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Labirinti: enigmi svelati, misteri irrisolti
Labirinti: enigmi svelati, misteri irrisolti
Labirinti: enigmi svelati, misteri irrisolti
E-book297 pagine3 ore

Labirinti: enigmi svelati, misteri irrisolti

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Info su questo ebook

Una sorprendente scoperta in una grotta presso Erice, in Sicilia, ha consentito all’autore di questo libro di rendersi conto che l’origine del simbolo del labirinto ed il suo arcaico significato, possono essere svelati soltanto ricollegandolo all’archeoastronomia, la scienza che studia le conoscenze astronomiche degli antichi, e la loro correlazione con monumenti, simboli e tradizioni culturali. Così basandosi sulle più aggiornate datazioni dei labirinti incisi sulle rocce in tante parti d’Europa, ed il confronto con le correnti commerciali sin dalla prima età del bronzo, è stato possibile scoprire che quelli più antichi si trovano proprio in prossimità delle aree megalitiche – in una ben precisa regione europea – e che in quei tempi remoti erano strettamente collegati sia ai cicli di lungo periodo del sole e della luna, sia alle attività minerarie e metallurgiche.
Questa è soltanto la prima delle risposte che questo libro fornisce alle tante domande che sin dall’inizio del secolo scorso si pongono tutti gli studiosi e gli appassionati di labirinti. Anche il "filo d’Arianna" è un'allegoria archeoastronomica legata al sole e ai solstizi; l’origine ed il ruolo della figura del Minotauro sono più chiari dopo le recenti scoperte archeologiche di Trinitapoli, in Puglia; ed il culto degli antenati nell’Ade, presso i Greci ed i Romani, spiega in maniera evidente sia le danze a piedi o a cavallo, come il famoso “Ludo Troiano” descritto nell’Eneide (raffigurato accanto al labirinto nel vaso etrusco di Tragliatella), sia i labirinti pavimentali di tantissime ville romane in ogni angolo dell’impero.
E con la fine dell’età antica e l’inizio del medioevo, i misteri sui labirinti non diminuiscono, anzi si moltiplicano, con risvolti così intriganti da nascondere soluzioni altrettanto sorprendenti. Il labirinto della cattedrale di Amiens è orientato verso il punto in cui il sole sorge la mattina del 15 agosto, giorno dell’Assunzione, alla quale è dedicata la chiesa. Ma nel periodo in cui la cattedrale venne costruita – il XIII sec. - il vecchio calendario giuliano era sfasato di 6 giorni, e dunque il 15 agosto il sole entrava anche nella costellazione della Vergine! Coincidenza? Oppure una traccia nascosta della volontà di rispecchiare il cielo sulla terra di Francia? E chi avrebbe mai detto che, come hanno scoperto i ricercatori, le curiose danze che gli ecclesiastici di Auxerre e Sens eseguivano sui labirinti la domenica di Pasqua nascondevano la sorprendente verità sull’origine stessa dei grandi labirinti sui pavimenti delle cattedrali francesi?
Lungo il filo d’Arianna della diffusione del simbolo del labirinto (persino tra gli indiani Hopi dell’Arizona prima di Colombo!), delle trasformazioni nella sua forma, e dei mutamenti del suo significato in tempi e luoghi differenti, si assiste in realtà alla medesima trasformazione di fedi, tradizioni, modi di pensare che scandiscono il clima e lo spirito di ciascuna epoca.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mar 2017
ISBN9788826039787
Labirinti: enigmi svelati, misteri irrisolti

