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La Barrantana
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E-book189 pagine2 ore

La Barrantana

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Info su questo ebook


Mentre ispeziona la soffitta della casa della nonna deceduta a Striera, Gianluca apre un cassetto di una vecchia credenza e vi trova, sorprendentemente, un manoscritto dove vengono narrate le vicende di alcune streghe che hanno vissuto in quella piccola frazione di Albisola nel 1700.
La Barrantana era fra le sorelle la più bella e la più intelligente, abile guaritrice mal sopportava di essere considerata una strega, buona per una sveltina o le volte che bisognava farsi curare i malanni del corpo o della mente quando erano insopportabili. Per questa ragione, ma non solo, l'odio l'ha trasformata in una vera strega, lamia maledetta e vendicativa dal cui empio ventre sono nati i temibili basilischi, progenie crudele e ambiziosa dal sangue velenoso. Questa storia si intreccia con gli avvenimenti che sono avvenuti in Liguria in quegli anni: l'invasione e la conquista di Genova da parte dell'esercito austro-piemontese, le battaglie nell'entroterra savonese durante la campagna Napoleonica e le scorribande dei pirati.
Alla fine del libro la nonna di Gianluca confida al nipote un segreto. Una terribile confessione e nel contempo una dichiarazione d'amore.
 
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2021
ISBN9788869632730
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    Anteprima del libro

    La Barrantana - Mirko Micheletti

    Mirko Micheletti

    LA BARRANTANA

    Elison Publishing

    © 2021 Elison Publishing

    Tutti i diritti sono riservati

    www.elisonpublishing.com

    ISBN 9788869632730

    Strega, strega comanda colore

    i ragni sotto il cuscino

    intessono storie di memorie vizze.

    Strega comanda colore

    di che colore è la notte

    il nero nasconde le ombre

    non ha forme

    il bianco possiede i colori del giorno

    non cela il mistero appresso lo sterno.

    Strega, strega che ti svegli alla sera

    lasciandomi sotto il cuscino

    il colore agrodolce del bambino.

    Eppure la tua carezza

    è il fiore di tarassaco che sfiora la mia guancia

    la cenere bionda dei tuoi capelli

    il colore del mio pianto.

    PROLOGO

    RITORNO A CASA

    Ritorno al vecchio borgo, ai posti dove ho trascorso la mia infanzia. Questo potrebbe essere l’ultimo viaggio che compio in questi luoghi. Sono tornato per formalizzare la vendita dell’immobile che ho ereditato da mia nonna. La sua vecchia casa è l’ultimo legame che mi rimane con il paese dove sono nato. Forse è per questo motivo che sento la necessità impellente di rivisitarla per l’ultima volta.

    Scendo dal treno ad Albisola in compagnia della mia vecchia e inseparabile mountain bike. Sono in largo anticipo rispetto all’appuntamento che ho preso con il notaio. Ed era quello che volevo, perché così mi resta tempo a sufficienza per ripercorrere strade che non attraverso più da parecchi anni. Per lo scopo ho deciso di servirmi della mia vecchia e inseparabile bicicletta. Ho bisogno di spostarmi lentamente per dar modo ai ricordi di riaffiorare dai luoghi che intendo rivisitare.

