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Federico Dezzani - Blog. Anno 2016
Federico Dezzani - Blog. Anno 2016
Federico Dezzani - Blog. Anno 2016
E-book1.887 pagine11 ore

Federico Dezzani - Blog. Anno 2016

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Info su questo ebook

Il 2016 è stato un anno inquieto e ricco di sorprese: il sistema internazionale a guida angloamericana è entrato nella fase terminale, tra lampi di guerra, attentati terroristici, guerre finanziarie, elezioni dagli esiti sorprendenti, operazioni sporche dei servizi segreti e molto altro ancora.

Con un centinaio di articoli, qui raccolti, abbiamo raccontato (e sovente anticipato) gli eventi salienti di questo delicato anno di transizione: dalla Brexit all'elezione di Trump, dall'attentato di Bruxelles a quello di Nizza, dal caso Regeni alle dimissioni di Renzi.
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2017
ISBN9788822887788
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    Anteprima del libro

    Federico Dezzani - Blog. Anno 2016 - Federico Dezzani

    Italia vicina al carico di rottura

    Dopo aver a lungo peregrinato in terre di Medio Oriente e di Germania, con "Angela Merkel, la spia che andò e tornò dal freddo", rieccoci nelle terre natie. Ci occuperemo di Italia con due articoli in successione: il primo dedicato al quadro macroeconomico e politico ed il secondo, più specifico, focalizzato su Banca Monte dei Paschi di Siena e Banca Etruria. L’Italia è ormai vicina al carico di rottura, il livello di sollecitazione oltre il quale il Paese va in frantumi. Alcuni davano per certa l’uscita dall’euro nel 2015. Il 2016 è subentrato, ma la dinamica finanziarie-economiche non hanno cambiato rotta, con l’aggravante che il contesto internazionale si è deteriorato. L’establishment euro-atlantico si prepara così a divorare l’ennesimo figlio, Matteo Renzi, a picco nei sondaggi e incapace di risollevare le sorti del Paese: per il post-rottamatore si prepara un governo tecnico od il primo esecutivo aperto al M5S, duramente scosso però dalla vicenda di Quarto. Gli assetti post-euro sono un’incognita.

    Euro a fine corsa (e Renzi pure)

    Repetita iuvant, dicevano i latini: l’eurozona è intrinsecamente instabile, essendo stata creata calando un regime a cambi fissi su un’area monetaria non ottimale, così da produrre una lacerante crisi economica (quella che stiamo vivendo) utile a partorire gli Stato Uniti d’Europa. Fallito il colpo nel lontano 2012/2013 di ottenere un Tesoro comune e la conseguente federazione dell’Europa (a causa dei "niet" tedeschi e francesi), l’euro è rimasto un banale regime a cambi fissi, identico al gold standard.

    Perché un sistema a cambi fissi possa funzionare, le bilance commerciali devono essere in equilibrio, cosicché la moneta, che segue un percorso inverso alla merci, non defluisca da un Paese fino a rendere incerta la sua capacità di difendere il cambio. Segue così l’imposizione dell’austerità, volta non a mettere in sicurezza le finanze pubbliche (che peggiorano ovunque nell’eurozona) ma ad uccidere i consumi ed in particolare l’import, così da riequilibrare le bilance commerciali.

    L’adozione dell’austerità per salvaguardare l’euro equivale, però, al tagliarsi i polsi per curare la pressione alta: il sollievo è immediato, peccato che si muoia dissanguati. La distruzione dei consumi (attraverso l’esplosione della pressione fiscale), implica distruzione di posti di lavoro, che implica distruzione di reddito, che implica calo del gettito fiscale e aumento degli oneri sociali: il debito pubblico, in sostanza, aumenta incessantemente, in parallelo alla vertiginoso incremento delle sofferenze bancarie, man mano che le imprese, senza più consumatori e ricavi, smettono di ripagare i debiti contratti con le banche.

    Basta con la teoria: passiamo alla pratica con il caso Italia e snoccioliamo qualche dato:

    Anno 2011, governo Berlusconi IV: Pil +0,4%, Debito pubblico/Pil al 120%, disoccupazione 8%, sofferenze bancarie a 100 €mld;

    Anno 2012, governo Monti: Pil -2,4%, debito/Pil al 127%, disoccupazione 11%, sofferenze bancarie a 120 €mld, primo saldo positivo della bilancia commerciale dal 1999 (11 €mld);

    Anno 2013, governo Letta: Pil -1,9%, debito/Pil al 132% (stock a 2090 €mld), disoccupazione 12%, sofferenze bancarie a 150 €mld, avanzo record della bilancia commerciale a 30 €mld;

    Anno 2014, governo Renzi: Pil -0,4%,debito/Pil ricalcolato con Esa 2010 al 131% (stock a 2135 €mld e rapporto al 136% con i precedenti parametri), disoccupazione al 12,5%, sofferenze bancarie a 185 €mld, avanzo record della bilancia commerciale a 43 €mld;

    Anno 2015, governo Renzi: Pil +0,7% (secondo le previsioni dell’Istat), debito/Pil al 132% (stock a 2210 €mld e rapportoal 140% con i vecchi parametri), disoccupazione al 11%, sofferenze bancarie oltre i 200 €mld (record dal 1996), avanzo della bilancia commerciale a 39 €mld nei primi 11 mesi dell’anno.

    Come è ben visibile dai dati, l’Italia ha "smesso di vivere al di sopra dei propri mezzi", uccidendo i consumi e l’import, ma il prezzo da pagare per salvaguardare il regime a cambi fissi dell’euro è altissimo. A distanza di quattro anni dall’adozione dell’austerità, il Paese è arrivato al carico di rottura: un grammo di austerità in più, qualche etto di recessione globale e l’intera Italia collassa, sotto il peso delle sofferenze bancarie e dal debito pubblico. Segue a ruota la dissoluzione dell’euro.

    A dire il vero, non c’era alcun dubbio che sarebbe stato questo l’esito finale: come il crack del 1929 implicò il collasso del gold standard sotto il peso della recessione, così la stessa sorte tocca all’euro, salvato ad altissimi costi sociali ed economici dopo il crack di Lehman Brothers del 2008 ed impossibile da tenere in vita ora, con una recessione globale in arrivo. I campanelli d’allarme sui tristi destini dell’Italia (molti rari a dire il vero, per non creare panico) risalgono infatti ad anni addietro.

    Nel giugno del 2013 esce il rapporto di Mediobanca Securities (riservato ai soli clienti) che analizza con spietata lucidità la situazione dell’Italia¹: la crisi è peggio del 1992 (quando l’Italia fu costretta a lasciare lo SME, papà dell’euro) ed a creare allarme sono l’alto debito pubblico e le sofferenze bancarie. L’Italia, chiosa minaccioso il documento, potrebbe essere costretta a chiedere un salvataggio all’Unione Europea.

    Nel frattempo esce su Il Sole 24 Ore l’articolo "Tra due anni, con la recessione, il rapporto tra debito e Pil salirà al 140%. Il rischio di uscire dall’euro"² su cui ci soffermammo a suo tempo: il 2015 si è concluso, il debito pubblico (senza i camuffamenti di Esa 2010) ha sfondato il rapporto del 140% del Pil e le sofferenze bancarie macinano record di mese in mese.

    Entrambe le analisi, quella di Mediobanca e de Il Sole 24 Ore, sono frutto del clima che si respira nella tarda primavera del 2013, quando per la prima volta è applicato il metodo del bail-in per il salvataggio degli istituti di credito, diventato, dal primo gennaio del 2016, la prassi estesa all’intera eurozona: a pagare sono prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti subordinati, poi i correntisti oltre i 100.000 €mld. Nasce, certo, la supervisione europea delle banche da parte della BCE³, ma la Germania si oppone da subito (e nel frattempo non ha cambiato idea) ad un sistema di garanzia europea sui depositi: dopo aver detto "nein" gli eurobond nel 2011-2012, Berlino non vuole che la condivisione del debito pubblico rientri subdolamente con l’assicurazione sui depositi della banche, colme in Italia di titoli di Stato e di sofferenze bancarie.

    Passa il tempo e, nonostante l’avvento di Matteo Renzi e della sua agenda neoliberista venduta come socialdemocratica (abolizione dell’art. 18 e privatizzazione delle poche imprese statali sopravvissute), le più fosche previsioni si avverano. Neppure l’avvio dell’allentamento quantitativo da parte della BCE nel marzo del 2015 riesce a rianimare l’Italia, che può beneficiare di un euro più debole e di un risparmio di 5 €mld in termini di interessi annui sul debito⁴: le finanze pubbliche peggiorano, l’inflazione (che alleggerisce il debito, divorandolo un po’ alla volta) è ferma attorno allo zero, ad un soffio dalla letale deflazione (+0,1% annuo nel 2015⁵) e, non solo la crescita non decolla, ma nell’ultimo trimestre dell’anno appaiono allarmanti segnali di uno nuovo rallentamento, come il calo del fatturato e degli ordinativi dell’industria, dettato dalla debolezza dei mercati esteri. L’Italia vive infatti di domanda esterna: finché esporta respira un po’, ma la situazione diventa drammatica nel caso di recessione globale che, nell’aria sin dal 2015, sembra concretizzarsi col nuovo anno.

