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Malcontente
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E-book359 pagine4 ore

Malcontente

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Info su questo ebook

Pensieri, considerazioni, viaggi nell’anima e nel cuore, storie di vita vissuta “dentro” e “fuori”, commenti alle storie per condividere e veicolare una straordinaria esperienza di cambiamento.
Le storie di alcune donne scelte come rappresentative ci parlano di un viaggio che passa attraverso: la fame affettiva che induce a farsi scegliere e a volere un uomo a qualsiasi condizione; la bassa autostima che fa pensare di non poter meritare di più, di doversi accontentare; la sudditanza emotivo-affettiva che fa accettare un non-amore che fa male; la fatica, la difficoltà a riconoscere, legittimare e affermare i propri desideri; il complesso d’inferiorità cronica che relega a una condizione da paria; il condizionamento culturale che vuole il femminile dedito prima di tutto e soprattutto alla educazione, cura, assistenza degli altri.
Donne che nel malcontento trovano consolazione nel cibo, nella pulizia sfrenata, nell’accudimento tout-court, nello shopping, nell’estetica. Donne “normali” che sentono un disagio compatibile con una vita apparentemente “normale”, un malcontento che potrebbe passare inosservato se non fosse per una predisposizione al lamento o alle azioni compensatorie. Finché non iniziano a guardare, interrogare, ascoltare, interpretare il proprio malessere. Allora iniziano a dare risposte pertinenti al bisogno per molto tempo non riconosciuto, al desiderio coperto dalla paura, all’aspirazione negata.
LinguaItaliano
Data di uscita4 lug 2017
ISBN9788826478371
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    Anteprima del libro

    Malcontente - PIERA REBUSCO

    Ringraziamenti

    Dedicato

    A m ia madre, primitiva e istintiva donna alla riscossa.

    A Lei, mia maestra di una vita in sintonia con me stessa. A me stessa, rinata e ritrovata grazie al lavoro con Lei.

    A tutte le donne che vogliono star meglio, che sentono che si può star meglio.

    A tutti gli uomini che amano le donne per come sono e non per come vorrebbero che fossero.

    A tutti quelli che non sono con noi, a cui dico: Peccato! Però non si sa mai, c’è ancora spazio e tempo per raggiungerci e passeggiare insieme…

    Introduzione

    La vita di questo scritto è indissolubilmente legata alla mia analisi: quando mi do delle arie la chiamo così, altrimenti è la mia psicoterapia.

    Il primo abbozzo è di due anni fa. Il suo concepimento è ben più datato.

    Premetto che ho dei tempi di gestazione piuttosto lunghi: i miei figli sono nati spontaneamente ventuno e quindici giorni oltre il termine ginecologico grazie al fatto che negli anni ottanta e novanta non inducevano all’accelerazione le mamme tardive.

    Or dunque, rientrando a tema, è obbligo precisare che per ben quindici mesi l’ho chiamato non so… poi il mio diario, libro, non so … poi scritto… non so.

    Diario… non lo è più, da tempo. La forma che ha preso ne ha cambiato la natura.

    Le osservazioni e i pensieri sono spontaneamente transitati dall’individuale al collettivo.

    La stessa sorte è toccata ai racconti.

    I primi appunti furono scritti disordinatamente, sparsi a matita nell’agenda scaduta della banca, scribacchiati tra la spolverata settimanale del venerdì, la consueta stirata mattutina post-colazione/pre-lavoro, la raccolta calze singole dei figli magicamente spuntate al mio passaggio (un’esclusiva che mi onorava sino alle lacrime, di commozione ovviamente),la spesa con 19,99 euro di caramelle, chewing-gum, cioccolatini, barrette, brioche, gelati, la terza multa del mese, il quarto golfino con l’unica variante del colore, la vista alla cassa del supermercato di una sfilza di donne in agitazione psicomotoria e verbale magari accompagnate da uomini imperturbabili, distratti o placidamente assenti.

    Tutti spunti per i miei appunti. Tutti riguardanti il malcontento delle donne.

    Finalmente, dopo non so quanti sproni e inviti, consegnai l’embrione a Lei.

    La sua restituzione fu incoraggiante, ripensai al disordine delle frasi come a un brainstorming, traccia di un aspirante libro: poco diario, un po’ racconto, molto sintesi del lavoro terapeutico, delle emozioni e dei pensieri a esso collegati, della storia personale e professionale mia e di tante donne incontrate, conosciute, frequentate.

