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Terra contro Mare: dalla rivoluzione inglese a quella russa
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E-book1.388 pagine8 ore

Terra contro Mare: dalla rivoluzione inglese a quella russa

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Info su questo ebook

La storia del mondo è la storia della lotta tra potenze marittime e potenze terrestri, tra Leviatano e Behemot, tra rivoluzione e conservazione. Lo scontro tra Terra e Mare irrompe nella storia moderna con la rivoluzione inglese, quando Oliver Cromwell decapita re Carlo I, Thomas Hobbes pubblica "Il Leviatano" ed il rabbino Menasseh Ben Israel sbarca in Inghilterra, per offrire i propri servigi... Il serpente marino, da allora, non si è più fermato.
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2018
ISBN9788829521319
Terra contro Mare: dalla rivoluzione inglese a quella russa

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    Anteprima del libro

    Terra contro Mare - Federico Dezzani

    TERRA CONTRO MARE

    DALLA RIVOLUZIONE INGLESE A QUELLA RUSSA

    FEDERICO DEZZANI

    TERRA CONTRO MARE: DALLA RIVOLUZIONE INGLESE A QUELLA RUSSA

    Quel giorno il Signore con la sua spada terribile, forte e potente punirà il Leviatano, serpente guizzante e tortuoso, e ucciderà questo mostro marino

    Isaia, 27,1

    Agli Spartani era proibito fare i marinai e combattere per mare. In seguito però fecero battaglie navali e imposero la loro supremazia marittima; ma poi di nuovo rinunziarono al mare, vedendo che i costumi dei cittadini si guastavano.

    Plutarco, Le virtù di Sparta, I secolo d.C.

    Proprio per mezzo di quell’arte viene creato quel grande Leviatano, chiamato Potere Politico, o Stato (in latino Civitas), che non è altro che un uomo artificiale, sebbene di maggiore statura e forza di quello naturale.

    Thomas Hobbes, Il Leviatano, 1651

    Non sistemeremo mai le cose in Inghilterra finché non avremo liquidato i Lords

    Oliver Cromwell, Lord Protettore del Commonwealth tra il 1653 ed il 1658

    La Franca ci batterà sul mare quando non avrà nulla da temere sulla terraferma. Ho sempre sostenuto che la marina dovrebbe proteggere le nostre alleanze sul continente e quindi, distraendo la spesa stanziata per la Francia, consentirci di mantenere la nostra superiorità sul mare

    Duca di Newcastle, 1742

    I francesi si sono dimostrati i più abili creatori di rovina che siano mai esistiti al mondo. Hanno demolito interamente la loro monarchia, la loro chiesa, il loro commercio e la loro industria.

    Edmund Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, 1790

    Se non fosse stato per voi inglesi, sarei diventato imperatore d’Oriente: ma ovunque via sia uno specchio d’acqua sul quale far galleggiare una nave, possiamo star certi di trovarvi sul nostro cammino

    Napoleone Bonaparte, 1815

    Palmerston ama il radicalismo soltanto all’estero, per il fatto che conduce all’anarchia e alla totale paralisi dei sistemi politici degli altri Paesi, e che dalla conseguente stagnazione d’ogni attività industriale l’Inghilterra può solo trarre profitto e ricavare migliori profitti pecuniari

    August von Haxthausen,1847

    Non comprendo il comportamento di Lord Palmerston. Se sceglie di fare la guerra contro di me, che lo dichiari apertamente e lealmente. Dovrebbe però smettere di giocarmi dei tiri a destra e manca

    Nicola I, 1849

    We have no permanent allies, we have non permanent enemies, we have only permanent interests.

    Lord Palmerston, primo ministro britannico tra il 1855 ed il 1865

    Una guerra con la Russia non può fruttare nulla che possa esserci utile, mentre i sacrifici che dovremmo fare per uscire vittoriosi sono incalcolabili, senza contare la questione polacca, che un tale conflitto renderebbe di nuovo attuale

    Otto von Bismarck, 1885

    Dalle sponde del Pacifico e dalle altitudini dell’Himalaya, la Russia dominerà le vicende non soltanto dell’Asia ma anche dell’Europa.

    Sergei Witte, ministro delle Finanze russe dal 1892 al 1903 e padre della ferrovia Transiberiana

    L’Europa soffre più che mai della Kleinstaaterei. Sebbene, infatti, gli Stati siano divenuti più grandi, il loro valore storico complessivo supera le loro dimensioni stesse. È la maledizione della tradizione politica. Finalmente il libero commercio farà piazza pulita di tutto questo, creerà grandi complessi nazionali, condurrà verso gli Stati Uniti d’Europa.

    Herr Doktor Israel Helphand, alias Parvus, 1901

    But trans-continental railways are now transmuting the conditions of land-power, and nowhere can they have such effect as in the closed heart-land of Euro-Asia(….). Russia replaces the Mongol Empire. (…) She can strike on all sides and be struck from all sides, save the north. The full development of her modern railways mobility is merely a matter of time.

    H.J. Mackinder, The Geographical Pivot of History, 1904

    Cinque chiavi strategiche bloccano il mondo: Dover, Gibilterra, il Capo, Alessandria, Singapore

    Ammiraglio John Fisher, Primo Lord del Mare tra il 1904 ed 1910

    L’ostilità della Gran Bretagna nei confronti della Germania dipende dagli stessi motivi che l’hanno indotta a piegare prima la Spagna, poi l’Olanda, ed infine la Francia

    Alfred von Tirpitz, ministro della Kaiserliche Marine, 1907

    Il timore di assistere al consolidarsi in Europa di un dominio tale da privarci, prima o poi, del controllo dei mari potrebbe essere tale da indurci a prendere parte a una guerra europea. È in questo senso che considerazioni navali sottendono la nostra politica europea.

    Edward Grey, ministro degli Esteri britannico, 1912

    E così nella cameretta spartana degli Ul’janov era comparso Parvus, polsini abbaglianti e gemelli imbrillantati, e aveva sistemato non senza sforzo il largo sedere sul letto vicino a Lenin, spingendolo, urtandolo, costringendolo contro il guanciale e la testata metallica. (…). È lì, davanti a lui, al naturale e in carne e ossa, l’incomparabile panza, la testa in forma di cupola allungata, la faccia carnosa da bulldog col pizzetto, e con sguardo scolorito lo esamina con attenzione. Amichevolmente.

    Aleksandr Solzenicyn, Lenin a Zurigo

    Può forse essere rischioso servirsi delle forze che stanno dietro Helphand, ma sicuramente sarebbe un’ammissione di impotenza da parte nostra rinunciarvi per il timore di non saperle dirigere

    Conte von Brockdorff-Rantzau, ambasciatore tedesco a Copenaghen, 1915

    L’Inghilterra non ha vinto la Prima Guerra Punica e – Dio volendo – l’ha perciò persa. Ma non l’abbiamo neppure sconfitta e non sembra che siamo in grado di farlo al momento. Perciò una Seconda Guerra Punica deve essere assolutamente e immediatamente preparata.