    Capita così che, nel giugno del 2015, compaia sul Wall Street Journal l’articolo "Italy’s Reforms at Risk From Outside Forces"⁶ che lancia la prima frecciata a Matteo Renzi, evidenziando come l’Italia sia in balia di forze esterne, la ripresa economica molto incerta a la posizione politica di Renzi fragile, a causa di un indice di gradimento persino inferiore a quello del predecessore Enrico Letta e di forti tensione all’interno del PD. Se fallisce Renzi, dice il WSJ, è la volta dei populisti:

    Mr. Renzi has promised wide-ranging overhauls of everything from the public administration, the judicial system, the tax code and the country’s infrastructure. (…) With no new elections due until 2018 and no incentive for his beleaguered coalition partners to bring down the government before then, Mr. Renzi should have time on his side. But his political position no longer looks as strong as it did when his Democratic Party convincingly won last year’s European Parliament elections. (…) Mr. Renzi’s approval rating has fallen below 35%, less than that of Enrico Letta, who Mr. Renzi deposed (…) Italy may be more stable than at any time since the start of the global financial crisis, but this stability is also brittle and vulnerable to shocks, made more vulnerable by political reforms designed to boost the power of the executive but which could yet hand this power to a populist government at the next elections if Mr. Renzi stumbles.

    A novembre tocca al Financial Times rilanciare, e lo fa con l’articolo "Italy’s economic recovery is not what it seems"⁷ a firma di Wolfgang Münchau. Si analizza con spietata lucidità la situazione dell’Italia, incapace di ritrovare la crescita a causa (seconda frecciata al presidente del Consiglio) delle mancate riforme di Matteo Renzi, concentrato sul taglio dell’IMU, anziché sulla pubblica amministrazione e sul sistema giudiziario. Le speranze per il Belpaese di uscire indenne dalla prossima recessione globale sono minime ed al deludente Renzi potrebbe succedere un nuovo governo tecnico, finché la scelta più razionale non diventerà l’abbandono dell’euro:

    (…) But what worries me is that the Italian government is not ready for when the impact of the slowdown in China and emerging markets hits Europe. (…) Italy’s ability to sustain a healthy rate of growth is critical — for the country’s political stability, for its young people with no hope of finding work, for debt sustainability and in particular for its future in the eurozone. (…) If Italy fails to bounce back strongly from this recession, it is hard to see how it can stay in the eurozone. (…) From next year EU bail-in rules take effect. Then the Italian government will no longer simply be able to bail out banks but will have to make bondholders and depositors pay up first. Can we be sure the rotten banks will continue to sustain the recovery in this environment? (…) Another non-elected technical government might take over. Italy might never choose to leave the eurozone for political reasons. But, if Mr Renzi’s calculations prove wrong, Italy will be at the point where it would be rational to leave for economic reasons.

    Sono lontani i tempi in cui Matteo Renzi era definito dallo stesso Financial Times "l‘ultima speranza per la classe dirigente italiana"⁸: nonostante il premier abbia cercato di tenersi buone le oligarchie anglofone che lo hanno insediato a Palazzo Chigi (con le privatizzazioni di Poste, FS, Fincantieri, Enav, etc. etc. e qualche riforma di stampo neoliberista, come l’abrogazione dell‘art.18 ed i tagli alla sanità pubblica), l’ex-sindaco di Firenze, conscio dell’effetto drammatico in termini elettorali, non hai mai osato affondare il coltello nella carni della cosa pubblica, attuando un robusto taglio alla spesa in ossequio al dogma neoliberista del "più mercato e meno Stato".

    Alla City ed a Wall Street speravano che Renzi fosse una Thatcher od un Reagan: si sono trovati uno spregiudicato presidente del Consiglio che, pur di non alienarsi le simpatie di quelle importanti fette dell’elettorato che di spesa pubblica vivono, ha accompagnato alla porta due incaricati al taglio della "spesa improduttiva" (Carlo Cottarelli Roberto Perotti)⁹ ed ha lasciato invariata la pressione fiscale, attorno al 41% del PIL (destinata a salire nel 2016, 2017 e 2018, man mano che scattano le clausole di salvaguardia automatiche per la riduzione del deficit). Il sostanziale immobilismo in campo economico è stato compensato da Renzi col dinamismo sulle riforme costituzionali, modellate, sì, secondo il "Piano di rinascita democratica" di Licio Gelli ed utili forse a mobilitare l’attenzione dei media, ma del tutto superflue per garantire la sopravvivenza dell’eurozona.

    Matteo Renzi si avvicina poi in pessima forma (indice di fiducia al 30%) ad un appuntamento elettorale che rischia di rendere irraggiungibile il referendum sulle riforme costituzionali, fissato per il mese di ottobre: sebbene il presidente del Consiglio eviti con cura di spendersi in prima persona e minimizzi il più possibile la scadenza, si avvicinano le elezioni comunali a Torino, Milano e Roma. Qualora il Partito Democratico, insediato dalla Sinistra Italiana e dal Movimento 5 Stelle, dovesse subire una sconfitta nelle tre strategiche città (da unirsi alla perdita di Venezia nel giugno 2015), i dubbi sulla legittimità del governo Renzi esploderebbero, vanificando le velleità del premier di ricevere un "battesimo democratico" con il referendum costituzionale su cui punta tutta.

    Il presidente del Consiglio è, in sostanza, un cavallo azzoppato. Fallita la missione (utopica, bisogna riconoscerlo) di rianimare l’Italia in un contesto di austerità e di garantirne la permanenza nell’euro (salvando la stessa eurozona, perché difficilmente l’euro sopravviverà all’uscita dell’Italia) e gravemente indebolito dall’inchiesta su Banca Etruria, che interessa un nome di primo piano del suo esecutivo come il ministro per le Riforme Costituzionali, Maria Elena Boschi, non resta altro da fare che estrometterlo da Palazzo Chigi.

    La situazione del premier potrebbe ricordare, mutatis mutandis, quella di Enrico Letta nel febbraio del 2014. Quando l’ex-democristiano (il più giovane ministro della storia repubblicana, come sottolinea il TIME nel 2006¹⁰), perde slancio, il suo governo appare ingolfato ed il suo indice di gradimento scende al 45%¹¹ (ben al di sopra dell’attuale livello di Renzi), a nulla servono le sue entrature nel Gruppo Bilderberg: il premier logoro è deposto, per insediarvi al posto il dinamico e graffiante rottamatore ("il governo Letta-Alfano è come una bici: sta in piedi se corre" dice Renzi pochi mesi prima di avvicendarsi a Palazzo Chigi).

    In verità, essendo Matteo Renzi un personaggio più coriaceo di Letta (dimessosi senza neppure un voto di sfiducia, quando la parlamentarizzazione della crisi avrebbe avuto esiti tutt’altro che scontati) e l’obbiettivo prefissato più radicale che l’alternanza alla presidenza del Consiglio di due ex-DC passati al Partito Democratico, è più corretto fare un paragone con il bollente autunno del 2011.

    Dopo Renzi, governo tecnico o grillini?

    Le analogie tra la cacciata di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi nel novembre del 2011 e quella, probabilmente vicina, di Matteo Renzi, si sprecano.

    Entrambi, più vicini alla destra americana che al partito democratico, cadono in disgrazia presso gli ambienti atlantici dopo un periodo di ottime relazioni (quando Silvio Berlusconi invia i militari italiani in Iraq e Matteo Renzi è eletto tra le 100 persone più influenti del mondo dal TIME¹²): il primo a causa dei rapporti troppo stretti con Vladimir Putin e dell’alleanza con Muammur Gheddafi, il secondo perché la sua spinta riformatrice è considerata esaurita ed il suo capitale di immagine ormai dilapidato.

    Entrambi sono indeboliti, e Berlusconi è poi estromesso da Palazzo Chigi, quando nel mirino di angloamericani e francesi finisce la Libia: nel 2011, per rovesciare ed uccidere il Colonnello Gheddafi e, nel 2016, per portare a termine la destabilizzazione del Paese attraverso l’ISIS, da affiancare con un possibile intervento militare anglo-francese (si ricordi che l’uomo su cui l’Italia punta tutto, il generale Khalifa Haftar, è strenuamente osteggiato da Londra e Washington).

    Entrambi sono preventivamente sfiancati da uno scandalo che ne dimezza l’autorevolezza: l’inchiesta Ruby per Berlusconi e l’affaire Banca Etruria per Renzi.

    Entrambi sono oggetto di una manovra a tenaglia (letale per Berlusconi e forse anche per Renzi) composta da un progressivo isolamento in Europa, dove Angela Merkel agisce nella veste di agente angloamericano, e da un assalto speculativo che parte dalle piazze finanziarie anglosassoni. Questo è l’aspetto che più merita di essere approfondito.

    I punti salienti della ghettizzazione europea di Berlusconi sono la famosa lettera inviata il 5 agosto del 2011 dalla BCE che, vincolando gli aiuti ad un serie precisa di riforme, esautora e commissaria de facto l’esecutivo italiano ed il Consiglio Europeo del 23-26 ottobre 2011, al cui in termine va in onda il celebre siparietto tra Angela Dorothea Kasner e Nicolas Sarkozy de Nagy-Bocsa, che sghignazzano interrogati sull’affidabilità di Silvio Berlusconi ("Merkel-Sarkozy, ultimatum a Berlusconi: attui subito le misure per debito e crescita" titola la Repubblica¹³). Il Cavaliere è infatti conscio dei pesantissimi danni in termini economici ed elettorali che comporta l’adozione dell’austerità, tanto da minacciare l’uscita dall’euro: duramente colpito a Piazza Affari attraverso Mediaset e sotto scacco con il processo Ruby, preferisce, alla fine, uscire semplicemente da Palazzo Chigi senza troppe storie.