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    Anteprima del libro

    Labirinti - Ignazio Burgio

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    Avvertenza

    Il presente saggio si basa sulle scoperte e le teorie più aggiornate – non solo in ambito accademico ma anche di seri appassionati – sul vasto e complesso argomento dei labirinti. Sebbene dunque tenga in grande considerazione i classici lavori (in edizione italiana) di Paolo Santarcangeli (Il libro dei labirinti, Vallecchi) e di Herman Kern (Labirinti. Forme e interpretazioni, Feltrinelli) specie per quanto riguarda la documentazione, questo lavoro trae la maggior parte delle conclusioni sulla scorta delle più recenti scoperte di nuovi labirinti (specie qui in Italia), della ridatazione di vecchi labirinti in tutta Europa, e dei nuovi rivoluzionari studi in fatto di archeologia e soprattutto di archeoastronomia. Utilissimo si è rivelato il volume di recente pubblicazione di G. Pavat, G. Marovelli, F. Consolandi, F. Ponzo, L. Pascucci, In cammino… Fino all’ultimo labirinto, Youcanprint, 2013, dedicato ai labirinti italiani medievali, ed a quelli scandinavi e baltici.

    Questo libro dunque non intende essere un catalogo esauriente di tutti i labirinti conosciuti al mondo (per la quale esigenza si rinvia all'enciclopedico lavoro di Hermann Kern) ma una panoramica, in linguaggio semplice e divulgativo, di tutti i misteri e gli interrogativi ancora irrisolti sui labirinti lungo il corso della loro storia ed evoluzione, oltre che un tentativo di dare qualche plausibile risposta.

    Alcuni capitoli di questo volume si rifanno ad un mio precedente saggio, e ad articoli da me già pubblicati in rete, ad es. sul sito web www.ipercultura.com , anche se qui si trovano ampliati e correlati in maniera funzionale con gli altri argomenti. Rispetto alla precedente edizione del 2017, è stata puntualizzata meglio la questione dell’origine e del significato dei labirinti quadrati romani; si è inserito un paragrafo riguardante i cosiddetti Labirinti di Francavilla Marittima per tracciare l’arcaico collegamento tra la figura del labirinto e la città di Troia; si è aggiunta la citazione dell’opera Il Corbaccio di Giovanni Boccaccio nel paragrafo dedicato a Dante, ed anche qualche elemento in più riguardo alla chiesa di Petrella Tifernina; ed è stato inserito qualche altro esempio di giardini-labirinti nel paragrafo ad essi dedicato.

    Colgo l'occasione per ringraziare lo studioso Giancarlo Pavat per la segnalazione dell'esistenza del labirinto nella Grotta di Polifemo e per avermi fornito foto e utili osservazioni. Ringrazio anche Marisa Uberti, Enrico Pantalone, Angela Militi, Alberto Scuderi, Graziella Milazzo, Sergio Succu, Isabella Dalla Vecchia, Fabio Ponzo, Franco Valente e Mario Ziccardi, oltre che per avermi fornito foto, documenti e segnalazioni, anche utili e preziosi pareri. Non ultimo, ringrazio anche Jeff Saward – che ho avuto il piacere e l'onore di conoscere personalmente nel dicembre 2016 durante un convegno a Ceccano (Frosinone) – per avermi messo a disposizione vecchi articoli della sua rivista Caerdroia e per avermi fornito foto ed utili informazioni.

    Le foto relative alla Grotta di Polifemo sono state scattate da me, da mio fratello Giancarlo e da mio nipote Riccardo. Mie sono anche le foto dei labirinti di Roma e del Castello di Donnafugata (Rg). Le foto dei labirinti nelle chiese scandinave sono di Giancarlo Pavat. La foto del labirinto di Alatri è del Comune di Alatri. Quelle dei labirinti di Lucca e Pontremoli sono di Isabella Dalla Vecchia. La foto del labirinto di Tossicia è di Fabio Ponzo. Le immagini dei labirinti di Piadena e di Glencolumkille sono state scattate da Marisa Uberti. La foto del labirinto di Colli al Volturno è di Franco Valente. Le foto dei labirinti di Pontevedra e delle isole Solovestsky sono di Jeff Saward. Quelle dei labirinti di Francavilla Marittima e del labirinto di Conversano sono state concesse da altri e il loro uso è riservato. Le altre immagini ricavate in genere da Internet sono di dominio pubblico, come espressamente dichiarato nella documentazione loro allegata. Si è fatto di tutto, in ogni caso, per non violare alcun copyright.