    Appena esco dalla stazione il primo edificio che attira la mia attenzione è l’antica chiesa romanica di San Pietro circondata dai ruderi della villa romana. Ed è proprio appresso a loro che ho baciato per la prima volta mia moglie. Inizio a pedalare in direzione di Albisola Superiore. Il centro storico è rimasto fortunatamente inalterato. Villa Gavotti, splendida costruzione in tipico stile ligure nel cui giardino/boschetto si può vedere una splendida statua raffigurante Ercole in lotta con il leone Nemeo, mi lascia letteralmente a bocca aperta. Avevo dimenticato quanto fosse bella. Le antiche crose del centro storico si intersecano attorno alla villa seguendo il corso del Rio Basco. Il millenario ponte romano in pietra che lo attraversa è ancora perfettamente integro. La sua antica solidità si burla dei moderni viadotti (come il famigerato ponte Morandi) che senza apparente ragione crollano provocando morte, distruzione, sconcerto e dolore. Poco distante, in posizione predominante, si trova l’imponente chiesa di San Nicolò. In cima al poggio alle sue spalle sorge il Castellaro, fortificazione le cui mura perimetrali ricordano il profilo di una nave. Quando ero un bambino spesso insieme ai miei amici mi incamminavo sul sentiero che parte vicino alla chiesa per raggiungere la fortificazione attraversando terrazzamenti coltivati. Terre strappate alla roccia e alla voragine dall’intraprendenza e dalla testardaggine dei taciturni e aspri liguri. Non è raro che il territorio e la popolazione che lo abitano si assomiglino e la Liguria e i Liguri non fanno eccezione. La marcia che mi condurrà a Ellera prosegue attraversando la vallata ove si trova l’abitato di Luceto. Poco prima di giungere in questo quartiere riconosco alla mia sinistra il Pin du ciulla, secolare pino di generose dimensioni che se potesse parlare avrebbe un sacco di storie da narrare al riguardo degli abitanti della zona. Praticamente tutti i residenti sono stati osservati dalle fronde di questo albero che viene considerato dalla gente del luogo alla stregua di un amico fedele e, fortunatamente, taciturno. Gli Albisolesi venerano questo albero secolare, perché lo credono magico. Si vocifera, sempre a bassa voce, che lo spirito di una strega alberghi all’interno della sua corteccia. Per questo motivo nessuno dei cittadini si è stupito più di tanto quando hanno constatato che l’unico albero risparmiato dalla deforestazione attuata per far spazio al cantiere per la costruzione dell’Aurelia bis sia stato proprio quel pino. Cantiere tuttora chiuso e nessuno sa dire quando e se potrà riaprire. Chi è superstizioso non ha dubbi sul fatto che forze occulte stiano ostacolando la costruzione della strada.

    La vegetazione, man mano che salgo la collina, diventa sempre più fitta. Il verde diventa il colore predominante e pare quasi voglia far sparire le poche costruzioni umane rimaste. Queste si trovano abbarbicate in zone impervie a strapiombo sul Sansobbia. Sulle rive di questo fiume alluvionale si possono ancora scorgere i resti di alcuni mulini ad acqua usati in passato per macinare vernici e colori che servivano come decori per le ceramiche. In alcuni casi sono ancora visibili i beudi che conducevano l’acqua alla ruota. Giungo dopo un poco di fatica finalmente all’abitato di Ellera dove sono nato e dove ho trascorso la mia infanzia.

    Ma non mi fermo, anche se ne sono tentato. Ellera, che è un piccolo grappolo di abitazioni strette una all’altra, pare spiarmi dietro ai suoi scuri, che nel riconoscermi sembrano piangere. L’umidità disegna sulle facciate delle case i colori dell’autunno e questo quadro così vero, ma allo stesso tempo fuori dal tempo, meriterebbero una mia sosta. So che mi perderei in vicoli stretti e ripidi dove da bambino spesso giocavo a pallone. Solo ora mi accorgo che non ho mai smesso di correre, in qualche modo per tutta la vita ho sempre inseguito qualche cosa che rotola, rimbalza, cambia improvvisamente di direzione, così da diventare imprendibile, nonostante i miei sforzi.

    Resisto alla tentazione di fermarmi perché voglio giungere al più presto in località Striera. È l’ultima occasione che mi rimane per salutare la casa di mia nonna, la casa dove da bambino spesso ho trascorso le mie giornate. Mi sembrava che quel periodo felice dell’infanzia non dovesse passare mai, era un po’ come il pallone che inseguivo nei vicoli, apparentemente eravamo inseparabili, ma il tempo non perdona, è un arbitro inclemente, non vuole sentire ragioni. Quando decide che devi uscire dal campo da gioco non puoi far altro che avviarti in direzione degli spogliatoi per cambiarti d’abito. Iniziano sempre così le nuove stagioni della vita.