    Le esperienze emotive e relazionali iniziarono a intrecciarsi e incontrarsi in un desiderio di comunicare che da un malcontento elaborato può nascere una trasformazione interna che ne origina una esterna, che la trasformazione scaturita da un malcontento elaborato bene è un’evoluzione individuale: prerequisito di un’evoluzione del genere femminile, a sua volta preliminare a un’evoluzione collettiva. Si sa, negli eventi a catena ci si allarga senza rendersene conto!

    Questo scritto è certamente il mio progetto più ambizioso. Un triplo salto senza rete di sicurezza. Esporsi, osare, rischiare l’insuccesso è già di per sé un successo, per me.

    Quante volte mi sono rimangiata, cassata, condannata pensieri, desideri, ambizioni? Fifa? Tanta! Scarsa autostima? Anche. Ansia? Divorante! Era come se non avessi diritto di essere, sentire, volere, potere qualcosa solo per me stessa.

    La più spietata nemica di me stessa sono stata io finché la mia testa, il mio cuore, le mie mani hanno intrapreso una nuova direzione.

    Il mio malessere, la distonia percepita così prepotentemente mi ha accompagnata nel mio viaggio rigenerante: la psicoterapia ha restituito dignità ai miei bisogni, ai miei desideri, al mio essere. Non so se avrei potuto arrivarci in modo diverso, la mia storia mi fa dire di no.

    Se mi penso e mi ripenso... Si potrebbe dire che ero già allora (prima della terapia) autonoma, indipendente. Avevo il mio lavoro, il mio conto corrente, il mio piccolo patrimonio. Avevo anche le mie idee socio-politico-religiose ed erano pure belle, solide, maturate, approfondite. Gestivo da sempre l’amministrazione ordinaria e straordinaria della famiglia. Eppure la sudditanza emotivo-affettiva è stata l'ultima a lasciarmi: neanche fosse secolare, individuale e collettiva, universale.

    Dal 1968 in poi si è spesso ribadito che:

    L'autonomia e l'indipendenza lavorativa ed economica sono la base imprescindibile della libertà, dell'autodeterminazione delle donne

    Seguendo questa pista, a molte viene spontaneo dirsi:

    Io sono a posto! Ce l’ho! Ho lavoro, amiche, libri, cinema, teatro, viaggi, gruppi, amorini qua e là. - Non è già una vita piena? - Eppure manca qualcosa! - Cosa manca?

    Ecco cosa manca: l’Amore!!! Quello con la A maiuscola!

    Quello che quando arriva Non ce n’è più per nessuno!.

    La classifica si capovolge. Alla faccia dei proclami ideologici!

    Solo quando è sfumata l’ubriacatura della fase di innamoramento, quando ci si rende conto di aver anteposto Lui a tutto il resto, ci si inizia a chiedere:

    Perché essere in attesa di un Lui?

    Perché essere scelte da un Lui?

    Perché essere appese a un Lui?

    Perché essere appese da un Lui?

    Ritrovare il mio valore indipendentemente dal valore attribuitomi da lui e dagli altri ….

    Questo è stato il mio profondo bisogno dopo che ho trovato il Lui con cui far famiglia. Perché?

    Perché l’Amore è importante. Anche la Famiglia è importante. Però Io prima di tutto sono fondamentale per me stessa.

    Ritrovare la propria strada è un’impresa grandiosa per tante donne.

    "Pollicine, dove avete smarrito i vostri talenti ? Da previdenti, avete lasciato certamente briciole salvifiche. Cerchiamole. Diamoci una mossa. Alla riscossa!"

    Io ho ritrovato le mie tra un divano rosso, una scrivania e un tavolo.

    Un divano rosso che da anni sognavo di avere nella mia casa a sostituire quello verde perché: Vabbè la speranza, ma lasciamo un po' di spazio anche alla passione!

    Una scrivania che fino a quel momento era in ufficio la mia base professionale e a casa l’appoggio di un personal computer usato per prenotare viaggi, acquistare coupon e scrivere e-mail.

    Un tavolo che rappresentava la destinazione dei piatti da servire ai commensali di turno, la meta dove arrivavo affannata e scarmigliata.

    Erano questi i significati dei tre arredi, era questo l’uso che ne facevo fino a quando sono diventate anche le basi del mio lavoro terapeutico da Lei.

