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Ai confini di Dio: lettere tra monache e meninos de rua con annotazioni
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Ai confini di Dio: lettere tra monache e meninos de rua con annotazioni
E-book239 pagine3 ore

Ai confini di Dio: lettere tra monache e meninos de rua con annotazioni

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Ai confini di Dio: lettere tra monache e meninos de rua.
Cosa c'è di più lontano e di più vicino di un monastero di clausura e una vita sulla croce della strada?
Queste lettere ci raccontano l'incontro tra le monache di clausura e la vita di strada di bambini nel Maranaho, Brasile, anni 90, al calvario del mondo.
Ai confini di Dio fu pubblicato da Morcelliana, ora è fuori catalogo, così ho chiesto a Fausto, mio zio, di poterlo editare in self publish e pubblicare in formato ebook, per non perdere questo patrimonio di umanità.
Non credo ci sia migliore presentazione di questa lettera di Fausto ad una clarissa in monastero, dall'inferno della vita alla pace della preghiera:
Carissima,
scrivo per pagare un debito verso gli amici. Bisogna buttare nella spazzatura le false umiltà: è un dovere mettere in comune le «ricchezze» interiori. Perché noi non ci apparteniamo. Se uno ha un cerino non può tenerlo per sé, ma deve accenderlo sulla piazza del mondo, dove c'è tanto buio.
Cosa ho a che fare io, così sprofondato nelle problematiche sociali, con le contemplative? Mi pare di vivere seduto su un vulcano. E i monasteri, invece, sembrano oasi di pace. Perché turbarli, far irrompere i poveri cristi nei corridoi gonfi di arcano? Procedo nella bruma. O forse ricerco, tra le righe della storia, «la comunione dei santi»? Nel corpo mistico di Cristo ci deve essere una specie di legge della compensazione: uno ha il carisma di buttarsi nel sociale, l'altro quello di scandagliare il mistero. Tutti e due sono necessari e bisogna trovare il modo di far rifluire le scoperte dell'uno nelle vene dell'altro. Per esempio: io sono uno che somatizzo il dolore degli altri. Come faccio a sopravvivere se non ho qualcuno che mi fa compagnia con la sua tenerezza? Oppure il desiderio di comunicare con le contemplative deriva dal sapervi più vicine al centro della storia, all'asse portante della vita? Ed allora siete in grado di capirmi meglio, perché Dio vi ha reso capaci di intendere il suo linguaggio, quello dei poveri.
 ... Te lo immagini un Cristo pompiere? Me la prendo con le istituzioni, perché so che potrebbero fare tanto per l'uomo. Anche i popoli sono diventati orfani. Non hanno sicurezze. E le cercano. Nelle sorgenti inquinate degli imperi. Ma voi, vi sentite «madri» anche dei popoli?
Chi è della razza del Cristo, gli scorre nel sangue questo amore universale, per il quale sente che tutti gli uomini gli sono consanguinei. Abbiamo bisogno d'una invasione dello Spirito per superare i ghetti e le barriere innalzate da coloro che danno più importanza ai sabati e ai templi, che agli uomini in carne ed ossa. Oh se nascesse una rivolta nella chiesa, non di chiacchiere, ma di opere concrete! Per esempio: «Ecco: noi crediamo che non ci spetti più di tanto; facciamo i conti in piazza di quello che ci è lecito spendere, consumare, inquinare. Diamo l'esempio per indurre tutti quanti ad ammettere che è possibile essere uomini e non lupi!». Cosa aspettiamo a sfidare i grandi con cose piccole come i sassi della fionda di Davide?
Insomma: io voglio una fede degna della stoffa del Cristo: quella che sposta le montagne. Non riesco a accettare supinamente che venga svilita, ridotta ad un pietismo, ad un sacramentalismo festivo. Il Cristo è un uomo con le braghe. La storia ce lo ha sfregiato. Lui non aspetta, ma prende l'iniziativa: previene. Dove lo trovi un uomo così?
 
