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Terra contro Mare: Le Pan-regioni 1919-1949. I - L'architettura geopolitica
Terra contro Mare: Le Pan-regioni 1919-1949. I - L'architettura geopolitica
Terra contro Mare: Le Pan-regioni 1919-1949. I - L'architettura geopolitica
E-book1.385 pagine10 ore

Terra contro Mare: Le Pan-regioni 1919-1949. I - L'architettura geopolitica

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La guerra che avrebbe dovuto porre fine a tutte le guerre non è nient’altro che una tappa della lotta ingaggiata dalle potenze anglosassoni contro i colossi continentali in rapida ascesa. Quando gli Alleati si riuniscono a Parigi nel 1919 per dettare i termini di pace, gli strateghi angloamericani hanno già concepito le linee su cui sviluppare il prossimo conflitto. Nell’immediato dopoguerra, anziché farsi garanti dell’ordine internazionale, le Isole adottano così una politica isolazionista e protezionista. Al crollo della globalizzazione coincide l’ascesa di una nuova idea geopolitica: le pan-regioni.
 
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2019
ISBN9788835338079
Terra contro Mare: Le Pan-regioni 1919-1949. I - L'architettura geopolitica

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    Anteprima del libro

    Terra contro Mare - Federico Dezzani

    TERRA CONTRO MARE

    LE PAN-REGIONI 1919-1949

    I. L’ARCHITETTURA GEOPOLITICA

    FEDERICO DEZZANI

    PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

    LE PAN-REGIONI: 1919-1949

    I. L’ARCHITETTURA GEOPOLITICA

    Dio disse: Siano raccolte in unico luogo le acque che sono sotto il cielo a appaia l’asciutto.

    E così avvenne.

    Dio chiamò l’asciutto Terra e chiamò le acque Mare".

    Genesi, 9-10

    In the great Revolutionary Horologe, one might mark the years and the epochs by the successive kinds of exiles that walk London streets

    Thomas Carlyle, Life of John Sterling, 1851

    Turkestan, Afghanistan, Transcaspia, Persia – gran parte di questi nomi danno solo una sensazione di estraneità e lontananza. Per me, lo confesso, sono nomi di pezzi sulla scacchiera ove è in corso la partita per il dominio del mondo.

    George Curzon, viceré dell’India tra il 1899 ed il 1905

    "The surrender of the German fleet in the Firth of Forth is a dazzling event, but in all soberness, if we take the long view, must we not still reckon with the possibility that a large part of the Continent might some day be united under a single sway, and that an invincible sea-power might be based upon it?"

    Halford Mackinder, Democratic Ideals and Reality, gennaio 1919

    La marina da guerra e la flotta mercantile tedesche sono state consegnate, le colonie tedesche abbandonate. Uno dei nostri principali concorrenti commerciali è stato seriamente menomato e i nostri alleati alleati stanno per diventarne i principali creditori. (…) Abbiamo distrutto chi minacciava i nostri possedimenti in India.

    Llyod George, premier britannico, 1919

    L’imperialismo in fondo non è che il bisogno, il desiderio e la volontà di espansione, che ogni popolo vivo e vitale ha in sé.

    Benito Mussolini, 1919

    Se, come può certo accadere, dovessimo veder nascere durante le nostre vita, sulle rive del Giordano, uno Stato ebraico sotto la protezione della Corona britannica comprendente tre o quattro milioni di ebrei, si sarebbe verificato nella storia del mondo un evento positivo da ogni punto di vista, e specialmente in armonia coi più autentici interessi dell’impero britannico.

    Wiston Churchill, febbraio 1920

    Nonostante l’odio feroce nutrito per i bolscevichi dal governo borghese tedesco, le esigenze della situazione internazionale lo spingono suo malgrado alla pace con la Russia sovietica.

    Lenin, 1920

    L’impero è il prodotto d’una selezione di Stati nella lotta per l’esistenza, nella lotta di classe delle nazioni, nella concorrenza, nell’espansione, nella guerra e nella conquista per il mondo.

    Enrico Corradini, L’Unità e la potenza delle Nazioni, 1922

    "Di questi cinque grandi spazi, il Panamerica era già organizzato; anche il Nord del Vecchio Mondo con l’Unione Sovietica ed il Sud con l’Impero Britannico. Nell’Estremo Oriente, il Giappone tentava di formare un blocco mongolico assieme alla Cina. Soltanto il quinto di questi grandi spazi, cioè Paneuropa, era ancora completamente disorganizzato."

    Richard Coudenhove-Kalergi, fondatore nel 1923 di Paneuropa

    Noi, nazionalsocialisti, tiriamo una riga sulla politica estera tedesca dell’anteguerra, e la cancelliamo. Noi cominciamo là, dove si terminò sei secoli fa. Mettiamo termine all’eterna marcia germanica verso il sud e l’ovest dell’Europa e volgiamo lo sguardo alla terra situata all’est. Chiudiamo finalmente la politica coloniale e commerciale dell’anteguerra e trapassiamo alla politica territoriale dell’avvenire. (…) Confesso che già nell’anteguerra avrei ritenuto conveniente che la Germania, rinunziando all’assurda politica coloniale e alla marina mercantile e da guerra, facesse alleanza con l’Inghilterra contro la Russia, trapassando così, da una debole politica mondiale, ad una risoluta politica europea, mirante all’acquisto di territorio nel continente.

    Adolf Hitler, Mein Kampf, 1923

    Mussolini ci ha insegnato ad essere ostinati e pazienti, e ci ha indicato quelle fondamentali idee che occorre servire perché lo sforzo che ci attende è assai più impegnativo e poderoso di quelli trascorsi. Essere l’asse dell’Europa vorrà dire un giorno per noi essere l’asse del mondo.

    Critica fascista, 15 maggio 1930

    La Pan-America rappresenta il modello più equilibrato di un’organizzazione intermedia di una vasta area regionale del mondo, un modello che coinvolge il popolo, la nazione, lo Stato e tutto il territorio. Per questo non ha tollerato il conflitto tra Bolivia e Paraguay, e permesso l’affermarsi di organizzazioni popolari in Cile, Perù, Bolivia. Il che dimostra la tendenza a risolvere i problemi e le istanze del Nuovo Mondo senza intromissioni di potenze straniere. Dunque la Pan-America tende a definirsi indipendentemente da tutte quelle ingerenze e influenze internazionali che, invece, incidono pesantemente sulla costruzione – faticosa e limitata – dell’Europa.

    Karl Haushofer, Geopolitica delle Pan-Idee, 1931

    Anche l’Italia ha il suo problema da risolvere. Esso non è meno alto né meno grave che quello della sicurezza, che quello della libertà, che quello della ripresa e dei rapporti economici tra Stati vicini. Esso è un problema di vita e di morte e investe in pieno la nostra esistenza e il nostro avvenire, è il problema, come dicevo, di pace, di tranquillità di lavoro ad un popolo di 42 milioni di abitanti che saranno 50 milioni tra un quindicennio.

    Dino Grandi, ambasciatore a Londra, 1932

    Vedrà! Hitler creerà Paneuropa!

