Il lato nascosto degli italiani
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Dunque un lavoro di grande valore etico e morale attraverso cui le due penne critiche, oltre a disvelare lati oscuri, nascosti e perturbanti degli italiani in una sorta di critica destruens, si propongono un percorso costruens finalizzato all' acquisizione di una coscienza collettiva compiuta - una sorta di patente di identità - che, mancando allo stato attuale, pone l'Italia "sotto attacco" da parte di chi vuole impossessarsi di noi, della nostra storia, dei nostri patrimoni, dei nostri tesori, della nostra anima.
Pagine lungimiranti , che vogliono essere propulsive ed avere un valore didattico ed educativo perché intendono svelare e disvelare a noi tutti quali siano i nostri aspetti migliori e strategici e consentirci di essere Italiani compiuti e non monchi.
Solo così, riappropriandoci di noi stessi, possiamo sperare di salvarci.
Dunque, le 102 pagine di Provenzano e Rocchini sono quasi profetiche e chiaroveggenti.
Vale la pena leggerle.
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Anteprima del libro
Il lato nascosto degli italiani - Francesco Maria Provenzano
Alighieri
PREFAZIONE
di Elio Lannutti*[1]
Il libro di Francesco Maria Provenzano e Massimo Rocchini, "Il lato nascosto degli Italiani», è uno spaccato fedele e rappresentativo dell’Italia, un paese privo di etica, divorato da malaffare, illegalità, evasione fiscale, ai primi posti nelle classifiche internazionali per corruzione, agli ultimi per la libertà di informazione. Il lato nascosto degli italiani, (o più semplicemente, nascosto agli italiani), per manipolare sapientemente la formazione di una coscienza collettiva con potenti armi di distrazioni di massa, ha privato il popolo della propria identità, dell’orgoglio di Nazione (caro ai francesi), dell’interesse generale e del bene comune.
Nell’etica dei principi e della responsabilità, Max Weber (il grande sociologo dell’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo e La politica come Professione) si muove all’interno di una filosofia dei valori i cui presupposti sono la distinzione tra essere (Sein) e dover essere (Sollen) e il riconoscimento di una pluralità di sfere dei valori (quel politeismo dei valori
in forza del quale nell’etica il valore è il buono, nell’estetica il bello, ecc). A differenza della scienza, che ha a che fare coi fatti, la filosofia si occupa dei valori, che però sono non un qualcosa di assoluto e immutabile (come avevano preteso Windelband e Rickert), ma piuttosto un qualcosa di mutevole e relativo (come aveva colto Dilthey). Di fronte ad un mondo che di per sé manca di significato, sta agli uomini attribuirgliene uno: proprio in forza del disincantamento del mondo (Entzauberung der Welt), il mondo si è spopolato degli dèi e delle forze magiche per diventare il puro e semplice teatro dell’agire razionale dell’uomo. Proprio perché i valori sono tanti e inconciliabili, nel chinare il capo a certi valori se ne escludono altri: in ciò consiste quella che Weber chiama collisione
dei valori. Il politeismo dei valori
(espressione che Weber mutua in parte da John Stuart Mill) si declina nell’etica sotto forma del dualismo tra l’etica dei principi (Gesinnungsethik) – anche detta etica delle intenzioni o delle convinzioni – e l’etica della responsabilità (Verantwortungsethik). La prima forma di etica fa riferimento a principi assoluti, che assume a prescindere dalle conseguenze a cui essi conducono: di questo tipo sono, ad esempio, l’etica del religioso, del rivoluzionario o del sindacalista, i quali agiscono sulla base di ben precisi principi, senza porsi il problema delle conseguenze che da essi scaturiranno. Si ha invece l’etica della responsabilità in tutti i casi in cui si bada al rapporto
mezzi/fini e alle conseguenze. Senza assumere princìpi assoluti, l’etica della responsabilità agisce tenendo sempre presenti le conseguenza del suo agire: è proprio guardando a tali conseguenze che essa agisce. Sicché l’etica dei principi e quella della responsabilità sono due etiche opposte e inconciliabili, che fanno capo a due diversi modi di intendere la politica, come nota Weber in Politica come professione: l’etica dei princìpi è, in definitiva, un’etica apolitica, come è testimoniato dal Cristiano che agisce seguendo i suoi principi e senza chiedersi se il suo agire possa trasformare il mondo. Al contrario, l’etica della responsabilità è indissolubilmente connessa alla politica, proprio perché non perde mai di vista (e anzi le assume come guida) le conseguenze dell’agire. Nel mondo globalizzato è sempre più difficile difendere le identità, i valori, i principi indissolubili di uno Stato di diritto, come l’Italia la cui Costituzione all’art.1 recita: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro: La sovranità appartiene al popolo.
