Scipione l'italiano
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Anteprima del libro
Scipione l'italiano - Franco Cordeli
Collana
Deluxe
FRANCO CORDELLI
SCIPIONE
L’ITALIANO
Postfazione di
Andrea Di Consoli
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy
Isbn: 978-88-6822-498-1
Edizione eBook 2016
Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672
Sito internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
La superstizione è il serbatoio di tutte le verità.
Charles Baudelaire
Les peuples s’en vont, les Italiens restent.
Alberto Savinio
Dakar, 1989
Vittorina – Abbiamo fatto tanti viaggi, insieme. Ma in Italia mai. Perché?
Scipione – Perché ne siamo dominati. Tu andresti in visita da un tiranno?
Vittorina – Siamo dominati da tante cose, se è per questo.
Scipione – Adesso è ancora peggio. Sono tutti pazzi, dicono che questo secolo, il Novecento, è italiano. È cominciato con l’Italia e con l’Italia finisce.
Vittorina – Potrebbe essere un motivo d’orgoglio.
Scipione – Il peggio è che lo è.
Vittorina – Bene, allora.
Scipione – No, se pensi che siamo anche romani.
Vittorina – Non capisco.
Scipione – Più ci avviciniamo al punto da cui siamo partiti e più ci incalza la necessità di dirgli addio. Ti ricordi quando facevo il cretino e dicevo di sentirmi il re di Roma e che Roma era la capitale dell’Africa: Roma caput Africae?
Vittorina – Ancora Roma?
Scipione – Oggi no! Roma è finita. Non esiste più, non è più nulla, meno che meno la capitale di un grande continente.
Vittorina – Sei libero, dunque. Non sei più né schiavo né tiranno.
Scipione – Non mi illudo, questo è il problema, dalla superstizione non ci si libera mai. Del resto non lo vogliamo, almeno non lo voglio io. Sono sempre più convinto che esista una sola possibilità di scienza, vale a dire la fede, meglio ancora la superstizione, che è più leggera.
Vittorina – La leggerezza... È un mito già vecchio.
Scipione – Sei tu, piuttosto, che ti proponi come semplice turista. Non credo che il tuo desiderio sia di una diversa natura. Né te lo chiedo. Non chiedo che tu sia come me, anche se al turismo preferisco l’immobilità.
Vittorina – Turista o no, ti prego di non sottovalutare la mia funzione demiurgica.
Scipione – Al contrario e sono contento.
Vittorina – E allora che proponi?
Scipione – Retrocedendo, di retrocessione in retrocessione, potremmo arrivare al Colosseo, per le nostre notti; o al Divino Amore, per la prossima primavera. Ma un compromesso è meglio, tanto vale essere realistici, dal momento che parliamo di superstizione.
Vittorina – Dove mi vuoi portare?
Scipione – Da nessuna parte. Cioè: in Italia, dove hai detto tu. Anche se in nessuno dei luoghi a causa dei quali si ritiene che siano tutti felici per merito nostro – tedeschi e giapponesi, arabi e americani.
Vittorina – Né rovine né grandi piazze metafisiche, dunque?
Scipione – In Italia c’è un solo luogo che non sia tirannico, forse perché non pretende di mascherarsi. È un luogo della memoria, voglio dire della memoria come evento personale... Dire Italia è dire passione sportiva, competizione per bande, tifo. È solo feccia, se vuoi. Ma resta ciò che più assomiglia, nel nostro Occidente, alle sopravvivenze, o alle resurrezioni, come il poeta Octavio Paz chiama le rivoluzioni del mondo postmoderno – ciò che esse sono diventate.
Vittorina – Rivoluzioni o resurrezioni?
Scipione – Questo è, in realtà, un problema – se non altro dal punto di vista del surf, per non allontanarci dal linguaggio sportivo – nel quale voglio avventurarmi con te... Sulla cresta dell’onda la risposta è una; e, discendendone, un’altra.
Vittorina – Tuttavia, come hai detto, lo sport, o il tifo, non sono un luogo. Non lo è neppure la memoria.
Scipione – Tutto lo è, invece. Ogni metafora riassume in sé l’idea platonica di spazio. Il problema, semmai, è che la cultura si fa esperienza, o vita, per linee traverse e perfino indicibili; o, addirittura, resta lettera morta, un altro paragrafo, tra i mille e mille del libro muto del mondo. Dubitiamo che la metafora, cioè la letteratura, come cuore di ogni cultura, continui ad essere il luogo che attesta il valore, lo fonda, ne rende merito e sopravvivenza.