    A Lei oggi, a distanza di un po’ di tempo dalle prime sedute, scriverei:

    " Ti ricordi quanti sfoghi, quanti pianti, quanti racconti spezzati confusi e contorti?

    Prima sul divano rosso, poi attorno a un tavolo, infine alla scrivania….

    Nei tre anni della terapia individuale mi avevi già accompagnato, guidato e sorretto lungo il sentiero per me molto impervio che conduce alla semplicità e alla chiarezza.

    Quante volte sei stata il mio paziente traduttore nei primi anni del gruppo terapeutico; gli occhi smarriti e perplessi delle mie compagne chiedevano -Ma cosa vuol dire? Di cosa sta parlando? Di chi sta parlando???-

    Quante volte avresti potuto dirmi: -Per te basta lavorare per associazioni-. In quarantacinque minuti avevo l’incredibile capacità di partire da una bicicletta e arrivare al microcosmo relazionale con figli, marito, genitori, fratelli, colleghi e superiori non disdegnando qualche considerazione etico-politico-sociologica generale.

    Alla faccia dell’integrazione impossibile!

    Ricordi quanto mi sentivo contorta, prolissa, pignola, ossessiva, noiosa, lagnosa, permalosa, ansiosa, nervosa, rabbiosa, intrattabile, poco amabile?

    Quanto pesante? Appesantita dagli altri di cui impropriamente e anche presuntuosamente portavo il peso: un’insana altruista, curante compulsiva contro ogni rispetto del proprio limite e desiderio.

    Poi dal sabotare le emozioni sono passata al giudicare le emozioni… male naturalmente.

    Sentivo paura? Ero una fifona. Incoraggiante!

    Sentivo rabbia? Ero una stronza Tranquillizzante!

    Sentivo dolore? Ero una lamentosa. Lenitivo!

    Sfiancante anche per un’equipe terapeutica multidisciplinare… per te no.

    Avanti con imperturbabile pazienza e costanza a dispetto della mia ansia incontrollata mi accompagnavi, mi ascoltavi, mi supportavi, mi indicavi e sempre instancabilmente mi aspettavi.

    Quaranta minuti di vortice rabbioso (mio), pochi minuti di azzeccata interpretazione ed efficace restituzione (tua) … che illuminava il mio labirinto interno.

    Riconoscere la rabbia. Valorizzarla. Scoprire ciò che nasconde.

    Riconoscere la distonia. Denominare il dolore, l’insoddisfazione, la disfunzione.

    Comprenderne la natura e l’origine.

    Riconoscere il desiderio. Comprenderlo. Autorizzarlo.

    Individuare le strategie terapeutiche per superare il dolore e tutti i freni inibitori che impediscono di sviluppare la sintonia con se stessi.

    Essere solidali e supportive con se stesse.

    Seguire con tenacia e costanza il metodo. Avere fiducia che gli esiti possano essere favorevoli al di là delle cadute.

    Quando ho ricevuto le tue prime gratificazioni alla me evoluta mi sono sentita talmente leggera che ho rischiato di prendere il volo. La realtà mi ha riportato a terra con un femore spezzato.

    E ho ripreso a camminare con il tuo affettuoso e competente supporto.

    A verificare nel tempo l’acquisizione e il consolidamento dei risultati.

    A prepararmi per una nuova passeggiata.

    Ho comprato un divano rosso cardinale che s’intona alla mia casa più di quello rosso carminio del tuo studio.

    Alla scrivania arrivo per scrivere più che per acquistare, anche se ormai scrivo un po' ovunque: iPhone, iPad, notebook.

    Al tavolo arrivo sempre più spesso per stare amabilmente in compagnia.

    Non sono diventata perfetta. Sono più consapevole di come funziono. E mi sono evoluta in sintonia con me stessa. Ho imparato a proteggermi da chi mi danneggia. Sto imparando a espormi a rischi salutari per la mia crescita. Autostima. Ambizione. Assertività. Non solo amore, affetto, amicizia.

    Sono diventata la migliore amica di me stessa, contenta di esserlo, non più preoccupata di essere sola, di star sola perché non mi sento sola.

    Sono cambiata e cambio nella misura in cui la mia essenza, o struttura di personalità che dir si voglia, ha potuto e può cambiare.

    Sento e so che la tua grandiosità è nell’accompagnare ognuno dei tuoi pazienti a trovare o ritrovare se stessi, non ad emularti o scimmiottarti.

    Io, ora, sto bene nella mia pelle.

    Grazie."

