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Abitavo in Via Oberdan
Abitavo in Via Oberdan
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E-book222 pagine2 ore

Abitavo in Via Oberdan

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Info su questo ebook

Qual è la vera causa del terremoto dell'Aquila? Cosa prova, dentro, la vittima di uno stupro? Come sara' davvero la fine del mondo? Cos'ha visto il primo uomo su Marte? Perche' un popolo istruito e' pericoloso?
Poi la pedofilia del clero, la rivoluzione contro Equitalia, le stigmate di Padre Pio, il mistero dei bambini lungo la ferrovia, il primo amore di un vecchio, gli spari di Piazza Alimonda... E altro, tanto altro ancora... Se prendi casa in Via Oberdan.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2013
ISBN9788867556700
Abitavo in Via Oberdan

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    Anteprima del libro

    Abitavo in Via Oberdan - Thomas Pistoia

    montalvo 

    EDDY

    Ore contate su punta di dito, o bolla per bolla, dalla moka a sei tazze, bisbigli fuori tempo, un lamento.

    Eddy va’ via! Siediti lì!

    Rinchiuso in cucina, prigioniero di una strana anemia, un’inquietudine estesa che durava da giorni.

    Venivano solo a bere il caffè. Tutti lì. A bere il caffè.

    Capire o sospettare era la stessa paura, quasi terrore, che trasudava da quel liquido scuro come terra bruciata e si spargeva, inondava la casa… pareti mai così strette; di là odore di cera.

    Eddy, non ora!

    Una lampadina da trenta candele e il silenzio, lamento, silenzio di cose che vanno, la cena frugale in un piatto più triste di sera, e neanche la luna…

    Neanche la luna.

    Pensate davvero non abbia capito? Da qui sta passando la morte, è passata, è fuggita già via, normale e veloce; l’ho vista per primo.

    Rinchiuso in cucina.

    E appena entra qualcuno… Attenzione, potrebbe passare! Chiudi, prima che esca!

    Eddy, tristezza negli occhi, lasciava cadere lo sguardo su pantofole anziane, tornava a sedersi lento e vicino… C’è tempo.

    Per adesso poteva soffrirlo da lì, il suo povero amico. Poteva immaginarlo dormire. La notte sarebbe passata tra risate di mosche e viavai di persone; c’è già qualcun altro che chiede chi vuole un caffè?.

    La moglie, i bambini… I bambini non li vedeva da ieri, non erano ancora tornati. La moglie… l’unica che l’aveva guardato e detto qualcosa; l’aveva abbracciato piangendo, ma poi… l’han chiamata di là.

    La notte si sarebbe fermata prolungando un secondo, un minuto infinito, e l’attesa diversa, più forte, insistente.

    Rumore. Eddy, non fare rumore. Ma c’è il mio amico di là… Eddy, lasciaci stare!

    Ubbidì. Non chiese più nulla, non volle più uscire. C’è tempo.

    Al mattino voci impastate dal sonno e qualche brioche. Campane distanti e assordanti, concitate preghiere… Udì la moglie piangere forte, e auto là fuori. Forse, pensò, la morte non ha un pessimo odore… profuma di fiori.

    Fu quando il prete andò via che prese la fuga. Passi di uomini forti gli dissero il tempo è finito, e la porta si schiuse un secondo di troppo per un tale che ha sete.

    Sgusciò, scattò come molla, si gettò verso il luogo del pianto, lo presero, fermo, sta’ buono, un calcio persino! Ma Eddy era piccolo e forte, non pianse, non fece rumore, scappava, saltava, gridarono forte, ma nessuna paura… C’è il mio amico di là!

    Basta, disse la donna. La guardarono tutti. E lei lo chiamò.

    Lui la guardò negli occhi, sulle prime gli parve un po’ strano.

    Vieni, Eddy. Piangi, saluta anche tu.

    E Eddy si mosse verso la bara, e la gente guardava, e lui non guardava la gente.

    Sentì il suo amico dormire, si alzò con le zampe sul bordo.

    Tacquero tutti.

    Eddy invece, raccolse il dolore e, forte e profondo dal suo cuore di cane…

    Ululò.

    L'ALTRA

    Io sono sempre con te.

    Anche quando non vuoi.

