Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

2091
2091
2091
E-book188 pagine2 ore

2091

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Per salvarsi da una catastrofe Connor è in fuga con i genitori verso il bunker di famiglia. Rimasto solo in seguito a sfortunate e terribili circostanze e dopo aver vissuto poco più di un anno lì dentro, esce alla ricerca della madre. Le difficoltà e i pericoli che incontrerà lungo il suo cammino saranno molteplici e di una crudeltà inaudita; l’umanità, infatti, dopo l’apocalisse è regredita a uno stadio quasi primitivo. Riuscirà Connor a trovare sua madre, a scoprire la causa di tutto e donare a quel che resta dell’umanità una nuova prospettiva di rinascita?

A.V. Arnone nasce a Palermo nel 1991 dove vive fino all’età di 14 anni. In seguito si trasferisce a Roma con la famiglia. Sin da bambino gli animali hanno sempre fatto parte della sua famiglia e per questo nutre un profondo rispetto e amore per tutto il regno animale e per madre natura. Crescendo sviluppa uno spirito libero e creativo che userà in futuro per la realizzazione di questa sua prima opera.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2022
ISBN9788830660526
2091

Correlato a 2091

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su 2091

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    2091 - A.V. Arnone

    cover01.jpg

    A.V. Arnone

    2091

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-5011-4

    I edizione febbraio 2022

    Finito di stampare nel mese di febbraio 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    2091

    Illustrazioni a cura di Edoardo Alfieri

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile:

    Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere.

    Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    2091

    Strani rumori mi svegliarono nel cuore della notte. Spalancai gli occhi ed ebbi come la sensazione di essermi perso qualcosa, nei sogni. A farmi compagnia c’era solo l’ora proiettata sul soffitto dal mio nuovo orologio digitale che tenevo sul comodino: 3:47, 12 febbraio 2091. Avevo la bocca asciutta, riuscivo a sentire perfino le occhiaie sul mio volto; sentivo la testa pesante e avevo come la sensazione che qualcosa non andasse. Mi girai e rigirai nel letto con gli occhi così pesanti da non riuscire a tenerli aperti. Improvvisamente, voci dal piano di sotto mi strapparono via le ultime voglie che ancora avevo di dormire; erano i miei che stavano discutendo. Sentivo le loro voci ovattate arrivare a me attraverso le pareti, e il loro tono non prometteva niente di buono.

    In una frazione di secondo, la mia stanza fu pervasa dalla luce di un fulmine così intensa da farmi socchiudere gli occhi. Ebbi la sensazione di trovarmi nella stanza di qualcun altro. Il tuono seguì il fulmine come un gatto col topo, irruppe nella mia stanza con una prepotenza senza precedenti; come una bomba, mi strappò dal letto come se quest’ultimo mi avesse spinto fuori con forza disumana. Corsi fuori da quella stanza e mi diressi verso le scale, il ritratto del nonno che avevamo appeso in corridoio mi fissava con quel suo sguardo austero facendomi sentire a disagio come non mai. Sentivo odore di sigaretta salire dal piano di sotto, una cosa molto strana visto che mio padre aveva smesso di fumare da almeno dieci anni. Riuscivo a sentire qualcuno camminare avanti e indietro con passo svelto quando scorsi mio padre che si muoveva da una parte all’altra della cucina, una sigaretta in una mano e il suo zaino mimetico nell’altra. Camminando, con la sua corporatura atletica, che manteneva grazie al duro addestramento militare, produceva un suono sordo sul pavimento. Scesi di corsa le scale domandandogli cosa stesse succedendo ma non ottenni risposta. Era come se non mi avesse sentito, come se stesse annegando nei suoi pensieri. Giunto in fondo alle scale, vidi che c’era anche mia madre. Aveva uno sguardo che non le avevo mai visto, aveva paura. Fissava mio padre come se aspettasse una qualche rivelazione, lo fissava come se fosse un ultimo appiglio di salvezza a un’annunciata eternità di sofferenza – a dispetto della giovane età, era un ex soldatessa e già un illustre astronoma della NASA che lavorava spesso a progetti ed esperimenti tra i più importanti per la sicurezza della nazione –, ai piedi del tavolo notai il suo borsone da viaggio e un paio di sacchi a pelo. Mi bastò mettere un piede in quella cucina per capire che niente sarebbe stato più come prima, che la nostra vita stava per cambiare radicalmente. Appena mi vide si voltò verso di me con aria preoccupata.

