La casa dei fantasmi/The Haunted House
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Charles Dickens
Charles Dickens (1812-1870) was an English writer and social critic. Regarded as the greatest novelist of the Victorian era, Dickens had a prolific collection of works including fifteen novels, five novellas, and hundreds of short stories and articles. The term “cliffhanger endings” was created because of his practice of ending his serial short stories with drama and suspense. Dickens’ political and social beliefs heavily shaped his literary work. He argued against capitalist beliefs, and advocated for children’s rights, education, and other social reforms. Dickens advocacy for such causes is apparent in his empathetic portrayal of lower classes in his famous works, such as The Christmas Carol and Hard Times.
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Anteprima del libro
La casa dei fantasmi/The Haunted House - Charles Dickens
I LEONCINI
frontespizioCharles Dickens
La casa dei fantasmi
ISBN 978-88-9296-768-7
© 2021 Leone Editore, Milano
Traduttore: Andrea Cariello
www.leoneeditore.it
I mortali nella casa
ENG
Il mio primo incontro con la casa, che è il soggetto di questo racconto di Natale, non avvenne né nelle classiche circostanze spettrali, né nelle tipiche ambientazioni spettrali. La vidi alla luce del giorno, illuminata dal sole. Non c’erano vento, pioggia, fulmini, tuoni né alcuna circostanza insolita a inasprirne l’effetto. Per di più, ero giunto lì direttamente da una stazione ferroviaria. Non distava più di un miglio dalla stazione e, da fuori, guardando la strada che avevo fatto, riuscivo a vedere il treno merci percorrere lentamente la valle, lungo l’alzaia. Non voglio dire che tutto fosse totalmente ordinario, perché dubito che qualcosa possa esserlo, salvo per le persone totalmente ordinarie… Ed è qui che interviene la mia vanità. In ogni caso, mi assumo la responsabilità di dire che chiunque potrebbe vedere la casa come la vidi io, in una qualsiasi bella mattina d’autunno.
Ecco come mi ci imbattei.
Ero in viaggio verso Londra venendo da nord e avevo intenzione di fermarmi lungo il tragitto per dare un’occhiata alla casa. Il mio stato di salute richiedeva una sosta in campagna, e un mio amico che ne era a conoscenza, e a cui era capitato di passare dalle parti della casa, me l’aveva suggerita come possibile alloggio. Ero salito sul treno a mezzanotte e mi ero addormentato. Poi mi ero svegliato, mettendomi a guardare fuori dal finestrino la luminosa aurora boreale nel cielo. Poi mi ero svegliato di nuovo per scoprire che la notte era terminata, con la mia solita insoddisfatta convinzione di non aver dormito affatto. E su tale questione, nell’iniziale rintronamento di quella mia condizione, mi vergogno di credere che avrei potuto sfidare a duello il tizio che mi sedeva di fronte. L’uomo di fronte – come succede sempre per chi ti sta di fronte – aveva avuto per tutta la notte diverse gambe di troppo, e tutte troppo lunghe. In aggiunta a questo irragionevole comportamento (che era proprio quello che ci si sarebbe aspettato da lui), aveva una matita e un taccuino, e aveva passato tutto il tempo ad ascoltare e prendere appunti. Mi era parso che questi fastidiosi appunti avessero a che fare con i sobbalzi e gli scossoni della carrozza. Mi sarei anche potuto rassegnare alle sue annotazioni, nella vaga impressione che lavorasse nel campo dell’ingegneria civile, se non si fosse messo a fissare la mia testa ogni volta che restava in ascolto. Aveva gli occhi a palla, l’aria perplessa, e il suo comportamento divenne insopportabile.
Era un mattino freddo e spento (il sole non era ancora sorto), e dopo aver visto svanire l’evanescente luce dovuta ai fuochi della campagna del ferro e la cortina di fumo denso che si era frapposta all’improvviso fra me e le stelle e fra me e il giorno, mi voltai verso il mio compagno di viaggio e dissi: «Chiedo scusa, signore, trova qualcosa di particolare in me?». Infatti sembrava davvero che prendesse appunti o sul mio cappello da viaggio o sui miei capelli, con una dovizia di particolari che era un eccesso di confidenza.