    Anche quando non sai.

    Anche quando in un’altra casa mangi, parli, guardi la tv.

    Anche quando dormi con la tua donna.

    Io sono sempre con te.

    Eppure non sono.

    Io sogno sempre di te.

    Anche quando sono sveglia.

    Anche quando non ho voglia.

    Anche quando in un’altra casa ti penso, ti aspetto, mi invento una vita.

    Anche quando dormo da una parte sola del letto.

    Io sogno sempre di te.

    Eppure non sono.

    Io parlo sempre di te.

    E non pronuncio il tuo nome.

    E non spiego a nessuno chi sei…

    Anche quando vorrei venir fuori dal buio, da quest’ombra prigione di niente.

    Anche quando nessuno mi sente.

    Io parlo sempre di te.

    Eppure non sono.

    Io scrivo sempre per te.

    Anche quando non serve.

    Anche quando non leggi.

    Anche quando nella mia testa non trovo giuste parole e rimango… Con la penna ad un dito dal foglio.

    Io scrivo sempre per te.

    Eppure non sono.

    Io vivo solo di te.

    E non sono nessuno.

    Sono come un treno arrivato in ritardo, un’occasione perduta, un discorso interrotto…

    Non sono che questo, non sono nient’altro…

    Un amore consunto da attese infinite, un’anima persa che aspetta un tuo sguardo…

    Uno sbaglio.

    Una foglia appesa ad un ramo.

    E tu sei il mio autunno, quel colpo di vento che mi porta lontano.

    Sapessi, amor mio, com’è dolce…

    Morire da sola.

    Se muoio di te

    EQUITAGLIA 1789

    Si sparse peduncolando, il rimbombo dei passi. Sembrò farsi largo tra giacigli di vento. Trascorse tra vetrate e porte automatiche, si perse nel calpestio di stampanti e computers.

    Gli impiegati però, non compresero subito.

    Qualcuno su Facebook aveva nitrito la solita sbobba di pacifismo allungato; commenti centrosinistroidi dell’ultima ora consigliavano la calma. Ma Facebook si nutre di maggioranze, di graffi alla schiena del mondo. Forse per caso, forse per destino, il richiamo a nuova pazienza non bastò. E fu tutto bellissimo.

    Il nome degli ultimi suicidi fu orgoglio e bandiera. Nel loro ricordo, nella tua memoria, si alzò il mormorio della folla. E le strade si aprirono alle strade, all’unisono si scoperchiarono i palazzi, e la gente, la bella gente, la santa gente, si mosse come un unico essere pensante.

    Poi arrivarono i forconi. Un’altra idea che era piaciuta a tutti.

    Richiamavano i grandi turbinii della storia, in particolare la fiumana parigina del 1789. Non che tutti fossero consapevoli del riferimento; forse, anzi, dei forconi piaceva semplicemente il pensiero che le loro punte potessero infilzare non solo covoni di paglia, ma anche grossi culi. I loro culi.

    Così milioni di forconi cominciarono a indicare come molte dita il cielo, e a camminare, ognuno insieme alla propria persona.

    L’intero stivale prese a vibrare in un unico sogno, la rabbia delle brave persone attraversò come un brivido la spina dorsale del paese, senza remore e senza un avviso.

    I giornali arrivarono tardi.

    Le televisioni non fecero in tempo.

    All’ombra dell’ultimo reality, sulla scia del prossimo talk-show si accese l’ultimo anelito di vita di un’epoca mai cominciata.

    E alla fine, furono davvero gli impiegati i primi a capire.

    Se si fosse trattato di un altro ente, di altri uffici, probabilmente li avrebbero lasciati andar via. Ma sai, per questi funzionari non poteva esistere il ragionamento non hanno colpa, fanno il loro lavoro. Si sapeva che erano addestrati alla burocrazia e si sapeva di come godevano nell’infliggere i loro incartamenti. Con quel sorrisino sfatto da avvoltoi in divisa d’ordinanza, quella protuberanza amorfa in camera endocranica vigile e superba, non si smentivano, non rispondevano e solo calcolavano, rateizzando a interessi aguzzini.