    «Connor va’ di corsa a vestirti, andiamo al rifugio del nonno. E prepara lo zaino per la montagna…», nelle sue parole tutto il suo carattere dolce e determinato.

    Perplesso, obbedii senza fiatare, corsi su per le scale ed entrai nella mia camera: l’orologio segnava le 3:52.

    Avevo il cuore che batteva come un martello, mi guardai attorno come spaesato; mi fermai, chiusi gli occhi e presi qualche respiro a pieni polmoni. Accesi la luce e mi arrampicai sulla sedia per arrivare alla parte alta del mio armadio a muro, mi allungai fino quasi a stirarmi i muscoli, quindi afferrai il mio zaino da escursione.

    La tela ruvida e usurata mi riportò alla memoria tanti bei momenti passati insieme ai miei genitori. Erano appassionati di escursioni ed esperti di tecniche di sopravvivenza; mi avevano insegnato un mucchio di cose: dall’accendere un fuoco, a riuscire a orientarmi con le stelle. A guardarlo si capiva che ne aveva passate di tutti i colori, era pieno di tagli e piccoli strappi e aveva un odore che difficilmente riuscirei a descrivere: un misto di terra bagnata ed erbe selvatiche.

    In alto sulla tasca superiore, riconobbi il profondo taglio lasciato quella volta che mi arrampicai sulla grande quercia in giardino, rovinai per diversi metri prima di rimanere impigliato tra due rami a un paio di metri da terra. Nel momento stesso in cui la stoffa cedette, mio padre fu pronto a prendermi, mi inseguì poi per tutto il giardino per essermi arrampicato troppo in alto.

    Tornato da quell’uragano di ricordi, afferrai il sacco a pelo, una giacca antivento, un acciarino, una bussola, una corda e il coltello che mi aveva regalato il nonno, indossai gli abiti che avevo lasciato la sera prima sul mio secondo armadio: la sedia, calzai gli scarponcini per le escursioni, chiusi lo zaino, lo indossai e uscii dalla camera dandole un’ultima occhiata, sperando, mentendo a me stesso, che l’avrei rivista presto. Mi fiondai giù per le scale, cercando di capire perché i miei fossero tanto agitati. Non li avevo mai visti così preoccupati, soprattutto mio padre, abituato com’ero, al suo carattere forte, alla sua rigidità e testardaggine.

    Giunto alla porta d’ingresso, la aprii, mi girai ed esitai un paio di secondi, quasi percepissi che quella casa non l’avrei mai più rivista. Posai lo sguardo sullo studio, dove mamma si rinchiudeva a lavorare o a osservare le stelle, e dove molte volte, quando ero piccolo, rimanevo anche io a farle compagnia per ore, quando papà era in missione, ascoltando affascinato quel che mi raccontava su pianeti, sistemi solari, galassie e tutte le meraviglie dello spazio; sul soggiorno, dove ci riunivamo dopo cena per stare un po’ insieme, e infine sulla cucina, il vero cuore dell’abitazione.

    In realtà furono più di un paio di secondi, perché mio padre, già in macchina, suonò il clacson due volte e, voltandomi, vidi i miei che mi facevano entrambi segno con le mani di sbrigarmi. Il mio pensiero corse rapido a Spike, il Beagle regalatomi dai miei per il mio decimo compleanno e che pochi giorni prima avevo trovato morto dietro la siepe con la schiuma alla bocca: un’immagine che mi avrebbe perseguitato per sempre. Tirai la porta e mi accorsi che stava ancora piovendo che Dio la mandava, così percorsi rapido il vialetto, arrivai alla macchina e, aprendo lo sportello, li sentii parlare.

