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La terza Rosa
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E-book136 pagine2 ore

La terza Rosa

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Info su questo ebook

Rosa, la bella Rosa, succube del suo passato, schiava della eredità della sua famiglia.
In questo racconto ci sono alcune domande desiderose di risposte:
- se la famiglia venisse disgregata, resterebbero intatte le relazioni fra generi e quelle tra generazioni e stirpi?
- le responsabilità della generazione che precede, vengono addebitate su quella che segue come un imprinting genetico che marchia la successiva generazione?
Noi siamo il frutto ed il totale delle generazioni passate: i loro malesseri, le loro frustrazioni ma anche le loro gioie si sommano in noi.
L’autore ha voluto finalmente mettere su carta e rendere pubbliche delle vicende lontane nel tempo, avvenute in una famiglia qualunque, una famiglia che ha attraversato i lustri silenziosamente.
LinguaItaliano
Data di uscita2 gen 2017
ISBN9788822884077
La terza Rosa

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    Anteprima del libro

    La terza Rosa - Germano Romano

    La casa nella valle.

    Finalmente ero in macchina, in viaggio. Mi lasciavo cullare dalle curve della strada che correva, sinuosa, nella stretta vallata fra basse colline coperte di pini. Ero tranquillo, come sempre mi succede quando mi trovo a guidare fuori dal traffico. Mi aveva preso una strana voluttà, che però non impediva alla mia mente di ritornare, testarda, agli ultimi avvenimenti dalla mia vita.

    Era un giorno di inizio primavera, in cielo si addensavano dei nuvoloni neri, che, se non altro, avevano il merito di distrarmi dai miei pensieri. Presagivo che il temporale che si stava formando avrebbe rovinato il mio arrivo alla casa, quindi accelerai, per quanto la strada lo consentisse, cercando di battere sul tempo la burrasca, ma più mi avvicinavo alla meta e più i nuvoloni minacciavano di trasformarsi in un vero e proprio temporale. Iniziai ad irritarmi, a premere sull’acceleratore finché potevo per arrivare più in fretta.

    Passai davanti ad alcune case sparse che immaginai dovessero essere molto simili a quella che mi aspettava. Anche la mia avrebbe avuto quell’aspetto così accogliente.

    Voltai a destra su una strada sterrata e finalmente mi parve di scorgerla da lontano, non poteva che essere quella, l’ultima del sentiero in terra battuta. Percorsi qualche centinaio di metri e mi trovai davanti a una casa dal tetto eccessivamente inclinato, con tegole di varie sfumature di marrone e le pareti bianchissime sulle quali risaltavano le persiane, anch’esse di colore marrone scuro. La riconobbi, anche se con ricordi molto sfumati; era lo sfondo di alcune foto di famiglia. Il giardino tutt’intorno era spoglio, come se fosse abbandonato da anni nonostante abbiamo sempre avuto un giardiniere che, anche durante la nostra lunga assenza, avrebbe dovuto prendersi cura del giardino. Notai, però, che neanche l’erbaccia vi era cresciuta, quasi che la siccità si fosse accanita solo su quel fazzoletto di terra. Le altre case nelle vicinanze, infatti, avevano giardini curati, pieni di fiori e piante.

    Scesi dall’auto proprio mentre i primi goccioloni di pioggia stavano cominciando a cadere. Mi affrettai a portare in casa quasi tutto il bagaglio e feci appena in tempo a chiudere trafelato l’uscio che si scatenò una bufera di vento, grandine e fulmini. Una volta al coperto cominciai ad aprire valige e borse; lasciai per ultima la borsa in tela che conteneva le decine di candele profumate con le quali amo illuminare le tranquille serate in casa, e che avevo portato con me. Mi investì un misto di aromi delle più varie essenze e colori. Le disposi nei punti strategici della sala, ma non le accesi, c’era ancora abbastanza luce.

    Bensì mi potei dedicare ad esaminare un po’ più approfonditamente tutto lo spazio attorno a me.

    Incominciaci a gironzolare per la casa in maniera sparsa, senza pianificare un inizio. Era una casa nella quale avevo vissuto per un breve periodo della mia infanzia, e rivedere quei luoghi mi faceva tornare in mente ricordi assopiti e ricordi forse inventati dalla mia fantasia da adulto che cercava di rielaborare avvenimenti rimasti nel mio inconscio.