    Hjalmar Schacht a Richard Coudenhove-Kalergi, 1932

    INDICE

    INTRODUZIONE

    MACKINDER AGGIORNA LA TEORIA

    PARIGI 1919: LE BASI DELLA SECONDA GUERRA PUNICA

    IL MODERNO MEDIO ORIENTE E L’HEARTLAND TURCO

    LE ISOLE: DAL LIBERALISMO ALLA CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE

    LEO AMERY E RICHARD COUDENHOVE-KALERGI: LA GENESI DELLE PAN-REGIONI

    HEARTLAND/1: IL CONSOLIDAMENTO DELL’URSS

    HEARTLAND/2: LA CINA VERSO LA REPUBBLICA

    MEZZALUNA FASCISTA/1: L’ITALIA

    ANTIEUROPA, LA PANEUROPA FASCISTA

    GIULIO DOUHET E L’IRRUZIONE DELL’ARIA

    MEZZALUNA FASCISTA/2: IL GIAPPONE

    MEZZALUNA FASCISTA/3.1: NASCITA E TRAVAGLI DI WEIMAR

    KARL HAUSHOFER E LA GEOPOLITICA DEL MEIN KAMPF

    MEZZALUNA FASCISTA/3.2: NORMALIZZAZIONE E COLLASSO DI WEIMAR

    REFLAZIONE, AUTARCHIA E DIRIGISMO

    CONCLUSIONE AL PRIMO TOMO

    NOTA A – GIACOMO BONI ED IL MITO DELLA ROMA IMPERIALE

    TAVOLE

    BIBLIOGRAFIA

    INTRODUZIONE

    INTRODUZIONE

    Partimmo con l’idea di narrare la geopolitica dietro la Rivoluzione russa: ne è uscito un volume, Terra contro Mare: dalla rivoluzione inglese a quella russa, che copre tre secoli di storia, fermandosi all’armistizio del 1918. La Grande Guerra è però soltanto una tappa della lotta ingaggiata dalle potenze marittime anglosassoni contro le potenze continentali euroasiatiche, allora in pieno sviluppo economico e demografico: smembrati i secolari imperi degli Hohenzollern, degli Asburgo e degli Ottomani e installato il regime bolscevico nell’area pivot, il Leviatano affossa nel primo dopoguerra l’economia globalizzata, già entrata in crisi con la guerra, e diffonde parallelamente un nuovo archetipo geopolitico, quello delle pan-regioni o dei grandi spazi, sul modello della dottrina Monroe statunitense, in vista di un nuovo conflitto che gli assicuri l’egemonia nel XX secolo. In questo primo tomo analizzeremo la costruzione dell’architettura geopolitica che condurrà prima al crollo dell’ordine versagliese e poi alla Seconda Guerra Mondiale: alle isole anglosassoni e liberali si contrappone l’Heartland dove l’URSS si consolida e la Cina intraprende un difficile percorso verso la modernizzazione. Nel mezzo, tutt’intorno al continente euroasiatico, schiacciata tra i pirati del mare ed i nomadi della steppa, è costruita una mezzaluna fascista di potenze revisioniste, autoritarie e proletarie (Italia, Giappone e Germania) che, a partire dagli anni Trenta, imbracceranno le armi per conquistare i propri spazi vitali e imporre le proprie dottrine Monroe in un mondo che si sta apparentemente frammentando in grandi blocchi autarchici.

    Torino, autunno 2019

    Federico Dezzani

    I

    MACKINDER

    AGGIORNA

    LA TEORIA

    MACKINDER AGGIORNA LA TEORIA

    Gennaio 1919: non sono trascorsi neppure due mesi dall’armistizio tra la Germania e le potenze alleate siglato nei boschi della Piccardia, sul vagone ristorante del convoglio francese. Ovunque, sul Continente, si contano i danni e si affrontano gli effetti di un conflitto che ha chiuso un’epoca: gloriosi troni sono stati rovesciati, l’ordine sociale è stato scosso alle fondamenta, l’economia e le finanze sono state stravolte dallo sforzo bellico, nuove nazioni stanno sorgendo sulle carte geografiche. La Cecoslovacchia ha dichiarato la propria indipendenza nell’ottobre precedente, la Polonia nel mese di novembre, in Ungheria Bela Kun prepara la conquista del potere, la Baviera è retta da una repubblica di stampo sovietico, Berlino è il centro della rivolta spartachista guidata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, la Renania è occupata dalle truppe alleate, in Russia il generale Anton Denikin e l’ammiraglio Aleksandr Kolcak lottano ancora contro l’Armata Rossa. Ovunque, sull’Europa continentale, si vive l’inverno più duro a memoria d’uomo a causa della penuria di carbone (le miniere del Nord Europa sono state allegate ed il materiale rotabile è in pessime condizioni) e della pandemia influenzale che sta mietendo più vittime della guerra appena conclusa. La situazione in Germania è poi aggravata dal perdurante blocco navale della flotta inglese.

    Il 18 gennaio si apre la Conferenza di Parigi, con cui i Quattro Grandi (Inghilterra, Stati Uniti d’America, Francia e Italia) intendono riscrivere gli equilibri mondiali sulla base dei Quattordici punti annunciati dal presidente americano Woodrow Wilson, poggianti sull’autodeterminazione dei popoli e sulla creazione di una società delle nazioni per dirimere le dispute internazionali. Molti credono che per il mondo, dopo quella gigantesca esplosione di violenza, si prospetti un lungo ed ininterrotto periodo di pace. Dopotutto, la rivoluzione democratica non ha trionfato anche in Russia, rovesciando l’autocrazia dei Romanov? I militaristi prussiani non sono stati sconfitti e il kaiser Guglielmo II costretto all’esilio? I popoli dell’Europa centrale non si sono finalmente liberati dal giogo austriaco e quelli arabi dal dominio turco? Pensare in termini strategici, però, significa pensare in un’ottica di lungo periodo, abbracciando con la mente l’intero planisfero. Pensare in termini geopolitici, significa considerare anche la più cruenta delle guerre sperimentate dall’umanità come un singolo capitolo del plurisecolare scontro tra Terra e Mare. Ciò che per l’uomo medio del 1919 è un’esperienza unica e irripetibile, per gli strateghi è soltanto una tappa intermedia della sfida lanciata dalla potenze marittime all’Eurasia: dopotutto, Charles Repington, corrispondente di guerra per il Times di Londra, non ha da poco coniato il termine Prima Guerra Mondiale, lasciando presagire un secondo, sanguinoso, capitolo?

    Si prenda in esame, innanzitutto, la potenza tedesca, la vera causa della Prima Guerra Mondiale, da non confondere con la causa causans (l’omicidio dell’arciduca Francesco Giuseppe e le rivalità austro-russe nei Balcani): la Germania, dopo uno sforzo immane che ha richiesto la mobilitazione di di tutte le grandi potenze dell’epoca (Inghilterra, Francia, Russia e Stati Uniti d’America), è stata infine costretta alla resa, strangolata dal blocco economico degli Alleati. Certo, il suo regime è stato scosso alle fondamenta con l’abdicazione degli Hohenzollern, il suo impero coloniale occupato e la sua Weltpolitk stroncata, tuttavia, al di là delle perdite umane (pari a circa due milioni di soldati), il Paese è ancora sostanzialmente integro: le industrie sono uscite incolumi dal conflitto, la temuta casta militare-burocratico prussiana occupa ancora i vertici dello Stato, il suo territorio, libero da qualsiasi soldato straniero al momento dell’armistizio, non è sottoponibile a grandi amputazioni. Dopo quattro anni di combattimenti, la Germania è ancora in piedi e la sua società sostanzialmente integra: le potenze alleate, in sostanza, non sono materialmente in grado di sradicare manu militari quella Kultur che rende così temibile il Reich tedesco: cos’è la Kultur? Si può la modernità (e cioè il pensiero positivista, determinista, empirista e realista) applicata ad una società autocratica-continentale. "Tutto ciò che è reale è razionale" asseriva Hegel, che vedeva nella monarchia prussiana nientemeno che la manifestazione della ragione. Non solo. Con il respingimento ed Est della Russia e la nascita di nuovi Paesi nell’Europa centro-orientale, lo spazio economico della Germania rischia addirittura di allargarsi, finendo col regalare per vie pacifiche a Berlino quell’area economica (Mitteleuropa), vanamente cercata durante la guerra.