    Anche Matteo Renzi (il cui indice di gradimento non è troppo lontano da quello di Berlusconi al momento della cacciata: 30% contro 23%¹⁴) è conscio che se i cordoni della borsa restano chiusi e l’economia non riparte, il suo destino è segnato: da qui il crescente gelo con Bruxelles e Berlino sul tema della flessibilità di bilancio. L’esternazione del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, secondo cui "Bruxelles non ha un interlocutore per dialogare con Roma sui dossier più delicati"¹⁵, è l’equivalente della lettera del 5 agosto 2011: a Roma si brancola nel buio e si fatica persino a reperire un interlocutore, quasi che l’esecutivo Renzi fosse in smobilitazione (da notare la risposta del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: "L’Italia ha un Governo nel pieno dei suoi poteri. Abbiamo un continuo dialogo con le istituzioni, abbiamo un ministro degli Esteri, dell’Interno, dell’Economia"). Manca, a questo punto, solo il pubblico ripudio di Angela Merkel perché Renzi sia accompagnato dalla porta. Dalla parte dell’ex-sindaco di Firenze gioca il fatto che le forze centrifughe in seno alla UE sono oggi molto più potenti del 2011: il suo dossier è uno dei tanti che si sta accavallando in questi mesi sul tavolo dell’establishment euro-atlantico.

    L’assalto speculativo del 2011, prodromo del cambio di regime ai danni di Berlusconi, ha per oggetto i titoli di Stato: il differenziale tra i rendimenti dei Btp e dei Bund alza la testa all’inizio dell’estate (250 punti base), trascinando nel baratro le banche italiane e Piazza Affari, sempre tra i peggiori mercati d’Europa, e raggiunge lo zenit (500 punti base) ai primi di novembre, quando si tratta di dare la spallata definitiva al Cavaliere. "Siamo molto preoccupati dagli spread in Italia, la situazione è drammatica, per questo è essenziale che ora si facciano quelle riforme che rassicurino i mercati sulla solidità del Paese" dice il commissario europeo Olli Rehn, quattro giorni prima che Berlusconi lasci Palazzo Chigi¹⁶.

    L‘allentamento quantitativo avviato dalla BCE nel marzo del 2015 impedisce agli assalti speculativi di riversarsi sui titoli di Stato (anche in questi bollenti giorni di crolli borsistici il differenziale Btp-Bund non ha mai superato i 120 punti base). Tuttavia, la City e Wall Street non disperano e si concentrano sull’altro punctum dolens dell’Italia, ovvero le sofferenze bancarie. La strenua opposizione tedesca ad una garanzia europea dei depositi, l’entrata in vigore del bail-in e l’abnorme quantità di crediti inesigibili in pancia agli istituti, consente un assalto paragonabile a quello del 2011 contro i titoli di Stato: le banche colano a picco in borsa e Piazza Affari è, nuovamente, il peggiore mercato d’Europa (quasi -5% il 20 gennaio e -15% da inizio anno). Anche in questo caso c’è lo zampino della BCE di Mario Draghi che, sincronizzandosi, come sempre, con gli speculatori anglofoni, attende che le nuove e punitive regole del bail-in siano vigenti per avviare "un’indagine conoscitiva su alcune banche italiane" (UniCredit, Mps, Carige, Banco popolare, Bpm), finalizzata ad appurare l’ammontare e la gestione dei crediti deteriorati. Sull’agenzia Agi compare, non a caso, l’articolo "Banche: complimenti a Bce ed a Mario Draghi per aver scatenato tempesta in borsa" a firma di Adusbef e Federconsumatori¹⁷.

    Il fatto che alla manovra speculativa contro l’Italia partecipi, come nel 2011, anche Mario Draghi, non lascia presagire niente di buono per l’ex-sindaco di Firenze.

    E dopo Renzi? Cosa accadrà se l’assalto speculativo sarà coronato con la sua cacciata?

    L’ipotesi più conservativa è che si insedi il quarto esecutivo non eletto (dopo il governo Monti, quello Letta e l’attuale): sarebbe probabilmente l’ennesimo esperimento "tecnico", chiamato all’attuazione di misure estreme, come l’alienazione delle partecipate pubbliche od una tassa patrimoniale, nell’estremo tentativo di mantenere l’Italia nell’euro. Prima che scoppiasse il caso Banca Etruria, il candito favorito per guidare quest’esecutivo era Ignazio Visco: duramente provato dal salvataggio delle quattro banche a spese di azionisti ed obbligazionisti subordinati, tanto da essere costretto ad una difesa pubblica in Tv, ospite di Fabio Fazio, difficilmente il governatore di Bankitalia ha ancora l’autorevolezza per affrontare, come presidente del Consiglio, una crisi che si profila tutta bancaria.

    Lo scenario più spinto prevede invece che l’establishment euro-atlantico giochi la carta del Movimento 5 stellepartito appositamente creato dagli angloamericani per catalizzare ed addomesticare il voto di protesta: non ci sarebbe nulla di strano, specialmente dopo il collaudo Syriza che ha dimostrato come le formazioni pseudo-contestarie assolvono egregiamente alla funzione di mantenere lo status quo. Diversi segnali indicano che Londra e Washington stiano seriamente valutando l’ipotesi M5S per il dopo Renzi, sostituendolo o affiancandolo al PD: i sondaggi, innanzitutto, danno ormai le intenzioni di votoperfettamente tripartite tra PD, centrodestra e grillini¹⁸. Alcuni sondaggi danno addirittura l’M5S vincente al ballottaggio, se si votasse oggi con l’Italicum¹⁹.

    M5S, come è emerso con chiarezza dall’asse con Renzi per la nomina dei tre giudici costituzionali, lavora alacremente per lasciarsi alle spalle l’immagine di movimento di protesta, proponendosi come soggetto responsabile e pronto alla guida del Paese. Soprattutto, però, è in atto quel meccanismo di legittimazione con cui gli angloamericani preparano il terreno per gli incarichi di governo.

    Il 29 dicembre appare sul Financial Times l’articolo "Italy’s Five Star Movement wants to be taken seriously", con cui il giornale della City celebra il mutamento dei M5S, non più un folkloristico movimento di protesta, capitanato dall’ex-comico genovese Beppe Grillo, bensì una forza seria e composta, pronta a contendere a Renzi la guida del Paese:

    But the Five Star Movement is now attempting to change its face from that of one of Europe’s most eccentric — even clownish — political parties. The transformation aims to achieve what seemed like a fantasy only a year ago: to govern the country and challenge the centre-left government led by prime minister Matteo Renzi. (…) His most likely heir is Luigi Di Maio, a 29-year-old smooth-talking Neapolitan with polished looks, tight-fitting dark suits and moderate tones. (…) That the Five Star Movement even has a shot at threatening Mr Renzi says much about the waning political momentum suffered by the 40-year former mayor of Florence, who took office in February 2014 amid high hopes that he could transform Italy. (…) And Di Maio is keen to distance himself from another populist party shaking Europe’s establishment, France’s far-right National Front. Its rise reflects a climate of general indignation, says Mr Di Maio. Yet the Five Star Movement, he insists, is not a populist toxin but its antidote.

    Matteo Renzi è, in sostanza, cotto: l’establishment atlantico gli ha dato una possibilità, lui ha fallito ed ora lo rispediscono a casa. È la volta di Luigi Di Maio: un napoletano educato e ben vestito, attento a sottolineare che l’M5S non è un partito populista come il Front National (che non a caso riceve finanziamenti dai russi e contempla l’uscita della Francia dalla NATO), bensì un antidoto al populismo, ossia, come abbiamo a suo tempo evidenziato nelle nostre analisi, un prodotto dei servizi angloamericani e del miliardario George Soros.

    Ora tocca agli americani rilanciare: nella lista dei 30 politici sotto i 30 anni più influenti d’Europa, stilata dalla rivista Forbes, appare niente meno che Luigi di Maio²⁰, rampante giovane"focalizzato su ambiente, trasparenza amministrativa e sprechi del governo".

    Non c’è alcun dubbio che fosse Luigi Di Maio il volto fotogenico e pulito per il nuovo M5S, non più movimento di opposizione, ma forza da affiancare/sostituire al Partito Democratico. Quella che è passata alla storia come l’investitura da parte di Beppe Grillo ("Grillo incorona il delfino Di Maio -Maledetto sei tu il leader-" titola la Repubblica nel settembre del 2015²¹) è in realtà il frutto di una decisione presa, come sempre, fuori dal movimento e fuori persino dalla Casaleggio Associati Srl: là dove si tirano i fili, ossia negli ambienti atlantici.

    Purtroppo, si commettono a volte nella vita delle leggerezze che costano caro, molto caro: sciocchezze le cui conseguenze non sono immediate, ma quando si palesano possono compromettere le aspirazioni ed i sogni di un uomo. Ci riferiamo, ovviamente, alla vicenda di Quarto, il comune del napoletano dove è emerso con chiarezza che il Movimento 5 Stelle, lungi da essere una forza rivoluzionaria, si adagia semplicemente sui sistemi di potere già esistenti (anche camorristici), garantendo, a livello locale come a livello nazionale, la conservazione dello status quo. "Fico e Di Maio sapevano, li aspettiamo in Commissione Antimafia" ²²titola l’articolo sul sito del PD dedicato all’affare di Quarto: il Direttorio del M5S sarebbe stato informato da mesi sulle infiltrazioni mafiose nella nuova amministrazione guidata dai grillini, eppure nessuno provvedimento è stato preso.

    Sarà ancora il fotogenico Luigi Di Maio a rappresentare l’M5S di governo nell’era post-Renzi? È molto difficile. Come tutt’altro che scontata è la formazione di un esecutivo a maggioranza 5 stelle, o la nascita di una coalizione tra democratici e grillini.

