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Operatori
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E-book188 pagine2 ore

Operatori

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Guido Conforti è un libraio romano di mezza età che dopo il licenziamento si ritrova alle prese con la giovanile pratica dell’invio curriculum e l'arte del sostenere colloqui. Troverà lavoro in un call center, tra cuffie, telefoni e colleghi più che ventenni e quasi trentenni che non sanno come si costruisce un futuro, ma cercano comunque di cavarsela.

Un confronto generazionale, immersi nell'efficientismo e nel precariato contemporaneo che detta tempi, ritmi e relazioni, con giovani interlocutori – i waiters – a cui il presente sembra sfuggire di mano, mentre vorrebbero far funzionare il mondo che li circonda.

Da Operatori è nato l’omonimo spettacolo teatrale per la regia di Luca Guerini e su testo di Fabio Mercanti e Luca Guerini.
LinguaItaliano
Data di uscita21 dic 2016
ISBN9788893370929
Operatori

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    Anteprima del libro

    Operatori - Fabio Mercanti

    futuro

    Prologo #1

    Ecco che ricomincia il pippone sulla Bibbia.

    «La prima volta lo crea a parole, cioè dice facciamo l’uomo, un po’ come prima aveva creato tutto il resto, poi la seconda volta ci mette le mani: prende la terra, impasta e soffia l’alito di vita…»

    Sì, vorrei proprio che ci mettessi le mani…

    «Bisogna cogliere il valore di quell’alito di vita che prima non era mai uscito fuori. Però, certo, capisci che il fatto che l’uomo sia stato creato in due modi diversi ci dice molto su Dio, sull’uomo e sulla Bibbia».

    «E perché?»

    «Beh, perché…»

    Dio, quando mai ho fatto questa domanda! Meglio lasciarlo parlare. Cos’è che mi fa desiderare di frequentarlo ancora, di volerlo vedere tutti i giorni? Eppure certe volte mi fa venire un odio che non riesco a descrivere e che esprimo neanche io so come. A volte vorrei che fosse qualcun altro. Ma se lo fosse, non sarei qui. Forse.

    Vorrei che lasciasse stare la cultura, i ragionamenti, le complessità. Vorrei che tirasse fuori dallo zaino un tappeto volante, che lo stendesse sull’erba, che mi invitasse a salire con un sorriso e che salisse lui dopo di me, con un balzo, e liberi in cielo si potesse fare l’amore volando. Invece in quello zaino non ha nient’altro che pacchetti di sigarette, fazzoletti, l’AmuchinaGel e un sacchetto di Student mix che ogni tanto va sgranocchiando. Praticamente è un tipo che tiene di più all’igiene delle sue mani che non agli organi vitali. L’unica cosa che ricorda un tappeto voltante è il telo mare comprato da Decathlon sul quale siamo stesi.

    «Molto spesso quando si parla della Bibbia non si sa nemmeno di cosa si stia parlando…»

    Lui parla della Bibbia e io gli passo in rassegna tutto il corpo. Non è un granché. Lo guardo gesticolare mentre parla, ma preferisco altre parti del suo corpo, per quanto abbia mani fantastiche che quando si muovono sul mio corpo lo fanno accendere e sento illuminarsi tutto ciò che è intorno e dentro di me. Ma lui continua a usarle solo per parlare. Mi sembrano sprecate.

    «Secondo me ti farai prete» gli dico e lo vedo cambiare faccia.

    Lo dico sempre, quando mi stufo di ascoltarlo. A volte fa un sorriso e guarda lontano e poi me, e poi lontano di nuovo, e si mette a ridere prima di baciarmi. Altre volte si irrita un po’ e dice che l’interesse per la Bibbia dovrebbe riguardare anche chi non crede in Dio. Poi ricomincia a parlare di una Bibbia che viene emarginata dalle letture dei giovani umanisti i quali hanno pregiudizi limitanti. Quando comincia questo secondo pippone lo abbraccio e mi spingo verso di lui. Spesso, dopo un po’, tenta di allontanarmi la testa perché vuole baciarmi o guardarmi. Non sopporta stare con qualcuno senza poterlo guardare negli occhi, io invece preferisco rannicchiarmi e nascondermi sotto di lui.

    «A che ora devi andare a lavorare?»

    «Inizio alle cinque».

    «Ah».

    «Faccio il turno di sera».

    «Andiamo a mangiare allora, così dopo pranzo stiamo ancora un po’ insieme. Rilassati. A che ora devi partire?»

    «Verso le due e mezza massimo, così passo a casa, faccio una doccia, mi cambio e prendo il badge».

    «Il cosa?»

    «Il badge per entrare a lavoro, la tessera magnetica, serve per conteggiare l’orario di ingresso e di uscita».

    Resto in silenzio. Di cosa sta parlando? Conteggiare ha detto. Tutto perfettamente calcolato, organizzato, costruito. Nulla che ammetta scompiglio, avventura, scoperta.