    Nel soggiorno rimasi sorpreso di vedere una antica sedia a dondolo posta in maniera inusuale nel bel mezzo della stanza e con affianco un lume, anch’esso in posizione inusuale. Che strano pensai, la stessa sedia a dondolo posta strambamente al centro della stanza nella casa dove ero vissuto con mia madre! Fra le varie suppellettili del soggiorno, mi colpirono particolarmente alcune fotografie appoggiate sul tavolino a tre gambe davanti al divano. Sembravano molto vecchie ed erano protette da cornici in argento o in legno. Una, in particolare, la più vecchia, ritraeva una donna bruna con un bimbo di pochi mesi in braccio. Forse una bambina, poiché mi pareva di intravedere dei nastrini tra i suoi capelli. La donna aveva uno sguardo sinistramente felice, ma che, in realtà, trasmetteva inquietudine, timore.

    Una seconda immagine ritraeva un’altra donna, questa volta con capelli più chiari -forse rossi, o biondi, difficile capirlo da una foto in bianco e nero, molto somigliante alla prima. Anche in questo scatto erano presenti dei bambini: uno, neonato, in braccio alla donna e un altro, dall’apparente età di sette, otto anni, che sbirciava il fotografo quasi nascosto dietro la gonna della madre. Questa foto poteva risalire agli anni Venti o Trenta a giudicare dal vestito della donna e dal taglio dei capelli alla garçonne.

    Queste foto erano un piacevole ricordo per me. Ricordo solo vagamente che una volta le trovai esplorando, quando ero piccolo, in un cassettone di mia madre, uno di quei cassettoni pieni di oggetti del passato. Rimasi colpito dal fatto che mia madre mi disse di riporle e di non toccarle più perché erano oggetti che lei voleva conservare nascosti, come dei ricordi da non esibire. Non so perché, ma rimasi dispiaciuto che quelle persone dovevano rimanere nella oscurità, chiuse in un cassetto, ma tant’è, mia madre decideva tutto. Mi meravigliai, nel vederle esposte sul tavolino, disattendendo alle disposizioni di mia madre.

    Diedi per scontato, che le due donne che avevo osservato in foto, rappresentassero due generazioni della stessa famiglia. Fra le tante cornici ce n’era un’altra con la foto in bianco e nero, a me già nota: era quella dei miei genitori appena sposati. Mia madre indossava un abito bianco su cui spiccavano i capelli rossi, che erano rimasti impressi nella mia memoria. La stessa foto la conservavo anche nel mio album, ma non mi sorpresi di vederla lì. Questa casa era pur sempre appartenuta alla famiglia di mia madre.

    Avevo deciso di tornare in questa casa quasi per caso. Dopo la morte di mia madre dovevo decidermi a prendere una decisione su questa casa, faceva parte della eredità spettata a me. Volevo viverci io o volevo lasciarla chiusa come lo era da tempo? Questi giorni di riposo mi avrebbero aiutato nella mia scelta.

    Tornai a esaminare la foto più antica, quella con la donna bruna con il bambino in braccio. Mi sentivo osservato dal suo sguardo profondo, era come se volesse parlarmi. Mi incantai a guardarla: magra, di carnagione diafana, con i capelli un po’ arruffati. Pensai a quegli istanti di vita e a quelle esistenze inghiottite dal tempo, sentendomi, con il mio sguardo distaccato, quasi un profanatore. Mi ripresi da quei pensieri e decisi di andare a rinfrescarmi in bagno. Mi spogliai e osservai la mia immagine riflessa dal grande specchio con cornice in legno sopra il lavandino, una volta tanto riuscii a non essere molto severo con me stesso e con le mie poche rughe.

    Volevo farmi la doccia, ma mi dava fastidio quella polvere sparsa un po’ dappertutto. Nervosamente cercai il detersivo, che fortunatamente avevo previsto di portare con me, e usando una tovaglietta da bagno, in fretta e malamente, ripulii alla meglio il bagno, almeno per darmi la volontà di utilizzarlo.

    Mi buttai, quindi , sotto la doccia; non c’era acqua calda e non avevo idea di dove fosse lo scaldabagno ma fortunatamente quell’inizio di primavera era più caldo del normale.