    A sud della Germania, il Regno d’Italia è uscito vittorioso dalla Guerra Guerra, figurando tra i Quattro Grandi del mondo: respinta l’Austria al di là delle Alpi e perfezionate le frontiere al Nord, non esiste più nessun motivo di frizione tra il mondo germanico e Roma. Anzi, è solo questione di tempo perché l’Italia volga nuovamente lo sguardo al Mediterraneo, entrando in rivalità con francesi e inglesi. Non avrebbe quindi l’Italia monarchico-liberale interesse a riavvicinarsi al Reich tedesco, ora borghese-parlamentare, secondo la vecchia configurazione della Triplice Alleanza? E come cambierebbero, allora, gli equilibri nel Mediterraneo?

    A est della Germania, i bolscevichi lottano ancora per consolidare il proprio potere all’interno della Russia, sperando nel frattempo che la rivoluzione socialista si propaghi al resto d’Europa. Certo, a Londra come a Washington, si tifa segretamente perché Lenin e compagni vincano la guerra civile, ma per un preciso scopo: che la Russia, la secolare e temibile potenza continentale che insidiava gli inglesi ai tre angoli dell’Eurasia, sia isolata dalla comunità internazionale. Se a Pietrogrado non avessero trionfato i bolscevichi, la Russia siederebbe nel gennaio 1919 al tavolo dei vincitori, più rispettata e temuta che mai, avendo conquistato ora anche Costantinopoli e gli Stretti. È quindi interesse dell’Occidente che la Russia bolscevica resti al di fuori del consesso europeo e non stringa pericolose relazioni politico-economiche con l’altra grande sconfitta della guerra: la Germania. Dopotutto, il Reich tedesco era stata la prima potenza a riconoscere il governo bolscevico nel 1918, accompagnando il trattato di Brest-Litovsk con una serie di importanti accordi economici. Cosa accadrebbe se la Germania borghese-parlamentare consolidasse i rapporti con il regime bolscevico, fornendo tecnologia e conoscenze in cambio di derrate alimentari, petrolio e metalli? Che piega prenderebbe il XX secolo se Germania e Russia dovessero intraprendere un duraturo percorso di collaborazione?

    Più a est ancora, è il Giappone. Annessa Taiwan/Formosa nel 1895, la Corea nel 1910 e le colonie tedesche del Pacifico all’inizio del conflitto, Tokyo è ormai a tutti gli effetti una grande potenza, con due particolarità: è una nazione gialla, in grado perciò di esercitare una particolare influenza in Asia e, allo stesso tempo, ha abbracciato la modernità emulando sostanzialmente il modello tedesco, sviluppando l’equivalente della Kultur noto come Kokutai (sistema nazionale), vocato al potenziamento e ammodernamento dello Stato-nazione giapponese secondo criteri rigorosamente autocratici. Chi guarda al Giappone con un misto di fascino e, allo stesso tempo, preoccupazione, sono i nazionalisti cinesi che, nel 1911, hanno deposto l’ultimo imperatore della dinastia dei Qing e dichiarato la Repubblica. Certo, la Cina, che fino alla seconda metà dell’Ottocento, era stata la prima economia al mondo, sta vivendo un periodo di disordini e decadenza, ma è solo questione di tempo perché abbracci a sua volta la modernità: ed allora, gli equilibri mondiali potrebbero cambiare nuovamente. Come sarà dunque chiaro da questo breve panorama politico internazionale, benché gli angloamericani siano usciti vincitori dalla Grande Guerra, è quindi tutto fuorché scontato che il Ventesimo secolo sia nuovamente dominato dalle potenze marittime anglosassoni.

    Alla base della Grande Guerra, come abbiamo analizzato nel nostro precedente volume, c’era il lavoro The Geographical Pivot of History di Halford Mackinder, pubblicato nel gennaio 1904: nel testo, il direttore della London School Economics paventava l’alleanza tra l’impero zarista, che occupava la cosiddetta area pivot, e l’impero tedesco, che godeva in Europa della stessa posizione strategica detenuta Russia in Eurasia: tale alleanza, resa ancora più temibile dallo sviluppo delle moderne ferrovie, avrebbe consentito alle potenze continentali di espandersi verso la cosiddetta mezzaluna interna (Medio Oriente, Asia Centrale ed Estremo Oriente), spostando l’egemonia mondiale dal Mare alla Terra. Un simile scenario, continuava Mackinder, avrebbe costretto le potenze marittime ad intervenire, trasformando la Francia, l’Italia, l’Egitto, l’India e la Corea in altrettante teste di ponte contro i grandi imperi continentali. Al lavoro di Mackinder, era seguita l’alleanza anglo-francese (1904), la provvidenziale alleanza anglo-russa (1907), siglata nonostante gli ammonimenti dei politici russi filo-tedeschi ed euroasiatici (si ricordi la figura di Sergei Witte), ed infine la guerra, che aveva portato alla caduta dei Romanov, alla Rivoluzione d’Ottobre, alla sconfitta della Germania e alla frantumazione dell’impero ottomano, con tutte le sue implicazioni geografiche ed economiche. Agli strateghi angloamericani, dunque, si presenta nel complesso un quadro intermedio tra il rischio della sconfitta (alleanza tra impero tedesco e russo, definitamente sfumata nel 1914) e la vittoria totale: occorre terminare il lavoro, portando a compimento quel grande disegno strategico concepito, quasi certamente nella sua interezza, sin dai primi anni del ‘900.

    La cosiddetta area pivot sta per cadere saldamente nelle mani dei bolscevichi, isolando così il cuore dell’Eurasia dal resto del mondo, grazie alla barriera ideologica del comunismo. All’area pivot appartiene anche, almeno parzialmente, la Cina convalescente. Nella mezzaluna interna, un ruolo di primo piano è ancora occupato dalla Germania: non più potenza mondiale come nel 1914, ma neppure annientata e in grado di riprendersi sfruttando il proprio potenziale economico intatto. Sempre nella mezzaluna interna si trova l’Italia, aspirante grande potenza che occupa una posizione strategica nel Mediterraneo. In Estremo Oriente si espande il Giappone, parte di quello che Mackinder chiama mezzaluna esterna, collocando così Tokyo insieme alle isole (Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Australia). Perché le potenze marittime possano trionfare bisogna quindi imbastire un’architettura geopolitica che conduca alla seconda guerra punica, diretta continuazione della prima (1914-1918): Germania, Italia e Giappone essere devono sconfitte e occupate, scaricando il massimo tributo di sangue sulla Russia, preventivamente trasformata in Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il regime comunista, infine, deve essere esteso all’intera Cina continentale, cosicché l’intera area pivot, la stessa area che a inizio Novecento dava preoccupanti segnali di vitalità economica-militare, sia messa in quarantena dal mondo libero e non possa organizzare la cosiddetta Isola-Mondo (Africa, Europa ed Asia). Occorre, in sostanza, preparare la Seconda Guerra Mondiale, che nel 1945 si sarebbe conclusa con la conquista angloamericana dell’Europa Occidentale e del Giappone, l’estensione dei regimi comunisti a buona parte dell’Eurasia e la decolonizzazione dell’Africa.

    Se The Geographical Pivot of History può considerarsi il programma della Grande Guerra, lo scontro tra Terra e Mare più sanguinoso e totalizzante della storia, grazie alla produzione su scala industriale degli armamenti e la mobilitazione pressoché completa della popolazione civile, Mackinder, ora, nel gennaio 1919, scrive il programma del conflitto successivo, continuazione diretta della prima guerra punica anglo-tedesca. Mentre i capi di Stato delle potenze vincitrici si riuniscono a Parigi per dettare i termini di una pace giusta e duratura, l’ex-direttore della London School of Economics già mette nero su bianco le linee su cui si svilupperà la prossima guerra: un conflitto tra tedeschi e slavi per il controllo dell’Europa dell’Est e, a cascata, dell’Heartland (il cuore della Terra) e del mondo. Mutuate dal geopolitico tedesco Karl Haushofer, un personaggio chiave della nostra storia, cui dedicheremo ampio spazio, le idee di Mackinder avrebbero prima costituito l’ossatura geopolitica di Mein Kampf e, nel giugno 1941, avrebbero rappresentato le ragioni più profonde e inconfessabili dell’Operazione Barbarossa contro l’Unione Sovietica. La guerra si sarebbe conclusa come implicitamente auspicato da Mackinder e dalla sua cerchia di suprematisti anglosassoni, dominati dalle figure di Cecil Rhodes e Alfred Milner: l’annientamento delle medie-potenze revisioniste e la diffusione del socialismo reale a tutto l’Heartland.

