e parlarvi. Sono nelle vicinanze e . . ..

    Mi spiace davvero, m’interruppe lei, ma temo che non riceverò più nessuno. Grazie.

    Ma io volevo solo . . ..

    Chiamate qualcun altro, e riappese.

    Trovai un’altra moneta da dieci cents e stavo per infilarla nella fessura per richiamare, quando cambiai idea e me la rimisi in tasca. Percorsi due isolati verso il centro e tra la Seconda Avenue e la 54esima Strada trovai una cafeteria con un telefono a moneta dal quale avrei potuto sorvegliare l’entrata del suo palazzo. Infilai la moneta nell’apparecchio e composi il numero.

    Non appena rispose, dissi: Mi chiamo Scudder e voglio parlarvi di Jerry Broadfield.

    Vi fu una pausa, poi lei disse: Chi siete?.

    Ve l’ho detto. Mi chiamo Matthew Scudder.

    Avete già chiamato poco fa.

    Esattamente. E voi avete riappeso.

    Io credevo . . ..

    So quello che avete pensato. Ma io voglio parlarvi.

    Sono davvero spiacente, sapete, ma non concedo interviste.

    Non sono un giornalista.

    Allora qual è il vostro interesse, Mr. Scudder?.

    Lo saprete quando mi vedrete. E credo sia meglio che lo facciate, miss Carr.

    In realtà, io credo di no.

    Non credo abbiate scelta. Sono nei paraggi e potrei essere da voi tra . . . cinque minuti.

    No, per favore. Un’altra pausa. Sono appena uscita dal letto, capite? Potete darmi almeno un’ora?.

    Se è necessario . . ..

    Allora d’accordo. Immagino abbiate l’indirizzo, vero?.

    Le dissi che l’avevo. Riagganciai e mi misi al banco con una tazza di caffè e un tramezzino. Ero di fronte alla vetrina, di modo che potevo tener d’occhio il suo palazzo. La vidi uscire proprio quando il caffè si era raffreddato abbastanza per poterlo bere. Quando avevamo parlato doveva già essere vestita perché le ci erano voluti solo sette minuti circa per scendere in strada.

    Non fu difficile riconoscerla. La descrizione che mi era stata fatta le calzava a pennello: la fiammante criniera di capelli rosso scuro, l’altezza. Il tutto completato dall’incedere regale di una leonessa.

    Mi alzai e mi spostai verso la porta, pronto a seguirla non appena avessi capito dove era diretta. Ma lei continuò dritta verso il bar e, quando entrò, io mi voltai e tornai alla mia tazza di caffè.

    Lei andò verso la cabina telefonica.

    Penso che non avrei dovuto stupirmi. Infatti molti telefoni sono controllati e chiunque abbia attività politiche o illegali tende a considerare tutti gli apparecchi insicuri e si regola di conseguenza. Le chiamate importanti, o quelle riservate, non vanno fatte dal proprio apparecchio e quello era il telefono pubblico più vicino a casa sua. Era il motivo per cui lo avevo scelto io stesso, e per cui lei ora lo stava utilizzando.

    Mi avvicinai alla cabina, solo per essere certo che non mi sarebbe servito a nulla. Infatti, non riuscii a vedere il numero che lei compose, né potei sentire nulla della sua conversazione. Così pagai il conto e me ne andai.

    Attraversai la strada, diretto al suo palazzo.

    Stavo rischiando. Se lei avesse terminato la sua telefonata e fosse salita su un taxi, l’avrei persa, e io non volevo perderla proprio in quel momento. Non dopo tutto il tempo che mi ci era voluto per trovarla.

    Ma, secondo me, non stava per prendere un taxi. Non si era portata nemmeno la borsetta e, se avesse voluto scappare da qualche parte, sarebbe dovuta tornare indietro per prenderla e mettere qualche abito in una valigia. E prima si era accordata con me per avere un’ora di margine.

    Così mi diressi verso il suo palazzo e, alla porta, trovai un ometto con i capelli bianchi. Aveva un paio di ingenui occhi azzurri e, sulle guance, due arrossamenti dovuti alla rottura dei capillari. Sembrava molto fiero dell’uniforme che indossava.

    Carr, dissi io.

    È uscita proprio un attimo fa. L’avete mancata per un minuto al massimo.

    Lo so. Estrassi il portafogli e lo aprii per un attimo. Dentro non c’era niente che lui potesse vedere, neanche un distintivo di plastica da poliziotto, ma non importava. È la mossa che conta e, soprattutto, l’aspetto da poliziotto. Lui ebbe solo una fugace visione di cuoio che si apriva e ne fu adeguatamente impressionato. Gli sembrò infatti ineducato chiedere di dare un’occhiata più da vicino.

    Che appartamento?.

    Spero proprio che non mi metterete nei guai.

    No, se farete quello che si deve. Allora, in quale appartamento abita?.

    Al 4 G.

    Datemi il vostro passe-partout.

    Non posso farlo.

    Ah. Volete venire con me alla Centrale per parlarne?.

    Non lo voleva. Quello che avrebbe voluto era che me ne andassi al diavolo, ma non lo disse. Invece mi diede il passe-partout.