    «Prendiamo l’autostrada, faremo prima», disse mio padre, gli occhi verdi intrisi di preoccupazione che riusciva a contenere solo a stento.

    «No! Non possiamo rischiare che ci fermino, Sam… Usiamo strade secondarie».

    Papà ingranò la marcia e partì facendo schizzare la ghiaia da terra. Una volta in viaggio, vi furono quattro o cinque minuti di un silenzio surreale interrotto solo dalle sferzate della pioggia sul veicolo. Lo interruppi con una raffica di domande.

    «Che cosa sta succedendo? Chi ci deve fermare e perché? Perché stiamo andando al rifugio? Perché…».

    «Connor, ti spiegheremo tutto una volta arrivati. Ora piantala di fare domande», mi interruppe con impeto mio padre, stringendo così forte il volante da far diventare le sue nocche bianche.

    «Ma…».

    «Una volta arrivati, ho detto», mi fulminò dallo specchietto.

    Era molto teso quindi decisi di non insistere. Mi distesi sul sedile per provare a capire da solo. Ma ero spaventato e la mia mente era in confusione, un turbinio di domande senza risposte.

    Rassegnato, cercai di rilassarmi poggiando la testa sul sedile e dopo un tempo indefinito, i miei occhi caddero di botto e sprofondai in un sonno pesante e senza sogni.

    Quando mi svegliai potevano essere passate ore o minuti, fatto sta che vidi i miei genitori cominciare ad agitarsi.

    «Che succede? Dove siamo?», chiesi stropicciandomi gli occhi.

    «Non adesso Connor, abbiamo compagnia».

    Improvvisamente, la nostra auto fu inondata da luci provenienti da dietro. Vidi per un momento gli occhi di mio padre riflessi nello specchietto. Vidi il suo sguardo cambiare.

    Mi alzai sul sedile posteriore per cercare di vedere dietro ma mia madre mi strinse con forza il braccio e mi trattenne, dicendomi di sdraiarmi e tenere giù la testa.

    A quel punto, mio padre accelerò sprigionando tutta la potenza del motore che mi schiacciò al sedile come su un muro. Mia madre intanto si mise a rovistare nel suo zaino che teneva a terra, tra i piedi: ne estrasse una pistola. Fece uscire il caricatore quindi lo rinfilò dentro con un gesto secco e preciso della mano, fece scorrere il carrello indietro fino a raggiungere la massima estensione e poi con un click tornò al suo posto. In quel momento, vidi un’altra lei. Era così calma, sembrava a suo agio. Quei gesti che fece così naturali, precisi e sicuri, mi fecero capire che c’erano molte cose che non sapevo di lei, molte cose che non conoscevo e che non ero sicuro di voler conoscere.

    Dopo averla sistemata diede la pistola a mio padre, si scambiarono un’occhiata e continuò a frugare nello zaino. Questa volta ne estrasse due granate.

    «Sam c’è un posto di blocco più avanti e abbiamo altre due macchine dietro!».

    «Forzerò il blocco, tu sta’ pronta! Connor allaccia la cintura e tieni giù la testa più che puoi!». Allungò un braccio verso di me e mi strinse con forza la gamba.

    «Andrà tutto bene figliolo». Mi sorrise e mi guardò intensamente, per un attimo, mi persi nei suoi occhi. Avrei voluto dirgli che gli credevo, che mi sentivo al sicuro ma non riuscii a proferir parola; mi limitai ad annuire e feci come mi aveva ordinato.

    La nostra auto colpì il blocco a tutta velocità e in quel momento mi sentii morire. Subito dopo un gran fragore; urla, schegge, vetri e pezzi di metallo si fecero strada in ogni dove. Dopo qualche sbandata mio padre riprese il controllo dell’auto; eravamo riusciti a superare il blocco. Mi resi conto di stringere la maniglia interna dello sportello così forte da procurarmi dei crampi. C’era odore di benzina nell’aria.

    L’auto aveva riportato qualche danno, il parabrezza era incrinato in più punti; il finestrino dalla parte

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1