Eppure si può: Elezioni Promesse e Moneta che non c'è
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IL COMMERCIO POST MODERNO Teoria, esperienze, prospettive Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniEuropa tiranna Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniEuropa Duale Euro e Moneta complementare Crescita e Bioeconomia Centro e Periferia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa moneta dissacrata: Sistemi monetari ed eurozona, più un disegno di legge sulla compensazione complementare Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL'euro la Grecia e la Moneta complementare Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL'Europa delle divergenze: Una costruzione politica ed economica da ripensare Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL’agire monetario: Un’analisi sull’operare combinato delle monete convenzionali e delle monete complementari Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Anteprima del libro
Eppure si può - Alessio Lofaro
Alessio lofaro
EPPURE SI PUÓ
Elezioni Promesse e Moneta che non c’è
UUID: 8df21244-52c9-11e8-8a61-17532927e555
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Indice dei contenuti
Prefazione
Premessa
Quasi un elogio dell’euro normalizzato
1. Elezioni e lezioni
Alle origini delle differenze regionali
Qualche altra informazione
Lega
PD
Forza Italia e la conciliazione difficile
Due coppie scoppiate tra concorrenti?
L’abbandono delle ideologie
La comunicazione digitale
Le promesse da mantenere e i soldi che non ci sono
Le promesse
I soldi che non ci sono
Altri soldi che ci sono
Dicotomie e novità da gestire
2. Maastricht, il bottone e la maniglia
Distorsioni nella gestione dell’euro
Ragioni di cambio
Coefficiente di conversione
Inflazione interna e rarefazione della moneta disponibile
I parametri (gli assiomi) di Maastricht
L’inganno del PIL
Indici non spiegati e privilegi ostentati
Non si può… eppure si potrebbe
L’euro: la moneta unica che fa il bene di pochi
La moneta unica... che non lo è
Banconote, monete, e null’altro
L’irreversibilità presunta
3. La confusione tra denaro e moneta, tra ricchezza e debito
Denaro e moneta
La moneta come debito e la pseudo chiusura dei conti
Tipi di moneta tradizionale
La chiusura dei conti e l’interesse
I tre modi di creare moneta
Crediti verso l’estero
Crediti verso l’economia interna
Crediti verso il Tesoro
Limiti alla creazione di moneta
La moneta come strumento di potere
L’euro anomalo
4. Il lungo viaggio della moneta
Problematiche della moneta nel tempo
Monete a larga diffusione
Monete di nuova concezione
Dall’economia tribale all’economia digitale
Prima dell’oro
L’oro e il dopo oro
La moneta internazionale non è sempre necessaria
Le monete locali (del sindaco, dei cittadini)
Circuiti chiusi
Certificati di lavoro
Le monete (obbligazioni) dei ministri
La moneta delle centrali di compensazione
Criticità delle monete complementari legate alle centrali di compensazione
Il potenziale strategico delle monete complementari legate alle centrali di compensazione
Circuiti semichiusi dell’economia italiana
La diffusione delle monete complementari
Monete ammortizzatore e monete replicatore
Antidoto e non alternativa
Le criptomonete: il bitcoin
5. Il caso ICC-FIDES: embrione di baratto digitale
Criticità in via di risoluzione: verso il baratto digitale
Plafond
Broker
Mercato e circuito semichiuso
Moltiplicatore
La fiera permanente
La centrale di compensazione come coordinatrice di appalti
Un fattore strategico di riequilibrio territoriale
Il prototipo c’è già, basta diffonderlo
6. Cinque monete macro-regionali per l'Italia
Il collasso dei consumi interni prodotto dall’introduzione dell’euro
Disomogeneità delle economie regionali in Italia
Progetti pilota in tempi brevi e senza rischi
Il bruco e la farfalla
7. Beni collettivi generatori di benessere
Cose che attendono d’essere fatte
Un ritorno alle origini: programmare per progetti
Lavorare tutti
8. L’helicopter money messa in pratica
La provocazione di un liberista
Il patrimonio pubblico è denaro che diventa moneta
Monete nazionali per le produzioni nazionali
9. Conclusioni
Bibliografia
Note
Se piango è un controcanto
per arricchire il grande
paese di cuccagna ch’è il domani
Eugenio Montale[1]
Prefazione
Le grandi promesse che hanno caratterizzato la recente campagna elettorale erano concentrate su due temi: il reddito e la sicurezza. Un reddito garantito per chi ne ha bisogno, e un reddito messo al riparo dall’attacco del fisco; un trattamento pensionistico e di sicurezza sociale meno condizionato dai vincoli di bilancio, e una maggiore sicurezza per i cittadini nella vita di ogni giorno.