    Il programma della Seconda Guerra Mondiale è pubblicato il 1º febbraio 1919, dalla Henry Holt and Company di New York (quasi a testimoniare il passaggio dell’egemonia mondiale dall’impero britannico agli Stati Uniti d’America): Democratic Ideals and Reality: A Study in the Politcs of Reconstruction è un classico della geopolitica, utile non soltanto per capire le dinamiche internazionali del primo dopoguerra e della Seconda Guerra Mondiale, ma anche per comprendere la strategia angloamericana nell’affrontare, agli anni ‘20 del XXI secolo, il riemergere della potenza tedesca, il rischio di una convergenza russo-tedesca, il risveglio della potenza turca e iraniana, nonché la minaccia esiziale della Nuova via della Seta, con la quale la Cina vorrebbe organizzare Asia, Europa e Africa, la massa di terra che Mackinder chiama World Island, l’isola-mondo. Data l’importanza del documento, indispensabile per capire la strategia del Mare contro la Terra nel primo dopoguerra come oggi, ciascuno degli otto capitoli che compongono l’opera merita un’attenta analisi.

    Nella breve prefazione, datata 1º febbraio 1919, Mackinder ricollega innanzitutto Democratic Ideals and Reality al suo lavoro di quindici anni prima, dove aveva trattato per la prima volta il tema dell’Heartland e gli effetti prodotti dall’industrializzazione e dalla diffusione dei moderni mezzi di trasporti sui grandi imperi continentali: la guerra del 1914-1918, asserisce l’ex-direttore dell’LSE, non ha alterato, bensì confermato, le sue idee. If I now venture to write on these themes at somewhat greater length, it is because I feel that the war has established, and not shaken, my former points of view.

    Nel primo capitolo, Perspective (prospettiva), si invita a considerare i recenti e drammatici eventi in un’ottica di lungo periodo. Non importa quanto sia stata sconvolgente e totalizzante la guerra: prima o poi le tensioni tra Nazioni si accumuleranno di nuovo, proprio come avvenne dopo il Congresso di Vienna del 1814. Le grandi guerre della storia (si conta una guerra mondiale ogni cento, negli ultimi quattro secoli) sono infatti il risultato di un diverso tasso di crescita tra nazioni, dovute sia al genio dei diversi popoli che alla distribuzione non omogenea di risorse e opportunità strategiche: il concetto dei diversi ritmi di crescita economica come origine delle guerre, risalente a Tucidide, è ancora oggi universalmente accettato come principale causa scatenante dei conflitti. Nel caso della Grande Guerra, fu il portentoso sviluppo della Germania guglielmina e della Russia zarista a indurre l’Inghilterra a dichiarare guerra alla prima e a destabilizzare la seconda. Sarebbe azzardato, afferma Mackinder, attribuire il mantenimento della pace solo alla nascente Lega della Nazioni: al contrario, bisogna continuare a ragionare in termini di diversi tassi di crescita e di diversa distribuzione delle ricchezze. Bisogna, in sostanza, conciliare gli ideali di libertà (ideals of freedom) con le perduranti realtà geografiche ("those lasting realities of our earthly home"). Ideali e realtà appaiono così come una coppia di opposti, tipica del pensiero gnostico, traducibile come Mare, sinonimo di ideali e libertà, e Terra, sinonimo di realtà e organizzazione. Qual è la perdurante realtà che preoccupa Mackinder? Sempre la Germania, sconfitta ma non annientata: a great and advanced society has, in consequence, a powerful momentum; without destroying the society itself you cannot suddenly check or divert its course.

    Il secondo capitolo, Social momentum (slancio sociale), è infatti un’approfondita e spietata analisi della Germania, considerata, ancora nel gennaio 1919, come la principale minaccia dell’Occidente a trazione angloamericana. Tutto nasce, secondo Mackinder, dalle origini stesse della Germania che, anziché essere stata partorita dalla rivoluzione nazional-liberale del 1848, è stata forgiata col sangue e col ferro da Otto von Bismarck. Sotto la guida del cancelliere prussiano si consumò la tragedia dell’idealismo dei movimenti di unificazione nazionale (con idealismo si intende qui l’insieme di valori tipici delle rivoluzioni gnostiche: libertà, uguaglianza, fratellanza, etc.) trasformato nel materialismo, comunemente chiamato Kultur, tipico dell’organizzatore (organizer). Questo passaggio merita un approfondimento, perché consente di affinare la nostra conoscenza della dialettica Mare e Terra: il mare è un spazio non occupabile, né amministrabile, né organizzabile, luogo perciò degli ideali di libertà e disordine, mentre la terra è uno spazio trasformabile in proprietà ed organizzabile in territorio statale, luogo perciò dell’autocrazia e dell’ordine. La Germania, in quanto potenza continentale per eccellenza, è quindi intrinsecamente un’organizzatrice, che si colloca agli antipodi dell’idealismo occidentale, squisitamente marittimo. Anche John Maynard Keynes, membro della delegazione britannica alla Conferenza di Parigi, si esprime in termini molto simili, ricordando le capacità organizzative della Germania Guglielmina nel periodo prebellico: "Con il sistema della penetrazione pacifica, la Germania dava a questi paesi (Russia, Austria-Ungheria, Bulgaria, Romania e Turchia) non solo capitale ma, cosa di cui avevano altrettanto bisogno, organizzazione. Tutta l’Europa a Est del Reno cadeva così nell’orbita industriale tedesca, e la sua vita economica era regolata in conformità¹".

    Se nelle autocrazie pensiero strategico e azione coincidono, sostiene Mackinder, democracy refuses to think strategically unless and until compelled to do so for purposes of defense: gli strateghi delle democrazie liberali, perciò, hanno implicitamente l’obbligo di ammantare gli obiettivi strategici con la difesa della sicurezza nazionale e dei principi democratici. Secondo Mackinder, Otto von Bismarck, lo statista che costruì la potenza tedesca grazie ad una politica prettamente concreta e realistica (la celebre Realpolitik), è il tipico prodotto della Kultur (letteralmente civiltà) tedesca, impregnata di razionalismo e materialismo. Secondo Mackinder le origini della Kultur risalgono alla disfatta di Jena dell’ottobre 1806, evento che obbliga la monarchia prussiana a riplasmare esercito e burocrazia secondo criteri moderni, creando così il nesso tra educazione e bisogni dello Stato, nesso che costituisce il segreto della potenza prussiana. La Germania acquista così quello slancio sociale che l’avrebbe portata a contendere l’egemonia mondiale all’Inghilterra. Un tratto saliente della Kultur, continua Mackinder, è lo studio della geografia e la produzione di carte geografiche di ottima fattura: Maps are the essential apparatus of Kultur, and every educated German is a geographer in a sense that is true of very few Englishmen or Americans. He has been taught to see in maps not merely the conventional boundaries established by scraps of paper, but permanent physical opportunities - ways and means- in the literal sense of word.

