Un'Insolita Fede: La vita perfetta si nasconde dietro le sue imperfezioni
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Anteprima del libro
Un'Insolita Fede - Federica Barone
Indice dei contenuti
Frontespizio
Prefazione
Introduzione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Epilogo
Ringraziamenti
Bibliografia
Contatti
frontespizio
"Un’insolita Fede" di Federica Barone ©2020
Fedartebarone@gmail.com
Un progetto editoriale indipendente a cura di Barbara Zippo
www.barbarazippo.net
L’immagine di copertina è tratta
da un dipinto di Federica Barone
Design di copertina a cura di Laura Zucca
ISBN stampa 978-88-358-9381-3
ISBN ebook 979-12-200-5622-9
Quest’opera viene ceduta in licenza al solo acquirente. Tutto il materiale in essa contenuto è coperto da copyright. Sono vietati copiatura, riproduzione, trasferimento, noleggio, distribuzione, trasmissione in pubblico e utilizzo al di fuori di quanto previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi utilizzo non espressamente autorizzato dall’autore costituisce violazione del diritto d’autore ed è sanzionabile sia in campo civile che penale ai sensi della legge 633/1941 e successive modifiche.
Prefazione
Oggi credo proprio che l’Universo mi abbia fatto studiare due anni l’italiano affinché le nostre strade potessero incontrarsi. Di fronte a così tante coincidenze, dall’altro capo del mondo, ho dunque l’onore di scrivere queste parole per Federica, prefazione di una storia di vita intensa e speciale. Una storia di fede, ma anche un’emozionante immersione tra le innumerevoli sensazioni che un’esistenza vissuta con passione può donare. In un mondo freddo, dove l’amore è così raro, un’Insolita Fede è un incontro con la Luce. Un tocco amorevole e magico, come solo un dono può essere. Parole semplici e dirette, laddove ciascuno voglia sanare ciò che sente mancante o irrisolto in sé. Un viaggio abbagliante ed emozionante. Un sogno e una scoperta, dalla prima all’ultima pagina. Una lettura che può, e te lo auguro, risvegliarti e condurti a riscoprire la bellezza della tua vita.
Virginia Randmer - S. Paolo, Brasile
Introduzione
Fuggii di casa a diciannove anni per non dover più subire le dinamiche che regnavano in famiglia e con le quali avevo dovuto confrontarmi sin da piccola. Il punto centrale che si palesò nella trama della mia esistenza, fu invece proprio dovermene assumere la responsabilità senza sconti. Solo quando ne compresi e ne accolsi la significante importanza, la mia realtà venne completamente rinnovata. La scoperta che stravolse il mio paradigma, e la mia vita di conseguenza, è che siamo sempre noi i creatori! Malattie, tradimenti, violenze… Tutto deriva dal nostro agire creativo. La responsabilità si associa e si confonde spesso erroneamente con il senso di colpa, che diventa nel tempo un alibi per scegliere di non agire. Dovetti invece imparare ad osservare e convivere con i miei stati d’animo, scoprire come rispondere di me, delle mie scelte e delle mie azioni, prima di guardare all’esterno. Cercavo infatti sempre un colpevole per sentirmi momentaneamente sollevata dal mio forte disagio interiore.
Chi non è ancora pronto ad accogliere una tale visione, farà come me, a vent’anni, quando mi venne regalato il primo libro su questi argomenti: lo lanciai lontano con tutte le mie forze, imprecando, come se fosse il nemico numero uno delle mie ottime e comprovate ragioni, per continuare a sentirmi la vittima che tutti dovevano indiscutibilmente commiserare. Dunque conosco bene ciò che può scatenare ma mi permetto di consigliare perseveranza. Molte persone, con le quali mi sono confrontata negli anni, hanno infatti vissuto o vivono dinamiche simili nella loro vita. Dunque ti invito a leggere almeno qualche capitolo, prima di lanciare via anche il mio libro! Se invece ti stai chiedendo perché potrebbe essere una buona notizia, troverai una risposta proseguendo e potrai approfondire con altre letture qui citate e riportate nella bibliografia. Ad esempio: La pace comincia da te di Saya, dove viene citato questo paragrafo tratto da un’intervista – di Saul Maraney a Mabel Katz – rilasciata dal Dr. Hew Len:
Accettare di essere responsabili al 100% è una strada difficile da percorrere, perché l’intelletto fa fatica ad adeguarsi. Quando un problema ci appare, l’ego cerca sempre qualcuno o qualcosa su cui scaricare la colpa. Così continuiamo a cercare fuori di noi l’origine dei nostri problemi. Facciamo davvero molta fatica ad accettare che l’origine dei problemi sia sempre dentro di noi
.