L’uomo dagli occhi a palla distolse lo sguardo da dietro di me, come se il fondo della carrozza fosse lontano un centinaio di miglia, e con uno sguardo altezzoso di compassione per la mia insignificanza disse: «In lei, signore? – B».
«B, signore?» dissi io, iniziando a scaldarmi.
«Non ho niente a che spartire con lei, signore» replicò l’uomo. «La prego, mi lasci ascoltare. – O.»
Pronunciò quella vocale dopo una pausa, poi l’annotò.
Inizialmente mi allarmai, poiché trovarsi con un tizio chiaramente pazzo e non poter comunicare con il capotreno è una faccenda seria. Mi sollevò il pensiero che quel tipo potesse essere uno di quelli che generalmente vengono definiti Chiacchieroni, una setta per i cui appartenenti (non tutti) nutro il massimo rispetto, ma a cui non do credito. Stavo per porgli la domanda, quando mi batté sul tempo.
«Mi scuserà» disse l’uomo con sdegno «se mi pongo troppo al di sopra dei comuni mortali per curarmi di loro. Ho passato tutta la notte – come faccio ormai con tutto il mio tempo – in contatto con gli spiriti.»
«Oh!» replicai, un po’ stizzito.
«I colloqui di stanotte sono iniziati» proseguì l’uomo sfogliando diverse pagine del suo taccuino «con questo messaggio: Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi
.»
«Giusto» dissi «ma è una novità?»
«Se viene dagli spiriti, lo è» replicò lui.
Potei soltanto ribadire il mio «Oh!» piuttosto stizzito e chiedere se potevo avere l’onore di conoscere l’ultima comunicazione.
«Meglio un uovo oggi» disse l’uomo, leggendo l’ultimo appunto con tono molto solenne «che una papera domani.»
«Sono dello stesso avviso» commentai. «Ma non dovrebbe essere una gallina?»
«A me è stata comunicata una papera» ribatté l’uomo.
Poi quel tizio mi informò che lo spirito di Socrate aveva comunicato questa speciale rivelazione durante la notte. «Amico mio, spero si senta bene. Ce ne sono due in questo scompartimento. Come si sente? Ci sono 17.479 spiriti qui, anche se non può vederli. C’è Pitagora. Non è libero di dirlo, ma spera che le piaccia viaggiare.»
Aveva fatto un salto anche Galileo, con quest’informazione scientifica: «Sono lieto di vederla, amico. Come sta? L’acqua congela quando è sufficientemente fredda. Addio!». Durante la notte, inoltre, avevano avuto luogo i seguenti fenomeni. Il vescovo Butler aveva insistito sul fatto che il suo nome si scrivesse «Bubler» e per questo affronto all’ortografia e alle buone maniere era stato allontanato perché fuori di sé. John Milton (sospettato di deliberata mistificazione) aveva ripudiato la paternità del Paradiso perduto, e aveva presentato, come co-autori del poema, due sconosciuti di nome Grungers e Scadgingtone. E il principe Arturo, nipote di re Giovanni d’Inghilterra, aveva detto di sentirsi piuttosto a suo agio nel settimo cerchio, dove imparava a dipingere sul velluto sotto la guida di Mrs Trimmer e di Maria regina di Scozia.
Se queste righe dovessero cadere sotto l’occhio del tizio che mi concesse il privilegio di tali rivelazioni, confido che mi scuserà se confesso che la visione del sole sorgente e la contemplazione del magnifico ordine del vasto universo mi resero impaziente di ascoltarle. In una parola, ne ero talmente impaziente che fui immensamente felice di scendere alla stazione successiva e barattare tali nuvole e vapori con l’aria libera del paradiso.
A quel punto era già un bel mattino. Mentre camminavo fra le foglie che erano già cadute dagli alberi color oro, marrone e ruggine,