    Per la piena compatibilità di questo ebook con i mezzi di visualizzazione e per non appesantire la lettura, trattandosi di un saggio divulgativo, note, osservazioni e rimandi sono tutti concentrati nella sezione Bibliografia (ci si scusa per questo con gli studiosi e gli esperti, ma questo saggio è diretto in primo luogo ai comuni lettori). Per lo stesso motivo, le immagini sono in fondo al saggio. La copertina è una mia composizione originale e rievoca uno dei labirinti (o meglio filo d’Arianna) della Val Camonica.

    Una copia del presente libro – in formato cartaceo – è depositata presso la Biblioteca Regionale dell'Università di Catania.

    L’autore.

    Introduzione. Il mistero del labirinto

    ...As many stories are told as mythologies exist, but in all the labyrinth seems to symbolize the path to be followed, in daily and seasonal cycles, in life, death and in rebirth. The expanding and contracting circuits mimic the path of the sun in its travels across the sky, a recognition of the perpetual rebirth of the sun each morning and every year and beyond this may exist a cosmology, an ancient understanding of the cycles of time, all safely concealed within the labyrinth, locked up in numbers and movements. ...

    (... Tante storie vengono raccontate quante ne esistono di mitologie, ma in tutte sembra che il labirinto simbolizzi il percorso da seguire, nei cicli quotidiani e stagionali, nella vita, nella morte e nella rinascita. I sentieri che si espandono e si contraggono mimano il percorso del sole nei suoi spostamenti in cielo, un riconoscimento della perpetua rinascita del sole ogni mattina ed ogni anno ed oltre ciò può esistere una cosmologia, un'antica comprensione dei cicli del tempo, sicuramente tutta celata all'interno del labirinto, racchiusa in numeri e movimenti...).

    Jeff Saward , The story of labyrinth, in: www.labyrinthos.net

    " Presumibilmente questo è uno fra gli aspetti principali del labirinto, aspetto che finora non è stato investigato a sufficienza. A uno storico dell'astronomia interessato ciò potrebbe dischiudere prospettive che oggi si possono solo intuire".

    Hermann Kern , Labirinti. Forme e interpretazioni, Feltrinelli (p. 27, n. 69).

    A volte non siamo noi ad andare alla ricerca di misteri, ma sono i misteri che trovano noi.

    Era il gennaio del 2015 quando da Roma ricevetti un messaggio da parte di Giancarlo Pavat, un appassionato ricercatore esperto di labirinti, che avevo conosciuto di persona meno di due mesi prima, in occasione della premiazione di un mio libro di archeoastronomia. Mi informava che secondo un vecchio articolo, la più antica immagine di un labirinto si trovava dipinta sul soffitto di una grotta dalle parti di Erice presso Trapani. Abitando io in Sicilia mi chiedeva la cortesia di andare sul luogo e scattare qualche foto di quel pittogramma di cui esistevano solo poche immagini, di bassa qualità. Pur essendo infatti stato scoperto nel 1986, nella Grotta di Polifemo, e datato dagli archeologi al 3000 a. C., quel pittogramma era stato praticamente dimenticato, e nemmeno io ne conoscevo l'esistenza.

    Per diversi motivi riuscii a recarmi a Trapani soltanto tre mesi dopo, in una bella giornata d'inizio primavera, insieme a mio fratello Giancarlo e a mio nipote Riccardo. Trovata la grotta e l'immagine (o meglio: le immagini) sul soffitto, scattammo un bel po' di foto e facemmo anche delle misurazioni nella più assoluta tranquillità, dal momento che fino ad allora quel luogo era praticamente sconosciuto. Ed osservando con tranquillità il panorama che si apriva davanti alla grotta sul Mar Tirreno, potei rendermi conto, bussola alla mano, di una particolarità di cui avevo avuto sospetto osservando la linea costiera sulla cartina geografica: la grotta era orientata verso il punto dell'orizzonte marino su cui tramontava il sole nel giorno del solstizio d'estate. Dunque in quel particolare giorno gli ultimi raggi solari dovevano illuminare l'interno della caverna.