Ripetere il medesimo schema azione-reazione non poteva dunque cambiare il risultato di ciò che stavo vivendo… I miei nervi impazzivano letteralmente, a causa di stati inconsci dai quali ero pilotata, alimentando un circolo vizioso. Nulla cambiò fino a che non scelsi di occuparmene, guardare tutto da vicino e ripulire le parti di me che lo richiedevano. Prima di allora, la mia casa interiore, bellissima e insospettabile ad un primo impatto, conteneva in verità alcune stanze off-limits abitate da pseudo ombre di me stessa. Sia sola che in compagnia, ero perennemente in ansia per timore che chiunque potesse scoprire il mio imbarazzante segreto. Il tormento mi spinse alla fuga, ma quegli stati mi perseguitavano ovunque. Arrivai più volte a toccare il fondo senza più risorse, senza forze, come fossi scivolata in un imbuto, ma capii che era esattamente a quel punto che l’Universo voleva portarmi per il mio bene. Più fuggivo e più restavo incastrata. Per un momento pensavo di essermi salvata ma un’altra ombra era ancora lì… Ognuna di esse corrispondeva ad una paura, ad una ferita, ad un trauma, ad una responsabilità non accolta, ed ero perciò costretta a farci i conti in altri modi. Più tentavo di sfuggire, più si manifestavano ad esempio problemi di denaro o salute, oppure erano le relazioni a non funzionare più. Scappare, significò soltanto intensificare la sofferenza credendo di salvarmi. Tutto era sempre lì ad attendermi di nuovo, ovunque… Imparai che si trattava di una legge e che vere benedizioni vivevano dietro alla pratica dell’auto osservazione. Fu un’esperienza lacerante ad arrestare finalmente la mia corsa. Non potevo restare indifferente a tanto e al perché stesse accadendo proprio a me… Da quel momento, iniziò un profondo lavoro di comprensione e trasformazione, grazie alla volontà di riconoscere le mie ombre, scegliendo così di porre fine alla fuga in modo consapevole. Trovai il coraggio di prestarmi ascolto, accolsi ciò che quelle messaggere volevano consegnarmi. Ero convinta di dirigere la mia vita ma mi sbagliavo di grosso!
Eccomi qui dunque. Ho accettato la responsabilità di affrontare il mio grande terrore: raccontare questa storia senza più rimandare a tempi migliori. Intendo mettere a disposizione e trasferire a te, che stai leggendo queste righe, tutto ciò che di utile ho sperimentato per comporre un puzzle personale, incastro dopo incastro, assaporando la vita con un gusto nuovo. Credo che nell’Universo niente, assolutamente niente, sia casuale. Tra le pagine di questo libro, ti auguro si compia una nuova personale lettura di te.
capitolo 1
«È un tumore cerebellare delle dimensioni di un mandarancio».