    Il profilo dell’élite tedesca tracciato da Mackinder mostra effettivamente forti analogie con il ritratto che lo storico tedesco Gerhard Ritter fa del capo di Stato maggiore Helmuth von Moltke (1800-1891), prototipo del militarista prussiano, artefice della vittoria di Sedan, nonché direttore e azionista della Compagnia ferroviaria Amburgo-Berlino. Scrive infatti Ritter: "Giovane ufficiale di Stato maggiore, Moltke si dedica allo studio delle lingue straniere, frequenta all’università lezioni di letteratura, si dedica ad ampie letterature in parecchie lingue, legge con lo stesso zelo libri di letteratura, di storia naturale e di filosofia, si occupa di economia, nelle numerose ore di libertà e traduce la poderosa storia dell’impero romano di Gibbon (…) Tuttavia vi è un settore degli studi di scienza militare cui si dedica con un zelo va al di là della necessità di lavoro: la topografia e la geografia storica (...) La sua conoscenza tecnica del sistema ferroviario non manca di stupire ed è bene ricordare che considerazioni non tanto di ordine militare quanto economico determinarono le sue proposte per la rete ferroviaria tedesca (…) La sua comprensione del mondo oltrepassa il mero divertimento intellettuale per cogliere la conclusione immediata, la decisione pratica (…) Indubbiamente, Moltke fu l’uomo della moderna, chiara, fredda realtà del XIX secolo che abbandona le velleità eroico-romantiche del passato; l’uomo dell’intelligenza pratica, più che della meditazione filosofica²". Cosa vede Mackinder nella Kultur tedesca, di cui von Moltke è, insieme a Bismarck, il più illustre esempio, che allo stesso tempo lo affascina e lo spaventa? La declinazione, in chiave continentale-autocratica, della modernità, col suo caratteristico approccio razionalista: ciò che sulle isole britanniche si chiama Civiltà, ed è abbinato alla democrazia e ai principi liberali, sul Continente si chiama Kultur, ed è sinonimo di gerarchia e autocrazia. A questo punto, infatti, Mackinder introduce esplicitamente la dicotomia Terra-Mare.

    Il terzo capitolo, The seaman’s point of view (il punto di vista del marittimo), affronta la Geopolitica usando come prospettiva quella degli anglosassoni: non è un caso se nel primo paragrafo Mackinder citi espressamente l’ammiraglio americano Mahan che, col suo The Influence of Sea Power upon History (1890), aveva per primo riassunto ed esplicitato la strategia egemonica di una potenza marittima. Le prime pagine contengono una storia ragionata del susseguirsi delle potenze marittime, dall’antichità sino all’età contemporanea. Dov’è comincia la storia di Mackinder? Ovviamente dall’Antico Egitto e dalla valle del Nilo, culla del Leviatano e della gnosi, da cui sono derivano in ultima analisi la dicotomia Terra-Mare e la stessa Geopolitica. At last the whole length of the valley was brought under a single rule, and the kings of all Egypt established their palace at Thebes. Northward and southward, by boat on the Nile, traveled their administrators, their messengers and their magistrates: qualsiasi studioso di geopolitica avrà notato come un riferimento all’Egitto sia contenuto nella maggior parte delle opere di un certo rilievo. Anche nell’ultima guerra contro la Germania, riflette Mackinder, la potenza marittima ha giocato un ruolo cruciale: grazie al controllo degli oceani, Londra ha potuto separare Berlino dalle sue colonie, impadronirsi della sua flotta mercantile, trasportare il proprio corpo di spedizione in Francia e assicurare i rifornimenti transoceanici. Persino l’Italia è stata spinta ad entrare in guerra grazie all’indiscussa supremazia marittima degli alleati. We have been fighting lately, in the close of the war, a straight duel between land-power and sea-power, and sea-power has been laying siege to land-power. We have conquered, but had Germany conquered she would have established her sea-power on a wider base than any in history, and in fact on the widest possible base. The joint continent of Europe, Asia and Africa is now effectively, and not merely theoretically, an island. Now and again, lest we forget, let us call it the World-Island in what follows.

    Se vinto la guerra, asserisce Mackinder, la Germania avrebbe impiegato Europa, Asia e Africa come un’unica grande base navale contro le potenze marittime anglosassoni: lo sviluppo dei mezzi di trasporto, soprattutto continentali, ha infatti trasformato la massa continentale che va dal Sud Africa alla Siberia in un’unica entità, the World-Island (vedi Tav. 1), che possiede il doppio vantaggio dell’insularità e dell’incomparabile ricchezza di risorse. Di fronte all’Isola-Mondo, persino il Nord America cessa di essere un continente, per essere declassato, come l’Inghilterra, a semplice isola periferica. Siamo nel 1919 e Mackinder già studia come evolveranno gli equilibri del XX secolo: se col suo lavoro del 1904 aveva preconizzato l’integrazione dell’Eurasia grazie alla grandi ferrovie continentali, ora la sua attenzione si sposta sull’intera massa afro-euro-asiatica, rispetto a cui persino gli Stati Uniti d’America sono una semplice realtà insulare. Già il conflitto del 1914-1918, continua il geografo inglese, è stato una guerra degli Isolani contro i Continentali: Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Brasile e Giappone hanno combattuto contro le potenze continentali, servendosi della penisola francese e di quella italiana come appoggio. Il provvidenziale collasso della Russia non soltanto ha compattato lo schieramento degli Isolani, togliendo l’unico intruso terrestre, ma ha anche purificato gli ideali della guerra: Mare contro Terra, democrazia contro autocrazia. The collapse of Russia has cleared our view of the realities, as the Russian Revolution purified the ideals for which we have been fighting. Sebbene la Germania si stata sconfitta e la sua flotta sequestrata dagli alleati, niente però impedisce che, in un prossimo futuro, buona parte dell’Isola-Mondo cada sotto il dominio di un’unica potenza (implicitamente, ancora la Germania) e sia utilizzata come invincibile base navale contro gli isolani. Occorre, perciò, dotarsi di un nuovo sistema politico che difenda la libertà del mondo, ossia la supremazia delle potenze marittime. Si noti che le considerazioni di Mackinder trascendono il Novecento ed hanno, per così dire, valore universale: la maggior minaccia per le potenze marittime negli anni ‘20 del XXI secolo è rappresentata dall’organizzazione economica-infrastrutturale dell’Isola-Mondo da parte di Cina, Russia e, nuovamente, Germania, con il possibile contributo anche di Iran e Turchia. What if the Great Continent, the whole World-Island or a large part of it, were at some future time to become a single and united base of sea-power?

    Nel quarto capitolo, The Landsman’s point of view (il punto di vista del continentale), Mackinder, differenziandosi in questo senso dall’ammiraglio Mahan e confermando la sua superiorità strategica, assume i panni delle potenze terrestri, indagando sulle opportunità che si dischiudono ai grandi imperi continentali. Immedesimandosi nei rivali terrestri, Mackinder ovviamente intende studiare le contromosse per difendere la supremazia delle potenze marittime ma, allo stesso tempo, fornisce spunti e idee che, come nel caso di Karl Haushofer, saranno riprese dai geopolitici continentali. L’area pivot, la definizione data nel 1904 al cuore dell’Eurasia, prende ora il nome di Heartland, di cui Mackinder delimita i confini: Siberia, Mongolia, Iran e parte dell’attuale Pakistan (Belucistan), Non solo: i confini dell’Heartland sono ora estesi all’Asia Minore (Turchia), Armenia, il Mar Nero, l’intero bacino del Danubio ed il Mar Baltico, includendo così gli Imperi Centrali appena sconfitti. The Heartland is the region to which, under modern conditions, sea-power can be refused access, though the western part of it lies without the region of Artica and Continental drainage. Si tengano a mente i confini europei dell’Heartland, grossomodo una linea retta che va dalla Germania orientale alla Bulgaria, perché saranno gli esatti confini che l’URSS raggiungerà nel 1945, dopo la spartizione dell’Europa con gli angloamericani (vedi Tav. 2). Lo sviluppo delle ferrovie transcontinentali, della motorizzazione e della moderna artiglieria antinavale, sempre più precisa, non fa che aumentare le possibilità delle potenze che occupano l’Heartland. "It is evident that the Heartland is as real as a physical fact within the Worl-Island as is the World-Island itself within the ocean, although its boundaries are not quite so clearly defined. Not until about a hundred years ago, however, was available a base of man-power sufficient to begin to threaten the liberty of the world from within this citadel of the World-Island".

