Grace, diario di un angelo
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Anteprima del libro
Grace, diario di un angelo - Alessandro Cadelano
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Romanzo
Quest’opera è il frutto esclusivo della fantasia dell’autore. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, deve considerarsi puramente casuale.
Foto realizzata da Roberto Lonis – robertolonis@alice.it
Modella : Giada Lezi.
Dedica
Grace,
diario di un Angelo.
Alessandro Cadelano
G.M.C.
Dedicato a mia moglie Patrizia e a mio figlio Nicolas,
un modo diverso per dirvi quanto vi amo.
A mio figlio ... Gian Marco
Sai Gian Marco, non è con i dubbi che si può vivere, e nemmeno sulla tua breve vita ne voglio avere, ma voglio andare avanti con le certezze che ho, come quella di sapere che ovunque ti trovi sei orgoglioso di mamma e papà e del tuo fratellino Nicolas, che nel loro piccolo cercano di far conoscere a tutti che un piccolo Angelo è passato in questo mondo anche solo per un breve saluto.
Nessun addio, ma solo un ciao, perché dietro questa piccola frase si nasconde un mondo infinito dove due prima o poi si ritroveranno.
Insieme alla buona notte, ti dico ciao Gian Marco, ciao figlio mio.
Per voi ... Donne
Dedico queste righe racchiuse in pochi fogli a tutti quelli che vogliono alzarsi, respirare la vita e ricominciare ad amarsi.
A quelle donne che non riescono a liberarsi da una continua violenza domestica, fisica e mentale.
A coloro che permettono alla paura di soffocare i propri sogni.
A tutti noi, che con le nostre lacrime ci ricordiamo di quanto siamo fragili e coraggiosi allo stesso tempo.
A te, che leggi …
Le domeniche dai parenti …
Trascorrevo la maggior parte delle mie domeniche infantili tra le quattro mura dei parenti. Era un vero e proprio rituale, un’occasione diversa per rendere allegra quella che sarebbe certamente stata una giornata solitaria, da figlia unica.
Ancor prima che venisse la mamma a svegliarmi, ero già in piedi davanti all’armadio a scegliere quale dei miei due vestiti preferiti indossare. Il primo era un vestitino lilla con tanti fiori, il secondo aveva disegnate delle rose e delle sfumature di giallo che rendevano il tutto magico: scelsi quest’ultimo.
La parte più complicata rimaneva sempre pettinare i miei lunghi capelli biondi. Mi sedevo davanti allo specchio della mia cameretta pensando a quello che sarebbe stata la mia giornata. Dopo una veloce colazione salivo in macchina sedendomi nei sedili posteriori aspettando per un bel po’ di tempo i miei genitori che, tranquillamente, si preparavano. Mi portavo sempre appresso il piccolo peluche di panda, mio inseparabile amico, che per il buffo aspetto avevo battezzato occhio nero.
Ero felice di andare a trovare i miei zii e cugini, ma, come in tutte le famiglie, anche nella mia c’era la cugina pestifera da temere, e la mia si chiamava Romina. Dispettosa, capricciosa. Qualsiasi cosa avessi tra le mani la pretendeva lei, tanto che mia madre, pur di farla tacere, l’accontentava sottraendomi giochi e cianfrusaglie. Tenevo stretto a me occhio nero così forte che se avesse avuto il dono della parola avrebbe urlato di mollare la presa per non soffocarlo.
Per fortuna la nostra era una sosta breve, giusto il tempo di salutare le sorelle di mamma e andarcene. Era quello il momento in cui la mia felicità schizzava alle stelle.
Mio padre, alla guida dell’auto, mi fissava dallo specchietto retrovisore e mi sorrideva: era il nostro segnale. Sapeva che il mio momento più atteso era giunto. La macchina imboccava infatti una stradina lunga e stretta di montagna che divideva in due il paese natale di mia madre. Fuori dalle finestre di ogni abitazione vi erano dei grandi vasi di lilla, mentre nei giardini lussureggiavano le numerose piante di limoni.