Mio padre sbiancò e uscì dall’ambulatorio con la dottoressa del pronto soccorso. Rimasi sola con quella sentenza e la paura si impossessò totalmente del mio corpo facendolo dimenare sul lettino come quello di un pesce appena agganciato all’amo e tirato su dall’acqua. Entrò una giovane infermiera, prese qualcosa da un armadietto alla mia destra, e, tentando di rassicurarmi, mi disse distrattamente: «Non preoccuparti qualcuno ce l’ha fatta». Naturalmente, una frase del genere, non poteva darmi conforto e, appena uscì, girai la testa verso quell’armadietto pieno di medicinali, che mi sembrò l’unica via di fuga, e formulai in un istante il pensiero di farla finita lì ma, un momento dopo, rientrarono la dottoressa e mio padre e, in meno di due minuti, mi ritrovai in ambulanza verso l’ospedale dove avevano deciso di trasferirmi. Il primario entrò nella mia stanza per studiare la Tac insieme a me. Restammo soli. Lui era serio e silenzioso ma il suo fare mi sembrò confortante. Nascose il volto dietro il referto e lo scrutò attentamente. Lo vidi anch’io per la prima volta e fu scioccante prendere atto che tutta quella massa scura stava dentro la mia testa.
«La verità è che è in una brutta posizione, è molto grande e si è infiltrato nel cervelletto, la parte che svolge una funzione primaria nel controllo dei movimenti. Vista la tua giovane età tenteremo un’operazione ma per il 99% rimarrai sotto i ferri. Se sarai fortunata hai l’1% di probabilità di restare in carrozzina», sentenziò. Fui pervasa da un senso di vuoto e terrore e, subito dopo, un impeto di rabbia per ciò che d’impatto considerai un’ingiustizia assurda. Perché proprio a me, dopo tutto quello che ho già passato? Era l’unico pensiero che mi martellava le tempie.
«Ricordati le orme sulla sabbia».
«Dottore ha detto qualcosa?». Silenzio… Eppure ero certa di aver sentito chiaramente quelle parole e gli chiesi altre tre volte conferma fino a fargli perdere la pazienza. «Lasciami lavorare Federica», mi zittì con voce ferma. Ammutolii ma continuai a cercare la risposta a quell’assurdità, guardandomi intorno. Chi aveva parlato? Eravamo soli in quella stanza. Continuavo a sbattere tra i miei pensieri, come una pallina in un flipper, in uno stato interiore surreale. Vennero però a galla anche tutti i momenti in cui qualcosa di inspiegabile era giunto in mio aiuto, specie nelle situazioni più difficili. Mi immersi in lunghi dialoghi interiori che avevano in realtà la durata di un lampo. Di nuovo, il solito circolo di pensieri mi riportava ai miei genitori… Li odio è tutta colpa loro… poi mi bloccai.
«Sono quei pensieri che ti hanno portata
su questo letto Federica …».
Il messaggio che udii era inequivocabile. Ripensai a tutte le occasioni in cui avevo sperimentato un totale atto di fiducia. Era accaduto più volte. A quel punto mi trovavo ad un bivio: da un lato la strada della vittima, che avevo percorso e ripercorso più volte, che mi era ben nota e mi appariva più rassicurante, e, dall’altro, quella della fiducia. Ignoravo ancora dove mi avrebbe portata e ne ero terribilmente spaventata. Tra le pieghe della memoria riaffiorò un brano letto qualche tempo prima. Seppi poi che si trattava di Orme sulla sabbia di Margaret Fishback.
Questa notte ho fatto un sogno,
ho sognato che ho camminato
sulla sabbia
accompagnato dal Signore
e sullo schermo della notte erano proiettati
tutti i giorni della mia vita.
Ho guardato indietro e ho visto che
ad ogni giorno della mia vita,
apparivano due orme sulla sabbia:
una mia e una del Signore.
Così sono andato avanti, finché
tutti i miei giorni si esaurirono.
Allora mi fermai guardando indietro,
notando che in certi punti
c’era solo un’orma...
Questi posti coincidevano
con i giorni più difficili
della mia vita;
i giorni di maggior angustia,
di maggiore paura e di maggior dolore.
Ho domandato, allora:
"Signore, Tu avevi detto
che saresti stato con me
in tutti i giorni della mia vita,
ed io ho accettato di vivere con te,
perché mi hai lasciato solo proprio
nei momentipiù difficili?".
Ed il Signore rispose:
"Figlio mio, Io ti amo
e ti dissi che sarei stato
con te e che non ti avrei lasciato
solo neppure per un attimo:
i giorni in cui tu hai visto
solo un’orma sulla sabbia,
sono stati i giorni in cui
ti ho portato in braccio".