    Fino a quel momento non ero un esperto di simboli antichi, né tanto meno di labirinti (ancora adesso penso di esserlo meno di tanti altri). Tuttavia avevo già letto e studiato parecchio circa la storia delle religioni antiche e l'archeologia del passato. E soprattutto già da diversi anni mi ero appassionato all'archeoastronomia, la scienza che studia le conoscenze astronomiche dei popoli antichi e gli orientamenti di aree sacre e monumenti con i corpi celesti. Mi convinsi dunque che doveva esservi una stretta relazione tra quell'arcaico dipinto sul soffitto della caverna ed il sole. Probabilmente la genesi stessa ed il medesimo significato originario del simbolo del labirinto potevano venir ricollegati al solstizio, un evento molto importante presso tanti popoli antichi. Decisi quindi di ritornare in quella caverna il 21 giugno.

    Quando mi recai nuovamente lì tre mesi dopo, il giorno del solstizio estivo appunto, ero da solo, ed anche la grotta era priva di visitatori: completamente a mia disposizione. Alcune colombe che avevano trovato riparo dentro la caverna fuggirono spaventate sentendo che mi avvicinavo. Mentre il sole lentamente scendeva verso il mare, mi sedetti ad aspettare, ringraziando il clima siciliano e la buona sorte che mi avevano concesso una giornata serena ed un orizzonte totalmente sgombro di nubi. In realtà ciò che accadde al tramonto andò oltre le mie più ottimistiche aspettative. Quando il sole già rosso e ormai basso sul mare riuscì a superare un lontano promontorio – e vi riesce solo nei tre giorni a cavallo del solstizio! - l'interno della grotta si tinse di un intenso color rosso granata, tanto da dare l'impressione che le pareti calcaree si fossero trasformate in carne viva! In quei brevi minuti che mi concedeva il sole rosso, nonostante l'emozione, riuscii a scattare delle ottime foto, destinate a fare il giro del web ed a suscitare curiosità ed entusiasmo in tanti curiosi ed appassionati, in primo luogo in chi mi aveva rivelato l'esistenza dei pittogrammi dentro la grotta.

    Quella stessa sera, una volta tornato al mio albergo, riflettendo davanti alle straordinarie foto che avevo scattato, compresi finalmente non solo il vero significato originario di quel labirinto arcaico, e dei labirinti antichi, ma anche la genesi ed il senso di tanti altri simboli antichi, anch'essi di natura solare. Avevo insomma trovato la chiave per interpretare il significato dei simboli antichi, come appunto il labirinto.

    Dopo essere tornato nella grotta anche il giorno successivo per godere nuovamente di quello spettacolo che si può ammirare soltanto nei giorni del solstizio estivo, la sera stessa pieno di entusiasmo spedii le foto sia agli appassionati studiosi con cui ero in contatto, sia all'archeologo siciliano Alberto Scuderi che negli anni precedenti aveva scoperto molti allineamenti astronomici solstiziali in numerosi megaliti della Sicilia Occidentale. Grazie a lui, e al prof. Vito Alberto Polcaro, l'orientamento solare della Grotta di Polifemo è stato poi misurato e comprovato scientificamente, e lo stesso orientamento archeoastronomico è stato ritrovato anche nella vicina Grotta dei Cavalli, contenente altri simboli solari della Prima Età del Bronzo. L'arcaico labirinto della Grotta di Polifemo ha così finalmente ricevuto l'interesse che meritava anche a livello internazionale (come nel recente Congresso di Archeoastronomia a Bath, in Inghilterra), ed ha contribuito anche a fornire una nuova visione della preistoria siciliana e dell'intero Mediterraneo.

    Ma soprattutto ha fornito una preziosa chiave di interpretazione per svelare l'originario ed arcaico significato di questo simbolo, nonché la sua genesi.

    Pochi altri simboli oltre al labirinto hanno infatti attirato sin dall'antichità l'attenzione degli studiosi, e le ipotesi sul suo significato, solo per limitarci al secolo scorso, sono state le più numerose e le più disparate.