    Non so se ho reso l’idea.

    Dalla trasformazione interna è partita quella esterna che ha originato il cambiamento nel mio microcosmo relazionale perché dalla metamorfosi emotivo-affettiva è scaturito il cambiamento delle mie azioni.

    Il mio comportamento modificato ha prodotto a cascata nuovi comportamenti nei miei cari.

    Dall’individuale al collettivo: il passaggio è quasi imperativo.

    Per me è andata così.

    Altre donne hanno conquistato equilibrio e benessere attraverso strade diverse dalla mia: gruppi culturali, politici, animativi, amicali, religiosi, yoga, di mutuo-aiuto ecc., ecc.. Nessuna classifica di merito: a ognuna la tecnica più confacente a perseguire la stima di sé, il benessere.

    A quelle che non hanno ancora trovato la loro strada vorrei dire quello che dico a me stessa:

    Se stai male un motivo c’è. Non negarlo. Non coprirlo. Non ricorrere alle compensazioni fuorvianti. Il tuo malessere è il tuo tesoro. Guardalo. Interrogalo. Ascoltalo. Ti suggerisce la soluzione. Deprimiti pure prima di… ma poi parlane e chiedi aiuto a chi ha buona cura di te.

    Chi ha buona cura di te non giudica i tuoi sentimenti, le tue emozioni; li valorizza. Quando quelli che pensi come -cari- ti dicono che è sbagliato il tuo sentimento e tu gli dai retta hai già deragliato. Ma è mai possibile consegnare il proprio cuore in mani assassine?

    Un esempio…

    Tu hai mal di pancia. Il tuo amore ti dice che sbagli, che non c’è ragione alcuna perché tu abbia il mal di pancia. Basta questo perché ti passi? No. Non hai dubbi sul nullo potere della negazione del tuo malessere. Lo testimoniano il bagno e gli spasmi intestinali che ti contorcono. Sei certa che il mal di pancia per lui non esiste perché non è lui a sentirlo.

    Quindi…

    Quindi perché, se dichiari che qualcosa non ti piace e il tuo Lui ti dice: -Non hai gusto- oppure -Brutta egoista-, tu gli credi?

    Mmm…

    È vero, magari non gli credi subito. Prima ti arrabbi e poi ci rimani male. Ma ti viene detto che le reazioni sono entrambe sbagliate, senza motivo di esistere. E tu gli credi. Lo ascolti e quindi ti dici: -Eh sì, mi arrabbio perché sono irritabile. Ci rimango male perché sono permalosa. Devo proprio correggere questi difetti. Altrimenti non mi sopporterà più. E tantomeno gli altri.- Complimenti, sei un’impeccabile stiratrice: il tuo movimento non fa una piega!

    E qui sorgono spontanee domande a raffica:

    Per quale caspita di motivo le donne credono ai loro aggressori e non a se stesse?

    Hanno un quoziente intellettivo sotto la norma? Hanno le idee confuse? Sono una sottospecie umana? Perché questa degenerazione galoppante post-adolescenziale?

    Perché nei primi gradi della scuola le femmine sono le più... più sveglie, più preparate, più brave.

    Perché poi, conclusi i licei, inizia il loro declino?

    La prima selezione è nelle iscrizioni universitarie, il secondo sfoltimento nella scelta delle facoltà: ai maschi Medicina, Magistratura, Ingegneria, Fisica, Economia e Commercio; alle femmine Letteratura Italiana, Filosofia, Isef, Scienze Infermieristiche, Tecniche di Servizio Sociale. Sono professioni con rapporti di lavoro dipendente, magari anche facilmente gestibili con un part-time. Le donne sono previdenti, le donne pensano di doversi tenere parecchio tempo a disposizione dei loro cari perché solo a questa condizione credono di poter essere amate.

    Posso dirvela tutta?

    Non conta tanto essere amate quanto amarsi.

    Penso che le donne siano le più spietate nemiche di se stesse finché non si vogliono bene. Non si sentono amabili finché non amano se stesse e non sentendosi amabili non possono sentire l’amore degli altri, sentire di essere amate.

    Lo so che ridete. Pensate: È arrivata l’intelligentona!

    Eppure… credetemi sulla parola scritta, non è facile per le donne accreditarsi, anche a dispetto del successo lavorativo e di un alto funzionamento sociale.