Qualcosa in me fece un click e mollai ogni resistenza. Mi abbandonai in piena fiducia e pronunciai intimamente e con tutto il cuore la mia resa. Se la mia vita deve terminare qui, per me va bene, mi dissi. In fin dei conti ho vissuto un’esistenza piena negli ultimi anni, ho realizzato tutto ciò che volevo, se rimarrò in carrozzina qualcosa dovrò fare da quella condizione… Sia fatta la tua volontà, non la mia. Null’altro. Fui spontanea, sincera, totale. Fu come una preghiera rivolta a colui che sentivo essere in ascolto. Da quell’istante in poi, tutto mi apparve differente. Ogni sensazione assunse un peso diverso, mi sentii come in uno stato di meditazione profonda, di cui avevo qualche ricordo precedente, ma stavolta ero vigile, presente con ogni fibra del mio corpo ad ogni minimo segnale. Iniziai a vivere ogni cosa con un distacco nuovo e sorprendente anche agli occhi degli altri. Vivevo prelievi e preparativi, in vista dell’operazione, come una spettatrice partecipe dell’evento, mi sentivo protetta come all’interno di una bolla. Nel letto d’ospedale, feci un resoconto del mio vissuto, sino ad allora, e ciò mi diede la forza per affrontare serenamente quel 99%. Mi resi conto che le scelte fatte, seguendo le indicazioni del mio cuore, mi avevano ogni volta portata a vivere esperienze di straordinaria gioia. Dunque nessun rimpianto. In quell’ospedale poteva finire tutto nel giro di poche ore ma, la certezza di non aver mai rinunciato ai miei sogni mi diede un senso di profonda pace. Non avevo più bisogno di alcuna approvazione. Mi sentivo serena, come mai era accaduto prima di allora. Stavo lì, con tutta me stessa. Mi sosteneva una forza che non chiedeva pietà. Non volli sentire gente preoccupata. Non volli vedere facce tristi intorno. Avevo solo bisogno di quella forza, con me, per affrontare un cammino ancora ignoto. Chiesi a chi mi era vicino il favore di non avvisare mia madre per non dover assistere a un inevitabile scontro tra i miei genitori. Dal momento della loro separazione, infatti, non si erano mai più voluti incrociare per alcun motivo, pur continuando a farsi guerra con ogni mezzo. Non avevo più spazio per loro. Ora c’ero io. Chiesi alla mia adorata amica Elettra di non raggiungermi dalla Sicilia, anche se lo voleva con tutto il suo cuore. Dovetti insistere per farla rinunciare; il solo pensiero di saperla sola su strade che non conosceva, in quello stato d’animo, mi preoccupava enormemente. Si adeguò alla mia volontà, ed ebbi così un’altra grande dimostrazione del suo amore per me. Poi vennero a trovarmi alcuni parenti e amici, ma le regole erano uguali per tutti: niente facce preoccupate. Angelo, che avevo lasciato qualche tempo prima, perché non volevo fargli pesare lo stato di prostrazione fisica e psicologica in cui mi trovavo, scelse di starmi comunque accanto ogni giorno. La sua presenza fu provvidenziale, altro motivo per il quale lo avevo soprannominato così. In quel momento, compensò le assenze emotive di mio padre, per quanto quest’ultimo fosse presente fisicamente, ma, a quel punto, il suo atteggiamento non mi preoccupava più. Ero impegnata a prendermi cura soltanto di me. Sentivo di poter contare su quell’aiuto invisibile, qualsiasi cosa significasse. Arrivavano telefonate da molte persone che avevano saputo quanto mi stava accadendo. Tutte erano ovviamente in ansia. Si ripeteva una specie di copione: «Ciao Fede, come stai? Ho saputo… Sono sconvolta…». La mia risposta immediata era più o meno sempre la stessa: «Sì, tutto assurdo, ma non pensarmi con preoccupazione, pensami al sicuro. Sarà ciò che dev’essere. Sappi che