    All’epoca avevo dieci anni e come al solito mi trovavo nella soffitta della casa della nonna. Ci trascorrevo interi pomeriggi perché era un luogo magico, un posto dove potevo trovarvi oggetti e utensili bizzarri che non si vedevano nelle altre case. E poi mi piaceva perché era intima. L’unica finestra che possedeva quella stanza si affacciava sui boschi intorno a Ellera, così potevo sorprendere gli animali quando di tanto in tanto balzavano fuori dai boschi. La natura, tanto rigogliosa quanto meravigliosa, mi circondava trasmettendomi un profondo senso di pace. Tutto era armonia e tranquillità in quel luogo. La nonna, per quel che ne sapevo, era sempre vissuta lì e non si era mai allontanata da Striera, nemmeno per scendere nel vicino abitato di Ellera. Era talmente legata a quel luogo che non veniva nemmeno a trovarci. Dovevo salire da lei insieme a mia madre per vederla. Era fatta così, era una donna all’antica, parlava solo in dialetto e se qualcuno provava a parlargli in italiano diceva di non capire (o forse, più probabilmente, faceva solo finta di non comprendere).

    Quel giorno ero particolarmente attratto da un cassetto che non ero mai riuscito ad aprire perché fuori dalla mia portata, anche a causa della mia bassa statura. Mi arrovellai, per un intero pomeriggio, al fine di trovare una soluzione che mi permettesse di raggiungerlo. Quel giorno realizzai la mia prima vera opera ingegneristica. Costruii con sgabelli, sedie e vari ripiani, una specie di torretta. Con non poca incoscienza mi arrampicai su di essa riuscendo miracolosamente ad aprire quel famigerato sportello. Al suo interno, con mia sorpresa, ci trovai un libro. Era un volume nel quale vi erano descritti strani rituali corredati da immagini farcite da simboli misteriosi, molto inquietanti. Inoltre vi erano enunciate formule magiche che, se recitate in particolari momenti della giornata, promettevano a chi le leggeva a voce alta di trasformarli in un barbagianni o in un gatto. Ero molto sorpreso di aver trovato un tomo simile in casa di mia nonna. Improvvisamente quel luogo, che fino a quel momento mi era sempre stato caro e rassicurante, mi divenne estraneo e ostile. Guardando fuori della finestra i boschi mi apparivano diversi. Non riuscivo più a immaginarli come dei parchi giochi pieni di animali con cui giocare, ma ai miei occhi si erano trasformati in luoghi minacciosi, saturi di presenze malvagie. Persino i numerosi gatti che gironzolavano di continuo attorno all’abitazione di mia nonna non mi apparivano più come degli amici inseparabili, li consideravo piuttosto alla stregua di esseri immondi capaci di trasformarsi all’improvviso con il bieco fine di rapirmi. Avevo paura e mi sentivo a disagio. Volevo tornare da mia madre, così mi precipitai giù dalle scale. Dovevo avere una faccia molto spaventata perché la nonna, vedendomi, si accorse subito che ero terrorizzato.

    – Gianluca, come mai stai scappando? Cosa hai trovato di così terribile in soffitta?

    – Ehm, niente nonna. Mi sono appena ricordato che devo fare i compiti.

    E lei di rimando, ridendo divertita:

    – Ma cosa sentono le mie orecchie! Da quando sei diventato uno scolaro modello? Dai, sono tua nonna, non prendermi in giro. So bene che piuttosto che fare i compiti preferiresti darti per ammalato.

    – Se devo proprio essere sincero, in soffitta ho trovato un libro che descrive e illustra cose molto strane e inquietanti. Non so perché lo hai tu. Ho pensato che forse, insomma, che forse è perché sei una strega. Anche perché, a pensarci bene, nonna tu sei brava, ma un poco strana. Non ti muovi mai da qui, vivi in questa casa isolata ubicata in mezzo ai boschi. Per giungere da te bisogna salire da un’erta ripidissima che pochi hanno il coraggio e la forza di affrontare. E che dire di quei lunghi sacchi battesimali di iuta azzurra o rosa che penzolano da lunghe radici scoperte che ancorano gli alberi a ripide voragini di roccia viva? Ho controllato che cosa contengono. Al loro interno vi sono delle uova di alabastro con sopra incise delle preghiere. Sono ancora piccolo, ma ho capito che grazie ad esse gli abitanti del luogo raccomandano il nascituro alla Madonna affinché venga risparmiato dalle maledizioni delle streghe. Poi tutti questi gatti che circondano la tua casa e che adesso sospetto siano dei demoni. Inoltre, non hai mai voluto svelare alla mamma il segreto dei tuoi ravioli che sono così speciali che nessuno al mondo è capace di farli buoni come te. Non è che li farcisci con qualche ingrediente magico?