Le obiezioni a queste promesse si leggono e si sentono sempre più insistenti: mancano i soldi per finanziare un reddito di dignità o di cittadinanza, e manca la copertura per riformare il regime fiscale; le compatibilità di bilancio impongono che il trattamento pensionistico e il sistema dell’assistenza sanitaria siano ulteriormente ridimensionati; l’attività dedicata alla messa in sicurezza del territorio e all’ammodernamento delle opere pubbliche e private (viabilità, scuole, ospedali, edilizia privata) non è finanziabile, quindi non può essere una pratica abituale, ma solo un intervento d’emergenza. Si potrebbe aggiungere: non ci sono i soldi per rifornire di carburante le automobili delle forze pubbliche, per comprare la carta igienica nelle scuole, e per pagare le borse di studio già assegnate.
Gravati da questi impedimenti non abbiamo modo di pensare agli investimenti strategici necessari per affrontare le trasformazioni indotte dalle nuove tecnologie nel mondo del lavoro; non riusciamo a finanziare un progetto organico per valorizzare i beni culturali e ambientali; non troviamo le risorse finanziarie e strumentali per contrastare le delocalizzazioni industriali e le speculazioni; non abbiamo i mezzi necessari per ridurre le diseguaglianze; ecc. ecc.: un rovello.
Un rovello anche per chi siede in Parlamento e sente la responsabilità di dare un contributo affinché la situazione migliori; una situazione dalla quale l’Italia, se fosse stata un’azienda, avrebbe tentato di uscire da gran tempo, cambiando il gruppo dirigente e ridiscutendo i contratti. Dai risultati elettorali del marzo 2018 viene un’indicazione in tal senso. Confortati dalla citazione di un premio Nobel per l’economia si potrebbe obiettare che un Paese non si governa con la stessa logica con la quale si gestisce un’azienda [2]; sarebbe una citazione incompleta e contraddittoria; l’economista è Krugman, lo stesso che suggerisce alla Grecia e al sud dell’Europa di abbandonare l’euro, inteso come moneta unica.
L’autore di questo libro affronta il tema. Mi ha incuriosito il suo Eppure si può
che si contrappone al Non si può, mancano i soldi
. Ho pensato che il suo disincanto (… tipico dei pensionati senza problemi!), e la sua attitudine a uscire dagli schemi, avrebbero potuto indicare qualche strada inconsueta da percorrere, anche se non la soluzione vera e unica
da adottare; gli è già successo altre volte.
Con questo spirito ho seguito la stesura del libro: non per condividerlo, ma per ricavarne qualche spunto di riflessione, qualche squarcio di ottimismo nel pessimismo che ci circonda.
Gli spunti non sono pochi; ne suggerisco alcuni:
Gli squilibri regionali riproposti in ben chiara evidenza dai risultati elettorali sono tipici di tutte le aree monetarie non ottimali. Occorre prendere atto che ci troviamo a dover fronteggiare la crisi di un’area monetaria formata da economie non convergenti, e quindi non ottimale; la misura della mancata ottimizzazione è tale da renderla anche non sostenibile. Noi ne soffriamo due volte: come italiani nei confronti del centro Europa (a causa dell’euro), e come centro-sud Italia nei confronti del resto del Paese (prima a causa della lira, e ora anche come conseguenza dell’euro).
L’uscita dall’euro sarebbe una risposta laboriosa, difficile, e forse inefficiente, al problema che si deve affrontare. Invece, senza negare all’euro lo status di moneta centrale, rigorosamente conforme a quanto stabiliscono i Trattati (moneta comune) e depurata dalle forzature attuali (moneta unica), nulla impedisce il ricorso a monete locali; la soluzione è già stata pensata, predisposta, collaudata, ed è già attuata legittimamente da qualche piccola (per ora) centrale di compensazione privata. Nulla vieta di far coesistere un’economia globalizzata, a circuito aperto
, basata sull’euro, e un’economia locale, a circuito parzialmente chiuso
, basata su monete di scopo o monete macro-regionali (preferibilmente ancorate a garanzie pubbliche).
Nell’ambito di un circuito chiuso qualsiasi cosa può essere impiegata come moneta; e per le parti di economia nazionale che si possono considerare chiuse
la moneta internazionale non serve, come non servirebbe a un uomo isolato. Le monete complementari di compensazione che alimentano un circuito chiuso esistono solo se esistono le merci alle quali sono collegate; per questo motivo non possono produrre inflazione.