    Tasse, dazi, balzelli e pinzellacchere pagate 100 volte e accresciute a bella posta per schiacciare, per succhiare il pane ai morti, mentre lassù imperavano le escort della casta. Sanzioni usuraie su famiglie di persone; pignoramenti di auto, case, mobili ed esistenze intere. Mentre lassù mafioseggiavano corruzione a delinquere e camurria.

    Loro erano 51% Agenzia delle Entrate. 49% Inps.

    No.

    Non li lasciarono andar via.

    E non vi fu tumulto. Nella prima sede la gente, la buona gente, la santa gente, entrò con calma.

    Si udì soltanto un colpo di tosse. Poi un bambino tra la folla urlò, forse senza capire: abbasso Equitaglia!!!

    I forconi calarono sugli sportelli, sui terminali, sulle stampanti, sulle scrivanie.

    I fogli, le cartelle… volarono via.

    Gli impiegati…

    Non vi fu sangue.

    Perchè li impiccarono.

    La ghigliottina parigina fu sostituita dalla corda cravattara che loro stessi avevano per decenni rappresentato come sistema. In tutta Italia, contemporeanamente.

    Non si vide polizia. Nè carabinieri, nè esercito. La folla faceva troppa paura. O forse anche loro erano la folla.

    Quando dopo qualche ora tutto fu finito, qualcuno scrisse su Facebook: ora tutti a Montecitorio.

    E la gente, la buona gente, la santa gente, di nuovo si mosse.

    Inesorabilmente.

    Come un unico essere pensante.

    ULTIME PAROLE DEL POETA

    Non c’è più il rumore molesto che fan le parole

    Quando danzano al ritmo indigesto di regole nuove

    E di notti, di frasi passate al setaccio sento ancora l’odore

    Stringimi forte la mano… per favore

    Non c’è più il disegno contorto dei gorghi del fiume

    Quando passi sul ponte e da lì cominci a pensare

    Il dubbio, l’arcano, è andare comunque controcorrente

    correre, scorrere, correre, scorrere sempre

    E per te che hai patito lo starmi vicino

    E vicino vuol dire alla giusta distanza

    Quasi spiando da troppo lontano

    Per te, forse, non ho scritto abbastanza

    E adesso che parto e vado senza valigia

    ed ogni mio verso è come un soffio di vento

    Amore perdona quest’uomo da niente

    che ha chiamato poesia il suo perdere tempo

    E invece la vera poesia era nei tuoi sorrisi

    Nelle tue mani, tra i tuoi capelli, dentro i tuoi vestiti

    Ma il giusto rimpianto, quello che per forza dev’essere mio…

    Mi hai amato per tutta una vita e non ti ho scritta io

    Mi hai amato per tutta una vita e non ti ho scritta io

    ERODE NON DEVE VINCERE MAI

    Don Lelio Cantini è stato un sacerdote italiano, proveniente da Firenze, accusato, a partire dal 2004 di «abusi sessuali pluriaggravati e continuati su minori», configurabili come pedofilia e pederastia. Le presunte violenze sarebbero avvenute sia nei confronti di bambini che di ragazzi di ambo i sessi.

    (da Wikipedia)

    Avevo nove anni. L’oratorio era il mio mondo di amici e di giochi.

    Misuravo il tempo in rintocchi, in tintinnii; dal lungo acuto sonaglio della campanella di scuola, al rintocco fermo e incrollabile del campanile in parrocchia.

    Il mio mondo era semplice e allegro; il mondo di un bambino il cui dramma più grande poteva essere al massimo un rigore sbagliato nella partitella pomeridiana con i compagni, o un rimbrotto della mamma per aver sporcato il pantalone buono.

    Un bambino beneducato e volenteroso, attento alle spiegazioni dei grandi, e sempre felice di imparare nuove cose.

    Mi piaceva la scuola, ma mi piaceva ancora di più andare a dottrina. Nel mio animo di fanciullo la scuola era sì utile e importante, ma – come dire? – un po’ troppo meccanica, a suo modo scientifica, perchè per lo più basata sul reale.

    La dottrina invece era una storia meravigliosa, persa nella notte dei tempi, ma così vicina, così vera. Ascoltavo con occhi sognanti la narrazione di un mare che si apriva per far passare gli eletti e si richiudeva poi, in un’unica onda di infinita giustizia, sui

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