    Le storie di alcune donne che ho scelto come rappresentative ci parlano di un viaggio che passa attraverso:

    la fame affettiva che induce a farsi scegliere e a volere un uomo a qualsiasi costo;

    la bassa autostima che fa pensare di non poter meritare di più, di doversi accontentare;

    la sudditanza emotivo-affettiva che induce ad accettare un non amore che fa male;

    la fatica, la difficoltà a riconoscere, legittimare e affermare i propri desideri;

    il complesso d’inferiorità cronica che relega a una condizione da paria;

    il condizionamento culturale che vuole il femminile dedito prima di tutto e soprattutto alla educazione, cura, assistenza degli altri.

    Donne che nel malcontento trovano consolazione nel cibo, nella pulizia sfrenata, nell’accudimento tout-court, nello shopping, nell’estetica ecc..

    Non ci sono anoressiche, bulimiche, tossicodipendenti, etiliste, omicide.

    La scelta è andata volutamente verso quelle donne normali che sentono un disagio compatibile con una vita apparentemente normale, un malcontento che potrebbe passare inosservato se non fosse per una predisposizione al lamento o alle azioni compensatorie. Le loro consolazioni sono relativamente costose quando non addirittura risparmiose: meglio essere utili che disturbare, meglio dare che aspettarsi di ricevere, meglio rispondere che chiedere, meglio comprarsi qualcosa che deprimersi. Meglio per chi le circonda, sicuramente, perché l’assetto non cambia.

    Il senso di colpa di una donna che vive male il proprio egoismo è schiacciante. Non sa nemmeno distinguere se è egocentrismo, narcisismo o sano protettivo egoismo. Si sente in colpa, si sente brutta e cattiva perché non è contenta di sacrificarsi. E tutto ciò è paradossale perché la cosa più sana che una persona scontenta possa fare è cercare di superare la condizione d’infelicità attraverso azioni dirette a individuare le cause del proprio malessere e a modificarle o rimuoverle.

    Quindi...

    Se vi riconoscete nelle sacrificali malcontente, donne, alla riscossa… è il vostro momento!

    Che donne… le donne

    Le donne che amano troppo, troppo gli altri, troppo poco se stesse … ci consentano un’amabile e affettuosa ironia, quel tanto che basta per dire che hanno tutte le ragioni di non essere entusiaste e di darsi una mossa se si sentono infelici nella loro condizione.

    Come sono le donne che amano troppo?

    Sono belle persone: generose, disinteressate, rispettose, democratiche, disponibili, eclettiche, intuitive, attente, accoglienti, premurose, umili, modeste, solerti, anticipatorie, autocritiche, sensibili, comprensive, adattabili, protettive.

    Tutte qualità da approfondire…

    Sono generose perché non amano se stesse prima di tutto, come fanno le persone egoiste.

    Le donne danno la vita altrui e regalano la propria.

    Il mercato femminile è sempre in saldo, si svende tutto per tutto l'anno.

    Quando odora di scambio, il baratto è un capolavoro di management.

    È della serie Tutta me stessa per l'amore nelle sue varianti anche meno nobili: miraggio, illusione, ideale, surrogato.

    Sono disinteressate perché regalano amore, lavoro, soldi, case, vacanze.

    Non lo fanno per avere un tornaconto, lo fanno per il piacere di far piacere.

    Non essendo interessate ai soldi (disinteressate appunto) possono fare a meno dei soldi.

    I beni materiali e gli averi: cosa contano rispetto all'affetto? Quindi si consegnano a fidanzati, marito, figli, fratelli... la più grande ricompensa è in un complimento, in un’attenzione aggiuntiva.

    Sono rispettose dei sentimenti, dei desideri, della volontà degli altri.

    Così rispettose da assumere il desiderio dell'altro:

    Io desidero se desideri lo stesso mio desiderio. Altrimenti antepongo il tuo poiché lo rispetto.

    Sono democratiche perché non sgomitano per il potere, non sono dispotiche.

    Se c'è il concorso per un posto di Dirigente, la donna maritata ideale non partecipa; non sarà mica matta?

    Se caso mai lo vincesse non potrebbe avere ancora il tempo di:

    far la spesa, cucinare, stendere, stirare, pulire vetri e pavimenti;

    tirare la cera del parquet;

    assistere la mamma o la suocera affetta da un eventuale Alzheimer;

    accompagnare il figlio ventenne all'Ospedale per l'ecografia.