    Non ho immaginato così le mie giornate. Infatti sono le sue.

    Non ho immaginato così il mio uomo. Infatti non lo è.

    Allora perché ci sto uscendo?

    Andiamo a mangiare nella solita pizzeria. Lui prende un paio di pezzi di pizza con le verdure, io la margherita e un supplì. Mi chiede se mi va un po’ di birra e io lo guardo come per dire che non la disprezzo ma che comunque ne berrò poca. Lui velocemente tira fuori dal frigo una bottiglia di birra e si volta verso la cassa. Lo guardo mentre poggia la bottiglia sul bancone e aspetta il conto totale. Paga e chiede al cassiere di aprirgli la bottiglia.

    Ho come l’impressione che si sia dimenticato di me. Poi chiede due bicchieri.

    Daniele lavora in un call center. Qualcuno dice che sono degli immondezzai, ma non ho mai capito cosa voglia dire. Se chi ci lavora è immondizia oppure lo si diventa lavorandoci.

    Conosco Daniele da qualche mese e non mi sembra proprio venuto fuori da una discarica e spero di cuore non ci finisca dentro per il resto della vita.

    Prologo #2

    Al giorno d’oggi trovare un lavoro è una fortuna o addirittura un miracolo, a seconda della scuola di pensiero alla quale si appartiene.

    Gran parte della gente ai miracoli non ci crede, al massimo ci spera, e questa speranza è di strana fattezza. C’è infatti chi inizia a credere nei miracoli quando riceve una telefonata da una bella moretta con i Liu Jo Bottom-up che gli dice ok, presentati dopodomani e non dimenticare carta d’identità e Iban. C’è poi chi, dopo una telefonata del genere, dice no, cazzo, questi mi hanno chiamato veramente! E ora? È comprensibile che questo secondo gruppo ai miracoli non ci speri. Insomma, può anche crederci, perché male non fa, ma meglio che salvino la vita degli altri. C’è poi chi – mai creduto ai miracoli ma con tanta speranza nel cuore – ritenendosi fortunato dopo il contatto delle risorse umane e organizzato un ricco aperitivo con le amiche e gli amici per festeggiare, comincerà a maledire la propria fortuna appena un mese dopo l’assunzione.

    Non so quali percentuali corrispondano alle tre categorie, ma credo che i contratti a progetto siano nati per fronteggiare le esigenze di questi ultimi due gruppi di inoccupati e disoccupati: i miracolati sfigati e i fortunati che sperano nel miracolo.

    E quindi, ulteriore precisazione. Gli inoccupati sono quelli che portano a spasso il cane per interi pomeriggi, hanno ottime abbronzature, hanno l’abbonamento completo in palestra (possono fare tutto, anche toccare il sedere alle receptionist), bevono mojito, hanno solo barba e capelli e nessun altro pelo sparso per il corpo. Tatuaggi vari. I disoccupati sono quelli in sovrappeso che mangiano tanta pizza, tendono alla calvizie e al pornosharing, bianchi come la carta. Se scoprono qualcosa si convincono subito che salverà il mondo (e soprattutto loro stessi) e non importa che sia il Cristianesimo, la poesia, Organo Gold, le applicazioni Android, le gang bang tra amici, la cultura vegan. Gli inoccupati sono grossomodo dei miracolati sfigati, i disoccupati sono invece degli sfigati nonostante il miracolo.

    Se vi siete messi a ripensare alla gente che conoscete e non vi sentite né miracolati, né sfigati, né fortunati, allora significa che a modo vostro siete dei mantenuti oppure degli occupati. O dei trafficoni.

    I trafficoni sono quelli che gira e rigira fanno qualcosa un po’ qui e un po’ là, hanno sempre l’aria riposata e tendono ad apparire simili agli inoccupati. Sembra che abbiano giri loschi e non fanno nulla per nasconderlo (anche se spesso non è vero, altrimenti lo nasconderebbero), hanno molti conoscenti che loro definiscono amici e spesso hanno fidanzate molto belle, dal forte senso pratico, talvolta sboccate ma a loro modo brillanti. Non sono mai fidanzati con la stessa ragazza per più di quindici mesi.

    I mantenuti sono i soggetti più simpatici, gli antropologi dovrebbero studiarci un po’ sopra invece che perdere tempo nei bagni dei dipartimenti universitari. Tanti anni fa il mantenuto apparteneva soprattutto alle classi alte della società e proprio per questo non si chiamava mantenuto. Poi è venuto fuori il rampollo che di solito è l’opposto di suo fratello, quello che porta avanti la baracca (l’azienda petrolchimica di famiglia, per intenderci) mentre lui fa la parte del figliol prodigo. La sorella di solito è cocainomane o fissa i quadri al Musée d’Orsay e per questo si è fatta comprare una casa nei paraggi. Oggi, invece, il mantenuto è di tutt’altro lignaggio. Non importa in che famiglia nasca e di quali possibilità economiche questa disponga, il mantenuto riesce sempre a farsi mantenere decentemente, forse grazie a quelle terribili crisi del martedì e del mercoledì che coinvolgono l’essenza stessa dell’essere umano, il suo senso nel mondo e il fine ultimo, problematiche abbandonate a favore di un fine settimana che inizia alla grande il giovedì sera. Il lunedì solitamente fa il parrucchiere.