    Guglielmo II, 1917

    PREFAZIONE

    Spesso capita che l’opera prenda strade inaspettate, allontanando l’autore dall’idea iniziale: il presente libro ne è un esempio lampante. Partimmo, come denota l’introduzione che è rimasta fedele all’impianto originario, con l’intenzione di ricostruire la rivoluzione russa del 1917, spogliandola dei miti che la circondando per metterne a nudo il significato geopolitico: la destabilizzazione dell’impero zarista ad opera di una ristretta élite rivoluzionaria, apparentemente manovrata dai tedeschi, ma in realtà riconducibile alle potenze marittime anglosassoni, desiderose che la storica rivale continentale, la Russia, fosse esclusa dal tavolo dei vincitori della Grande Guerra, piombasse nel caos così da arrestarne l’impetuoso sviluppo economico e fosse isolata dalle altre potenze europee, Germania in primis, grazie al regime bolscevico ed alla sua ideologia comunista. In quest’ottica assumeva un peso particolare la figura, poco conosciuta, di Israel Helphand, l’enigmatico finanziatore di Lenin, nonché mente grigia dietro al celebre viaggio dei bolscevichi, dalla Svizzera alla Finlandia, sul treno piombato messo a disposizione da Berlino.

    Documentandoci su Lenin, abbiamo però notato come ricorresse, anche tra gli storici contemporanei, il paragone tra la sua figura e quella di Oliver Cromwell, l’artefice della Rivoluzione inglese culminata con la decapitazione di re Carlo I e la fondazione della repubblica, il cosiddetto Commonwealth: ci siamo chiesti, quindi, se non fosse opportuno iniziare la nostra ricerca nel Seicento, quando la potenza marittima inglese, il Leviatano per eccellenza, intraprende la scalata all’egemonia mondiale grazie alla rivoluzione condotta dall’agguerrita fazione puritana. Così abbiamo fatto: ne è emersa un’opera di geopolitica che analizza il biblico duello tra Terra e Mare sull’arco di quasi tre secoli.

    INTRODUZIONE

    Nell’autunno del 2017 è corso il centenario della rivoluzione russa: è il 7 novembre 1917, 25 ottobre del calendario giuliano in uso nell’impero russo, quando una fazione minoritaria del Congresso panrusso dei Soviet, il partito bolscevico, si lancia alla conquista dello Stato russo, rovesciando l’effimero governo di Aleksandr Kerenskij, travolto dalla recenti disfatte militari. Prima i bolscevichi avrebbero conquistato i punti strategici di Pietrogrado, poi l’intera città, poi la maggioranza dei Soviet, infine l’intera Russia: sarebbe stata necessaria ancora una guerra mondiale perché il loro potere si irradiasse dalla Siberia fino al cuore dell’Europa centrale. I componenti di questa élite rivoluzionaria, tanto esigua quanto agguerrita, sono noti: Vladimir Il'ič Ul'janov, alias Lenin, Lev Davidovich Bronstein, alias Trotsky, Lev Borisovich Rozenfeld, alias Kamenev, Hirsch Apfelbaum, alias Zinoviev, Jakub Fürstenberg, alias Kuba, Joseph Vissarionovich, alias Stalin.

    Sulla rivoluzione russa sono stati scritti centinaia di migliaia di libri, celebrativi e denigratori, scientifici e propagandistici, di taglio social-economico o narrativo: insieme alla Rivoluzione Francese del 1789, gli avvenimenti che portarono alla caduta dello zarismo ed all’instaurazione della dittatura del proletariato sono uno dei soggetti più gettonati dagli storici. La maggior parte dei testi abbraccia la versione ufficiale dei fatti, mutando soltanto qualche sfumatura in base alla sensibilità dell’epoca. Talvolta la Rivoluzione russa è analizzata nel suo insieme, talvolta ne è sviscerato un singolo aspetto: la presunta decomposizione socio-economica dell’impero russo, l’arretratezza delle sue istituzioni, l’illiberalità dell’autocrazia dei Romanov, i delitti della malfamata Ochrana, lo sfaldamento del fronte interno dopo le sconfitte militari del 1915-1916, il famoso convoglio speciale che trasporta Lenin attraverso la Germania, il ruolo di Trotsky nel colpo di Stato e nella successiva formazione dell’Armata Rossa, le condizioni economiche-sociali-belliche che resero possibile il successo dei bolscevichi, etc.

    Qualche raro testo, anche di buona fattura, adotta una chiave di lettura alternativa dei fatti: dietro Lenin e compagni si nasconderebbe, in realtà, la grande finanza internazionale, quel comitato di grandi banchieri basati un po’ a Londra ed un po’ a New York. Dopotutto, si osserva, il Manifesto del Partito Comunista non è pubblicato nel 1848 a Londra? Non è fondata sempre a Londra, nel 1864, la Prima Internazionale? Non si svolge ancora a Londra, nell’estate del 1903, il Secondo Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, che sancisce la spaccatura tra menscevichi e bolscevichi? Non appartiene al milieu della finanza cosmopolita, ruotante attorno alla City londinese, il banchiere Olof Aschberg (1877-1960), generoso elargitore di fondi per la sedizione di Lenin e fondatore nel 1922 della Roskombank, prima banca internazionale sovietica? Non si reca a New York, lo scrittore Maxim Gorky, per raccogliere fondi a sostegno di Lenin e compagni?

    Certo, questi tentativi di dissipare la cortina di nebbia che avvolge la rivoluzione russa del 1917 sono meritori. Tuttavia, falliscono spesso l’obiettivo di spiegare perché i circoli finanziari anglofoni, il cosiddetto establishment liberal, abbia rovesciato al culmine della Prima Guerra Mondiale un governo alleato, impegnato a combattere a fianco delle potenze anglosassoni il Reich tedesco. Un’operazione estremamente raffinata, concepita in modo tale che la sovversione dell’impero russo, storicamente in buoni rapporti con il casato tedesco degli Hohenzollern, fosse finanziata dalla stessa Germania, passata alla storia come la regista del putsch bolscevico. Si offrono spesso risposte parziali, talvolta faziose, altre volte fuorvianti. Lo scopo del presente lavoro è proprio tentare di rispondere esaurientemente al perché l’oligarchia atlantica abbia lavorato, sin dagli inizi della Prima Guerra Mondiale, alla rovina dell’impero russo, schierato a fianco di Londra e Parigi contro gli Imperi Centrali. E per rispondere al quesito ci immedesimeremo nell’establishment anglofono, adottando la sua forma mentis: nessun personaggio sarà quindi più utile che Sir Halford John Mackinder, direttore della London School of Economics e padre nobile della geopolitica.

    Tutta la Grande Guerra, dall’accerchiamento degli Imperi Centrali allo smembramento dei quello ottomano, passando anche per la rivoluzione russa del 1917, è comprensibile soltanto ricorrendo alla geopolitica di Mackinder ed alla sottostante dialettica Terra contro Mare. La Prima Guerra Mondiale è l’assalto delle potenze marittime, Londra e Washington, a quello che Mackinder chiama l’area pivot nel 1904 e ribattezzerà Heartland nel 1919: l’enorme massa terrestre al centro dell’Eurasia, irraggiungibile per qualsiasi talassocrazia e fulcro degli equilibri mondiali, dove due grandi autocrazie continentali, Germania e Russia, stanno sperimentato un portentoso sviluppo economico, in primis grazie allo sviluppo delle grandi ferrovie euroasiatiche. La distruzione di quattro imperi (Berlino, Vienna, Costantinopoli e Pietrogrado) deve essere letta come un tentativo di arrestare la crescita dell’Eurosia e insediarsi militarmente in quella regione che Mackinder definisce mezzaluna interna: sconfitta nel 1918 la Germania, ma non annichilita, occorrerà una Seconda Guerra Mondiale perché l’oligarchia atlantica penetri infine nel cuore dell’Europa, erigendovi uno spartiacque invalicabile, la Cortina di Ferro, che separi la Russia dal resto del mondo. Durante tutta la Guerra Fredda emerge con chiarezza la funzione geopolitica di quella barriera ideologica, le cui fondamenta sono gettate proprio nel 1917. Una barriera indispensabile per dividere l’Heartland comunista, dall’Europa occidentale liberale, rimandando così sine die quella tumultuosa integrazione euroasiatica avviata con la costruzione della Transiberiana. A fianco della NATO, saranno poi studiate altre alleanze (CENTO e SEATO) per accerchiare, contenere ed isolare l’area pivot anche sul lato meridionale e orientale.