    Enunciate le due rispettive prospettive, quella del Mare e quella della Terra, Mackinder passa, a questo punto, alla descrizione dello scontro tra i due elementi: il quinto capitolo è, infatti, intitolato The rivalry of empires (la rivalità degli imperi). La potenza marittima britannica si è storicamente sviluppata in parallelo a quella russa: come nel 1900 Londra è riuscita a schierare 250.000 contro i boeri a 6.000 miglia di distanza dalla patria, così San Pietroburgo ha schierato altrettanti uomini contro i giapponesi, grazie alla ferrovia transiberiana. Se la Prussia avesse vinto la guerra, riflette Mackinder, l’intera Europa, dall’estremità sudorientale del Portogallo alla città russa di Kazan, e l’Heartland asiatico si sarebbero trasformati in una base navale da cui i tedeschi avrebbe sfidato gli angloamericani nel successivo conflitto. Had Prussia won this war it was her intention that Continental Europe from St. Vincent to Kazan, with the addition of the Asiatic Heartland, should have become the naval base from which she would have fought Britain and America in the next war. Riallacciandosi ai nuovi confini dell’Heartland enunciati nel capitolo precedente (dallo Jutland al Bosforo), Mackinder, tratteggia dunque una divisione dell’Europa, tra Est ed Ovest, in modo tale che Berlino e Vienna siano nel blocco orientale (vedi Tav. 3): la storia delle ultime quattro generazioni non assume allora coerenza? Mackinder ha, in sostanza, separato le potenze autocratiche-continentali da quelle democratiche-marittime ed elenca ora le passate convergenze tra gli imperi dell’Est. La Santa Alleanza riunì Austria, Prussia e Russia; l’unificazione della Germania si risolse con la sconfitta del liberalismo della valle del Reno e la vittoria del militarismo prussiano (Bismarck resolved to base German unity not on the idealism of Frankfurt and the West, but on the organization of Berlin, and the East), la Lega dei Tre Imperatori ricompattò le autocrazie continentali, trasformando la Prussia in un glacis (fortificazione) contro l’Occidente. Questi eventi non sono accidentali: They show the fundamental opposition between East and West Europe, an opposition which become of world significance when we remember that the line through Germany which history indicates as the frontier between East and West is the very line which we have on other grounds taken as demarking the Heartland in the strategical sense from the Coastland. Lungo questa linea, si noti, sarebbe grossomodo passata la Cortina di Ferro al termine della Seconda Guerra Mondiale, in modo di isolare l’Heartland, Berlino compresa, dal resto del mondo. A fianco degli elementi puramente geografici, Mackinder introduce ora anche concetti razziali: è un dato importante perché, mediate da Karl Haushofer, questi idee forniranno le basi del pensiero geopolitico di Hitler. Nell’Europa dell’Ovest sono dominanti l’elemento teutone (l’Inghilterra) e quello romanzo(la Francia), mentre nell’Europa dell’Est quello teutone (Germania e Austria) e quello slavo (Russia).

    La storia dell’Ottocento è stata occupata dalla rivalità tra l’impero britannico e quello russo: l’autocrazia dei Romanov, riflette Mackinder, era peraltro mezza tedesca, come testimonia il nome San Pietroburgo e l’estrazione baltico-tedesca della sua classe dirigente. Man mano che Londra estendeva il suo dominio sulla fascia costiera dell’Isola-Mondo, entrava in conflitto con San Pietroburgo che premeva dall’Heartland verso l’esterno: Russia, in the command of nearly the whole Heartland, was knocking at the landwar gates of the Indies. Britain, on the other land, was knocking at the sea gates of China, and advancing inland from the sea gates of India to meet the menace from the northwest. La pressione della Russia verso gli Stretti aveva indotto le potenze occidentali, Inghilterra e Francia, a soccorre i turchi nel 1854, sbarcando le proprie truppe in Crimea: anche in quel caso San Pietroburgo aveva goduto dell’appoggio prussiano. Dopo il 1870, il ruolo di organizzatore dell’Est Europa passa dalla Russia alla Germania, che ha conquistato la propria unità nazionale sul campo di battaglia di Sedan: si ricordi che il processo di unificazione tedesco era stato incentivato da Londra per interporre una grande potenza tra le due storiche rivali del Leviatano, Francia e Russia. Ex-post, Mackinder si domanda se l’Inghilterra abbia fatto un buon affare: With the after-wisdom of events should we not, perhaps, be justified in asking whether we did not in this instance fail to back the right horse? But the eyes of the islanders were still blinded by the victory of Trafalgar. Leo Amery, stretto collaboratore di Mackinder ed altra eminenza grigia dell’impero britannico tra le due guerre, analizza invece così la fulminea ascesa della Germania: "Superior military planning and organization had displaced Austria from the leadership of the Germanic world in six week. It had, with a somewhat greater effort, displaced France from the leadership of Europe. Why should not the same preparation, the same directness of purpose and fearlessness in forcing the issue, in one day of the destiny, a German Trafalgar, prick the bubble of British power, and leave in German hands the leadership of outer world?³"

    L’emergere della Germania come potenze ordinatrice dell’Est europeo, induce immediatamente le potenze occidentali, Francia e Inghilterra, a coalizzarsi con l’Entente del 1904: West Europe, both insular and peninsular, must necessarily be opposed to whatever Power attempts to organize the resources of East Europe and the Heartland. Londra e Parigi si opposero per mezzo secolo all’impero zarista, mezzo-tedesco, perché era la potenza egemone in Europa orientale e nell’Heartland; Londra e Parigi si sono poi opposte all’impero tedesco perché aveva ereditato la funzione assolta dalla Russia e, se avesse vinto la guerra, avrebbe dominato l’Eurasia. La Kultur tedesca, con le sue incredibili capacità organizzative, avrebbe reso la dominazione germanica un castigo di scorpioni, comparato alla frusta russa. We were opposed to the wholly German Kaiserdom, because Germany took the lead in East Europe from the Czardom, and would then have crushed the revolting Slavs, and dominated East Europe and the Heartland. German Kultur, and all that it means in the way of organization, would have made that German domination a chastisement of scorpions as compared with the whips of Russia. Si noti che, nella sua analisi geopolitica, Mackinder non contempla più, come aveva fatto nel lavoro de 1904, il rischio della pericolosissima alleanza russo-tedesca contro le potenze marittime-occidentali, ma parla ora di uno scontro tra teutoni e slavi come di un fatto ineluttabile: i tedeschi, per conquistare l’Heartland, devono schiacciare la rivolta degli Slavi. Un po’ alla volta, Mackinder, prepara le basi della geopolitica razzista-espansionista che, assimilata dall’anglofilo Karl Haushofer, troverà piena attuazione nella Seconda Guerra Mondiale.