    Se ci si sposa e si fanno figli non si possono anteporre ambizioni carrieristiche: si deve essere prima di tutto una brava moglie , una brava mamma, una brava figlia…

    Le donne sono disponibili, ergo a disposizione: se non sono a disposizione che disponibilità hanno? Che disponibilità è quella che richiede una cortese richiesta anticipata, che mette condizioni, che conosce confini? Disponibili, a disposizione, disposte a tutto; altrimenti è una presa in giro.

    Le donne sono eclettiche, si organizzano fino all’inverosimile. Gli uomini non ce la fanno.

    Se lavorano fuori casa otto/dieci ore al giorno stirano alle 5, cucinano alle 6,30, spolverano alle 22, tinteggiano la domenica. Sono adattabili a cambiamenti repentini e talvolta stravaganti.

    Cucinano crespelle ma, se volete che vi accompagnino in un maxi-tour per l'acquisto d'emergenza o che afferrino ago e filo per l'orlo del pantalone, non c'è nemmeno da chiedere, è sufficiente far capire con un piccolo gesto e… le crespelle saranno accantonate e completate in seconda serata.

    Eh sì sì, perché le donne sono molto intuitive.

    Sono attente a cogliere i segnali, interpretare il non verbale, capire le aspettative degli altri ed essendo anche accoglienti e premurose mettono con naturalezza cuffietta e grembiulino e si trasformano in colf per l’ennesimo danno da distrazione, cuoche per dieci inattesi ospiti, infermiere per la febbre del venerdì notte, segretarie per gli uffici della provincia. Insomma, fanno tutto ciò che le può mantenere degnamente umili e modeste.

    Il tutto in un nano secondo

    Eh sì, perché le donne sono anche solerti: l’unità di misura del tempo di risposta è il minuto, del tempo di realizzazione è l’ora, al massimo il giorno se la prestazione è ad alta complessità.

    Si possono sprecare i soldi ma non il tempo; il tempo vale più del denaro e quindi capita di essere addirittura anticipatorie alla domanda.

    Le donne sono profondamente autocritiche.

    Trovatelo voi un uomo così profondamente autocritico verso se stesso e il proprio genere.

    Le donne, invece, possono chiamare:

    donnacce quelle che, sposate, s’innamorano e pretendono di rifarsi una vita;

    egoiste quelle che trascurano il marito, i figli, la casa;

    arriviste quelle che antepongono la carriera, il lavoro;

    frivole quelle che amano uscire per una cena, un film, un viaggio.

    Le vere donne si alzano alle 6, accendono il ferro da stiro alle 6,05, consumano una sana e veloce colazione, stirano alle 6,20, cucinano perché il pranzo sia solo da riscaldare, rifanno i letti di tutti i loro cari alle 7,30 per lasciarli dormire fino all’ultimo, escono per recarsi al lavoro alle 7,45. Al primo semaforo rosso si passano un velo di cipria prontamente estratta dalla trousse della mega borsa, al secondo il rossetto, al terzo una limatina all'unghia bizzosa, al quarto un’integrazione al post-it della spesa, alle scale d'ingresso un'aggiustatina manuale della chioma.

    E, se qualche operazione non viene eseguita correttamente e il risultato non è perfetto, non esitano a darsi un sequela di titoli ad hoc:

    Ma si può essere così deficiente? Mi è scappato in lavatrice! Non ho controllato tutte le tasche!

    Che cretina sono stata! Scusami, ti prego, mi sono proprio dimenticata!

    Sono stata proprio perfida! Gli ho risposto per le rime.

    Le donne sono sensibili, attente a non ferire gli altri ma soprattutto lui.

    "L'ho fatto arrabbiare. Me ne ha dette di tutti i colori: ignorante, cretina, deficiente, brutta donna... Che ci posso fare?

    Non posso dirgli: -Non te lo permetto-; sarei autoritaria, dispotica.

    Non posso dirgli: -Non mi piace-; non lo amerei, non gli vorrei bene perché se lo amo mi deve piacere tutto di lui.

    Non posso dirgli: -Sei maleducato-; ci rimarrebbe troppo male e se si ama non ci si fa del male.

    Quindi lo ringrazio per avermi fatto vedere quelle parti di me che non avrei mai immaginato senza di lui".

    Le donne sono comprensive e adattabili: maltrattate, capiscono che lui è nervoso, che lo hanno fatto innervosire; e imparano, imparano a tacere perché sono state le parole che hanno pronunciato, i comportamenti che hanno avuto a provocare le parolacce, le bestemmie, gli schiaffi, i pugni, le coltellate.