    Studiare i veri moventi della Prima Guerra Mondiale, capirne la grande strategia sottostante, comprendere perché l’establishment liberal abbia rovesciato l’alleato zarista, istallandovi al posto un regime comunista, non è soltanto un’operazione di verità storica. È anche un tema di grande attualità. È vero, infatti, che è trascorso un secolo da quando Londra e Washington portarono Lenin e compagni ai vertici della Russia, che una seconda guerra mondiale è stata combattuta nel frattempo, che l’URSS è morta e con lei anche (perlomeno momentaneamente) il comunismo: ma l’area pivot è sempre lì e, ora che si sta coprendo di binari proprio come all’inizio del Novecento, ora che l’Eurasia è di nuovo il motore dell’economia mondiale, riaffiorano le stesse tensioni tra potenze continentali e marittime già sperimentate un secolo fa.

    Data l’immortalità dell’Heartland, dato il perdurare del medesimo assetto geografico-politico, è infatti sempre valida la geopolitica di Mackinder e le sue molteplici implicazioni: la caduta delle barriere ideologiche del XX secolo, la ripresa economica della Russia ed il decollo cinese, la costruzione di grandi ferrovie ad alta velocità ed alta capacità che tagliano tutto il continente euroasiatico, pone oggi le potenze marittime di fronte alle stesse sfide di inizio Novecento. Di qui la necessità di scavare un fossato incolmabile tra le capitali europee e Mosca, di alimentare tensioni militari nel Mar Baltico come nel Mar Nero, di incunearsi tra Russia e Cina per tentare di rompere un’alleanza che rischia di ribaltare gli equilibri mondiali, marginalizzando le talassocrazie. Oggi, con la Nuova Via della Seta, stiamo assistendo ad una rivoluzione geopolitica che si sarebbe potuta anticipare di un secolo, se il kaiser Guglielmo II e lo zar Nicola II avessero mantenuto fede agli impegni presi con il Trattato di Björkö del 1905, creando un blocco continentale che avrebbe rivoluzionato la gerarchia delle potenze mondiali.

    Se si interpreta la Prima Guerra Mondiale come un assalto delle potenze marittime all’area pivot, se la si legge come una scientifica distruzione, pianificata ed oculata, di quattro imperi, non ci si può allora imbattere nella figura di un singolare personaggio, che sembra incarnare nella sua persona l’intera strategia dell’establishment liberal: rivoluzionario ai tempi della guerra russo-giapponese del 1904-1905, maestro di Trotsky, animatore del Soviet di San Pietroburgo, esperto di finanze e questioni economiche presso la Costantinopoli dei Giovani Turchi, grande fautore dell’ingresso in guerra dell’Impero Ottomano a fianco di quelli Centrali, consulente di Berlino per la "Revolutionierungspolitik" contro l’impero russo, architetto del convoglio speciale con cui, nel 1917, Lenin attraversa la Germania in direzione della Russia, instancabile avversario di qualsiasi compromesso russo-tedesco, socialista e speculatore miliardario, scrittore e politico, economista e manager, fervente sostenitore degli Stati Uniti d’Europa e massone.

    Chi è questo poliedrico e multiforme personaggio? Parvus, nome d’arte di Izrail Lazarevic Gelfand, meglio noto come Herr Doktor Israel Helphand, dopo l’acquisizione della cittadinanza tedesca.

    Messo al bando in epoca stalinista, cancellato dalla storiografia marxista anche dopo la destalininazzione, deliberatamente ignorato dagli studiosi occidentali, Parvus compare di rado nei testi dedicati alla rivoluzione del 1917: Lenin, Trotsky, Kamenev, Zinoviev, Stalin sono i nomi normalmente associati al comunismo russo, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg al comunismo tedesco. Anche nei più recenti lavori scientifici dedicati a questa o quella figura della Rivoluzione Russa, che si tratti di Lev Trotsky o Willi Münzenberg, il nome di Parvus compare di rado, sebbene senza il suo apporto la dittatura del proletariato sarebbe rimasto il sogno di un gruppetto di rivoluzionari di professione, esiliati tra le montagne svizzere: sembra che, dalla conquista del potere di Lenin sino ad oggi, sia tabù citare il marxista-capitalista-scrittore-rivoluzionario Israel Helphand. Attorno alla sua figura è stata calata una cortina di omertà, quasi che bastasse anche soltanto citarlo per far vacillare l’intero mito dell’Ottobre Rosso e dell’Unione Sovietica.

    Una delle rare opere che ha scandagliato la vita di Israel Helphand, evidenziando il suo ruolo chiave nella rivoluzione del 1917, è stato Il grande Parvus dello slavista, traduttore e docente Pietro Antonio Zveteremich (1922-1992): il suo lavoro, base di partenza della nostra ricerca, è tra i rarissimi libri che abbiano fatto luce su questa figura chiave della rivoluzione russa, preceduto soltanto da The Merchant of Revolution, opera del 1965 di uno storico inglese, Z. A. B. Zeman, e di un omologo tedesco, W. B. Scharlau.

    Se il personaggio oggetto dell’opera è avvolto da un alone di mistero, non può che esserlo anche il suo autore. Pietro Antonio Zveteremich è ascrivibile a quel milieu di intellettuali che, dopo una militanza nel partito comunista, scivola progressivamente nel campo avversario, mettendo il suo ingegno al servizio delle potenze occidentali: non è certamente il solo in Italia. A suo fianco si possono citare nomi come Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Mario Pannunzio, etc. etc.: intellettuali che negli del confronto tra blocco comunista e blocco liberale, sono ingaggiati dai servizi atlantici¹ per combattere e vincere la battaglia intellettuale contro la cultura marxista.

    Zveteremich è, infatti, al centro di una delle operazioni culturali di propaganda più spettacolari e meglio riuscite del Novecento²: la pubblicazione del Dottor Zivago di Boris Pasternak, considerato dai servizi inglesi e statunitensi una preziosa arma per destabilizzare il regime sovietico. Attorno al libro, scritto tra il 1954 ed il 1956 e tacciato dalle autorità russe di vedute antisovietiche, si sviluppa una spy-story tornata recentemente alla ribalta con la pubblicazione di alcuni documenti della CIA declassificati³: un giornalista italiano di Radio Mosca, Sergio D’Angelo, riceve da Pasternak una copia dattilografata del romanzo, consegnata a Giacomo Feltrinelli a Berlino Ovest e, probabilmente, passata dall’editore italiano all’MI6 inglese, che lo segnalerà a sua volta al controspionaggio americano. In questa vicenda, pochi ricordano però il nome di Zveteremich, tra i primi curatori della traduzione del Dottor Zivago, pubblicato in anteprima mondiale dalla Feltrinelli nel 1957: è infatti lo slavista che compila per Giacomo Feltrinelli un’entusiasta scheda di lettura sull’opera di Pasternak ed è lo stesso slavista che, in vista della pubblicazione in Italia del libro, è convocato nel settembre del 1957 in URSS perché convinca l’editore milanese a non divulgare l’opera. Al rifiuto di Zveteremich, seguono prima la sua uscita dal PCI italiano e poi, nel 1961, il divieto di entrare in Unione Sovietica⁴.