    Sarà di ritorno tra un paio di minuti; voi non ditele che sono su.

    Questa faccenda non mi piace.

    Non importa se non vi piace.

    È una signora simpatica, è sempre stata molto gentile con me.

    Vi dà una bella mancia a Natale, eh?.

    È una persona molto gentile, ripeté lui.

    Ne sono convinto, ma provatevi a farle capire qualcosa e io me ne accorgerò. E non sarò contento. Mi sono spiegato?.

    Non dirò niente.

    E riavrete la vostra chiave, non preoccupatevi.

    Mi sembra il minimo, disse.

    Presi l’ascensore e salii al quarto piano. L’appartamento G dava sulla strada e così mi sedetti accanto alla finestra in modo da poter sorvegliare la porta del bar. Da dove mi trovavo non avrei saputo dire se c’era o no qualcuno nella cabina telefonica e quindi lei poteva già essersene andata, aver girato l’angolo e aver preso un taxi. Ma non lo credevo. Rimasi seduto in attesa e, dopo circa dieci minuti, lei uscì dal locale e si fermò all’angolo.

    Alta, bella e indecisa. Restò ferma per un po’, ed era evidente la sua incertezza. Avrebbe potuto scegliere qualsiasi direzione, ma, dopo un istante, si girò e si avviò con fare deciso verso il palazzo. Tirai un respiro, che solo allora mi resi conto di aver trattenuto, e mi sedetti ad attenderla.

    • • • • •

    Quando sentii la chiave nella serratura, mi allontanai dalla finestra e mi appiattii contro la parete. Lei aprì la porta, se la richiuse alle spalle e diede una mandata di chiave. Ben fatto; peccato che io fossi già dentro.

    Si tolse l’impermeabile azzurro e l’appese nel guardaroba dell’ingresso. Sotto, aveva una gonna scozzese al ginocchio e una blusa gialla. Aveva gambe molto lunghe e un corpo atletico.

    Si voltò, ma senza guardare il punto dov’ero io. Allora dissi: Salve, Portia.

    L’urlo non le uscì. Lo bloccò portandosi le mani alla bocca. Rimase per un po’ con il corpo sulle punte dei piedi, quindi lasciò cadere le mani e tornò ad appoggiare i tacchi a terra. Respirò a fondo cercando di riprendere il controllo. All’inizio il suo colorito era roseo, ma ora il suo volto si era sbiancato. Si mise una mano sul cuore con un gesto che apparve teatrale e insincero. Come se se ne fosse resa conto, abbassò di nuovo la mano e respirò a fondo per parecchie volte.

    Voi siete . . ..

    Scudder.

    Avete telefonato prima.

    Già.

    Avevate detto tra un’ora.

    Ultimamente il mio orologio va un po’ avanti.

    Direi. Di nuovo inspirò a fondo ed espirò lentamente. Poi chiuse gli occhi. Mi tolsi dalla parete e mi spostai al centro della stanza, a pochi passi da lei. Non sembrava il tipo di persona che sviene facilmente; se lo fosse stata, con tutta probabilità l’avrebbe già fatto, ma era ancora molto pallida e se fosse svenuta volevo avere la possibilità di prenderla al volo. Ma la faccia riprese colore e lei riaprì gli occhi.

    Ho bisogno di bere qualcosa, annunciò. Ne volete?.

    No, grazie.

    Allora berrò da sola. Si spostò in cucina, e io la seguii quanto bastava per tenerla d’occhio. Tolse dal frigorifero dello Scotch e una bottiglietta di soda e versò tre dita di entrambi in un bicchiere. Niente ghiaccio, disse. Non sopporto i cubetti contro i denti. Ma ho preso l’abitudine di farmi dei drink freddi. Le stanze, qui, sono più calde e i drink a temperatura ambiente non vanno bene. Sicuro che non volete farmi compagnia?.

    Adesso no.

    Salute, allora. Mandò giù la bibita in un unico lungo sorso. Vidi i muscoli della sua gola contrarsi. Un lungo e delizioso collo. Aveva quella perfetta pelle inglese, e ne era servita molta per coprire tutto il suo corpo. Io sono alto circa un metro e ottanta, e lei era alta almeno quanto me, se non di più. Me la raffigurai in compagnia di Jerry Broadfield, che era più alto di lei di circa dieci centimetri e non avrebbe sfigurato accanto a lei. Certo, insieme, dovevano fare una bella coppia.

    Fece un altro respiro profondo, rabbrividì, e mise il bicchiere vuoto nell’acquaio. Le chiesi se stava bene.

    Ma certo, a meraviglia, disse. Aveva gli occhi di un azzurro molto chiaro, tendente al grigio, e una bocca dalle labbra piene ma pallide. Mi feci da parte e lei mi passò accanto rientrando nel soggiorno. Muovendosi, mi sfiorò con i fianchi e mi resi conto che a una donna come quella non sarebbe servito molto di più.

    Sedette sul divano ricoperto di stoffa blu e prese un piccolo sigaro da una scatola di legno posta sul tavolino in plexiglas. Lo accese con un fiammifero, quindi mi indicò la scatola perché mi servissi. Le dissi che non fumavo.