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2017
ISBN9788826459103
Ai confini di Dio: lettere tra monache e meninos de rua con annotazioni

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    Anteprima del libro

    Ai confini di Dio - Fausto Marinetti

    http://write.streetlib.com

    Ai confini di Dio

    Fausto Alberto Marinetti

    AI CONFINI DI DIO

    Lettere tra monache e meninos de rua

    Prefazione di Enzo Bianchi

    Postfazione di Mons. Pedro Casaldàliga

    ebook edito da Antonella Marinetti con il consenso dell'autore

    PREFAZIONE DI ENZO BIANCHI

    PAROLE COME PIETRE

    Non si può restare indifferenti ai libri di Fausto Marinetti: si possono certamente ignorare - e molti, proprio per timore di sentirsi coinvolti, lo fanno -, ma se li si prende tra le mani anche una sola volta, non si riesce più a eliminarli dal proprio orizzonte interiore. Fausto infatti conosce il peso delle parole, sa che ancora oggi, come nel mondo semitico della Bibbia, le parole non sono entità astratte, soffi d'aria privi di consistenza. No, le parole sono eventi reali, rendono presente, vero, ciò che evocano.

    Il nostro mondo occidentale ha finito per credere e farci credere che vero è solo ciò che le immagini mostrano, ciò che si può filmare, fissare in una pellicola, mandare in onda su un video. Ciò che impressiona la pupilla è reale, ciò che invece parla al cuore è poesia, cioè u-topia, oggetto che «non ha posto», che non entra a far parte del nostro mondo. Ciò che si può vedere finisce per essere più reale addirittura di ciò che si può toccare. In un mondo così che peso possono avere le parole? Che spazio può ancora esserci per l'ascolto?

    Ma proprio l'immediatezza delle immagini rischia di provocare un cortocircuito: abituati a dare lo stesso peso alla realtà e alla fantasia dal momento che si presentano ai nostri occhi nello stesso involucro dell'immagine, non siamo più capaci di distinguere la verità. Anche le immagini più crude di tragedie e miserie umane rischiano di lasciarci in differenti non solo per la frequenza e a volte la «morbosità» con le quali vengono proposte, ma anche per questa mancanza di filtro tra la realtà e finzione: si è creata una sorta di incomunicabilità tra i nostri occhi e il nostro cuore.

    Tutto questo non avviene davanti ai libri di Fausto Marinetti, perché le sue non sono frasi vuote, sono parole pesanti come pietre. Sì, le parole possono essere pietre. Helder Camara - come Marinetti testimone di Cristo in mezzo ai più poveri - amava essere chiamato «voce di chi non ha voce» e in questa definizione come non avvertire un richiamo all'ammonimento evangelico di Gesù: «Se anche i miei discepoli taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19, 40)? A volte gli autentici discepoli di Cristo non sono altro che pietre che gridano, confessando la signoria di Dio sull'universo e facendo salire fino a lui il grido afono del povero che come agnello viene condotto al macello.

    Parole come pietre quelle di Marinetti perché hanno peso, il peso degli oppressi su cui vengono caricati fardelli che altri non toccano neppure con un dito; parole come pietre perché sono d'inciampo per il nostro cammino tranquillo di occidentali abituati a prosperare sulle miserie altrui; parole come pietre perché, come le tavole della Legge, recano incise la volontà di Dio e vengono infrante a causa del peccato del popolo; parole come pietre che però non vengono scagliate contro la donna adultera, ma restano lì, abbandonate sulla strada, a testimoniare l'infinita misericordia di Dio, il suo immenso cuore per i miseri; parole come pietre perché voce di uomini e donne chiamati da Dio a essere le pietre vive dell'edificio spirituale di cui il Cristo è la pietra angolare.

    Gli scritti di Fausto Marinetti sono pieni di queste parole-pietre, per questo non possono lasciarci indifferenti: non possiamo nasconderci, non possiamo chiudere gli occhi e concludere che si tratta «solo» di un brutto sogno, di una finzione che rimuoviamo a nostro piacere. Non c'è violenza in queste parole, ma c'è passione: la passione di un popolo che sperimenta giorno dopo giorno quanto male può fare un uomo a un altro uomo, ma anche la passione per un popolo, per volti di uomini e di donne che nel loro corpo martoriato ci mostrano il volto autentico del Signore. È questo volto che frei Fausto ci mette di fronte: il volto del povero che è Cristo!

