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Gladiatori di Dio!: Il Mondo di Adamo
Gladiatori di Dio!: Il Mondo di Adamo
Gladiatori di Dio!: Il Mondo di Adamo
E-book430 pagine6 ore

Gladiatori di Dio!: Il Mondo di Adamo

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Info su questo ebook

Gladiatori di Dio…sì!
Due domande caratterizzano la trilogia della quale, questo, è il primo romanzo: se è vero, come descritto nella Genesi, che in principio era Dio, da dove nasce il Male? E ancora: quale padre non protegge i propri figli!? Da qui l’intuizione: Dio è morto di parto! Che il creato salvi il Suo Creatore. Ma da chi?
Il racconto della realtà in cui vive il poliziotto Alfio Perti che si ritrova, suo malgrado, ad essere l’eroe di un virulento mondo surreale nel quale Dei, angeli, uomini, abelaidi, cainidi, adamei e zumìl incrociano i loro destini in una incessante lotta tra inganno e lealtà, coraggio e vigliaccheria, sordidi desideri e virtù.
Una predizione incombe, la più enigmatica. In un mondo in cui il Bene e il Male giocano da sempre l’eterna partita, il Mondo di Adamo, luogo fantastico che raggiungeranno in fuga dalla Terra di Eva, solo il Libero Arbitrio potrà fare la differenza, quel Libero Arbitrio che è, in sé, il Seme di Dio.
Onore e Gloria!
LinguaItaliano
Data di uscita1 set 2017
ISBN9788826465272
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    Anteprima del libro

    Gladiatori di Dio! - Enzo Pucciarmati

    racconto.

    1. Anno 1999 d.C. La scomparsa di un uomo aspirante prete.

    Con tono grave e sofferente, avvertendo l’ardua e difficile scelta a cui era chiamato il suo allievo smarrito e turbato più che mai, appoggiandosi affettuosamente alla sua spalla e fissandone dritto negli occhi l'inquietudine, il suo padre spirituale era stato chiaro:

    "Bruno tu hai il dono. Non sei solo speciale, ma unico; nessuno su questa terra, la Terra di Eva, è come te! Ciò che sino a ora ti ha onorato e sublimato, ciò che ti ha esaltato, scosso e a volte spaventato ti impone anche gravose responsabilità ed è inutile fingere, tantomeno fuggire. Tu puoi solo sperare che tale destino, oneroso dovere, sia solo casuale coincidenza ma, credimi, io so ciò che dico. La notte dei tempi reclama il suo incubo, il capostipite dei peccati il suo più folle tributo. Molti figli di Eva — se non tutti, come San Tommaso — vorrebbero trovarsi al tuo posto. Vorrebbero toccare per credere, possedere quelle certezze che appartengono solo all’imperscrutabile dubbio. Che siano loro atei o religiosi, non hanno nulla, o solo la fede. La fede sì fragile quanto un’ostia consacrata e altrettanto forte, come il corpo di Cristo!

    In tempi incerti e tristi come quelli che viviamo, in cui tutto è messo in discussione e la conoscenza, sostituendosi a Dio, scientificamente continua a indebolirne il Verbo, in cui la scienza è Dio, tu sei la prova vivente della Sua Esistenza. Il Male non cova più, ma divampa e ignobilmente tutto brucia col suo immemore tributo. L’Antagonista sta raggruppando il suo esercito, il conto alla rovescia è iniziato. Tutto il Creato è in bilico e balla come un folle sui bordi scivolosi dell’oscuro baratro. Per questo voglio che tu esorcizzi ogni dubbio, in un modo o nell’altro il tuo impegno sarà fondamentale in questo scontro, in questa eterna contrapposizione. Ma perché ciò si compia, devi fare chiarezza nel tuo cuore confuso. Hai meditato a lungo su questa scelta, è vero, ma entrambi conosciamo l'evoluzione del percorso, che è divenuto solo in seguito un proposito. Tale ricchezza ha uno scopo ben preciso, non deve essere sciupata né fraintesa. Tu sai per certo come me che esistono vari modi di servire Nostro Signore. Trova la tua strada figliolo, che comunque non potrà che condurti a Dio. E tornando a molti anni fa, adesso, alla vigilia del tuo sacerdozio, posso dirti che non potevo aiutarti allora, così come non posso farlo ora. Ciò dovrebbe significare molto o nulla per te, conosci la Profezia!

    Aggiungo solo che alcuni di noi a volte vengono messi alla prova. Il cammino di questi eletti è costellato di piccoli segni o fatti rivelatori o eventi straordinari, come nel tuo caso. Creature speciali sono costoro agli occhi di Dio. Ma pochi sono gli adepti, i prescelti e tu, da ciò che mi è stato dato di capire, sei uno di loro. E quindi devi avanzare con le tue gambe, perché è questo in realtà che a ognuno di noi Lui chiede! Il nostro incontro, cinquantasei anni fa, non fu di certo casuale. Avevi con te la prova, racchiusa nel pugno della tua minuta mano. Qualcuno allora ti mise sulla mia strada, ne sono certo, e spero di essere stato per te anche un buon padre, oltre che una guida spirituale. Ora sta solo a te, alla tua dote che plasma questa diversità, a questo tuo dono di indubbia natura celestiale, interpretarne il significato più profondo. A me, conoscendoti, preoccupa che la fede da cui scaturisce la tua indagine possa trarti in inganno e ancor più in pericolo. Ti ho sognato ieri notte... sii cauto, molto cauto, figlio mio!"