    Perché e quando, Pietro Antonio Zveteremich scrive Il grande Parvus, pubblicato dalla Garzanti Editore?

    Scrive l’autore nell’introduzione del libro: "Una biografia completa, però, e soprattutto aggiornata, e inoltre sganciata dalle valutazioni ideologiche interne al movimento, ancora mancava. Completa, perché inglobante tutti i momenti della vita di Parvus fino alla morte; aggiornata, perché registrante tutti i dati disponibili fino a oggi; sganciata, perché la collocazione storica di Parvus non può più essere condizionata dalle diatribe politiche, siano essere sovietiche o d’altra parrocchia. Poiché egli è una di quelle figure storiche che continuano ad interessare per le sue idee e le sue azioni, indipendentemente dalle idee dell’epoca e della tendenza cui appartiene e continuò a essere attribuito, anzi spesso in contrasto con esse, in tale luce egli dev’essere riguardato oggi che il movimento di idee, la cultura in cui si mosse ci appaiono invece datati. (…) Una leggenda era ancora Parvus nella Berlino dei primissimi anni Venti, dove l’anonimo operatore in borsa ch’era allora sempre il padre di chi scrive, udiva il nome di Parvus come quello di un azionista tanto facoltoso quanto misterioso (…). Sicché egli fu indotto a varcare quella soglia di Schwanenerder (la sontuosa dimora berlinese di Parvus, N.d.R.), ma una visita così casuale e futile poteva dare una risposta alla sua curiosità? (…).

    Seguono poi i ringraziamenti all’Istituto Feltrinelli di Milano e a Lisa Foa per l’editing.

    Zveteremich sostiene quindi che alla base del suo lavoro c’è la volontà di completare la biografia di Parvus, aggiornarla e sganciarla del contingente, perché continuano a interessare le sue e le sue azioni. Quali sono queste idee che continuano a interessare? Zveteremich non lo dice, ma noi conosciamo quelle di Parvus: la democratizzazione della Russia, l’avversione per la monolitica dittatura del partito comunista, gli Stati Uniti d’Europa, il respingimento ad Est della Russia, etc. etc.

    Altro particolare davvero interessante: il padre di Zveteremich, allora René Armand Cveternik, esponente di quella agiata borghesia ebraica che frequenta i migliori caffè di Vienna e Berlino, ha il privilegio, nei primi anni Venti, di essere ricevuto nella grandiosa villa di Parvus, nella penisola di Schwanenerder, dimora dei ricchi berlinesi. Privilegio davvero particolare, per un anonimo agente di borsa, a meno che il padre di Zveteremich non godesse di una buona introduzione nel milieu di Parvus: entratura che fu ereditata dal figlio? E ancora: per completare la sua opera, Zveteremich, allora docente di letteratura russa all’università di Messina, consulta archivi e biblioteche a Londra, Monaco, Berlino, Stoccolma, Copenaghen, Helsinki ed Istanbul: avvalendosi di lasciapassare speciale, fornitogli magari dagli stessi ambienti che nel 1957 avevano sponsorizzato la pubblicazione del Dottor Zivago? Per quanto concerne l’Italia, i ringraziamenti di Zveteremich vanno all’Istituto Feltrinelli, oggi Fondazione, che raccoglie l’eredità di Giacomo, diviso tra sinistra extra-parlamentare e servizi inglesi di Sua Maestà, e a Lisa Foa: intellettuale di sinistra, Lotta Continua, vicina ai dissidenti russi, impegnata a fianco della Polonia di Solidarnosc. Anch’essa, quindi, appartenente a quella zona grigia tra cultura, impegno politico e servizi atlantici.

    Si direbbe, quindi, che Il grande Parvus, proprio come il Dottor Zivago, sia un’opera la cui pubblicazione sta a cuore a Washington e Londra, le stesse capitali che nel 1917 sovvenzionarono l’impresa di Parvus ed ora hanno interesse a smontarla. Veniamo così alla data di pubblicazione del libro, iniziato nel 1983 e dato alle stampe nel 1988. Lo stesso anno in cui, dopo la visita a Downing Street ed il cruciale faccia a faccia con la premier inglese Margaret Thatcher, Michail Gorbacev è diventato Segretario Generale del PCUS, avviando quelle riforme che, di lì a sei anni, porteranno alla disintegrazione dell’URSS. L’anno in cui esce in Italia Il grande Parvus è anche lo stesso in cui il Dottor Zivago appare sugli scaffali delle librerie sovietiche. L’establishment atlantico è a un passo dalla vittoria e, riportando alla ribalta la figura di Israel Helphand, sembra lanciare un messaggio: noi abbiamo fatto la rivoluzione del 1917, noi ora la portiamo a compimento. Grazie all’opera di Gorbacev si compie infatti, a distanza di settant’anni, quel piano che Parvus aveva in mente per l’impero russo già durante la Grande Guerra e che la parentesi comunista ha solo procrastinato: il respingimento ad est della Russia, la secessione di Ucraina, Paesi Baltici e Stati caucasici, la federazione dell’Europa Occidentale, etc. etc.

    Il grande Parvus è ricco, documentato, ben scritto. Tuttavia si ferma alla superficie dei fatti, senza mai penetrarli: talvolta, Zveteremich sembra ammiccare al lettore, fornendo qualche dettaglio per capire, o perlomeno intuire, il disegno più vasto, ma subito passa oltre. Zveteremich sa, allude, ma non dice. Il grande Parvus deve essere affrontato con la giusta chiave di lettura e tradotto; solo così sarà possibile accedere alla verità. Capire chi fosse in realtà quell’uomo dalla natura demoniaca, dall'intelligenza onnicomprensiva, attento a far sapere il meno possibile di sé; capire quali fossero quegli interessi che si nascondono dietro Parvus; capire quali fosse lo scopo di quelle forze che, attraverso Parvus, prima gettano Istanbul nella Grande Guerra a fianco degli Imperi Centrali, poi scatenano la rivoluzione bolscevica e, infine, strangolano la Germania guglielmina.

    Questa chiave di lettura è la geopolitica, nata a Londra. Come il Manifesto del Partito Comunista.

    Federico Dezzani

    Torino, autunno 2017

    LEVIATANO CONTRO BEHEMOT: CROMWELL E LA RIVALITÀ ANGLO-FRANCESE

    "La storia del mondo è la storia delle potenze marittime contro le potenze terrestri e delle potenze terrestri contro quelle marittime marittime. Un esperto francese di scienza militare, l’ammiraglio Castex, ha dato al suo trattato di strategia un titolo che sintetizza bene la questione: La mer contre la terre. Egli si colloca così nell’alveo di una grande tradizione.