Sulla possibilità di traslare nell’operativo questi tre temi, e alcuni altri che il lettore non tarderà a scoprire, mi sento chiamato a riflettere e, in quanto parlamentare, a dare una risposta.
Gilberto Pichetto Fratin
Senatore della Repubblica
Roma, aprile 2018
[1]
Premessa
Quasi un elogio dell’euro normalizzato
I risultati elettorali del 4 marzo 2018 sembrano il segnale assai chiaro di un Paese in declino e di una crisi bifronte, schizofrenica, le cui manifestazioni spaziano dal disagio economico, alla rivendicazioni di tutele per le situazioni di benessere, e confluiscono verso la protesta sociale. È l’Italia arrabbiata e frammentata che lancia segnali di ribellione.
Le cause economiche più evidenti della crisi sono due: la carenza di liquidità interna e la concorrenza estera; a esse si aggiungono altre disfunzioni presenti nel sistema, non trascurabili, ma non specifiche della situazione attuale.
Un’analisi appena più approfondita consente di rilevare le cause sottostanti e altri segnali: ci mancano i mezzi per affrontare la globalizzazione e ci troviamo in un’area monetaria non ottimale [3], che soffoca le economie più deboli: sembra impossibile creare nuove imprese, realizzare nuove produzioni competitive sul mercato, manutenere il territorio e le infrastrutture, salvaguardare l’ambiente, migliorare il sistema dell’educazione e della formazione, curare adeguatamente le malattie, e garantire l’ordine pubblico. Perché? Non ci sono i soldi, questa è la risposta.
Per contro, è del tutto evidente la sovrabbondanza di risorse interne inutilizzate, che sarebbero idonee a risolvere i problemi. Allora bisogna domandarsi: se l’ostacolo sono i soldi, che cosa sono questi soldi che mancano? Perché mancano? C’è qualcosa che li può sostituire?
Si può anticipare la risposta, come nei telefilm del tenente Colombo, nei quali ciò che avvince non è la scoperta del colpevole, ma è seguire il percorso logico che porta all’assassino improbabile, che si conosce già. Nel nostro caso conosciamo il mandante e sappiamo chi sono i due esecutori materiali; il mandante è il potere della grande finanza internazionale e gli esecutori sono due componenti degenerati dell’economia: l’euro (falsa moneta unica) e la globalizzazione (falso liberalismo, liberismo selvaggio); l’euro è impiegato come se fosse una moneta unica, mentre la moneta regolata dal Trattato di Maastricht è una moneta comune (lo si vedrà nel capitolo 2); e la globalizzazione è diventata un evidente facilitatore della concorrenza sleale basata sul dumping indiretto [4] che spazia dal costo del lavoro, al costo dell’energia, alla tutela dell’ambiente e dei diritti umani: è un’esperienza che viviamo tutti i giorni, tra delocalizzazioni all’estero, acquisizioni di aziende strategiche da parte di capitali stranieri, e prodotti d’importazione, succedanei o sostitutivi di quelli nazionali, la cui qualità si scopre spesso difforme dagli standard che dovrebbero essere garantiti; il protagonista buono, incompreso e trascurato, è il mercato interno, che potrebbe essere alimentato e tutelato, non protetto
, tramite una o più monete complementari.
Mancano i soldi… eppure ci sono! Per trovarli vi è chi propone agli stati di abbandonare l’euro e di sostituirlo con una propria moneta.
Sul piano puramente teorico, l’idea non è ingiustificata, ma i problemi connessi a una simile decisione, uniti a quelli che resterebbero irrisolti, sono tali da far concludere che, nel concreto, ha poco senso pensare di uscire dall’euro. Invece è un dovere, fino ad ora trascurato, il pretendere che lo si normalizzi; che sia la moneta comune del Trattato, e non sia la moneta unica imposta dalle convenienze che hanno determinato la prassi consolidata; è un dovere fare in modo che l’euro sia una moneta per tutti, non la moneta utile a pochi, che è un’aberrante degenerazione di quella sancita dalle regole: un fenomeno deviante orchestrato dalla finanza occulta e rapace.
L’adesione all’euro, moneta comune, disciplinato e gestito con rigore, è una condizione essenziale per lo sviluppo delle economie nazionali e regionali; è la condizione per poter vivere il nostro tempo non da emarginati. Questa moneta non