    Mentre ero sotto l’acqua, mi parve di sentire la porta d’ingresso sbattere. Chiamai dal bagno verso un eventuale ospite sconosciuto, forse il giardiniere o comunque qualcuno che custodiva la casa in nostra assenza? Non uscii subito dalla doccia, sapevo che mia madre aveva affidato le chiavi ad un suo vecchio conoscente. Però la sensazione di aver udito la porta sbattere era molto forte.

    Finii almeno di sciacquare via il sapone, quindi afferrando in mano l’asciugamano uscii dal vano doccia silenziosamente, e feci capolino dalla porta del bagno verso l’ingresso, ma niente, nell’ingresso non c’era alcun segno di presenza estranea. Rumori dall’esterno, forse il temporale, pensai per farmi coraggio. Andai oltre, impaurito decisi di indossare almeno un pantalone e di afferrare un oggetto che potesse servirmi da arma di difesa nel caso scovassi qualcuno in casa. Non avendo niente a disposizione nelle immediate vicinanze, e capendo di non avere neanche tempo per vestirmi e procurarmi un’arma, decisi di coprirmi con l’asciugamano e di correre direttamente fuori casa. Così feci, ma uscendo vidi il portaombrelli all’ingresso, lo afferrai portandolo con me. Il portaombrelli, se pur di modeste dimensioni, almeno era di ferro e se lo avessi usato come arma, avrei potuto mettere fuori combattimento lo sconosciuto in un sol colpo. Giunto fuori, tranquillizzato un po’ dalla possibilità che avevo ora di poter gestire meglio la mia difesa, urlai in direzione della casa verso il probabile intruso intimandogli di uscire e di farsi vedere, chiunque fosse. Mi rispose il silenzio. Pensai di andare sul retro nonostante piovesse, tanto ero già bagnato. Ero scalzo, ma poco importava, andando sul retro non solo avrei potuto perlustrare quella zona, ma avrei anche dato la possibilità al probabile intruso di scappare senza una colluttazione, nonostante la fiducia che malamente avevo nel portaombrelli come arma di difesa. Feci il giro della casa avendo sempre uno sguardo sul viale d’ingresso, finché tornai al punto dipartenza davanti alla porta senza aver visto nessuno scappare. Entrai in casa in maniera più decisa, ero irritato per questa perdita di tempo e per tutto questo trambusto, con il portaombrelli in mano, ma anche con una sopraggiunta necessaria rabbia per difendere il mio territorio, perlustrai tutta la casa. Alla fine fortunatamente non trovai nessuno. A quel punto me la presi con me stesso. Che stupido che ero stato…. Tutto questo trambusto per nulla. Beh, - poi mi dissi per giustificare il mio allarmismo - nulla proprio no, qualcun altro aveva le chiavi della casa: il giardiniere, che io nona avevo mai conosciuto. Mi rivestii sentendomi più a mio agio in quel territorio che avevo poco prima riacquistato con la mia sceneggiata.

    Decisi di accendere le candele sistemate poco prima e di tentare di rilassarmi, nonostante la violenza della burrasca. Presi dal sacchetto il cibo che mi ero procurato prima di partire e mi misi a mangiare steso sul divano. Di fronte a me, dal tavolino, le foto mi guardavano. Questa volta, però mi pareva che la donna nella foto più vecchia, volesse dirmi chiaramente che lei era ancora la padrona lì. Era una presenza reale, che mi faceva sentire un ospite in quella casa. Fui assalito da uno strano senso di inquietudine e di disagio. Si era fatta sera, per cui decisi di concludere la serata leggendo un libro e di provare a dormire dopo il lungo viaggio di quella giornata; ma prima mi assicurai che le porte e le finestre fossero ben chiuse. Difficilmente trascorro le mie serate in casa, se lo faccio, è sempre per un motivi maggiori. Mia madre mi ripeteva sempre che io ero come un lupo della foresta, non mi fermo mai nella mia tana, ed anche quella volta avrei voluto andare nel paese vicino, e conoscere ed esplorarne gli abitanti.

    Mi stesi sul divano e cercai di farmi venire sonno avvolgendomi nel copridivano, non avevo voglia di andare in cerca di lenzuola, plaid o letti. Lasciai solo un paio di candele accese e finalmente mi rilassai, iniziando a godere del torpore che mi aveva avvolto quasi subito, e anche se mi sentivo costantemente sotto lo sguardo della donna nella foto, ero tranquillo e protetto come una tartaruga nel suo carapace. Mi addormentai. Fu un

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