    E, coerentemente, le donne sono protettive: nulla da dire, nulla da dichiarare, nulla da denunciare.

    È solo necessario capire, sopportare la conseguenza dei propri errori fustigandosi ed espiando attraverso il sacrificio e il masochismo.

    Un lusso da riservare ai sogni è avere speranza e fiducia che le cose cambino, che egli torni a essere il principe azzurro degli esordi.

    Se questo nella realtà non succede, bisogna resistere e continuare a testa alta.

    Troppo comodo essere insieme nella buona sorte e darsela a gambe levate quando avanza la cattiva!

    Le caratteristiche sin qui abbozzate sono appannaggio di quel femminile che non contempla nel proprio repertorio il minimo egoismo delle donne; anzi, lo condanna.

    Secondo quella logica, le qualità di cui sopra rendono le donne meritevoli di stima e d’amore. Le donne benvolute sono quelle non centrate su di sé ( auto-centrate) ma sugli altri ( etero-centrate). Donne capaci di straordinari gesti oblativi. Donne che mettono da parte i propri desideri, che sacrificano se stesse per gli altri. Impossibile aspettarsi questo da un uomo. Gli uomini non ce la fanno, non ce la possono fare!

    Beh, ormai molte non la pensano così. Pensano che il sacrificio sia la trappola del desiderio e del benessere. Infatti, le donne che non amano troppo gli altri e troppo poco se stesse dicono:

    Beati gli uomini che non ce la fanno! Vuoi vedere che il termine scentrate deriva proprio dall’essere centrate sugli altri, dall’essere centrate fuori di sé"?

    Non è quindi meglio rientrare in sé?

    Magari, se le donne amano diversamente, possono farcela un po’ anche gli uomini…

    Le appagate

    Sappiamo che ci sono. Ci auguriamo che siano sempre di più. Che siano appagate perché non sognavano altro che fare la moglie, la mamma, la nonna o il lavoro che fanno, non cambia molto. Possono essere realizzate appieno nella dimensione personale, professionale, sociale in ambito familiare, lavorativo, amicale, collettivo. Possono essere famose o sconosciute ai più. Che sia questo o quello non importa. Stanno bene, quello che sono e fanno è in sintonia con il cuore e la mente. E questo ci piace. E non richiede alcunché.

    Stiano in pace e non ce ne vogliano perché di loro non ci occupiamo proprio.

    Le malcontente

    Le malcontente invece ci chiamano. E noi accorriamo. In svariate direzioni. Le donne sono articolate e sfaccettate anche nel malcontento. Ce n’è per tutti i gusti.

    La orgogliosa: io non mi abbasso, non chiedo niente, devono pregarmi se mi serve qualcosa.

    La permalosa: mi hanno sempre e comunque offesa con parole, gesti, sguardi, presunti pensieri.

    La complessata: sono la meno bella, la meno brava, la meno intelligente, la meno simpatica.

    La rabbiosa: sono tutti bastardi, stronzi. Canaglie! Farabutti!

    La " ricattosa": con tutto quello che ho fatto per loro, ecco come mi ripagano!

    La vendicativa: gliela faccio pagare, per tutto il male che mi hanno fatto!

    La " rosicona": è tutta fortuna, ce l’ha solo per una botta di c…, per una botta e via!

    La pettegola: quella è una poco di buono, è andata con…, prima aveva…, poi ha avuto…

    La sprezzante: ci vuole niente, bella fatica, non si sono proprio sprecati!

    La paranoica: a me non l’ha detto ma di sicuro l’ha detto agli altri o l’ha pensato o lo penserà!

    La superstiziosa: per forza non funziona, Scorpione con Gemelli, nato venerdì 17 poi!

    La lunatica: non ho niente, non mi va e basta, ieri era ieri, oggi è oggi.

    La logorroica: lasciatemi almeno parlare, posso fare solo quello!

    La disfattista rinunciataria: è completamente inutile fare qualsiasi cosa, non cambia niente.

    La vittima: tutte a me capitano, tutti addosso a me….

    La lamentosa: sono stufa, non ne posso più, non si può andare avanti così!

    La sfortunata cronica: non me ne va bene una, tutto mi gioca contro, una più sfortunata di me…

    La depressa: sono proprio giù, più giù di così, non vale la pena fare alcunché.

    La rassegnata: una vita di cacca però pace,

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