Vittorina – Se ho capito bene, la serie dei tuoi passaggi sarebbe questa: Roma cioè Africa, Italia cioè memoria, metafora cioè tifo. Si torna dove abbiamo cominciato – al tifo; o alla superstizione.
Scipione – Sì, mi comporto (giustamente in questo caso) come se i luoghi veri e quelli immaginari fossero tutti sullo stesso piano. Ma (e questo è meno giusto) certi luoghi li prendo troppo sul serio – come se ad essi si riducesse il significato della letteratura. A mia difesa, voglio correggere così: dicendo che la letteratura è una questione di sintesi, di ricapitolazione, di forza: e che le vie all’evidenza sono infinite, e che non si vede, allora, perché non scegliere tra le tante possibili, quelle rese manifeste, appunto, da un luogo – che altro non è se non il complesso di circostanze, norme, voci, toni ed eccentriche figure che gli scrittori depositano sugli atlanti.
Vittorina – Non capisco perché il discorso abbia preso questa piega. Mi stai parlando di letteratura e dovevamo parlare di sport. Anzi no, di un viaggio in Italia.
Scipione – Credevo fossi pronta a rimetterti alle mie inclinazioni...
Vittorina – Non ho detto di no. Ma voglio capire.
Scipione – Stavo cercando di dirti che questo è il luogo in cui siamo: qui, tra la passione sportiva e la letteratura non c’è nessuna differenza. Che cos’è uno scrittore se non un pugile? Quando invecchia (e invecchiare è l’arte suprema, la si direbbe lo scopo della vita) può ambire alla condizione di arbitro (che è solo un tifoso meno severo). La letteratura è una severa maestra – ma è anche molto buona.
Vittorina – In tutto ciò sento un pizzico d’infatuazione. Non mi sorprende; ma io la detesto.
Scipione – No, sono un maniaco. È diverso. Sono sempre stato un maniaco.
Vittorina – Per me, le sfumature non fanno che peggiorare le cose; e, come se non bastasse, in Italia non si parla d’altro, in effetti; e non si fa niente altro che discutere di questa vostra infatuazione, o mania... che è un modo per incrementarla.
Scipione – Lo sport è uno dei pochi linguaggi che ci siano rimasti; e con la passione sportiva, cioè con il tifo, possiamo dirci qualcosa, ci riconosciamo a distanza. Io distinguo a prima vista un tifoso inglese da un tifoso messicano, un sostenitore di McEnroe da uno di Lendl, così come, qualche anno fa, sapevo chi avrebbe tifato per Cassius Clay e chi per Joe Frazier... E so anche chi non è niente. Lo so per intuizione, a fiuto. Evidentemente, esistono delle categorie inespresse, non codificate, subliminali, che, appunto, costituiscono un modo per comunicare.
Vittorina – Tutto ciò è disgustoso.
Scipione – Mi ricordo che quando l’Italia cominciò ad uscire dalla penuria del dopoguerra ed entrò nel numero delle nazioni industrialmente progredite, si scrivevano libri nei quali i moralisti condannavano irrimediabilmente i tifosi. Costoro descrivevano come inebetite le facce di quelli che uscivano da una partita, ed io mi sentivo in colpa, anche se, sotto sotto, già li immaginavo come tipi che furiosamente si mettevano a spiare la gente nelle più svariate occasioni. Per esempio, dicevano: che orrore quelli che frequentano gli ippodromi e scommettono sui cavalli! E io pensavo che loro qualche volta dovevano pur esserci andati per descrivere con tanto accanimento i gesti o le gesta dei giocatori e degli animali... Ma che ci andavano a fare a San Siro o alle Capannelle, voglio dire con che faccia, con che attitudine? Insomma, mi sentivo in colpa, ma avevo un certo fastidio per tutto ciò che mi voleva condannare e privarmi di un divertimento.
Vittorina – E adesso non ti senti più in colpa...
Scipione – No, al contrario. Se lo sport e tutti i riti della società di massa sono un male, io godo di sprofondare in questo male, mi ci getto con voluttà, perché, come pensavano gli alchimisti, solo il simile uccide il simile; e come pensiero finale, prima di buttarmi nell’abisso, penso alle facce disgustate, e tutte contente di non essere contagiate dal morbo, delle persone come loro, i moralisti.
Vittorina – Potresti pensare anche a me.
Scipione – Tu sei un’amica. A te penso con tristezza. Penso che sei sfortunata. Non hai