    «Un giorno rabbi Levi Isacco venne invitato dai capi della comunità a una riunione per discutere una nuova proposta. Vogliamo - gli dissero - che d'ora in poi i poveri non mendichino più alla soglia della casa di preghiera, ma che venga messo un bossolo e tutti i ricchi vi depongano del denaro e poi degli incaricati provvedano ai bisognosi. Rispose il rabbi: Questa vostra proposta non è affatto nuova, è antica, come Sodoma e Gomorra. Ricordate quello che viene narrato nel Talmud a proposito di quella ragazza che a Sodoma offrì un pezzo di pane a un mendicante: come acciuffarono la ragazza e la spogliarono e la spalmarono di miele e l'esposero ai morsi delle api per il grande crimine che aveva commesso. Chissà, forse avevano anch'essi un bossolo della comunità, dove i ricchi potevano fare la loro elemosina, per non dover guardare negli occhi i loro fratelli poveri!» (racconto hassidico).

    Ecco, le parole di Fausto Marinetti ci obbligano a guardare negli occhi il povero, ci provocano a fare posto per lui nel nostro cuore, riaccendono la comunicazione tra lo sguardo e il cuore. Impossibile rimanere come prima: di fronte a queste parole come pietre o il nostro cuore resta un cuore di pietra oppure il povero diventa la pietra preziosa per la quale si rinuncia a tutto ciò che si possiede!

    Enzo Bianchi Priore della Comunità di Bose

    PRESENTAZIONE

    (a cura di Antonella Marinetti)

    Cosa c'è di più lontano e di più vicino di un monastero di clausura e una vita sulla croce della strada?

    Queste lettere ci raccontano l'incontro tra le monache di clausura e la vita di strada di bambini nel Maranaho, Brasile, anni 90, al calvario del mondo.

    Ai confini di Dio fu pubblicato da Morcelliana, ora è fuori catalogo, così ho chiesto a Fausto, mio zio, di poterlo editare in self publish e pubblicare in formato ebook, per non perdere questo patrimonio di umanità.

    Non credo ci sia migliore presentazione di questa lettera di Fausto ad una clarissa, dall'inferno della vita dei bambini di strada alla pace nella preghiera all'interno di un monastero:

    Carissima,

    scrivo per pagare un debito verso gli amici. Bisogna buttare nella spazzatura le false umiltà: è un dovere mettere in comune le «ricchezze» interiori. Perché noi non ci apparteniamo. Se uno ha un cerino non può tenerlo per sé, ma deve accenderlo sulla piazza del mondo, dove c'è tanto buio.

    Cosa ho a che fare io, così sprofondato nelle problematiche sociali, con le contemplative? Mi pare di vivere seduto su un vulcano. E i monasteri, invece, sembrano oasi di pace. Perché turbarli, far irrompere i poveri cristi nei corridoi gonfi di arcano? Procedo nella bruma. O forse ricerco, tra le righe della storia, «la comunione dei santi»? Nel corpo mistico di Cristo ci deve essere una specie di legge della compensazione: uno ha il carisma di buttarsi nel sociale, l'altro quello di scandagliare il mistero. Tutti e due sono necessari e bisogna trovare il modo di far rifluire le scoperte dell'uno nelle vene dell'altro. Per esempio: io sono uno che somatizzo il dolore degli altri. Come faccio a sopravvivere se non ho qualcuno che mi fa compagnia con la sua tenerezza? Oppure il desiderio di comunicare con le contemplative deriva dal sapervi più vicine al centro della storia, all'asse portante della vita? Ed allora siete in grado di capirmi meglio, perché Dio vi ha reso capaci di intendere il suo linguaggio, quello dei poveri.