Prendere coscienza dei nostri aspetti positivi diventa essenziale per avere rispetto di noi stessi, per costruire una coscienza di popolo che conosce i propri difetti ed i propri problemi ma che, al tempo stesso, è consapevole delle proprie qualità, delle proprie capacità delle proprie maestrie e si considera un popolo degno, di pari dignità con gli altri popoli
– scrivono gli autori. Nel contesto storico attuale, una coscienza di popolo equilibrata
è fondamentale per accrescere il livello etico della società, e per poter, non competere, ma collaborare e condividere in modo sano
con tutti gli altri popoli. La sottostima, la negazione delle proprie qualità, il considerarsi un popolo non degno conduce unicamente alla divisione, alla paura, alla perdita di stima rendendo particolarmente semplice il compito di chi vuole dividerci, controllarci e derubarci.
Il vero problema prioritario sarebbe allora quello di affrontare e mettere sotto osservazione il debito pubblico, l’enorme debito pubblico che non solo ha l’Italia ma quasi tutti i paesi del mondo, e di cercare di comprenderne le origini, la dinamica e le modalità di superamento (se esistono): questo però non avviene e classe politica, media, intellettuali e quant’altro preferiscono parlarci quotidianamente dei problemi già citati, in particolare delle mitiche riforme.
Ogni tanto, qualche politico illuminato
, con la scusa d abbattere il debito pubblico, privatizza svendendo selvaggiamente
le nostre imprese ed i nostri asset
. Anche in questo caso, e’ perlomeno curioso che, come successo qualche anno fa, nessun commentatore politico, economico, economico-politico, intellettuale, economista e finanche politico di opposizione ha avuto da ridire alle dichiarazioni dell’allora Presidente del Consiglio che annunciò la privatizzazione di aziende pubbliche (Poste, Finmeccanica,…) per un totale di circa 5 miliardi di euro per abbassare il debito pubblico che era di circa 2.000 miliardi di euro.
Il debito, un macigno che grava sulle nuove generazioni, alle quali ‘politica e governi’, hanno rubato speranza e futuro, continua a lievitare, crescendo fuori da ogni controllo.
L’ultimo governo Berlusconi, durato in carica 42 mesi dal maggio 2008 all’ottobre 2011, ha generato un aumento del debito di 261,665 miliardi (da 1.654,737 a 1.916,402 miliardi), pari a 6,230 miliardi di aumento medio mensile. Tale incremento ha prodotto per i cittadini italiani un aumento del carico pro capite pari a + 4.390 euro. Con Berlusconi, il debito pro capite a fine mandato era pari a 32.154 euro.
Il governo Monti, in carica dal novembre 2011, conclude il suo mandato a fine aprile 2013. La sua azione ha generato un aumento di 128,904 miliardi in 17 mesi, da fine novembre 2011 (1.912,389 miliardi) ad aprile 2013-(2.041,293 miliardi), pari a circa 7,5 miliardi di aumento medio mensile, il peggior risultato rispetto a tutti i governi che l’hanno preceduto dal 1996. L’incremento del debito per 128,904 miliardi di euro generato