    L’opposizione elementare tra terra e mare è stata rilevata fin dai tempi antichi, e ancora verso al fine del XIX secolo era consuetudine raffigurare le tensioni in atto tra la Russia e l’Inghilterra come la lotta tra un orso e la balena. La balena è qui il grande pesce mitico, il Leviatano – di cui sentiremo ancora parlare -, mentre l’orso è uno dei molti animali simbolici della fauna terrestre. Secondo le interpretazioni medioevali dei cosiddetti cabalisti, la storia del mondo è una lotta fra la possente balena, il Leviatano, e un animale terrestre altrettanto forte, il Behemoth, che ci si immaginava come un toro o un elefante."

    Comincia così il terzo capitalo di Terra e Mare, opera del giurista e filosofo tedesco Carl Schmitt (1888-1985). Il libro è pubblicato nel 1942, quando il Terzo Reich, lanciata l’Operazione Barbarossa, è entrato nelle sabbie mobili della guerra su due fronti (potenze marittime anglofone e impero sovietico) che lo porteranno all’annientamento nel volgere di tre anni, ponendo fine così l’assedio alla Germania iniziato nel 1914. Si legge nelle pagine di commento dell’edizione Adelphi: Ossessionato dalla logica del complotto, Schmitt prodiga la sua luciferina intelligenza nel ricercare le forze occulte ed elementari che avverte nella storia universale. Indaga gli inesauribili miti e le cosmogonie presocratiche, si immerge con uguale passione nello studio dell’esoterismo e della massoneria.

    La luciferina intelligenza di Schimitt non si muove a tentoni nella storia, alla ricerca di un inesistente complotto. Vedendo divampare attorno a sé la guerra e percependo la probabile sconfitta della Germania, ancora più traumatica del 1918, il filosofo tedesco coglie la dinamica di fondo della storia, la ragioni che stanno alla base della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, come pure dei grandi avvenimenti che hanno segnato i secoli precedenti: il conflitto tra terra e mare. La guerra per l’egemonia globale tra potenze marittime e potenze terrestre. In questo senso, la geopolitica di Sir Halford John Mackinder, messa nero su bianco all’inizio del Novecento, è soltanto la formalizzazione di un pensiero secolare. L’esposizione scientifica della strategia che anima da sempre la talassocrazia anglofona. La descrizione, asciutta e lineare, del logos che anima la storia moderna: la costante guerra del Leviatano marino contro il Behemoth terrestre.

    Isolate dai mari e naturalmente protette dai nemici esterni, le talassocrazie non dispongono normalmente di grandi eserciti permanenti e la limitatezza dei loro territori metropolitani le esenta dalla costruzione di grandi apparati burocratici: traggono la loro forza dal controllo dei mari, dalla ricchezza dei commerci e dalla padronanza degli strumenti finanziari collegati (mercato del credito, società anonime, borsa, assicurazioni). Non solo: solcando i mari, attraccando in mille porti, venendo a contatto con molte genti, dispongono di un’arma preziosa quanto, o forse più del denaro: l’informazione. Dov’è c’è mare, finanza e commercio, c’è sempre anche una ristretta oligarchia gelosa dei propri poteri e decisa a gestire lo Stato in piena libertà, il cosiddetto laissez-faire: c’è, insomma, una repubblica. I frequenti contatti con i popoli stranieri favoriscono poi un certo relativismo religioso, che sconfina spesso nella critica alla religione rivelata, se non nell’ateismo tout court. Le potenze terrestri si collocano agli antipodi di questa configurazione politico-sociale: l’esigenza di difendere i confini da una moltitudine di minacce esterne implica il mantenimento di massicci eserciti permanenti, il controllo di ampi territori comporta la formazione di una complessa burocrazia e l’adozione di un approccio dirigista, l’economia è rivolta alla produzione agricola/manifatturiera. La combinazione di questi fattori favorisce nel complesso l’accentramento del potere, con la costituzione di monarchie assolute o autocrazie. Nessun trono, infine, può considerarsi sicuro senza la benedizione divina e, perciò, le potenze terrestri sono spesso completate da religioni rivelate o positive.

    Armate dei sullodati strumenti (flotta, finanza, servizi d’informazione), la potenze marittime partono alla conquista del mondo: il loro modus operandi sarà inevitabilmente una conseguenza delle armi di cui dispongono. Con la flotta possono isolare il nemico, tagliarlo fuori dai commerci, proibirgli di rifornirsi (grano, legname, carbone, petrolio) fino a strangolarlo. Con la finanza possono prestargli credito per poi ricattarlo, abbattere il valore dei suoi titoli di Stato, seminare il panico tra gli investitori e spingerlo alla bancarotta, creare denaro dal nulla per finanziare gli sforzi bellici. Con i servizi d’informazione, alias i servizi segreti, possono carpire i punti di forza e debolezza del nemico, preparare il terreno per sommosse o rivoluzioni, assassinare regnanti o politici chiave. Sfruttando, infine, i principi liberali possono destabilizzare la struttura autoritaria degli avversari continentali. Le talassocrazie non affrontano mai singolarmente le potenze terrestri: costruiscono coalizioni, così che altri combattano le loro guerre, finanziano gli avversari dei propri nemici, impediscono che gli avversari continentali stringano alleanze che sarebbero loro letali. Così agisce il Leviatano quando sfida il Behemoth.

    Da dove cominciare, quindi, la nostra piccola storia universale da concludere con la rivoluzione russa del 1917? Dove iniziare il nostro racconto incentrato sull’eterna lotta tra talassocrazie e potenze terrestri? "Lenin non può essere paragonato né a Bonaparte né a Mussolini, ma a Cromwell. Lenin è il Cromwell proletario del ventesimo secolo": così scrive negli anni ‘20 Trotsky, pupillo del grande Parvus. Dello stesso parere è anche l’illustre storico inglese, di scuola marxista, Christopher Hill (1912-2003): "Cromwell e Napoleone sono gli uomini d’azione con cui viene spontaneo paragonare Lenin, sebbene il suo periodo di potere sia stato più breve del loro". Il paragone non deve essere casuale, né deve essere casuale che Lenin abbia più volte invocato nei suoi lavori il nome del condottiero inglese: la nostra piccola storia universale partirà quindi da Oliver Cromwell (1599-1658), il rivoluzionario puritano che nel 1649 decapita Carlo I, re d’Inghilterra.

    Il Seicento è il secolo d’oro olandese: i Paesi Bassi, retti da un regime repubblicano sul modello di quello veneziano (la Repubblica delle Sette Province Unite), di religione protestante e sede di un importante comunità ebraica dopo l’espulsione coatta degli israeliti dalla Spagna (editto di Granada del 1492) e l’insediamento dell’Inquisizione in Portogallo (1536), sono la principale potenza commerciale e finanziaria d’Europa, posizione che hanno conquistato erodendo il primato di due imperi cattolici, la Spagna ed il Portogallo, e spostando verso Nord il baricentro del mondo economico europeo, sino ad allora collocato nel bacino mediterraneo. Nella monumentale opera di Fernard Braudel, "Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II", si legge: "Soltanto nel 1612, imitando gli Ebrei rifugiati presso di loro, i quali avevano, si dice, stabilito agenzie dappertutto, gli Olandesi cominciarono a costituirne e a viaggiare in tutto il Mediterraneo". Nell’Olanda del Seicento sono gettate le basi del capitalismo, vero motore della modernità: nel 1602 è fondata la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie, VOC), nel 1607 apre la Borsa (Amsterdamse effectenbeurs), nel 1609 nasce la Banca di Amsterdam (Amsterdamsche Wisselbank), prototipo delle attuali banchi centrali. Ad Amsterdam, la Gerusalemme del Nord, gli ebrei sono banchieri, negozianti, assicuratori, operatori alla Borsa, detengono importanti quote della Compagnie delle Indie, commerciano in tabacco, zucchero, pietre preziose e detengono il monopolio dell’industria dei diamanti⁹. Il loro apporto al decollo economico olandese è decisivo. Scrive l’economista Carlo Cipolla: "Quel che un papa aveva detto dei Fiorentini del Medioevo avrebbe potuto essere detto degli Olandesi nel Seicento, e cioè che erano il quinto elemento del mondo. Se ne trovavano in ogni angolo del mondo – a far da consulenti al Granduca di Toscana per prosciugare la Maremma o in Russia a impiantare le prime fabbriche per la fusione di cannoni in ferro; in Brasile e a Canton in Cina; nel Nord America dove fondarono Nuova Amsterdam (che più tardi fu chiamata New York¹⁰)".