    L’Italia, tornando all’incipit, si avvicina infatti al carico di rottura. È impossibile pensare che la sempre più probabile (ed imminente) implosione dell’euro e dell’Unione Europea non abbia profonde ripercussioni sugli assetti internazionali e nazionali. I poteri che hanno espresso la classe dirigente italiana fino a oggi, potrebbero cambiare in un futuro non troppo lontano.

    Ancora un buon 2016: annoiarsi sarà impossibile!

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/22/crisi-peggiore-del-92-entro-6-mesi-potrebbe-costringere-alla-richiesta-di-salvataggio/634091/

    http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2013-04-05/anni-recessione-rapporto-debito-222911.shtml?uuid=Abp5DjkH&p=2

    http://www.lastampa.it/2013/04/12/economia/alla-bce-la-supervisione-unica-delle-banche-dell-europa-86FPpm1s4cugWQvyp0jCbJ/pagina.html

    http://www.ilmessaggero.it/economia/economia_e_finanza/debito_interessi_spesa_tesoro/notizie/1709404.shtml

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    http://www.wsj.com/articles/italys-reforms-at-risk-from-outside-forces-1434573733

    http://www.ft.com/intl/cms/s/0/576f5c6e-8a11-11e5-9f8c-a8d619fa707c.html#axzz3xoN4HW00

    http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/01/05/news/matteo-renzi-e-l-ultima-speranza-per-la-classe-dirigente-italiana-1.193732

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/09/spending-review-il-commissario-perotti-ho-dato-le-dimissioni-sabato-non-mi-sentivo-molto-utile/2204881/

    http://www.europaquotidiano.it/2014/05/08/la-prima-intervista-di-time-a-matteo-renzi-nel-2006/

    http://www.data24news.it/sondaggi-da-tutto-il-mondo/137737-sondaggio-ipsos-per-il-corriere-della-sera-cala-il-gradimento-nel-governo-letta-84575/

    http://time.com/55769/time-100-2014-poll-world/

    http://www.repubblica.it/economia/2011/10/23/news/vertice_ue_arriva_mister_euro-23714298/

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    http://www.repubblica.it/politica/2016/01/18/news/tensioni_italia-ue_gentiloni_da_bruxelles_polemiche_inutili_-131513340/

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/08/spread-massimo-toccati-puntipiazza-affari-apre-positiva/169193/

    http://www.agi.it/rubriche/la-voce-del-consumatore/2016/01/20/news/banche_complimenti_a_bce_ed_a_mario_draghi_per_aver_scatenato_tempesta_in_borsa-436754/

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/22/sondaggi-pd-m5s-centrodestra-sfida-a-tre-allultimo-voto-tutti-in-un-punto/2324698/

    http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2016/1/21/SONDAGGI-ELETTORALI-POLITICI-2016-Euromedia-le-ultime-proiezioni-Pd-in-leggero-calo-M5s-staccato-di-4-punti-Lega-ferma-oggi-21-gennaio-/672112/

    http://www.forbes.com/30-under-30-europe-2016/policy/#3a5285d03e797e84dc93e79c

    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/09/10/grillo-incorona-il-delfinodi-maio-maledetto-sei-tu-il-leader19.html

    http://www.partitodemocratico.it/generale/fico-e-di-maio-sapevano-li-aspettiamo-commissione-antimafia/

    Commissione d’inchiesta sul sistema bancario: massoneria di provincia vs massoneria internazionale

    È un Matteo Renzi già emarginato dalle oligarchie euro-atlantiche e indebolito sul piano interno quello che, sull’onda del decreto salva banche, caldeggia l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario: conscio che l’affaire Banca Etruria è una minaccia mortale per il suo esecutivo, il presidente del Consiglio brandisce l’arma della commissione minacciando di disseppellire cadaveri eccellenti, capaci di compromettere i vertici di Bankitalia e (soprattutto) di Francoforte. Nonostante l’iniziativa sia destinata a scomparire nei marosi dell’eurocrisi, è interessante il quadro d’insieme. Ne emerge una massoneria di provincia che, temendo di essere estromessa dal potere a causa di uno scandalo che impallidisce di fronte ad altri dissesti finanziari, minaccia di far luce sulle nefandezze bancarie della grande massoneria internazionale. Estendere l’inchiesta a 15 anni indietro, significa infatti scavare sulla defenestrazione da Palazzo Koch di Antonio Fazio e sulla vicenda Monte dei Paschi di Siena: in una parola, investigare sugli scheletri nell’armadio del venerabile Mario Draghi, un massone più vicino alla corona d’Inghilterra che al direttore commerciale dei materassi Permaflex, Licio Gelli.

    I ruspanti massoni di provincia contro…

    "Il Pd vuole chiarezza assoluta, per salvaguardare i risparmiatori. Per questo abbiamo depositato un disegno di legge per istituire nel più breve tempo possibile una commissione d’inchiesta bicamerale sugli stati di crisi e di dissesto degli istituti bancari a partire dal 2000. L’obiettivo della commissione è quella di valutare la condizione del sistema nel suo complesso e di verificare l’efficacia delle attività di vigilanza e controllo negli ultimi 15 anni" dice²³ all’antivigilia di Natale il deputato Andrea Marcucci, renziano di ferro. Sono i bollenti giorni di dicembre, quando si accavallano il decreto salvabanche, l’esplosione della rabbia dei risparmiatori ed il tragico suicidio di un pensionato 68enne di Civitavecchia, distrutto dalla perdita di 110.000 euro investiti in obbligazioni emesse da Banca Etruria.

    Il clima che si respira a Palazzo Chigi è pesantissimo: non solo il salvataggio dei quattro istituti bancari (Banca delle Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFerrara), il primo attuato secondo i criteri del bail-in che azzera gli investimenti di azionisti ed obbligazionisti subordinati, colpisce gli storici feudi dei PCI-PDS-PD, ma, attraverso Banca Etruria, sferra un durissimo colpo all’intera impalcatura dell’esecutivo: nell’istituto con sede ad Arezzo ricopre la carica di membro del cda dal 2011, e vicepresidente dal 2014, Pier Luigi Boschi, padre di quella Maria Elena che rappresenta la declinazione al femminile del renzismo, oltre ad essere ministro per le Riforme Costituzionali ed intestataria del disegno legge per il superamento del bicameralismo perfetto, su cui l’ex-sindaco di Firenze punta tutto.

    La mossa della commissione d’inchiesta ha tutto il sapore del gesto stizzito, se non della rappresaglia: Volete mettermi all’angolo? Bene, anch’io posso farvi male! deve essere il ragionamento che frulla nella testa dell’ex-sindaco di Firenze.

    Non c’è alcun dubbio che Matteo Renzi avrebbe voluto agire diversamente nel salvataggio delle quattro, per una lunga serie di motivi: non contraddire il mantra che le banche italiane sono solide, evitare effetti a cascata sul sistema creditizio (vedi fuga dai depositi da MPS), non interrompere la narrazione del Paese in ripresa e, soprattutto, per circoscrivere il più possibile la vicenda Banca Etruria-Boschi. Se il presidente del Consiglio è costretto ad imboccare la strada del decreto salvabanche, lo fa perché obbligato dalle circostanze, ed in particolare dalle istituzioni brussellesi: a dicembre le quotazioni dell’ex-enfant prodige Matteo Renzi presso le oligarchie euro-atlantiche sono già precipitate e non è azzardato ipotizzare che, dietro l’obbligo di anticipare di un mese l’applicazione del bail-in (entrato formalmente in vigore il 1º gennaio 2016) e lo scandalo Banca Etruria, si nasconda il progetto di estrometterlo da Palazzo Chigi.

    Era intenzione dell’esecutivo ricorre infatti al Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt) che, alimentato dalle banche italiane, avrebbe evitato di azzerare il valore delle obbligazioni subordinate (al costo di 350 mln²⁴, quasi la stessa cifra che Renzi nega ora alla UE per gestire la crisi migratoria in Turchia): è l’Unione Europea che, tacciando l’intervento come aiuto di Stato (in quanto esproprierebbe risorse private per usarle secondo i fini del governo3), obbliga Renzi e Padoan ad agire secondi i canoni di quel bail-in che, agendo a dicembre, si sperava di evitare.

    Le pressioni esercitate su Roma dai commissari europei ai Servizi finanziari e alla Concorrenza, il britannico Jonathan Hill e la danese (quindi anch’essa in quota inglese) Margrethe Vestager, contro l’impiego del Fitd, sono contenute nella lettera, datata 19 novembre, che il governo italiano rende pubblica ed appare il 23 dicembre nientemeno che sull‘agenzia Reuters,²⁵. Si tratta ovviamente di un grave sgarro da parte di Renzi, perché il documento è riservato e chi l’ha scritto non ha certo ipotizzato un suo impiego nell’agone politico.

    Renzi compie quindi il secondo strappo con l’establishment, dopo avere già annunciato che i parziali rimborsi agli obbligazionisti saranno erogati attraverso procedure di arbitrato, gestite dalla Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) presieduta dal renziano di ferro Raffaele Cantone. "Vorrei che l’arbitrato fosse gestito non dalla Consob, non da Bankitalia ma dall’Anac di Raffaele Cantone, un soggetto terzo, autorevole e dunque massima trasparenza e rigore" dice il 17 dicembre Matteo Renzi²⁶.