    Non puoi immaginare cosa producano in me parole come le tue: «Io ho il lusso di stare faccia a faccia con Dio, nella fede. Ma questo apre in me un abisso senza fondo. E chi credi che scenda in questo abisso del cuore, chi credi che lo venga ad abitare? Per chi credi che si apra un cuore di carne dopo che è stato faccia a faccia con Dio? Fausto: Dio apre il nostro cuore nella preghiera, perché lasciamo entrare l'uomo, al cui servizio tu ti dedichi. Non un uomo astratto. Non un'umanità senza nome, ma degli uomini come te che hanno l'ardire di comunicare, di ferire, di gridare, di farsi carico delle moltitudini.

    A che serve la contemplazione se non a farci inginocchiare davanti all'uomo?».

    A volte non so più cosa inventare per fare breccia nel cuore dell'uomo. Ecco perché insisto nel dire che voi siete donne: avete l'istinto della vita, l'attaccamento ad essa in una forma materna, che è unica. Solo voi avete un grembo! Non ce l'hanno né i capi di Stato, né papi, né preti. Lo volete capire? Ed allora certe sensazioni per la vita in pericolo sul pianeta potete sperimentarle solo voi.

    Se uno ama sul serio non ce la fa a contenere lo Spirito. Prendiamo Gesù di Nazaret: deve aver accumulato tanta passione per l'uomo, che, alla fine, ha affrontato tutto, anche la croce, pur di buttare fuori quello che aveva dentro. Deve essere passato attraverso un martirio interiore nei giorni dell'attesa. Essere fedele alle stagioni del Padre; calarsi nel tempo degli uomini; crescere piano piano; educarsi alla pazienza della storia. Qualche cosa del genere sta capitando a me. Fremo dalla voglia di comunicare quanto Dio ci vuol bene. Poi ho a che fare con l'istituzione ... Te lo immagini un Cristo pompiere? Me la prendo con le istituzioni, perché so che potrebbero fare tanto per l'uomo. Anche i popoli sono diventati orfani. Non hanno sicurezze. E le cercano. Nelle sorgenti inquinate degli imperi. Ma voi, vi sentite «madri» anche dei popoli?

    Chi è della razza del Cristo, gli scorre nel sangue questo amore universale, per il quale sente che tutti gli uomini gli sono consanguinei. Abbiamo bisogno d'una invasione dello Spirito per superare i ghetti e le barriere innalzate da coloro che danno più importanza ai sabati e ai templi, che agli uomini in carne ed ossa. Oh se nascesse una rivolta nella chiesa, non di chiacchiere, ma di opere concrete! Per esempio: «Ecco: noi crediamo che non ci spetti più di tanto; facciamo i conti in piazza di quello che ci è lecito spendere, consumare, inquinare. Diamo l'esempio per indurre tutti quanti ad ammettere che è possibile essere uomini e non lupi!». Cosa aspettiamo a sfidare i grandi con cose piccole come i sassi della fionda di Davide?

    Insomma: io voglio una fede degna della stoffa del Cristo: quella che sposta le montagne. Non riesco a accettare supinamente che venga svilita, ridotta ad un pietismo, ad un sacramentalismo festivo. Il Cristo è un uomo con le braghe. La storia ce lo ha sfregiato. Lui non aspetta, ma prende l'iniziativa: previene. Dove lo trovi un uomo così?

    di capirmi meglio, perché Dio vi ha reso capaci di in­tendere il suo linguaggio, quello dei poveri. Non puoi immaginare cosa producano in me parole come le tue:

    «Io ho il lusso di stare faccia a faccia con Dio, nella fede. Ma questo apre in me un abisso senza fondo. E chi credi che scenda in questo abisso del cuore, chi credi che lo venga ad abitare? Per chi credi che si apra un cuore di carne dopo che è stato faccia a faccia con Dio? Fausto: Dio apre il nostro cuore nella preghiera, perché lasciamo entrare l'uomo, al cui servizio tu ti dedichi. Non un uomo astratto. Non un'umanità sen­za nome, ma degli uomini come te che hanno l'ardire di comunicare, di ferire, di gridare, di farsi carico del­le moltitudini.

    A che serve la contemplazione se non a farci ingi­nocchiare davanti all'uomo?».