    Descritte le rivalità tra imperi in termini geografici, Mackinder sposta l’attenzione sui fattori economici e demografici: la geopolitica, infatti, si basa sull’interazione tra lo spazio e lo sviluppo umano. Se in Inghilterra l’economia è per definizione politica ed ha come unità base la singola impresa, in Germania l’economia è nazionale e sposta la competizione a livello interstatale. A partire dal 1878, in piena Grande Depressione, la Germania accentua i tratti nazionalistici della sua economia: sono applicati dazi in modo scientifico, le ferrovie sono acquistate dallo Stato, le banche sono portate sotto il controllo dello Stato, i kartels riducono i costi di produzione e migliorano la distribuzione, le linee di navigazione sono sussidiate dallo Stato. The rapid German growth was a triumph of organization, or, in other words, of the strategical, the ways and means mentality. A questa stupefacente crescita economica, frutto dell’organizzazione tedesca, Berlino aggiunge una poderosa spinta demografica: nei dieci anni precedenti alla guerra, il Reich tedesco è cresciuto di un milione di abitanti all’anno. A questo punto, Mackinder introduce strumentalmente un altro concetto social-darwinista che sarà ripreso dalla geopolitica nazista: la Germania ha bisogno, ad ogni costo, di assoggettare gli Slavi per garantire il proprio sostentamento (Germany required, at all costs, a subject Slavdom to grow food for her and to buy her wares). Dimenticando la priorità data dal realpolitiker Bismarck ai rapporti russo-tedeschi e che il kaiser Guglielmo II aveva considerato il trattato russo-tedesco di Björkö del 1905 (mai entrato in vigore a causa dei ricatti finanziari occidentali) il proprio capolavoro, Mackinder dipinge ora un’insanabile rivalità tra razze dell’Est europeo, risolvibile solo l’assoggettamento tedesco degli slavi. Poco importa se Berlino aveva tentato fino al 1916 di raggiungere una pace separata con San Pietroburgo e se il Secret Service inglese si era curato di eliminare tutti gli esponenti germanofili alla corte dello zar: il conflitto tra teutoni e slavi sembra ora dominare il pensiero del geopolitico inglese. Non c’è alcun dubbio, precisa Mackinder, che la Germania guglielmina ambisse all’egemonia mondiale e avesse costruito la sua flotta a tale scopo. The British and the Germans took seats in express trains on the same line, but in opposite directions. Probably from about 1908 a collision was inevitable; there comes a moment when the brakes have no longer time to act. Il 1908 coincide con la rivoluzione dei Giovani Turchi e la crisi bosniaca che, di lì a sei anni, sarebbero sfociati nell’attentato di Sarajevo ai danni dell’arciduca Francesco Ferdinando.

    Il sesto capitolo, The freedom of nations (la libertà delle nazioni), è quello decisivo: al suo interno sono enunciati i principi che, assorbiti dal geopolitico di Monaco di Baviera, Karl Haushofer, costruiranno l’ossatura del "Mein Kampf" e della strategia di Adolf Hitler, una volta conquistato il potere assoluto in Germania. A questo proposito, la maggior parte degli studiosi parla di una distorsione delle idee di Mackinder ad opera della geopolitica tedesca, un’indebita appropriazione del pensiero di Mackinder che avrebbe condannato all’oblio anche il geopolitico inglese nei decenni successivi alla guerra: by 1939, however, a cloud had fallen over Mackinder’s work because the Nazis had successfully applied certain of his principles in their march of conquest si legge infatti nella prefazione datata anni ‘90 a Ideals and Realities. L’influenza della teoria di Mackinder sulla politica estera nazista, come vedremo nel corso del lavoro, non è certo il frutto della casualità né, tanto meno, è un silenzioso furto, bensì il risultato di un decennale lavoro che, iniziato con l’assorbimento da parte dell’anglofilo Karl Haushofer dei punti chiave della geopolitica mackinderiana, si sarebbe concluso con la salita al potere in Germania di un dittatore altrettanto anglofilo e animato dalla visione apocalittica di uno scontro tra tedeschi e slavi. Quella assorbita da Haushofer e Hitler non è una geopolitica sana, basata sullo scontro tra potenze marittime e continentali, bensì una geopolitica infetta che, introducendo una visione social-darwinista e razzista e scagliando potenza continentale contro potenza continentale (nella fattispecie, Germania e Russia) finisce col beneficiare gli angloamericani, ben lieti che l’Heartland sprofondi nella guerra e nella devastazione.

    La guerra, inizia Mackinder, è stata vinta dall’Occidente, ma è una vittoria sofferta, che deve obbligare ad una riflessione: senza l’aiuto degli Stati Uniti d’America, l’Europa occidentale non avrebbe mai avuto la meglio sulla Germania. A questo punto, Mackinder introduce la prima mistificazione storica: nonostante si siano combattute dure battaglie ad Occidente e sugli Oceani, la Grande Guerra non è stata un scontro tra Europa dell’Est e Europa dell’Ovest, bensì essenzialmente uno scontro interno all’Europa dell’Est, tra tedeschi e russi: "the war, let us never forget, began as a effort to subdue the Slavs who were in revolt against Berlin". Si tratta, ovviamente, una ricostruzione infondata e faziosa (che smentisce, peraltro, le precedenti affermazioni dello stesso Mackinder), perché gli stessi vertici della Germania guglielmina consideravano la guerra iniziata nel 1914 come un duello tra Berlino e Londra, una guerra punica tra tedeschi e inglesi per usare le parole del Kaiser, e sarebbero stati ben lieti di siglare una pace separata con i russi anche dopo l’apertura delle ostilità, non avendo nessun contenzioso economico o territoriale aperto. Had Germany elected to stand on the defensive on her short frontier towards France, and had she thrown her main strength against Russia, it is not improbable that the world would be nominally at peace to-day, but overshadowed by a German East Europe in command of all the Heartland. The British and American insular peoples would not have realized the strategical danger until too late. Se la Germania si fosse messa sulle difensive ad Ovest ed avesse gettato tutto il suo peso contro la Russia, continua Mackinder, oggi probabilmente il mondo sarebbe in pace, ma minacciato dall’accresciuta potenza di Berlino, che avrebbe conquistato l’Heartland: si tratta di un’altra mistificazione storica, perché Berlino ha adottato durante la Grande Guerra la strategia descritta da Mackinder e, nonostante abbia sfiorato il controllo dell’Heartland, è stata infine strangolata dal blocco navale inglese e spinta alla resa dal massiccio arrivo delle truppe americane.

    Per evitare che in futuro si ripeta una nuova guerra per il controllo dell’Est europeo, continua Mackinder, bisogna ripensare ad un riassetto integrale della regione, cosicché tedeschi e slavi siano in equilibrio. In other words, we must settle this question between the Germans and Slavs, and we must see to it that East Europe, like West Europe, is divided into selfcontained nations. Lo scopo che si prefigge Mackinder (e l’establishment angloamericano) è in realtà diametralmente opposto a quello dichiarato da Mackinder: non creare uno stabile equilibro europeo, bensì gettare le basi di un secondo, e decisivo, scontro nell’Est Europeo, che annienti la Germania e la sua Kultur ed estenda il regime comunista sino a ridosso dell’Europa occidentale. I propositi di pace di Mackinder sono, infatti, subito accompagnati da una sentenza che avrebbe ispirato, a distanza di quattro anni, la redazione del capitolo più geopolitico del libro di Adolf Hitler (Orientamento verso Est e politica orientale):

    "Who rules East Europe commands the Heartland:

    Who rules the Heartland commands the World-Island;

    Who rules the World-Island commands the World."

    Chi governa l’Est europeo comanda l’Heartland, chi governa l’Heartland comanda la massa continentale afro-euro-asiatica e chi governa l’Isola-Mondo comanda il globo. Le ragioni della sconfitta della Germania guglielmina, continua Mackinder mistificando ancora la realtà, devono essere cercate nella sua oscillazione tra una politica marittima ed una continentale, che l’hanno indotta a combattere contemporaneamente contro le potenze occidentali (Francia ed Inghilterra) e l’impero zarista, finendo col sfibrarsi su due fronti senza sapere dove concentrarsi: in realtà il Secondo Reich, vittima di un oculato e premeditato accerchiamento inglese, considerò sempre ricomponibili le ostilità con la Russia ed insanabili soltanto quelle con l’Inghilterra. Berlin has not decided between her political objectives – Hamburg and overseas dominion, or Baghdad and the Heartland – and therefore her strategical aim also was uncertain. Anche questa considerazione di Mackinder sull’incerta, e perciò nefasta, politica del Secondo Reich, sarebbe stata mutuata da Adolf Hitler attraverso Haushofer ed appare pressoché identica in Mein Kampf: Mediocre fu la nostra politica estera dell’anteguerra. In luogo di una sana politica territoriale europea, si pose mano ad una politica coloniale e commerciale (…). Il risultato di questo tentativo d’andar d’accordo con tutti fu quello di non aver amici: la guerra mondiale costituì solo l’ultima quietanza presentata al Reich dall’erronea politica estera del Reich stesso. Si sarebbe dovuto seguire tutt’altra via: rafforzare la potenza continentale acquistando nuovo territorio in Europa; ciò avrebbe reso possibile completare, più tardi, il territorio nazionale con l’acquisto di colonie.