    Se la stella olandese risplende, unendo commerci e finanza alla pirateria, quella inglese deve ancora scaldarsi. Sotto il regno di Elisabetta I Tudor (1533-1603), scomunicata dal papa per eresia e responsabile di violente persecuzioni contro i cattolici, l’Inghilterra abbraccia il protestantesimo e, con lui, la modernità: la Riforma, come evidenzierà correttamente Max Weber a distanza di tre secoli (L'etica protestante e lo spirito del capitalismo) spiana infatti la strada al mondo borghese, fornendo una forma mentis sconosciuta al mondo feudale e cattolico e sprigiona forze che erano state sino a quel momento duramente avversate dalla Chiesa di Roma, in primis la possibilità di prestare denaro ad interesse. A questo proposito, Benjamin Nelson scrive in Usura e cristianesimo: "In meno di tre decenni, a partire dal giorno in cui Lutero parlò dinnanzi al giovane imperatore a Worms, si realizzò il fatale abbandono di un principio che aveva proclamato l’obbedienza degli uomini alla tradizione ebraica-cristiana per più di due millenni, di un principio che affermava antitetica allo spirito della fratellanza la richiesta di un interesse sul denaro ad un correligionario¹¹". Durante l’epoca elisabettiana, nascono così la borsa di Londra (il Royal Exchange fondato nel 1571), è creata la Compagnia delle Indie Orientali (1600), è dato grande impulso alla cantieristica: l’Inghilterra, sino a quel momento Paese agricolo, scopre così il Mare, gettando le basi della propria futura potenza. Non è certo casuale se anche il padre nobile dei servizi segreti inglesi, che giocheranno un ruolo chiave nella storia europea e mondiale dei secoli successivi, si collochi in questo periodo: si tratta di Sir Francis Walsingham (1532-1590), fervente puritano, organizzatore di un’efficiente polizia segreta al servizio della regina e incaricato di delicate missioni diplomatiche come, ad esempio, la stipulazione di un’alleanza anglo-francese contro la potente Spagna e la Lega cattolica da lei guidata.

    L’Inghilterra di Elisabetta I, dedita alla pirateria ai danni dei galeoni spagnoli che trasportano oro e derrate coloniali dal Nuovo Mondo, è infatti la naturale nemica dell’impero spagnolo: quando Londra offre il proprio sostegno all’insurrezione protestante che dilania i Paesi Bassi, Filippo II si decide a liquidare la nascente potenza marittima rivale, allestendo la cosiddetta Armada Invencible per l’invasione dell’Inghilterra. La flotta, reduce dalla schiacciante vittoria sui Turchi (battaglia di Lepanto del 1570), è composta da pesanti galeoni, studiati per abbordare le navi nemiche ed ingaggiare combattimenti corpo a corpo con la fanteria: al contrario, gli inglesi si affidano alla superiorità dei loro moderni cannoni montati su affusti di quattro ruote, anziché due (gli ebrei, espulsi dalla Spagna nel 1492, hanno portato con sé le preziose conoscenze metallurgiche), che consentono di sparare proiettili più pesanti e con maggiore precisione, e sulla maggiore manovrabilità dei loro galeoni da corsa. "Secondo il punto di vista della maggior parte dei contemporanei, fu la duplice superiorità nella velocità e nella potenza di fuoco a conferire una posizione di vantaggio all’Inghilterra¹²".

    La flotta spagnola, i cui movimenti sono tempestivamente comunicati agli inglesi dal sefardita Hector Nuńes, ben introdotto alla corte della regina Elisabetta¹³, subisce diversi scacchi, fallendo l’obiettivo di traghettare sull’isola le truppe al comando del generale Alessandro Farnese e, sulla via del ritorno, si imbatte nel Mare del Nord in dure tempeste che ne compromettono l’operatività: l’invasione dell’Inghilterra del 1588 è fallita. Scrive lo storico Paul Kennedy: "In alcuni momenti della lotta, specialmente intorno al 1590, parve che la poderosa campagna condotta dagli spagnoli potesse ottenere la vittoria; nel settembre 1590 le armate spagnola stavano combattendo nella Linguadoca e in Bretagna, e un’altra, al comando dell’abilissimo duca di Parma, marciava su Parigi. Ciononostante, le linee delle forze anti-spagnole ressero, anche sotto una tale pressione. (…) A quel tempo anche l’Inghilterra era sicura. La grande Armada del 1588, e due successivi tentativi spagnoli di invasione, erano falliti, come i tentativi di sfruttare una rivolta cattolica in Irlanda, che le armate di Elisabetta avevano subito riconquistato¹⁴". È legittimo domandarsi come sarebbe evoluta la storia dei secoli successivi se Filippo II avesse stroncato sul nascere la potenza inglese: sarebbero state risparmiate al mondo molte sanguinose guerre e rivoluzioni, frutto della modernità?

    Non è più un Tudor, ma uno Stuart, il re che nel 1626 sale sul trono d’Inghilterra: Carlo I (1600-1649), figlio del defunto Giacomo I. Il regno di Carlo si colloca agli antipodi di quello tudoriano: di tendenze assolutistiche, filo-cattolico, insofferente alle pretese avanzate dalla classe mercantile in ascesa, sposato con la francese e cattolica Enrichetta Maria di Borbone-Francia, Carlo I è considerato una minaccia dalla City e dai ceti sociali emergenti, protestanti e borghesi, la cosiddetta gentry. Nel 1629, Carlo I firma la pace con le storiche rivali dell’Inghilterra, le cattoliche e reazionarie Spagna e Francia, e scioglie il Parlamento, arrogandosi le prerogative di un sovrano assoluto: è il periodo della personal rule, spregiativamente definito dagli storici inglesi come la tirannia degli undici anni. Per la City non c’è strumento migliore per rovesciare il nemico che colpire le sue finanze: nel 1639-1640, la borghesia rifiuta di pagare le tasse e Carlo I, oberato dai debiti contratti per la guerra contro la Scozia, è costretto alla bancarotta. A quel punto, la convocazione del Parlamento diventa inevitabile¹⁵: si prenda nota della dinamica, perché si ripeterà pressoché identica (dissesto finanziario, convocazione degli Stati Generali e destabilizzazione della monarchia) nel 1789, quando nel mirino finirà l’autocrazia dei Borbone. Il Parlamento stabilisce il divieto di formare un esercito permanente controllato dal re, dichiara illegale qualsiasi tassazione imposta senza il suo consenso e istituisce il controllo sulla Chiesa, in modo tale che questa non possa essere usata come strumento di propaganda reazionaria.