    Il soggetto cui sarebbe spettata naturalmente la questione è, ovviamente, Bankitalia, dove il governatore, Ignazio Visco, è però ascrivibile alla cerchia di Mario Draghi, uno dei massimi esponenti di quell’establishment euro-atlantico che, dopo averlo insediato a Palazzo Chigi, meditano ora di sbarazzarsi di Matteo Renzi. Che il governatore della Banca Centrale italiana non presenti, secondo il presidente del Consiglio, le caratteristiche di imparzialità, autorevolezze e rigore è un pesante affronto: attorno al 20 dicembre circola la notizia che Visco mediti le dimissioni, peraltro prontamente scartate dal presidente della Repubblica²⁷ Sergio Mattarella, garante come il predecessore degli interessi delle oligarchie finanziarie.

    Dulcis in fundo, è la volta, il 23 dicembre, dell’annuncio di una commissione d’inchiesta bicamerale sul sistema bancario, con un raggio d’azione dilatato sino al lontano 2000. Portare le lancette indietro di sedici anni, significa in sostanza rivangare due dossier molto scottanti: le dimissioni da Palazzo Koch di Antonio Fazio (2005) e l’acquisto di Antonveneta da parte di Monte dei Paschi di Siena (2008). In entrambi i casi la commissione d’inchiesta (che rispecchia la maggioranza renziana in Parlamento) avrebbe gioco facile a gettare così tanto fango sul governatore della BCE, Mario Draghi, da sommergerlo: immediata, come nel caso delle dimissioni di Visco, scatta quindi la reazione del presidente Sergio Mattarella, preoccupato dall’esito potenzialmente esplosivo che avrebbe un’inchiesta parlamentare animata da un Matteo Renzi senza più niente da perdere. "La nostra democrazia è connotata dal pluralismo istituzionale e dal mutuo bilanciamento dei poteri. (…) E’ confortante constatare come questa collaborazione sia abitualmente praticata. Talvolta si registra invece competizione, sovrapposizione di ruoli, se non addirittura conflitto, e questo genera sfiducia" dice Mattarella alla cerimonia degli auguri di fine anno²⁸.

    Il conflitto di cui parla Mattarella, più che uno scontro tra poteri dello Stato, si profila come uno scontro tutto interno alla massoneria che occupa le più alte cariche istituzionali, italiane ed europee.

    Da un lato la ruspante massoneria di provincia dei clan Renzi e Boschi, catapultata ai vertici della Repubblica italiana con la presunzione (errata) di essere artefice delle proprie fortune; dall’altro l’algida massoneria internazionale di Mario Draghi, il direttore generale del Tesoro che nel 1992 calpesta il ponte del panfilo Britannia, passato poi alla vicepresidenza di Goldman Sachs International, subentrato ad Antonio Fazio a Bankitalia ed infine installatosi nel tempio della Banca Centrale Europea.

    I massoni di pronvincia sono i cugini un po’ sempliciotti di campagna, gettati nel rutilante mondo dei palazzi romani e delle passerelle dei G20 dagli astuti e spregiudicati massoni cosmopoliti: è affidata loro la missioni di vendere quello che resta dell’argenteria (Poste, Enav, Fincantieri, Fs, etc.) e rimettere in moto il Paese applicando le "riforme strutturali" basate sui triti e ritriti dogmi neoliberisti (abolizione art. 18, tagli alla sanità, etc.).

    Renzi e Boschi, a forza di leggere sui giornali che sono fuoriclasse della politica, energici e spregiudicati come il Fanfani degli anni ’50, l’ultima speranza della classe dirigente italiana, commettono l’errore di credere a quanto la stampa scrive, dimenticando gli alti gradi della massoneria internazionale, come li ha trasportati sul tappeto magico dalla provincia toscana ai dicasteri romani, così può rompere l’incantesimo quando meglio crede.

    Terminata l’età dell’oro del renzismo (i tre mesi che intercorrono tra l’insediamento a Palazzo Chigi e le elezioni europee del maggio 2014), inizia il rapido appannarsi del più giovane presidente del Consiglio della storia italiana. Il piano di Renzi di rilanciare l’economica con un’iniezione mediatica di fiducia si schianta contro il concreto muro dell’austerità: l’Italia stagna dopo anni di recessione, le finanze pubbliche peggiorano ed il sistema bancario scricchiola paurosamente, mentre il suo indice di gradimento, sceso per la prima volta sotto il 50% nell’autunno del 2014²⁹, si sgretola fino al 30% attuale. A questo punto la massoneria internazionale constata che è il momento di liberarsi dei consunti cugini di campagna e lo fa colpendo con un’inchiesta giudiziaria, Banca Etruria, e l’assalto speculativo alle pericolanti banche italiane, su cui pende la ghigliottina del bail-in.

    In ossequio al principio risalente all’impero britannico per cui i fantocci locali non devono mai essere personaggi autorevoli ed inattaccabili, ma deboli e discussi, cosicché non accarezzino sogni di indipendenza, la libera muratoria internazionale installa infatti alla guida dell’Italia due clan, quello Renzi e quello Boschi, strutturalmente deboli. Si tratta di personaggi ruotanti attorno ad opache consorterie locali, coinvolti nelle classiche attività della massoneria di piccolo cabotaggio: un piede nella banca del capoluogo, un prestito senza garanzie per avviare un’attività commerciale, una consulenza al Maestro di turno per condurre in porto un grosso affare, etc. etc.

    Sulla filiazione di Matteo Renzi alla libera muratoria non si dispongono sufficienti informazioni ma, di certo, si può affermare che di stampo massonico è tutta la galassia del presidente del Consiglio. Grazie alla pervasiva massoneria di Firenze (ambiente in gioca un ruolo di rilievo l’allora braccio destro di Silvio Berlusconi, Denis Verdini) Renzi vince a sorpresa le primarie del PD contro il favorito Lapo Pistelli; grazie ad accordi di natura massonica il PDL schiera alle elezioni comunali del giugno 2009 un candidato debole come l’ex-calciatore Giovanni Galli, abbandonato per di più dal centrodestra quando Renzi manca l’obbiettivo di vincere al primo turno³⁰; uno "stantio odore di massoneria" è emanato anche dal Patto del Nazareno, secondo quanto scrive Ferruccio De Bortoli nel settembre 2014 (manifestando il disprezzo della grande massoneria che siede nel cda del Corriere della Sera diretto da De Bortoli, per il parvenu di Firenze); di chiara natura massonica è infine l’intesa tra Denis Verdini e Matteo Renzi per il progressivo ingresso dei verdiniani, decisivi in Senato, nella compagine di governo.

    I rapporti del clan Renzi con la Banca Etruria sono di diversa natura e spaziano dal finanziamento alla kermesse della Leopolda³¹, agli investimenti immobiliari con il presidente dell’istituto³² Lorenzo Rosi, culminando con i tentativi di salvataggio in extremis attraverso Davide Serra (fondo Algebris) e Marco Carrai (gli israeliani di Bank Hapoalim)³³.

    Ancora più forti sono i legami tra il clan Boschi e l’istituto di Arezzo che, si ricordi, era il feudo di Licio Gelli, il direttore commerciale della Permaflex, assurto a burattinaio d’Italia nella veste di venerabile maestro della loggia P2. Nel consiglio di amministrazione di Banca Etruria, travolta dal cocktail micidiale di recessione e prestiti clientelari, siede dal 2011 Pier Luigi Boschi, salito alla vice-presidenza nel 2014. Il padre del ministro delle Riforme Costituzionali bazzica, pure lui, negli ambienti toscani della libera muratoria: quando Boschi, in qualità di vice-presidente di Banca Etruria, cerca denaro fresco per il pericolante istituto, l’uomo interpellato è nientemeno che il faccendiere Flavio Carboni, il cui nome appare a fianco a quello del venerabile maestro Licio Gelli in molti controversi dossier della Prima e Seconda Repubblica.

    Ne esce il quadro di una ruspante massoneria della provincia toscana, invischiata nella gestione parecchio opaca dell’istituto di credito del capoluogo, la gallina dalle uova d’oro grazie cui si può possono ottenere finanziamenti facili, per la costruzione di ipermercati o shopping mall (che fa più fine, perché americano): il fatto che, nonostante i disperati tentativi dei Renzi e dei Boschi, nessuno investitore anglosassone od israeliano abbia soccorso Banca Etruria, è sintomo della progressiva emarginazione del Presidente del Consiglio, perché difficilmente un simile incidente sarebbe mai avvenuto nel primo rutilante anno di governo.

    Al punto in cui si arrivati, è sufficiente un avviso di garanzia per il fallimento di Banca Etruria affinché Maria Elena Boschi sia travolta, trascinandosi con sé il presidente del Consiglio: la scelta dei fantocci cade sempre su personaggi fragili e ricattabili, in modo da potersene liberare al momento opportuno.

    È quindi un Matteo Renzi amareggiato ed irato quello che brandisce l’arma della commissione d’inchiesta sul sistema bancario: dopo aver assaporato per nemmeno due anni il comando, già sente che la grande massoneria, quella delle oligarchie anglofone, vuole sbarazzarsi di lui e, di conseguenza, reagisce al motto di "muoia Sansone con tutti i filistei". Non c’è infatti alcun dubbio che un’inchiesta che scavasse sul sistema creditizio italiano dal lontano 2000 coinvolgerebbe il venerabile Mario Draghi, più vicino alla Loggia Madre inglese che al direttore commerciale della Permaflex, Licio Gelli.

    …contro l’algida massoneria internazionale

    Immaginiamo che Matteo Renzi sopravviva alla manovra approntata per spodestarlo e proceda con la commissione d’inchiesta bicamerale, deciso a sferrare un attacco in profondità contro quella massoneria internazionale che prima l’ha sedotto e poi l’ha abbandonato: cosa si scoprirebbe?