    Quasi in concomitanza all’apertura della Conferenza di Parigi, Mackinder, perciò, detta le linee del riassetto per l’Europa del’Est, in modo tale che, dietro gli apparenti propositi di una pace duratura, basata sull’equilibrio di potenza, si celino le basi della successiva guerra per il controllo dell’Est europeo, guerra che sarebbe degenerata in un nuovo conflitto mondiale. I tedeschi, afferma Mackinder, sono stati sconfitti, ma la loro forma mentis è immutata e bisogna riconoscere che i prussiani sono una delle razze più virili al mondo. Si potrebbe imporre loro pesanti indennizzi economici e privarli di materie prime, ma, nel mondo moderno, la capacità di creare ricchezza è più importante della ricchezza stessa. Non solo, una prolungata guerra economica ai danni della Germania non farebbe che evidenziare la dicotomia tra Isolani e Continentali e nessuno può prevedere gli effetti di un’alleanza continentale poggiante sulle moderne ferrovie (Economic war, with Germany exploiting the Slavs, and presently the Heartland, would in the long run merely serve to emphasize the distinction between the Continent and the Island, and between land-power and sea-power, and no one who contemplates the unity of the Great Continent under modern railway conditions can view unconcernedly either the preparation for the world war which would be inevitable, or the ultimate result of that war). Si faccia attenzione, ammonisce Mackinder, a essere troppo duri con la Germania, perché la si potrebbe spingere tra le braccia della Russia sovietica e nessuno può immaginare l’esito di tale alleanza: Londra e Washington, infatti, adotteranno per tutto il primo dopoguerra una politica germanofila, isolando la Francia schierata su posizioni intransigenti, usando l’Italia in funzione anti-francese ed assecondando il revisionismo tedesco. Secondo il geografo inglese bisogna piuttosto creare una schiera di Stati, tra Germania e Russia, sufficientemente forti da ergersi come potenze indipendenti.

    Tra il mar Baltico ed il Mediterraneo, riflette Mackinder, esistono sette popolazioni di ceppo non-tedesco: polacchi, boemi (cecoslovacchi), ungheresi, slavi del sud (iugoslavi), rumeni, bulgari e greci. Due di queste nazioni rivestono un ruolo particolare, essendo incuneate nel territorio tedesco: Polonia e Cecoslovacchia. I polacchi, sostiene Mackinder, sono più civilizzati dei russi e, nella provincia di Posen (oggi Poznan), hanno beneficiato a lungo degli effetti della Kultur tedesca. La Nuova Polonia deve, in modo o nell’altro, avere un accesso al mare, sia perché ciò irrobustirebbe la sua indipendenza economica, sia perché è opportuno che i polacchi abbiano accesso al Baltico, che è geograficamente un mare chiuso dell’Heartland, sia perché la continuità territoriale tra Germania e Russia deve essere recisa. Unfortunately the province of East Prussia, mainly German by speech and Junker by sentiment, would be detached from Germany by any strip of Poland going down to the sea. Sfortunatamente, in sostanza, si creerebbe quel corridoio di Danzica, tra Germania e Prussia orientale, all’origine della Seconda Guerra Mondiale. Il successivo popolo di frontiera è rappresentato dai cecoslovacchi che, sotto l’impero asburgico, marcavano il confine tra l’Austria ed il regno d’Ungheria: si tratta di circa nove milioni di persone, installate in un territorio ricco di risorse naturali, attraversato dalla ferrovia che unisce il Baltico all’Adriatico. A questo punto, Mackinder schizza una cartina geografica (vedi Tav. 4) dove la Cecoslovacchia, Great Bohemia, si incunea nel territorio del Reich: la crisi dei Sudeti del 1938, giustificata dalla cospicua minoranza tedesca fuori dal confini nazionali, è già scritta prima che la Conferenza di Parigi si chiuda. Né la Polonia, né la Cecoslovacchia, riconosce Mackinder, potrebbero resistere ad un’aggressione prussiana, ma il sistema di sette Stati nel suo complesso (con l’aggiunta quindi di Ungheria, Romania, Jugoslavia, Bulgaria e Grecia) probabilmente sì: peccato che Budapest e Sofia, contrariamente a quanto asserito da Mackinder, siano potenze revisioniste interessate, come la Germania, a recuperare parte del territorio perduto a vantaggio dei vicini, cecoslovacchi, jugoslavi e rumeni in primis. Anche la Francia, come vedremo, avrebbe sostenuto la creazione degli Stati-cuscinetto tra Germania e Russia, con la duplice funzione di impedire un riavvicinamento delle due potenze ostracizzate e creare un cordon sanitaire per impedire la diffusione del bolscevismo⁵: a differenza di Londra, Parigi avrebbe però realmente creduto nel progetto e investito risorse e uomini per tenere in vita i neonati Stati, salvo poi arrendersi dinnanzi all’evidente strategia britannica, nota come "appeasement", mirante a incoraggiare il dinamismo della Germania revisionista. Il vero banco di prova della neonata Lega delle Nazioni, scrive con sinistra preveggenza Mackinder, sarà infatti il cuore dell’Europa (the test of the League will be in Heartland of the Continent): qualsiasi nazione interessata alla pace, dovrebbe supportare i neonati Stati di mezzo. Né l’Inghilterra, né tanto meno gli Stati Uniti, si opporranno invece all’assorbimento dell’Austria e al successivo smembramento della Cecoslovacchia che, galvanizzando Hitler, spianerà la strada all’attacco tedesco alla Polonia. Mackinder è perfettamente cosciente che solo le potenze occidentali dispongano dei mezzi per evitare che il mondo precipiti nel consueto ciclo che, partendo dagli ideali di libertà porta alla dittatura, passando per il caos e la carestia. The Westerners are the victors, and they alone are able to prevent the whole world from having to pass through the cycle so often repeated in the case of individual nations---idealism, disorder, famine, tyranny. Nell’intimo, Mackinder e gli strateghi angloamericani pianifica però un futuro diametralmente opposto: lungi dal mantenere i livelli di produzione post-bellici e farsi garanti del libero scambio, come sostenuto dal geografo inglese, le potenze marittime inizieranno sin dal primissimo dopoguerra un processo di destrutturazione dell’economia globalizzata e di innalzamento dei dazi, acuito in Europa dalla frammentazione economico-politica prodotta proprio dalla Conferenza di Parigi.

    Il settimo capitolo, The Freedom of Men (la libertà degli uomini), contiene alcune riflessioni di Mackinder sul tipo di società da promuovere dopo la guerra: occorre, secondo il geopolitico inglese, promuovere le comunità locali e forme di federalismo, cosicché non si formino potenti interessi centralizzati che, inevitabilmente, finirebbero col proiettarsi verso l’esterno. L’ottavo ed ultimo capitolo, Postcript, scritto sull’onda degli eventi di inizio 1919, è ancora un’accorata difesa del federalismo-marittimo contro l’autocrazia-continentale, sia essa dinastica o bolscevica: Our old English conception of the House of Commons or Communities, the American conception of the Federation of States and Provinces, and the new ideal of the League of Nations are all of them opposed to the policies cast in the tyrannical molds of East Europe and the Heartland, whether dynastic or Bolshevik. Che giudizio

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