    Quando all'inizio del XX secolo l'archeologo Arthur Evans riportò alla luce il grandioso palazzo di Cnosso a Creta, credette che fosse il leggendario labirinto descritto dagli autori antichi. Ciò che lo convinceva non era soltanto il gran numero di locali e ambienti che costituivano l'edificio, ma anche la presenza di asce bipenni incise sulle pareti, chiamate labrys da Plutarco: dunque secondo Evans, il significato di labir-into doveva essere il luogo dell'ascia cretese.

    Nonostante altri studiosi del secolo scorso (Hall, Karo, Becatti, Gallavotti, ecc.) la pensassero come lui, altri studiosi successivi hanno in realtà corretto questa etimologia, poiché il termine greco arcaico labrys non stava a significare ascia (che in realtà era pelekys per i Greci, e wao per i cretesi), bensì era una derivazione dal vocabolo asiatico labra col quale i Minoici di Creta chiamavano un tipo di caverne-santuari utilizzate soprattutto – ma non solo - come necropoli. Dunque per Stoll, Hoeck, Hoefer ed altri, i labirinti non avrebbero avuto niente a che fare coi palazzi minoici, ma invece, per Rouse, Diels, Muller, Guentert, ed altri sarebbero stati in origine delle grotte sacre, adibite a necropoli o al contrario a luoghi dove le donne cretesi partorivano. Per il Cangiano de Azevedo, anzi, il concetto di labirinto come una caverna sacra, lunga e tortuosa, non sarebbe stato esclusivo di Creta, bensì di gran parte delle popolazioni del Mediterraneo.

    Al pari del Kerenyi, convinto che il labirinto identificasse il mondo sotterraneo degli inferi, questi studiosi basandosi su di un raro testo miceneo in lineare B (XV sec. a. C.), facevano invece risalire la parola labirinto al termine Dapyrinto, un luogo sacro, non meglio identificato, ma molto importante, governato da una divinità femminile, probabilmente la dea Arianna.

    Altri studiosi ancora, come il Bethe, il Buedinger, il Reichel, il Kern, sottolinearono lo stretto collegamento tra il labirinto e le danze, come la ghéranos e la koròs, eseguite secondo il mito sia da Teseo e dagli altri giovani dopo essere scampati alle fauci del Minotauro, sia dai giovani cavalieri Troiani guidati dal figlio di Enea, Ascanio, nel corso dei funerali del vecchio Anchise, in Sicilia.

    Per Paul de Saint-Hilaire, invece, il termine labirinto in greco stava a significare la danza del pesce prigioniero della nassa.

    Negli anni settanta del secolo scorso, lo studioso Giovanni Pugliese Carratelli avanzò anche l'ipotesi che il termine labirinto derivasse dall'antica lingua orientale luvia, e fosse collegato alle rotte marittime verso il Mediterraneo occidentale e le terre ricche di metalli.

    Una tale eterogeneità di interpretazioni deriva anche dal fatto che tutti gli elementi fondamentali collegati a quello che dall'età greca è stato inteso come labirinto – il vocabolo stesso, la figura grafica, il mito di Teseo e il Minotauro, il filo d'Arianna, la danza, ecc. - si originarono e si svilupparono in maniera indipendente tra loro sin da età molto antica, almeno dal 3000 a. C., se non prima. E soltanto a partire dall'epoca greco-micenea cominciarono ad integrarsi.

    Per riuscire quindi a districare una così aggrovigliata matassa, è necessario ripercorrere sin dalla preistoria, perlomeno dalle prime culture neolitiche, la genesi e l'evoluzione delle credenze e dei culti dei differenti popoli del Mediterraneo fino all’età classica: ovvero il culto del toro, le religioni solari dei circoli megalitici, i miti dell'oltretomba originatisi nella civiltà sumera, la genesi e la vera finalità della figura del Minotauro nella civiltà minoica, ecc. Come un filo di Arianna, l'approccio strettamente cronologico permetterà così di entrare pienamente nella mentalità degli antichi, e si potrà allora constatare chiaramente come il simbolo del labirinto abbia a che fare con quasi tutte le ipotesi proposte riguardo al suo significato. Ovvero: agli antichi culti di morte e rinascita che si svolgevano nelle grotte; all'arcaica Dea Madre Terra; alle danze, a piedi o a cavallo, in onore dei trapassati e degli dei inferi; alle antiche rotte marittime verso occidente; e, in maniera fondamentale, al sole e ai solstizi, come evidenziato proprio dalla Grotta di Polifemo ad Erice.