Alcuni murales dipinti nelle facciate delle case attiravano la mia attenzione; erano dei veri e propri capolavori che raccontavano la vita del possidente.
D’istinto aprivo il finestrino, un poco, giusto lo spazio necessario per tirare fuori la testa e annusare gli odori della natura.
«Siamo quasi arrivati Grace!». Ogni volta che mia madre pronunciava queste parole, una gioia immensa m’investiva. Sapevo che tra non molto avrei abbracciato nonna Mary, la mia migliore amica.
La macchina decelerava, poi, adagio, s’imbucava nell’aia di un enorme casolare. Eravamo arrivati! Con pochi colpi al clacson mio padre annunciava il nostro avvento.
La cascina era immensa. Una miriade di rose rosse e gialle facevano da ornamento al piazzale. Erano i fiori più amati da nonna Mary e l’ambiente ne era sempre traboccante. Più a sinistra, coperti da una piccola tettoia, c’erano degli animali: conigli e galline, in gran parte. Al centro, invece, circondato da un’aiuola fiorita, sostava immobile da anni il vecchio carretto di mio nonno. Aveva le sembianze di un monumento antico più che di uno strumento da lavoro. Peccato non averlo mai conosciuto il nonno: me lo hanno sempre descritto come un gran lavoratore, tanto che la sua bontà era così grande che fu costretto ad allontanarsi per dare una mano d’aiuto a Gesù, lassù in cielo. Di certo era uno dei migliori.
Un urlo spezzò quel silenzio, «Grace, piccola mia!».
La voce della nonna risuonava nel cortile e mi attirava come i botti dei fuochi d’artificio nelle feste paesane. Lei, uscita nell’aia, ci veniva incontro. Era una grande donna: capelli bianchi come le nuvole e mani delicate; non avevo le prove ma ero convinta che la nonna fosse una fata buona, non riuscivo infatti a spiegarmi come riuscisse a far tutto da sola in quella cascina sterminata, e poi cucinava in modo sublime.
Le correvo incontro attraversando il lungo cortile e dribblando le galline che scorrazzavano libere avanti e indietro.
Non potrò mai scordare il suo forte abbraccio ricco di calore e amore. Mi teneva stretta a sé così tanto che avrei voluto trascorrere tutta la giornata in quella posizione. Una volta entrati in casa mi rimpinzava con una marea di dolci: crostata di mele e cioccolata fatte in casa. La sera, quando giungeva il momento di andar via, non ero triste, sapevo che tra sette giorni l’avrei rivista, e questo bastava a darmi serenità.
Queste visite continuarono per anni, e mai passò una domenica senza che passassimo a salutare la nonna.
Una triste notizia …
Il tempo passava, ed io iniziai a frequentare il liceo.
Un lontano giorno d’inverno, per un motivo sfuggente, rimasi la sera sola in casa con la nonna. La legna dentro il focolare ardeva intensamente ed era impossibile sostare là accanto senza essere ustionati dal calore. Attorno a noi, come al solito, tanti vasi di rose per adornare una sala già bella di suo. Sorseggiavamo una tisana sedute attorno ad un tavolo e rimembravamo il mio vissuto di piccola peste. Era una serata allegra, fuori pioveva ma quella compagnia rendeva tutto perfetto.
Una telefonata interruppe i nostri discorsi. Rispose la nonna. Deposta la cornetta, mi comunicò che era stata la mamma a chiamare e avvisava che a causa del maltempo una piccola frana di fanghiglia aveva ostruito l’accesso al paese, di conseguenza sarebbe venuta l’indomani a prendermi. Avrei trascorso la sera fuori di casa, stupenda notizia pensai inizialmente, ma fu proprio quel giorno che conobbi la vera nonna Mary.
La serata proseguì serena. Cenammo presto, la nonna aveva le sue abitudini che nessuno avrebbe mai potuto rimuovere, e tra queste c’era la cena alle diciannove in punto. Pregammo prima di mangiare. Terminato, riordinammo e ci ritirammo nelle camere a riposarci. Il tempo andava peggiorando. Ero inquieta. I lampi illuminavano a giorno la