    Nonostante Carlo I abbia acconsentito alla restaurazione del Parlamento, la sua speranza è di poterlo manovrare a piacimento, rifiutando di scendere a compromessi con i rappresentanti della borghesia (un’analoga tattica sarà anche adottata da Luigi XVI con gli Stati Generali): la tensione tra la corona e l’organo rappresentativo cresce perciò costantemente, finché nel novembre 1641 non è approva la Grand Remostrance, un documento dove si elencano le rimostranze in materia di finanze, politica estera e religione, dirette contro il re. A quel punto, Carlo I, abbandona Londra. "Hobbes, il teorico della politica, indica nella classe dei mercanti presbiteriani della City di Londra il principale nucleo della sedizione, per la loro aspirazione ad uno Stato governato dai mercanti e nel loro esclusivo interesse, sull’esempio della repubblica d’Olanda e di Venezia (il confronto con le repubbliche borghesi ricorre costantemente negli scritti dei sostenitori del Parlamento)¹⁶".

    Dalla conseguente Guerra Civile (1642-1651) emerge la figura di Oliver Cromwell, l’antesignano di Lenin secondo il giudizio che Trotsky darà a distanza di quasi tre secoli: i partigiani del Parlamento (Roundheads) confrontano quelli della monarchia (Cavaliers), in una sanguinosa guerra che sarà il prototipo delle successive rivoluzioni, da quella francese del 1789 a quella russa del 1917. Scrive Hill: "La rivoluzione inglese del 1640-1660, fu un grande movimento sociale, simile alla rivoluzione francese del 1789. Il potere dello Stato, che proteggeva un vecchio ordinamento essenzialmente feudale, fu violentemente rovesciato, il potere passò nella mani di una nuova classe e fu così reso possibile il più libero sviluppo del capitalismo¹⁷". Per la prima volta della storia, si assiste non ad una lotta per la conquista del potere, ma ad un movimento che, animato da una visione messianica e apocalittica della realtà, tipica della gnosis (approfondiremo l’argomento in seguito) sogna di riplasmare la società in senso egualitario. La rivoluzione inglese è, infatti, una rivoluzione puritana ed ha un profondo significato escatologico: l’autorità reale, il clero simoniaco, i privilegi feudali, le corrotte istituzioni terrene, devono essere abbattuti, per realizzare un regno terreno rigorosamente comunitario. "Giacomo I (padre di Carlo I, N.d.R.) diceva in parlamento che i puritani non tanto differiscono da noi su questioni d’indole religiosa, quanto per la loro confusa concezione della politica e dell’eguaglianza, essendo perennemente scontenti del governo presente e insofferenti di ogni autorità, cosa che rende la loro setta intollerabile in ogni repubblica ben governata¹⁸".

    Fervente puritano, esponente dei ceti emergenti, capitano degli Ironsides, moderne e pesanti unità di cavalleria, Oliver Cromwell (1599-1658) infonde nelle sue truppe un fervore religioso: credendo di essere strumenti di Cristo nella lotta del Bene contro il Male, gli uomini di Cromwell, inspirati da principi egualitari e democratici, affrontano e sbaragliano con fanatismo l’esercito rimasto fedele a Carlo I, grazie ad un efficiente esercito (New Model Army), che avrebbe retto il confronto con quelli continentali. Cromwell intuisce che "una guerra rivoluzionaria deve essere organizzata in maniera rivoluzionaria¹⁹". Rifiutati i diktat dei rivoluzionari, Carlo I, re per diritto divino, è ghigliottinato il 30 gennaio 1649, davanti Whitehall, come "nemico pubblico del buon popolo di questa nazione²⁰": nasce qui il feticcio del regicidio, inteso come decapitazione dell’autorità e sovvertimento dell’ordine religioso, che ricorrerà nella rivoluzione francese e russa. "Il re era il capo tradizionale e quasi sacro della società feudale e, decapitandolo dopo un processo formale (anche se irregolare), la borghesia rivoluzionaria dichiarava in chiari termini il suo diritto ad una posizione dominante nell’Inghilterra del futuro. In nessun’altra maniera la rottura con il passato poteva essere sottolineata con tanta evidenza²¹".

    Agli occhi di Cromwell e dei rivoluzionari inglesi, Carlo I non incarna soltanto l’autocrazia e la conservazione, ma anche il peccato e la corruzione: la sua decapitazione è un gesto quasi catartico perché il re è "a sinful man whose death was required by God in order to gain God’s blessing²²". Non è certo casuale se, a fianco del sanguinoso conflitto per stroncare l’assolutismo, emergano anche le prime forme di proto-comunismo, che riemergeranno nella rivoluzione francese e troveranno forma compiuta in quella russa, e i primi violenti attacchi alla religione intesa come oppio dei popoli: i levellers di John Lilburne e i "diggers" (gli zappatori) guidati dal mistico Gerrard Winstanley, rappresentano "l’ala sinistra delle forze rivoluzionarie²³", che si propone di instaurare un regime di eguaglianza economica, attraverso una "agricoltura collettivizzata²⁴", e non risparmia feroci critiche al clero e alla religione rivelata. Lavorate insieme. Mangiate lo stesso pane è il motto dall’inconfondibile sapore socialista che anima il movimento degli zappatori. E ancora: Io affermo che la terra fu creata come patrimonio comune di tutti gli uomini, senza eccezione, e non fu creata per essere comperata e venduta afferma Winstanley²⁵. Il 19 maggio 1649, infine, è proclamata la Repubblica (Commonwealth of England), sul modello di Atene, Venezia ed Amsterdam: tutte potenze marittime.

    Nel 1651 Londra afferma le sue ambizioni di grande potenza marinara con il Navigation Act, definito da Adam Smith come "forse il più saggio di tutti i regolamenti commerciali inglesi²⁶", che assoggetta tutte le colonie d’oltremare al Parlamento e stabilisce che l’interscambio commerciale con esse sia esclusivo appannaggio della marina mercantile inglese, così da incentivarne lo sviluppo ai danni di quella olandese: "favorita dai Comuni poiché si era generalmente schierata contro Carlo I durante la guerra civile, la flotta visse un momento di rinascita attorno al 1650: le sue dimensioni erano più che raddoppiate, da trentanove vascelli (1649) a ottanta (1651), la paga e le condizioni di vita sulle navi erano migliorate, i cantieri e i supporti logistici erano stati perfezionati e i finanziamenti per tutto questo erano venivano regolarmente votati dalla Camera dei Comuni, la quale riteneva che profitti e potenza andassero mano nella mano²⁷". Con Cromwell, però, l’Inghilterra non sceglie soltanto di archiviare il proprio retaggio di Paese agricolo, ma sceglie di sposare il Mare con la emme maiuscola, abbracciando una precisa Weltanschauung. Il 1651 è anche l’anno, infatti, in cui filosofo Thomas Hobbes pubblica Il Leviatano, pietra miliare della filosofia politica moderna: all’unità del corpus christianum medioevale, basato sulla Chiesa e sull’Impero, subentra lo Stato nazionale, "prodotto dei movimenti rivoluzionari borghesi del XVI e XVII secolo²⁸", possente come il mostro marino dell’Antico Testamento, concepito come l’organizzazione utilitaristica di più individui, vincolati da un contratto.