    Conviene dunque partire dall’antichissima religione della Grande Dea Madre Natura, e dal simbolo che ha preceduto il labirinto, ovvero la spirale.

    La luce della rinascita

    La Grande Dea Madre. Catal Huyuk è una località della Turchia centrale vicino l'attuale città di Konya, nei pressi di un grande lago poi prosciugatosi, e di un vulcano oggi spento dalla doppia cima, l'Hasan Dag, che tuttavia fino al II millennio a. C. era ancora attivo. Lì nel corso di alcune campagne di scavo effettuate tra il 1961 ed il 1965, l'archeologo britannico James Mellaart riportò alla luce le rovine di un'antichissima città preistorica risalente perlomeno al VII millennio a. C. dove nel suo periodo di massima fioritura dovevano avervi vissuto tra le cinquemila e le settemila persone.

    La prosperità e la ricchezza di questa cittadina non erano soltanto legate alle prime forme di agricoltura e di allevamento, ma anche alla lavorazione ed all'esportazione dell'ossidiana, un materiale vulcanico simile al vetro estratto ovviamente dalle falde del vicino Hasan Dag.

    Ciò che stupì Mellaart e gli altri archeologi fu il sofisticato livello architettonico dell'insediamento, molto elevato per quei tempi così remoti. Nonostante infatti le case di questa metropoli preistorica fossero state costruite solo con legno e mattoni di fango secco, le abitazioni presentavano un solo punto d'accesso, ovvero un foro nel soffitto a cui si accedeva per mezzo di scale di legno. In ogni casa, l'interno era in genere pulito e ben curato, e fornito anche di certe comodità: vi erano stufe o camini per il riscaldamento, e persino forni per cuocere il pane.

    Anche le pareti erano tenute con cura e intonacate. Proprio su molte pareti Mellaart scoprì diversi tipi di affreschi che hanno fornito preziose informazioni sulla vita di questa sofisticata metropoli dell'età della pietra. Alcune raffigurazioni sono semplicemente decorative, con motivi geometrici o astratti. Altre invece ritraggono uomini, animali, e paesaggi come ad esempio l'immagine della doppia cima vulcanica dell'Hasan Dag in eruzione.

    Proprio basandosi soprattutto sugli affreschi, Mellaart si rese conto che gli abitanti di questa città anatolica seguivano un culto religioso che era probabilmente un'evoluzione di precedenti culti preistorici praticati già nelle caverne dell'età glaciale, ovvero il culto della Grande Madre Terra. Furono scoperte innanzitutto molte raffigurazioni, sotto forma di dipinti e statuette di terracotta, di una figura femminile, prosperosa e con gli attributi sessuali pronunciati: con tratti simili insomma alle cosiddette Veneri paleolitiche, statuette femminili in osso ritrovate in siti preistorici anche molto antichi. Nelle testimonianze provenienti da Catal-Huyuk (e conservate al Museo di Ankara) essa talvolta appare in atto di partorire, non solo bambini, ma in alcuni casi anche tori. Altre volte si presenta come assisa in trono affiancata da due leopardi. Queste rappresentazioni hanno permesso di identificarla proprio come una divinità antropomorfa, signora della fertilità naturale, una vera e propria Madre Natura. Un altro gruppo statuario, di calcare colorato in azzurro e marrone, raffigura ben due Grandi Madri insieme ad un bambino (o bambina), segno che la Dea Madre Natura veniva considerata protettrice anche dell'infanzia, oltre che della fertilità e dei parti.

    A quanto pare esisteva anche una divinità maschile, sempre legata alla sfera sessuale e riproduttiva, poiché sono state ritrovate anche delle statuette di un uomo con il pene eretto, una sorta di Priapo romano in versione neolitica.