    Sono passata a questi perché non si dovrebbe aspirarli, spiegò. Solo che io li aspiro lo stesso, e così alla fine sono più forti delle sigarette. Allora, come avete fatto a entrare?.

    Le mostrai la chiave.

    Ve l’ha data Timmie?.

    "Non voleva, ma non gli ho dato molta scelta. Dice che siete sempre stata gentile con lui.

    Già, do un sacco di mance a quello stupido. Mi avete fatto paura, sapete? E ancora non so cosa volete e perché siete qui. O chi siete, tra l’altro. Credo di essermi già dimenticata il vostro nome.

    Glielo ripetei.

    Matthew. disse. Allora, perché sei qui, Matthew?.

    A chi hai telefonato dalla cabina del bar?.

    C’eri anche tu? Non ti avevo notato.

    Chi hai chiamato?.

    Prese tempo fumando. Il suo sguardo si fece pensieroso. Non credo che te lo dirò, disse alla fine".

    Perché hai denunciato Jerry Broadfield?.

    Per estorsione.

    Ma perché, miss Carr?.

    Mi stavi dando del tu. O era solo perché ero sotto shock? I poliziotti danno sempre del tu. È perché questo dà loro una specie di superiorità psicologica, no?. Mi puntò contro il sigaretto. Tu non sei un poliziotto, vero?.

    No.

    Eppure c’è qualcosa in te . . ..

    Sono stato nella polizia.

    Ah, ecco, annuì, soddisfatta. E conoscevi Jerry quando eri nella polizia?.

    No, non lo conoscevo.

    Ma adesso lo conosci.

    Esatto.

    E sei suo amico? No, impossibile. Jerry non ha amici, no?.

    Non ne ha?.

    No. Dovresti saperlo se lo conosci bene.

    Non lo conosco bene.

    Mi chiedo se ci sia qualcuno che lo conosce bene. Aspirò di nuovo il sottile sigaro, quindi scosse con cura la cenere in un posacenere di vetro intagliato.

    Jerry Broadfield ha delle conoscenze, parecchie conoscenze. Ma dubito che abbia un solo amico al mondo.

    Tu certamente non sei sua amica.

    Non ho mai detto di esserlo.

    Perché accusarlo di estorsione?.

    Perché è vero. Riuscì a fare un piccolo sorriso. Ha insistito perché gli dessi dei soldi. Cento dollari alla settimana, altrimenti mi avrebbe fatto passare dei guai. Le prostitute sono creature vulnerabili, sai? E cento dollari alla settimana non sono poi così tanti se consideri le somme che gli uomini sono disposti a pagare per andare a letto con una di esse. Con le mani, indicò il proprio corpo. Così l’ho pagato, disse. Dandogli i soldi e la mia disponibilità sessuale.

    Per quanto tempo?.

    Un’ora ogni volta, in genere. Perché?.

    Volevo dire per quanto tempo l’hai pagato.

    Oh . . . non so. Circa un anno, credo.

    E da quant’è che sei in questo paese?.

    Da più di tre anni.

    E non vorresti lasciarlo, vero?. Mi alzai e mi avvicinai al divano. È così che ti hanno incastrata, dissi. Stai al loro gioco, o ti rimandano a casa come straniera indesiderabile.

    Che termine, una straniera indesiderabile . . ..

    È così che loro . . ..

    In genere mi considerano una straniera molto desiderabile. Mi sfidò con il suo sguardo freddo. Suppongo che avrai anche tu un’opinione in proposito, no?.

    Mi stava provocando e la cosa mi dava fastidio. Lei non mi piaceva molto, dunque perché mi turbava? Mi venne in mente qualcosa che Elaine Mardell mi aveva detto circa il fatto che una gran parte della clientela di Portia Carr consisteva di masochisti. Non ho mai veramente capito cosa ecciti un masochista, ma pochi minuti alla presenza di quella donna mi avevano fatto intuire che uno di essi avrebbe trovato in lei una perfetta componente delle proprie fantasie. E, in maniera diversa, anche delle mie.

    Andammo avanti per un po’; lei continuava a ripetere che Broadfield le aveva davvero estorto dei soldi e io continuavo a cercare di arrivare alla persona che l’aveva indotta a sporgere la denuncia contro di lui.

    Senti, dissi, alla fine tutto questo non importa. Non importa se prendeva o no soldi da te e non importa chi ti ha spinto a denunciarlo.

    Allora perché sei venuto qui, caro? Per amore?.

    Quello che importa è quanto ci vorrà per convincerti a ritirare la denuncia.

    Che fretta c’è?. Sorrise. Jerry non è stato nemmeno arrestato, no?.

    Non riuscirai a portarlo fino in tribunale, proseguii. Ci vogliono prove per istruire un processo e se tu le avessi sarebbero già saltate fuori. Quindi si tratta solo di calunnie. Calunnie che a lui però danno fastidio e vorrebbe liberarsene. Allora, quanto serve per ritirare la denuncia?.

    Jerry dovrebbe saperlo.

    Sì?.

    "Tutto quello che deve fare è smetterla con quello che sta

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1