    Setacciando la storia bancaria italiana dal 2000, emergerebbero due voluminosi incartamenti con cui Renzi sferrerebbe un colpo esiziale al governatore della BCE Mario Draghi, alfiere di quell’alta massoneria anglofona che, dopo aver utilizzato l’ex-sindaco di Firenze, ora vuole sbarazzarsene: il primo è la cacciata di Antonio Fazio da Bankitalia, propedeutica all’insediamento di Draghi, ed il secondo è l’affaire Banca Monte dei Paschi di Siena, le cui premesse per il disastro sono tutte poste sotto la reggenza di Mario Draghi. Cominciamo con la defenestrazione di Antonio Fazio, senza la quale Mario Draghi non si sarebbe insediato a Palazzo Koch e forse neppure della BCE, né probabilmente si sarebbe consumata la tragedia di MPS.

    Antonio Fazio (1936), banchiere di matrice cattolica e governatore della banca centrale dal 1993 al 2005, ha una visione degli interessi nazionali diametralmente opposta alle oligarchie massoniche anglofone che, attraverso l’Unione Europea e la privatizzazione delle ex-banche pubbliche, allungano i propri tentacoli sull’Italia. Antonio Fazio è, innanzitutto, il più autorevole euroscettico d’Italia, essendo ben conscio degli interessi che si nascondo dietro l’introduzione della moneta unica  (la finanza laica, alias massonica, della City e di Wall Street) ed i rischi cui va incontro il Paese adottando l’euro (la desertificazione economica e demografica). In secondo luogo, Fazio, coerentemente con le sue posizioni sulla moneta unica, è uno strenuo difensore dell’italianità del sistema bancario, entrato nelle mire estere dopo la privatizzazione delle banche statali e l’avvio della stagione delle fusioni/acquisizioni tra gli anni ’90 e 2000.

    Ci sono due banche di dimensioni troppo piccole per sottrarsi al processo di aggregazione allora in corso: Banca Antonveneta e Banca Monte dei Paschi di Siena.

    Entrambe finiscono nei radar della banca olandese ABN AMRO guidata da Rijkmann Groenink, che in Italia coltiva ambizioni imperiali (sogna infatti controllo e la fusione di più banche, tra cui la romana Capitalia). ABN AMBRO è la banca della "corona d’Olanda" e come tutte le istituzioni che ruotano al trono olandese (vedi il gruppo Bilderberg) è ad alta concentrazione massonica. MPS, il cui uomo forte è l’allora sindaco di Siena Pierluigi Piccini, rifiuta le avances degli olandesi, scegliendo di diventare a sua volta un polo aggregante; una quota di Antonveneta è invece acquistata dagli olandesi, cui Antonio Fazio fa sapere che esiste un limite non superabile al 15% del capitale.

    ABN AMBRO decide di ignorare la soglia fissata dal governatore di Bankitalia e prosegue con la scalata: a quel punto Antonio Fazio, per difendere l’italianità della banca, avvalla l’operazione alternativa condotta dalla Banca Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani, facilitandone il rastrellamento delle azioni a discapito degli olandesi. La condotta di Fazio, che in qualsiasi altra nazione sarebbe stata ascritta alla ragion di Stato,è invece in Italia alla base dello scandalo bancario del 2005, meglio noto come "Bancopoli". Gli effetti sortiti dall’inchiesta sono due: l’acquisto del 100% del capitale di Antonveneta da parte di ABN AMRO e la defenestrazione di Fazio da Palazzo Koch, sull’onda del consueto scandalo mediatico-giudiziario.

    A questo proposito appare su La Repubblica il gustoso articolo "La massoneria esce allo scoperto Fazio pensi al bene del Paese³⁴, che rivela come la permanenza di Fazio alla guida di Bankitalia sia caldeggiata dagli ambienti cattolici, secondo cui l’assalto giudiziario e mediatico contro il governatore nasconde il tentativo della finanza laica (ossia massonica) di espugnare Palazzo Koch. Al contrario la massoneria speculativa (che vive, in Italia come altrove, in simbiosi con la finanza) invoca apertamente le sue dimissioni. Quando Antonio Fazio è costretto a gettare la spugna gli succede, non a caso, il vice-presidente di Goldman Sachs International, Mario Draghi, che con gli ambienti della massoneria anglofona ha dimestichezza sin dalla gita sul Britannia nel 1992. L’installazione di Draghi a Bankitalia è necessaria non solo a garantire gli interessi della finanza laica" nel Belpaese, ma soprattutto ad avvinarlo allo scranno più ambito, ossia la poltrona di governatore della BCE, da dove potrà gestire la (attesa) crisi dell’euro nell’ottica della fondazione dei (massonici) Stati Uniti d’Europa.

    Fino a qui, l’eventuale inchiesta parlamentare di Matteo Renzi ricostruirebbe una verità storica, certamente molto scomoda, ma senza risvolti giudiziari: implicazioni civili e penali, al contrario, si incontrano procedendo col racconto.

    Nel maggio 2007 l’olandese ABN AMBRO guidata da Rijkman Groenink è acquistata dalla cordata composta da Royal Bank of Scotland (massoneria scozzese), Fortis (massoneria belga-olandese) e Santander (Opus Dei, massoneria cattolica): è proprio il gruppo spagnolo amministrato da Emilio Botin (1934-2014) che si aggiudica Antonveneta, spartendosi le spoglie di ABN AMBRO.

    La banca del Triveneto è valutata dagli spagnoli 6,6 €mld ed è considerata come un testa di ponte strategica per lo sviluppo di Santander in Italia³⁵. Passano poche settimane e gli spagnoli (senza un apparente perché) scelgono di mettere sul mercato l’istituto patavino in cui avevano riposto le loro ambizioni italiche: ad acquistarla a sorpresaè la Banca Monte dei Paschi di Siena, istituto in quota PCI-DS-PD per quanto concerne la politica, ma super partes quando si tratta di libera muratoria³⁶.

    A stupire i mercati che, non a caso, affossano il titolo (fosco presagio per l’istituto), è il prezzo pagato da MPS per Antonvenenta: 9 €mld, quasi 2,4 mld in più rispetto alla freschissima valutazione di Santander, tanto che Botin in primo momento è pronto a chiudere a 7 €mld tondi tondi. Non solo, MPS si accolla anche il pesante fardello debitorio dell’istituto patavino, tanto che l’indebitamento della banca senese schizza di 13 €mld dopo il consolidamento delle passività³⁷.

    L’operazione soddisfa comunque tutti (Giuseppe Mussari, il presidente di MPS che dirà ai magistrati di non ricordare come si sono sviluppate le trattative per l’acquisizione³⁸, è eletto nel 2010 a capo dell‘Associazione bancaria italiana) ed il motivo è facilmente intuibile: su un conto londinese sono parcheggiati al momento dell’acquisto i 2 €mld di sovrapprezzo, in attesa di rientrare in Italia per sfamare politici, dirigenti, autorità di vigilanza e massoni vari. Il 26 gennaio 2013, quando il bubbone MPS è ormai scoppiato, appare su la Repubblica l’articolo "Mps, sospetto mazzette per 2 miliardi nell’acquisto di banca Antonveneta"³⁹. La situazione è talmente esplosiva che rischia di travolgere l’intera classe dirigente italiana: a distanza di pochi giorni, interviene l’altro alfiere della massoneria euro-atlantica, Giorgio Napolitano, che rilascia al Sole 24 Ore l’intervista contenuta nel pezzo "Napolitano: «Su Mps fare chiarezza e tutelare l’interesse nazionale»"⁴⁰.

    All’interno si legge:

    "Giorgio Napolitano è preoccupato per il titolo Italia, lo spread BTp-Bund poco dopo le sedici è salito di oltre cinque punti, più velocemente di quello dei Bonos spagnoli. Le fibrillazioni della campagna elettorale sono elevate al cubo dallo scandalo che ha toccato gli ex vertici del Monte dei Paschi di Siena (Mussari, Vigni, Baldassarri), crocevia di un intreccio distorto tra Fondazione, politica e management che presenta un conto pesante ai risparmiatori e ai contribuenti italiani. Il Capo dello Stato avverte il rischio che si possa offuscare di fatto l’immagine, le capacità operative e l’integrità di una delle principali istituzioni di vigilanza e garanzia del Paese, qual è la Banca d’Italia, e si possa, quindi, pericolosamente incidere sulla percezione di stabilità del nostro sistema bancario da parte dei mercati"

    Della tangente di 2 €mld non si saprà mai più niente, come pure è stroncato sul nascere, grazie al massone Giorgio Napolitano, il filone delle indagini che porta dritto a Palazzo Koch: ed è proprio quindi che la commissione d’inchiesta parlamentare dovrebbe iniziare.

    Dov’è infatti il governatore di Bankitalia Mario Draghi quando MPS compra Antonveneta esborsando 2 €mld in più del necessario? Dov’è Mario Draghi quando la banca senese consolida le pesanti passività dell’istituto patavino, in barba alla solidità ed alla stabilità del sistema creditizio che Bankitalia dovrebbe garantire? Quando nel 2013 i magistrati avranno per le mani il dossier, si limiteranno ad ascoltare l’allora capo della Vigilanza della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola, che affermerà "ci raccomandammo con i vertici di Mps di fare per bene l’acquisizione"⁴¹. Ma il cattolico Antonio Fazio, non è stato costretto alle dimissioni per molto meno che l’insabbiamento di una mazzetta da 2 €mld?