    A volte non so più cosa inventare per fare breccia nel cuore dell'uomo. Ecco perché insisto nel dire che voi siete donne: avete l'istinto della vita, l'attaccamen­to ad essa in una forma materna, che è unica. Solo voi avete un grembo! Non ce l'hanno né i capi di Stato, né papi, né preti. Lo volete capire? Ed allora certe sensazioni per la vita in pericolo sul pianeta potete sperimentarle solo voi.

    Se uno ama sul serio non ce la fa a contenere lo Spirito. Prendiamo Gesù di Nazareth: deve aver accumulato tanta passione per l'uomo, che, alla fine, ha affrontato tutto, anche la croce, pur di buttare fuori quello che aveva dentro. Deve essere passato attraverso un martirio interiore nei giorni dell'attesa. Essere fedele alle stagioni del Padre; calarsi nel tempo degli uomini; crescere piano piano; educarsi alla pazienza della storia. Qualche cosa del genere sta capitando a me. Fremo dalla voglia di comunicare quanto Dio ci vuol bene. Poi ho a che fare con l'istituzione ... Te lo immagini un Cristo pompiere? Me la prendo con le istituzioni, perché so che potrebbero fare tanto per l'uomo. Anche i popoli sono diventati orfani. Non hanno sicurezze. E le cercano. Nelle sorgenti inquinate degli imperi. Ma voi, vi sentite «madri» anche dei popoli?

    Chi è della razza del Cristo, gli scorre nel sangue questo amore universale, per il quale sente che tutti gli uomini gli sono consanguinei. Abbiamo bisogno d'una invasione dello Spirito per superare i ghetti e le barriere innalzate da coloro che danno più importanza ai sabati e ai templi, che agli uomini in carne ed ossa. Oh se nascesse una rivolta nella chiesa, non di chiacchiere, ma di opere concrete! Per esempio: «Ecco: noi crediamo che non ci spetti più di tanto; facciamo i conti in piazza di quello che ci è lecito spendere, consumare, inquinare. Diamo l'esempio per indurre tutti quanti ad ammettere che è possibile essere uomini e non lupi!». Cosa aspettiamo a sfidare i grandi con cose piccole come i sassi della fionda di Davide?

    Insomma: io voglio una fede degna della stoffa del Cristo: quella che sposta le montagne. Non riesco a accettare supinamente che venga svilita, ridotta ad un pietismo, ad un sacramentalismo festivo.

    Il Cristo è un uomo con le braghe. La storia ce lo ha sfregiato. Lui non aspetta, ma prende l'iniziativa: previene. Dove lo trovi un uomo così?

    CONTEMPLATIVE E ABBANDONATI:

    CARTEGGIO FREI FAUSTO - SUOR MARIA

    «Dici che le contemplative hanno come missione La Pietà vivere e morire con l'umanità in grembo. Quando dici che noi monache abbiamo una parentela con i poveri, ci dici la cosa più bella. Hai capito la verità più profonda della nostra vita. Che peso ha una monaca? Nella Chiesa stessa non abbiamo voce in capitolo, sia perché donne, sia perché monache, che hanno scelto la via del silenzio. Nessuno pensa che, proprio perché oranti, guardiamo dentro alla storia e il suo intricato e sconvolgente cammino verso la libertà. Sono contenta che almeno tu mi abbia imparentato con i poveri, con la terra, quindi, non solo col Cielo; con quelli che non contano niente. Così mi hai dato un posto vero nella storia, non quello indefinito dell'orante che vaga in Dio senza lo spessore storico dell'Incarnazione.

    C'è un Assoluto nella tua vita, che mi dà le vertigini. Forse perché ad esso anch'io sono legata e solo dentro questo Assoluto posso vivere».

    9.2.1992

    Caro Padre Fausto,

    sono una monaca. Ho trent'anni, da dieci in monastero. Ti scrivo perché non posso più farne a meno. Nel confronto con i crocifissi della storia sto cercando di chiarire a me stessa quale sia la strada da percorrere. E poi per dirti grazie. Attraverso di te il Signore mi ha detto qualche cosa di diverso. Mi hai messo con le spalle al muro e sono ancora lì, inchiodata. Tu e i favelados, tu e gli impoveriti della terra, che sono penetrati in me. E li porto dentro con un dolore che, a volte, è intollerabile.