    Il mantenuto ha convinto i genitori – forse grazie alle crisi di cui accennavo sopra – a far lievitare notevolmente la paghetta della prima adolescenza e i nonni a firmare assegni. Il mantenuto è tenuto inoltre a coltivare privilegi di casta: non deve fare assolutamente nulla di economicamente produttivo, ogni sua buona azione (tipo rifarsi il letto) deve essere vista da conviventi (i propri genitori) come grazia divina e segno di redenzione. Inoltre non deve mai e poi mai rendicontare le sue spese e deve fottersene dei beni di famiglia. Il mantenuto ha però leggi ferree in campo sessuale: solo pomiciate e sesso orale con minorenni, ogni pratica sessuale fuorché la zoofilia è ammessa con donne dai diciotto ai sessantacinque anni. Si dice che alcuni non disdegnino i trans-sex, nel caso la nonna abbia sganciato.

    C’è poi un altro genere di mantenuto. Si tratta di una minoranza elitaria e polverosa che vive davanti al Mac e sui social network, e che ingrassa la tastiera del computer con le proprie analisi critiche. Hanno svolto buoni studi, sono laureati con ottimi voti e hanno avuto sempre buoni rapporti con i docenti. Sono informatissimi e molto spesso hanno fondato un giornale online o un blog. Dalla loro scrivania conoscono ogni guerra africana, sanno perfino se in Palestina qualcuno si è beccato il raffreddore e ogni anno riescono a farsi un bel viaggio in una capitale nordeuropea. Esperienza di cui parleranno fino allo sfinimento, dal loro ritorno fino alla futura partenza l’anno successivo.

    Evitano ogni azione profittevole perché prostituente. Odiano con tutto il cuore le seguenti parole in ordine decrescente: Berlusconi, marketing, borghesia, commercio, moda, finanza, ho letto un libro di Alessandro D’Avenia, mare, sole e creme abbronzanti.

    Restano quindi gli occupati e quelli, beh, immagino siate voi.

    Anzi, c’è poi un’altra categoria di persone, forse tra le più strambe, tra le quali ci sono anch’io. Avete presente la scena iniziale di The Millionaire quando Jamal sta facendo felicemente la cacca nella casetta del bagno pubblico e arriva il suo divo del cinema in elicottero e lui, felice e contento, cade in mezzo alla popò di almeno un centinaio di suoi compaesani e sempre più felice e contento, ricoperto di merda e urlando, corre dal divo con una sua foto in mano e se la fa firmare prima di tutti gli altri? Se non avete in mente questa scena andatevi a vedere il film.

    Non veniamo dagli slum di Bombay ma dalle aule delle università italiane. Siamo brillanti ragazzi del tè con esperienze da camerieri e commessi, con tirocini in studi legali e aziende leader nel settore (qualunque esso sia). Le prove più dure non sono state lo sfruttamento ma l’esame di latino, di diritto privato e di statistica. L’unico format a cui partecipiamo è quello dei colloqui, dei career day e della ricerca di lavoro quotidiano. Ma forse sì, qualcuno di noi ha una Latika con cui sognare.

    Siamo i Jamal d’Italia, siamo gli operatori dei call center.

    Prologo #3

    «Battesimo Tarantì?»

    Claudio diminuì il numero di passi al secondo e si voltò a guardare verso la scrivania dei leader e dei visor da dove era venuta la domanda.

    «Sì» disse sorridendo e guardandosi il completo grigio topo «è per il battesimo» e con professionalità e sicurezza continuò verso la sua postazione.

    Si mise seduto con rapidità guardandosi fiero attorno, come chi ha perfettamente il controllo della situazione. Non tolse neanche la giacca, come se quella fosse il simbolo del suo status. Mentre digitava le credenziali di accesso al gestionale sentì tirare il tessuto dietro la schiena: non era un granché quel vestito, doveva ammetterlo, comprato a 99 euro da Zara. E poi – pregò il suo cervello di ammetterlo – l’abbonamento annuale fitness + piscina stava dando ottimi risultati dal punto di vista del torace. Restava comunque single.

    Tolse la giacca e la appoggiò sullo schienale della sedia girevole senza alzarsi in piedi. Sapeva il nome di gran parte della gente che lo circondava nel raggio di cinque metri: Sara era con me nell’altro team, Natalia è una chiacchierona, Claudia non fa mai un errore, Giada è fica, Giacomo non l’ho mai sentito parlare e dubito che parli con i clienti al telefono, ma se lo tengono ancora qui un motivo ci sarà.

    Gettò una rapida occhiata a

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