    A questo punto la commissione d’inchiesta bicamerale avrebbe spalato fango a sufficienza sul governatore della BCE da ricondurlo a più miti consigli. Si potrebbe però continuare, fino a sommergerlo.

    Dopo l’acquisto di Antonveneta, MPS comincia ad avvertire forti dolori allo stomaco: il boccone è troppo grande ed indigesto per l’istituto senese. La redditività cala da subito e la situazione volge al peggio con l’inizio della crisi dei mutui spazzatura (il fallimento di Bear Stearns nel mese di marzo) che culmina con la bancarotta di Lehman Brothers nel settembre 2008. Per occultare le perdite e cercare disperatamente di recuperare redditività, MPS si lancia in una serie di disperate operazioni speculative (Santorini, Patagonia, Alexandria, Antracite, etc. etc.) ricorrendo agli squali della finanza (JP Morgan, Nomura, Deutsche Bank, etc. etc.) che, ovviamente, spennano per bene la banca senese. Anche in questo caso, dov’era il massone Mario Draghi quando MPS perfeziona il derivato Santorini con Deutsche Bank per mitigare perdite da centinaia di milioni? Bankitalia si difenderà sostenendo che MPS avesse allora "nascosto i documenti", poi trovati in cassaforte da Alessandro Profumo, ma, in realtà, è ormai appurato dai verbali d’ispezione che Bankitalia fosse perfettamente a conoscenza degli esplosivi derivati in pancia all’istituto senese⁴².

    La commissione bicamerale d’inchiesta non è sazia?

    Potrebbe far luce sul prestito d’emergenza da 2 €mld elargito da Bankitalia a MPS nell’ottobre 2011, un mese prima che il venerabile Mario Draghi sbarchi a Francoforte: da un lato Palazzo Koch sostiene ad investitori e correntisti che l’istituto senese è in buona salute, dall’altro lo puntella in assoluto segreto⁴³, sperando così di procrastinarne il più possibile il collasso e non compromettere il trionfale ingresso alla BCE del venerabile Draghi. Ecco spiegato anche come MPS riesca a superare nel luglio del 2011 il primo stress test della BCE⁴⁴, quando il morbo che affligge la banca (alto indebitamento, speculazione azzardata e gestione clientelare) ne sta già divorando le membra: si può danneggiare la corsa verso la BCE del pupillo della massoneria anglofona, solo per aver omesso i controlli sulla terza banca italiana? Certo che no…

    Concludendo, dispiace un po’ che i ruspanti massoni di provincia Renzi e Boschi siano rispediti a casa prima che la commissione parlamentare d’inchiesta sortisca qualche frutto: è vero che la gestione massonico-clientelare di Banca Etruria ha cancellato i risparmi di migliaia di azionisti ed obbligazionisti, ma non dimentichiamo che la massoneria internazionale cui appartiene Mario Draghi, oltre che del dissesto di MPS, è responsabile della decadenza dell’Italia da quinta economia del mondo che era nel 1992, a Stato bancarottiere di oggi.

    Chissà che in futuro non troppo lontano non si possano saldare i conti, anche senza commissione bicamerale d’inchiesta.

    http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/12/22/banche-pd-propone-commissione-inchiesta_29304310-b8aa-47ba-93d7-c1c4c0d2860b.html

    http://www.panorama.it/economia/soldi/decreto-salva-banche-cose-da-sapere/#gallery-0=slide-10

    http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Banche-governo-pronto-a-pubblicare-la-lettera-di-Bruxelles-Pd-chiede-una-commissione-inchiesta-2ba1a1a9-d031-409d-9d69-7f5482bcd470.html?refresh_ce

    http://it.reuters.com/article/topNews/idITKBN0U613020151223

    http://www.corriere.it/economia/15_dicembre_17/banche-arbitrati-renzi-cantone-anac-non-consob-5423affc-a4be-11e5-ba98-2a1f1a68e58f.shtml

    http://www.lastampa.it/2015/12/20/economia/visco-era-pronto-a-lasciare-ma-il-presidente-mattarella-gli-ha-confermato-la-fiducia-vntlb5kNAu114f1FA1FP9L/pagina.html

    http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=211

    http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2014/12/1/SONDAGGI-ELETTORALI-Ipsos-fiducia-in-Renzi-sotto-il-50-cresce-Salvini-e-la-Lega-oggi-1-dicembre-2014-/560488/

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/16/galli-asse-renzi-verdini-nato-nel-2009-pdl-mi-abbandono-nella-corsa-al-comune/883340/

    http://www.corriere.it/firme/ferruccio-de-bortoli

    http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/16_gennaio_21/alla-fondazione-leopolda-fondi-provenienti-etruria-replica-soltanto-quote-risibili-1919999a-c00b-11e5-a781-c1871777b86c.shtml

    http://www.repubblica.it/economia/2015/12/16/news/l_outlet_di_rosi_e_gli_affari_di_papa_renzi-129565154/

    http://www.ilgiornale.it/news/politica/manovra-tel-aviv-disinnescare-etruria-1207314.html

    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/09/09/la-massoneria-esce-allo-scoperto-fazio-pensi.html

    http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2007/05/Rbs-Abn-Santander.shtml?uuid=8bb917ba-0dad-11dc-a1de-00000e251029&DocRulesView=Libero

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/13/spartizione-del-monte-paschi-culla-delle-larghe-intese-pd-pdl/710477/

    http://www.milanofinanza.it/articoli-preview/ecco-quanto-costo-antonveneta-1810198

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/24/mps-antonveneta-mussari-spese-nove-miliardi-soltanto-con-telefonata/689987/

    http://www.repubblica.it/economia/2013/01/26/news/mps_ombra_tangente-51313128/

    http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-31/napolitano-fare-chiarezza-tutelare-191834.shtml?uuid=AbsKr3PH

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/24/mps-antonveneta-mussari-spese-nove-miliardi-soltanto-con-telefonata/689987/

    http://www.linkiesta.it/it/article/2013/01/26/bankitalia-ecco-il-verbale-dellispezione-2010-su-mps/12041/#ixzz2J6BwtQPZ

    http://www.wsj.com/articles/SB10001424127887324906004578287983609846290

    https://www.bancaditalia.it/media/notizia/stress-test-sul-sistema-bancario-europeo-2011

    2016: un’osservazione dall’alto della tempesta

    Il 2016 si preannuncia un anno movimentato: la tensione internazionale, in progressivo aumento sin dal 2011, difficilmente decrescerà ma, al contrario, toccherà lo zenit in coincidenza con l’elezione del nuovo inquilino della Casa Bianca che, imprimendo una svolta militare alla situazione mediorientale, incendierà probabilmente le polveri. L’elaborazione di qualche carta è utile a comprendere la strategia di fondo delle oligarchie euro-atlantiche che, abbandonati i sogni di egemonia globale di inizio millennio, hanno ripiegato sino all’attuale ipotesi di un conflitto militare per impedire che il vuoto lasciato dietro di sé sia colmato da Russia e Cina.

    Il piano A

    Per comprendere la realtà, afferrarne le dinamiche sottostanti ed ipotizzarne gli sviluppi, bisogna sempre partire dagli obbiettivi di fondo di chi occupa la stanza dei bottoni: solo così si può evitare di interpretare i fatti secondo i propri parametri e scadere in analisi autoreferenziali. La corretta comprensione degli attuali avvenimenti necessita quindi dell’interrogativo: qual è l‘obbiettivo strategico delle oligarchie euro-atlantiche? La risposta, può sembrare sproposita, ma non lo è, è il dominio globale, una meta quasi raggiunta nel periodo che intercorre tra il collasso dell’URSS (1991) e la bancarotta di Lehman Brothers (2008).

    L’ambiziosa piano di controllare l’intero globo terracqueo si basava su tre cardini: l’inglobamento delle nazioni europee nell’Unione Europea che, in prospettiva, avrebbe dovuto evolversi negli Stati Uniti d’Europa, l’annichilimento della Russia e la sua successiva cooptazione come potenza di secondo rango nella UE/NATO, l’asservimento della Cina al sistema finanziario anglofono ed il suo accerchiamento per terra e per mare, così da neutralizzare le sue capacità di proiettarsi all’estero.

    Nel dicembre del 1991 l’Unione Sovietica scompare ufficialmente dalla storia; nel febbraio del 1992 è firmato iltrattato di Maastrich che pone le basi della moneta unica e del futuro allargamento dell’Unione Europea; sempre nel 1992, il 14esimo congresso del Partito Comunista Cinese abbraccia ufficialmente l’economica socialista di mercato, facendo di Pechino la fabbrica del mondo, che produce le merci consumate dagli Stati Uniti e ne finanzia anche l’acquisto, comprando porzioni crescenti del debito pubblico americano.

    Nel 1995 c’è il primo allargamento dell’Unione Europea (Austria, Finlandia e Svezia) che spinge i propri confini a ridosso della Russia. Mosca è allora in pessima acque: nel 1998, il cocktail micidiale di privatizzazione selvagge ed ingerenze del FMI, portano il Paese alla bancarotta: nel frattempo, con la prima (1994-1996) e la seconda (1999-2009) guerra cecena, angloamericani e sauditi cercano di espellere i russi dal Caucaso, la storica porta d’ingresso da cui Mosca entra nel Medio Oriente. Si procede altresì allo smembramento della Jugoslavia (guerre balcaniche del 1991-1999), così da eliminare uno storico bastione filo-russo nel sud-est europeo. Lo scopo ultimo non è tanto lo smembramento della Russia, entità pluri-nazionale per definizione, quanto la sua riduzione a potenza di secondo ordine, da fagocitare nella UE/NATO. Tra la fine degli anni ’90 ed i primi anni del 2000, l’ingresso di Mosca nelblocco atlantico è uno scenario concreto, tanto che Silvio Berlusconi insiste nel 2003 per il suo ingresso nell’Unione Europea⁴⁵ e le ultime voci di una possibile partecipazione all’Alleanza Nord Atlantica si spengono solo nel 2010⁴⁶.