    Molte di queste raffigurazioni, dipinte o in terracotta, sono state ritrovate dagli archeologi in quelle che, secondo le ricostruzioni di Mellaart, dovevano essere dei veri e propri templi: camere in cui predominava il colore rosso, alle cui pareti erano appese teste di toro, in terracotta o anche vere (bucrani). Anche gli altari e alcune basse colonne in mezzo alla sala presentavano ai lati delle corna taurine. Alle pareti, fra dipinti di tori, troneggiava la Grande Madre Natura in atto di partorire appunto un toro con tanto di corna. In qualcuno di questi templi trovavano posto anche i leopardi raffigurati come bassorilievi, singolarmente, oppure uno di fronte all'altro.

    E' molto probabile che all'interno di questi spazi religiosi si svolgessero cerimonie relative alle fasi più importanti della semplice vita degli abitanti: in primo luogo la nascita, forse qualche rito d'iniziazione degli adolescenti, ed il matrimonio. Ma anche i riti funebri dovevano avervi una parte fondamentale.

    In alcuni di questi templi Mellart trovò alle pareti delle immagini relative ad un macabro rituale. I defunti venivano esposti all'aria aperta dove venivano scarnificati dagli avvoltoi, o meglio dal Grifone ( Gyps Fulvus), un rapace dall'apertura alare di quasi tre metri che ancora oggi vive nei dintorni di Catal-Huyuk cibandosi di carcasse. Quest'uccello tuttavia divora soltanto le carni, lasciando intatte le ossa, compreso il cranio.

    Come si scoprì scavando sotto il pavimento delle abitazioni, le ossa dei defunti così ripulite venivano poi sepolte dai parenti all'interno delle proprie case, con una particolarità: venivano privilegiate le donne e i bambini. Secondo gli studiosi, tutto questo rituale attesterebbe la fede degli abitanti in una sopravvivenza dopo la morte, mentre il fatto che siano stati rinvenuti sotto il pavimento delle abitazioni soprattutto scheletri di donne e bambini, denoterebbe la posizione privilegiata di cui a Catal-Huyuk le donne, in quanto capaci di procreare, dovevano godere anche a livello culturale e spirituale oltre che sociale. E non solo a Catal-Huyuk, ma anche un po' in tutte le altre località dell'Anatolia e della Palestina, poiché il costume di seppellire i defunti sotto il pavimento delle proprie case era comune anche a molte altre località.

    Genesi di un simbolo. In realtà tutti questi aspetti religiosi di un culto che si può solo ricostruire da quanto ritrovato – la scrittura infatti ancora non esisteva – dovevano risultare tutti quanti strettamente collegati in forma magico-simbolica all'attività agricola, alla coltivazione dei cereali e all'allevamento del bestiame. E la chiave per comprendere pienamente non solo la religione della Grande Madre Natura, ma, come vedremo, tantissime espressioni artistiche, architettoniche mitologiche, e persino archeoastronomiche di tutte le posteriori civiltà del mondo antico, consiste in un simbolo molto utilizzato fra le decorazioni ritrovate a Catal-Huyuk: la spirale.

    James Mellaart ha ritrovato anche uno stampo in terracotta con la riproduzione di una spirale in negativo. Anticipando di parecchi millenni i Cinesi, i geniali abitanti della città anatolica a quanto pare inventarono la stampa, poiché escogitarono un sistema molto efficace per riprodurre in serie i disegni sui tessuti prodotti dalle loro donne. Probabilmente stampavano la spirale anche sulla propria pelle poiché a quanto risulta dagli affreschi ritrovati sulle pareti a Catal-Huyuk andavano di moda anche i tatuaggi (o più esattamente le decalcomanie).

    Ma per quegli antichi anatolici qual era l'origine ed il significato della spirale ?

    Certamente è uno dei segni più istintivi della psicologia umana, ed anche per questo sicuramente è un simbolo diffuso in tutto il mondo. Se ad ogni bambino piccolo

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