    La nonna scoppiò a ridere.

    – Ma Gianluca dimmi, quante notti hai dormito qui da me? Se fossi veramente una strega malvagia avrei già avuto molte occasioni per farti del male, non credi? E poi io vivo qui perché mi piace. Ci sono nata e ogni cespuglio che circonda questo luogo mi ricorda i miei cari genitori, non potrei vivere in nessun altro luogo. Quei sacchetti battesimali così particolari che hai visto sono una lunga e millenaria tradizione di questi posti che non ha un vero scopo di salvaguardia. La gente del luogo ha un legame viscerale con il proprio passato e quello è uno dei modi utilizzati per rievocarlo. Ed è per questo che vengono legati dei sacchetti a delle vere radici. Per quanto riguarda i gatti, lo sai bene che li adoro. Ed è per questo che gironzolano attorno a casa mia. Perché sanno che gli do da mangiare, mica sono scemi. Poi la ricetta dei ravioli speciali non l’ho mai voluta svelare a tua madre perché altrimenti ho paura che smettereste di venirmi a trovare. Sono vecchia, non ho ancora molti anni da vivere, e so bene che con la scusa dei ravioli, voi da me ci venite volentieri.

    – Scusami nonna, sono stato proprio uno stupido, ma tu non ti devi preoccupare di queste cose. Noi veniamo da te perché ti vogliamo bene, mica solo per mangiare i ravioli.

    – Grazie caro, sei proprio un amore. Non sei tu quello che si deve scusare, ma sono io quella che lo deve fare. Tu sei solo un bambino con tanta immaginazione. Ti voglio tanto bene anch’io.

    Il ricordo di quel giorno di tanti anni fa mi assale d’improvviso mentre con la mia mountain bike salgo per la severa erta che dalla strada provinciale si stacca verso Striera. Questa impegnativa salita mi rivela impietosamente che non sono più un ragazzino, così più volte sono tentato di tornare indietro abbandonando ignobilmente l’impresa. La fatica è quasi insopportabile e mi chiedo come abbia fatto mia nonna a trascorrere tutta la sua lunga esistenza in questo posto isolato, raggiungibile solo percorrendo questa stretta strada ripidissima. Giungo esausto finalmente a destinazione. Entro ancora ansimante nella vecchia casa la cui soglia non oltrepasso da decenni. Non posso fare a meno di pensare che ho passato troppo tempo lontano da questi luoghi, mi sono distratto e gli eventi mi hanno travolto. Le vicende della vita mi hanno allontanato da quelle cose che un tempo la definivano. Salgo in soffitta sperando ardentemente di ritrovarla così come era l’ultima volta che l’ho vista. È da tanto tempo che non ci torno, ma non mi delude. La ritrovo esattamente come era, e così eccomi di nuovo a vagare in questa vecchia stanza come quando ero bambino e mi sento felice come lo ero allora. Mi metto a cercare, con euforia insensata, il libro delle streghe. Sarà ancora nel cassetto della vecchia credenza? Adesso per aprirlo mi devo quasi accucciare e pensare che all’epoca mi pareva altissimo. Aprendolo in effetti ci trovo un libro, ma non è quello degli incantesimi. Più che un libro è il diario di mia nonna. La prima pagina è in pratica una lettera rivolta a me.

    "Caro Gianluca, ti ho scritto questo libro perché mi sentivo in dovere di darti alcune spiegazioni. Tu sai bene che il mio italiano è molto claudicante, così ti starai chiedendo come sia possibile che io abbia scritto questa lettera e tutte le pagine del racconto. In realtà io non ho scritto manco una riga. Ho solo raccontato la mia storia a un povero uomo che spesso viene in mountain bike a Striera a trovarmi. È un tipo bizzarro e allampanato, ti devo confidare che non mi pare molto sveglio. È un informatico, ma di computer non ne capisce nulla. Mai una volta che sia stato in grado di risolvermi qualche problema (ed è per questa ragione che non sono mai riuscita a scriverti una e-mail o a navigare in internet. Per me l’informatica è rimasta un mistero, una specie di stregoneria). Oltretutto, il bravo informatico, si crede un grande poeta e uno scrittore di talento. A me i suoi scritti mi hanno sempre fatto un po’ sorridere, ma

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