    Ribaltando il pensiero di Aristotele, secondo cui lo Stato è un naturale frutto della socievolezza umana e bisogna obbedirgli in quanto ente divino, Hobbes afferma invece che lo Stato è un prodotto artificiale, un contratto con cui individui egoistici si organizzano per fini utilitaristici, ossia per sfuggire alle barbarie dell’homo homini lupus e reprimere la malvagità insita nel genere umano (Da ciò è manifesto che durante il tempo in cui gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione che è chiamata guerra e tale guerra è quella di ogni uomo contro ogni uomo): è una rivoluzione copernicana, perché lo Stato da ente naturale (e perciò divino) diventa un dio mortale, una "automata" assemblata dall’uomo, un prodotto della ragione umana, simile alle "macchine che si muovono da sé mediante molle e ruote, come un orologio²⁹". Si legge nel Leviatano:Proprio per mezzo dell’arte vien creato quel grande Leviatano, chiamato Potere Politico, o Stato (in latino Civitas), che non è altro che un uomo artificiale, sebbene di maggiore statura e forza di quello naturale, alla cui protezione e difesa è rivolto. Il contratto sociale che Hobbes pone alla base del Leviatano (definito patto nel testo) è soprattutto un esplicito richiamo al celebre contratto che unisce Dio al popolo ebraico: "Il Signore, nostro Dio, ha concluso con noi un’alleanza (alias patto o contratto) sul monte Oreb" sono le parole che il Deuteronomio imputa a Mosè. Il Leviatano di Hobbes, che corrisponde all’Inghilterra regicida e post-rivoluzionaria, è pertanto edificato a immagine e somiglianza della nazione ebraica, fonte del sapere da cui il filosofo inglese si è abbeverato attraverso il suo maestro, Francesco Bacone.

    Il Leviatano ha un obiettivo politico immediato: Hobbes intende legittimare il potere pressoché assoluto dell’usurpatore Cromwell che, detronizzato l’esautorato casato degli Stuart, è l’unica figura in grado di ristabilire l’ordine e liberare l’Inghilterra dal giogo della Chiesa di Roma. Lo Stato, secondo Hobbes, ha infatti il diritto di sovrintendere alle questioni concernenti la religione, peraltro degradata dal filosofo a semplice superstizione. Se la nuova Inghilterra di Cromwell, vocata al mare, puritana, oligarchica e contrattualistica, è il Leviatano, la vecchia Inghilterra di Carlo I, vocata alla terra, filo-cattolica, assolutistica e aristotelica, sarà raccontata da Hobbes nel Behemoth or the Long Parliament (pubblicato nel 1679), dove sono analizzate le cause della guerra civile. Obiettivo dei rivoluzionari, scrive Hobbes nel Behemot, è "trasformare il governo monarchico in un’oligarchia, cioè attribuire, in un un primo momento, la sovranità assoluta al parlamento, composto da alcuni Lord e da circa quattrocento membri della Camera dei Comuni, e, subito dopo, eliminare la Camera del Lord³⁰". Ecco quindi apparire per la prima volta nel pensiero politico occidentale il dualismo Leviatano-Behemoth, alla base della storia moderna (e di conseguenza del nostro lavoro): una dialettica, il mostro marittimo (un serpente guizzante e tortuoso come è definito da Isaia, sebbene nella cosiddetta Bibbia ginevrina sia tradotto col termine balena) contro il mostro terrestre (Ho creato anche il Behemoth, che mangia erba come un bue. Guarda che forza ha nella schiena e nei muscoli del ventre scrive Giobbe e talvolta sono usati anche i termini di elefante e ippopotamo), non esplicitata dalla Bibbia, ma coltivata dalle correnti cabalistico-esoteriche nel corso dei secoli.

    Secondo quanto si legge nell’Antico Testamento, sia il Leviatano che il Behemoth sono mostruose creature di Dio, resta però il fatto che Hobbes identifica la nuova Inghilterra repubblicana di Cromwell, vocata al mare, con il Leviatano, il serpente guizzante e tortuoso associato da una certa tradizione medievale all’Anticristo, mentre la vecchia Inghilterra, legata al continente e alle potenze cattolico-monarchiche, è il Behemoth. È pressoché certo che Hobbes sia venuto a conoscenza della dialettica Leviatano-Behemoth attraverso il suo mentore Francesco Bacone (1561-1626), guardasigilli di Elisabetta I, antesignano della filosofia moderna, convinto detrattore della scolastica e dell’aristotelismo, padre dell’empirismo e del metodo induttivo e, soprattutto, membro della confraternita dei Rosacroce³¹, progenitrice della massoneria speculativa, intrisa di elementi cabalistici. Scrive lo storico Christopher Hill: "In un certo periodo Hobbes, non sappiamo esattamente quando, lavorò in stretta collaborazione con Bacone, in qualità di amanuense³²".

    Nel 1653, Cromwell è nominato Lord Protettore, in virtù di una Costituzione redatta in maniera tale da celare la dittatura militare. La reggenza puritana è spietata nella repressione dei dissidenti: gli irlandesi poi, schieratisi a fianco di Carlo I, sommano alla colpa della loro fede cattolica anche l’appartenenza ad un altro ceppo etnico. Irlanda è perciò sottoposta ad una colonizzazione coatta ed il 20-30% della popolazione è sterminato nella campagna contro i realisti, durante la quale non è operata nessuna distinzione tra uomini in armi e civili, lasciando che i puritani di Cromwell si abbandonino a sanguinosi massacri³³. All’ostilità verso i cattolici fa da contraltare un’equivalente benevolenza nei confronti degli israeliti. La comunità ebraica era stata espulsa dalle isole britanniche nel 1290, sotto il regno di Edoardo I (1239-1307), sebbene, come abbiamo detto, un crescente numero di marrani si fosse stabilito sull’isola già sotto il regno di Elisabetta. La rivoluzione inglese ha ora creato le condizioni per il ritorno della comunità ebraica, la cui presenza è invocata dai protestanti millenaristi e filosemiti, convinti che la loro conversione al cristianesimo (ovviamente riformato) acceleri la venuta del Messia. Oltre ai motivi religiosi, c’è poi la prospettiva, molto più concreta, di sottrarre agli olandesi il primato commerciale mondiale, incentivando lo spostamento della comunità ebraica da Amsterdam a Londra.

    Nel 1655 il diplomatico, cabalista e rabbino, Menasseh Ben Israel (1604-1657), sbarca a Londra. presentando a Cromwell il pamphlet "Humble Address to the lord Protector"³⁴ con cui illustra i vantaggi che deriverebbero all’Inghilterra dalla riammissione degli ebrei, depositari di una grande sapienza in materia di monete, diamanti, materie prime e commerci. Menasseh aveva già indirizzato al consiglio di Stato una petizione simile nel 1651 (presa in esame dalle autorità inglesi all’indomani dell’approvazione del Navigation Act!³⁵), ma la prima guerra anglo-olandese (1652-1654) aveva interrotto i colloqui. Cromwell non risponde esplicitamente alla petizione di Manasseh, ma concede che un numero crescente di israeliti si insedi con discrezione a Londra. Scrive lo storico Cecil Roth, a proposito dell’insediamento dei ricchi marrani in Inghilterra: Ben presto ebbero inizio i matrimoni misti; così accadde che, in particolare nei Paesi protestanti del nord, nelle vene di molte delle più nobili e fiere casate scorra sangue marrano; si può addirittura dire che in Inghilterra non esista famiglia della più antica aristocrazia esente da tali mescolanze di sangue³⁶. Sempre nel 1655 gli

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