    Nel dicembre del 2001 la Cina, con il suo enorme bacino di lavoratori a basso costo, è ufficialmente ammessa al WTO, l’organizzazione mondiale del commercio: così facendo le oligarchie anglofone consentono a Pechino di diventare la fabbrica del mondo, garantendo il rapido arricchimento degli industriali cinesi e lauti profitti per le imprese che trasferiscono lì i loro siti produttivi. In cambio, però, la City e Wall Street pretendono "l’apertura del sistema finanziario" dell’Impero d Centro, ossia la possibilità di estendere anche alla Repubblica Popolare cinese, come nel resto dell’Occidente, il controllo del vitale sistema bancario, strumento principe sin dall’Ottocento con cui le oligarchie anglofone tirano i fili di nazioni e popoli. "U.S., EU, Japan press China on financial services at WTO"⁴⁷ si legge ancora nel 2011 sull’agenzia Reuters, ricordando come la contropartita per il libero acceso ai ricchi mercati occidentali, fosse la possibilità da parte della finanza anglofona di installarsi stabilmente in Cina.

    Dulcis in fundo, sempre negli ultimi mesi del 2001, scatta l’operazione Enduring Freedom, utile agli angloamericani ad installarsi nello strategica regione dell’Afghanistan, già teatro del Grande Gioco tra impero britannico ed impero russo durante il XIX secolo: in verità Kabul è solo la prima tappa di un più ampio disegno egemonico, perché, come viene riferito ad uno sconcertato generale Wesley Clarck, appena dopo l’Undici settembre, l’intenzione è di "take out seven countries in five years, starting with Iraq, and then Syria, Lebanon, Libya, Somalia, Sudan and, finishing off,Iran"⁴⁸. Per concludere l’amministrazione di George W. Bush si adopera per attrarre l’India in orbita statunitense, elevandola ad "alleato strategico", ovviamente in chiave anti-cinese⁴⁹.

    A questo punto abbiamo informazioni a sufficienza per disegnare la prima carta, quella del piano A.

    Come è ben visibile, il piano A, se completamente realizzato, avrebbe garantito alle oligarchie anglofone l’egemoniaglobale, assicurando loro una fetta del PIL mondiale superiore al 50%, il pieno possesso delle riserve petrolifere mediorientali, una proiezione sull’intero continente euro-asiatico, un’influenza decisiva sulla Cina attraverso ilsistema bancario, l’egemonia del Mar Mediterraneo (ridotto a lago della NATO) e degli oceani.

    Il piano A va in fumo per i seguenti motivi:

    l’occupazione dell’Afghanistan e dell’Iraq si trasforma rapidamente in un pantano, che impedisce gli strategici cambi di regime manu militari in Iran e Siria. Inoltre l’eliminazione di Saddam Hussein, dittatore sunnita di un paese a maggioranza sciita, unita al parallelo mancato intervento in Iran, aumenta esponenzialmente l’influenza regionale di Teheran;

    i rapporti tra le oligarchie anglofone e Vladimir Putin si raffreddano progressivamente ed entrano in crisi già con la guerra in Ossezia (agosto 2008), rimandando sine die l’ingresso della Russia nella UE/NATO;

    la Cina si guarda bene dall’aprire il proprio sistema finanziario alla City ed a Wall Street;

    il capitalismo anglosassone imbocca la via del tramonto con il fallimento di Lehman Brothers nel settembre del 2008, palesando che gli angloamericani non hanno più "i dané" per reggere l’impero.

    Il primo piano per il dominio globale è quindi archiviato e si passa al successivo.

    Il piano B

    Il piano B consiste nella riproposizione del precedente con alcuni strutturali modifiche: la Russia di Vladimir Putin non è più una potenza di secondo rango, ancillare agli interessi euro-atlantici, ed i cambi di regime in Medio Oriente,archiviata l’epoca delle imponenti campagne militari di George W. Bush, sono condotti prima con le "PrimavereArabe", classiche rivoluzioni colorate in salsa mediorientale, e poi con le milizie dello Stato Islamico, un’entità forgiata da angloamericani ed israeliani con l’ausilio delle autocrazie sunnite.

    Sul Vecchio Continente avanza spedita l’operazione per inglobare le nazioni europee in un soggetto atlantico: l’eurozona, introdotta calando un regime a cambi fissi su un’area valutaria non ottimale, accumula sufficienti tensioni da esplodere al primo choc esterno (il fallimento di Lehman Brothers) ed avviare così la preventivata eurocrisi. Gli assalti speculativi che partono dalle piazze finanziarie anglofone non mirano, ovviamente, alla frantumazione della moneta unica, bensì a creare uno stato di crisi permanente ed isteria collettiva, propedeutici alla fondazione degli Stati Uniti d’Europa, ottenibili solo con uno svuotamento della sovranità delle singole nazioni nei momenti di crisi più acuta. Lo zenit dell’eurocrisi è toccato nel biennio 2011-2012, dove emerge però con chiarezza che né la Francia, né soprattutto la Germania, sono disponibili all’atto pratico a cadere poteri ad un organismo sovranazionale: l’euro imbocca una lunga e dolorosissima strada verso la dissoluzione.

    In concomitanza, sfruttando il momento di grande debolezza di alcuni Stati rivieraschi come l’Italia, si procede con i cambi di regime in Medio Oriente attraverso la primavera araba, perseguendo due obbiettivi: l’eliminazione dei governi ostili così da trasformare il Mediterraneo nel lago della NATO e la balcanizzazione delle regione così da renderne più agevole il controllo. La Primavera Araba colpisce in Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Siria, Iran e Yemen. In alcuni Paesi fallisce (Algeria ed Iran), in altri riesce (Tunisia, Yemen ed Egitto), in altre ha solo un mezzo successo, tanto da necessitare dell’intervento della NATO per concludere il lavoro: è il caso della Libia e, soprattutto della Siria. Qui, in particolare, Russia e Cina non ripetono l’errore commesso con la Libia (l’astensione sulla risoluzione ONU 1973) e decidono di difendere a spada tratta il Paese: per Mosca è in ballo anche la base navale di Laodicea e la capacità di proiettarsi nel Mediterraneo.

    L’insurrezione armata contro Damasco segna quindi il passo, tanto che nell’agosto del 2013 è organizzato l’attentatofalsa bandiera alla periferia della capitale, con l’impiego di armi chimiche (la celebre linea rossa da non varcare) utile a giustificare l’intervento militare occidentale: Russia ed Iran affermano che reagiranno a qualsiasi aggressione contro la Siria, con il concreto rischio di un’escalation militare globale. Il premio Nobel per la pace, Barack Obama, desiste dall’intervento, scontentando quegli importanti settori dell’establishment a stelle e strisce pronti alla guerra anche con la Russia: accetta invece il compromesso per lo smantellamento delle armi chimiche. L’umiliazione è cocente e si somma ad una grave impasse strategica, data dal fatto che ci sono buone probabilità che Bashar Assadsopravviva ai tentativi di rovesciarlo con l’esercito ribelle (FSA) e la galassia terroristica sunnita (Al Qaida, Al Nusra, etc.). Come reagisce l’establishment euro-atlantico?

    In due modi: con il golpe filo-occidentale in Ucraina (febbraio 2014) ed il parallelo scatenamento dell’ISIS (inverno 2013 e primavera 2014).

    Con il Califfato si vuole portare a compimento la destabilizzazione della Siria e la balcanizzazione dell’Iraq, dove i governi democratici rispecchiano inevitabilmente la maggioranza sciita del Paese, avvicinando così Baghdad all’Iran, anziché alle autocrazie sunnite filo-occidentali. La diffusione dello Stato Islamico, che dietro di sé lascia una scia di morte e distruzione, ottempera anche ad un altro obbiettivo, collegato alla situazione europea di cui sopra: ossia l’attivazione di quelle ondate migratorie, epocali per definizione, utili a generare l’ennesima crisi da cui dovrebbe scaturire la domanda di più Europa, ovvero la disponibilità a cedere quote crescenti di sovranità nazionali per fronteggiare un’altra emergenza storica.

    Per non elargire verità apodittiche, riportiamo a questo proposito il discorso di Sergio Mattarella del giugno 2015, in occasione del The European House – Ambrosetti di Cernobbio⁵⁰:

    La logica emergenziale sta rendendo l’Europa più debole, i suoi cittadini più insicuri e produce diffidenze tra gli Stati membri. Occorre, al contrario, una visione adeguata di lungo periodo ; e consapevolezza del destino comune. Va sconfitta la paura e il senso della comunanza di interessi deve tornare ad essere la base della strategia continentale. Le crisi non devono paralizzarci. L’Europa, come sottolineava Jean Monnet, si è fatta nelle crisi ed è attraverso le crisi che statisti illuminati hanno saputo intravedere, e perseguire, obiettivi di crescita. L’Europa si trova nel pieno di un passaggio storico simile a quelli indicati da Monnet(…) Lo avvertiamo di fronte alle tragedie, spaventose, di profughi e di migranti, purtroppo sempre più frequenti. (…) Questa stessa condizione di asimmetria, di sproporzione, di inadeguatezza degli Stati nazionali, contrassegna anche il loro rapporto con il fenomeno migratorio. Anche per queste ragioni, malgrado

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