    Una crisi secca. Ho vacillato. Tu e le tue accuse. Le nostre responsabilità. Punti di domanda che volevano la mia risposta. Ogni «Cosa posso fare? Cosa devo fare?», nascondeva un volto, una storia del sub-mondo, che tu mi raccontavi. Io, che per vocazione devo essere nel cuore del mondo, mi sono sentita fuori posto, sballata. Come chi ha disertato o è stato al gioco della coscienza per bene.

    Ho accettato la tua condanna. Non ho imparato a convivere con essa, né voglio imparare. Continui a tormentarmi e a ferirmi, ma è una ferita salutare perché ha spurgato. Non ho certezze se non nella volontà di condividere la realtà dei popoli crocifissi attraverso il mistero della croce, che è esperienza nella vita di ognuno. Sto tentando di scendere nel cuore del mondo, nell'abisso della storia. Con Dio e in Lui.

    Non dormo più così bene. Ho incassato le tue accuse all'Occidente; ho sentito il peso delle nostre complicità; eppure ne ho ricavato speranza, perché ha trovato conferma la mia passione per l'uomo. Perché so che hai ragione tu e torto noi quando ci concediamo ai dubbi sul vero e sul buono delle tue denunce.

    Mi vado accorgendo, giorno dopo giorno, che guardo in modo diverso la vita contemplativa.

    Si parla spesso di equa distribuzione dei beni. Il nostro modo di distribuire è in preghiera e in vita offerta. Ma è anche nel coinvolgere altri, tutti quelli che vengono a noi per trovare pace e serenità; coinvolgerli in questo dolore, in questa corresponsabilità che non può non essere condivisa. Questo dolore che toglie ogni pace, ma non nega la pace. La pace di Dio è per l'uomo e non esclude il portarsi dentro il tormento dei poveri.

    Altrimenti è illusione, ipocrisia. Anch'io lotto con te, per tutti gli uomini della terra. Con la preghiera. Con la mia povera e piccola vita. Grazie, perché voi, dal sub-mondo, ci insegnate a essere più uomini. Impareremo la lezione?

    Suor Maria

    Imperatriz 27.2.1992

    Cara sorella,

    anche tu sei caduta nella trappola delle vittime. Non credere sia stato io a fare breccia, ma gli «Ero io in loro» (i poveri, secondo Matteo 25). Ed io esulto: Ti ringrazio, Padre, perché hai rivelato queste cose non ai teologi, ma ai piccoli. Credilo: sono le vittime che conquistano. Perché in loro c'è la provocazione salutare del Cristo: se ci sono vittime, ci sono anche carnefici. E lui è lì, con le sue esigenze di analisi delle cause strutturali del male e la conseguente conversione. Non solo del cuore, ma anche delle strutture. Perché è Signore della storia, non solo del nostro intimo. È Salvatore di tutto l'uomo, non solo della sua anima. Ha una proposta di vita nuova, globale. Quindi ha qualcosa da dire anche alla politica, al lavoro, alla cultura. Signore della vita, quindi delle vittime.

    Per stare dalla nostra parte bisogna assumere la croce, questa condizione di inferiorità e di abbandono («Padre, perché ci hai lasciato in balia dei popoli briganti?»), di disprezzo e di tradimento dei popoli opulenti (e cristiani). Vuol dire sopravvivere, non vivere, in cima al legno piantato nel cuore della storia.

    Quanto dici mi aiuta a guardare più a fondo nel pozzo degli impoveriti. Mi fai da specchio per decifrare meglio quanto vado balbettando. Sapessi quante volte sono tentato di ritirarmi a vita privata! Anche in monastero pur di non vedere, non sentire, non sapere.

    Ieri, ad Açalandia, mi hanno dato il primo rapporto sui «bambini di strada». I lustrascarpe sono trattati come cani; i ragazzini

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