    Aveva ancora un po’ di tempo a disposizione il futuro 'Don Bruno', prima che la cerimonia lo incoronasse sacerdote. Giorni in cui avrebbe dovuto solo pregare e meditare, oltre che digiunare. Invece Bruno, l’eterno discepolo, stava percorrendo l’ultimo tratto di strada che lo separava dal suo paese natio, intento a esorcizzare l’annoso dubbio che da sempre lo ossessionava: fatti talmente straordinari e inconfutabili da stravolgergli completamente l’esistenza. Voleva tentare un’ultima volta, usare quei doni 'paranormali' — noi diremmo — di cui nel tempo aveva acquisito padronanza, per comprendere. In fondo questo gli aveva chiesto Servus, suo padre adottivo e spirituale, che lui venerava e a cui tutto doveva. Era una nitida notte dei primi di gennaio, come quella notte, e il cielo era adorno di baluginanti stelle, come quella notte. L’aria gelida nel vecchio paese era mitigata dal fiume placido, che nel suo lussureggiante letto d‘ombra, a tratti borbottava. Aveva un’anima quella mutevole oscurità, che avviluppava gelosa nascondendoli alla vista i basamenti degli antichi torrioni, sopra cui svettavano la rocca e la guglia illuminata. Sembrava che il tempo si fosse fermato. L’antico borgo medievale era ancora più bello, più maestoso, più armonioso di quanto ricordasse, fatto più di marzapane che di tufo. Il grande arco d’accesso alla rocca, ben saldo nel suo portentoso muraglione, era un’enorme bocca screpolata e spalancata sul passato, che avida e furtiva sembrava ingoiasse, sul lieve pendio antistante, uno a uno come caramelle, gli umidi e lucidi sampietrini della piazzetta, da poco riassestata. Le oculate ristrutturazioni di quegli edifici, con quei tetti montati ad arte e abilmente ancor più antichizzati, così adorni di rame e comignoli, gli antichi blocchi di tufo tagliati a mano liberati dell’insulso intonaco e ora a vista, ricamati da tortuose e omogenee stuccature a bassorilievo, lo rendevano un luogo incantato. Erano gli stessi occhi di allora a osservare quel paesaggio, lo stesso sguardo che scrutava, in cerca di un segno in quel limpido cielo. Il luogo era proprio quello, ora come allora. E lo stesso uomo-bambino di ieri si apprestava a discendere le scalette sconnesse, che nessuno in seguito seppe dire dove lo avessero condotto.

    2. Il prete poliziotto.

    L’Assistente Capo della Polizia di Stato, Perti Alfio, era veramente incazzato. Che vita di merda!

    Continuava a essere uno schiavo di quel sistema che, stravolgendo le regole del gioco, lo teneva ancora al chiodo ma che comunque, con spirito d’abnegazione e senso del dovere, sino ad allora non aveva potuto far altro che sostenere. Ma qualcosa era cambiato negli ultimi tempi, irrimediabilmente. Era stanco e amareggiato e per la prima volta dopo ventitré anni s’era concesso una pausa lavorativa di quattro mesi, per riflettere. Tra lo stupore dei suoi colleghi aveva sfruttato anch'egli, come loro, la 'causa di servizio', concedendosi solo temporaneamente quel meritato riposo che di fatto e da tempo gli spettava: già tre anni prima, infatti, sarebbe potuto andare in pensione e occuparsi finalmente della sua vita. E invece guarda dove era finito! Dapprima era stato trasferito all’ufficio Forza Assente, in cui vengono 'appoggiati' provvisoriamente quei poliziotti che, per vari motivi, hanno superato i novanta giorni di assenza dal lavoro. Trascorso questo lasso di tempo ci si ritrova come reclute, bagagli in mano, a disposizione di un ufficio centrale del personale che ti riassegna ad altro incarico o destinazione. Accade spesso se si è in disaccordo con i superiori, o se la propria presenza in qualche modo li imbarazza.

    In seguito Alfio venne assegnato a quella strana e anomala sezione, quasi fosse una promozione. Era ritornato al punto di partenza. Lavorava di nuovo presso il Ministero dell’Interno, da cui molti anni prima era fuggito, al contrario di molti suoi colleghi che, per restarci, ogni giorno continuavano a 'prostituirsi'. Che sezione di merda!

    Non c’era più abituato. Tutto così pulito, ordinato... attendeva disposizioni. Trasferito dal suo Commissariato in quel luogo candido, come fosse un raccomandato. Dopo diciotto anni ricordava ancora le parole del maresciallo con cui aveva fatto coppia per cinque lunghi anni in qualità di autista e scorta dei segretari particolari del Capo della Polizia: Noi siamo ministeriali, gli altri sono questurini. Il Ministero sta sul cocuzzolo della montagna ed è facile scendere a valle, ma per risalirci…

    Vi era ritornato invece, senza neanche il bisogno di arrampicarsi e ora era lì, in quel distaccamento di cui non aveva mai sentito parlare, denominato Rapporti con il Vaticano - Ufficio S. Tutto nuovo là dentro, persino la stampante era linda, senza neanche una ditata d’inchiostro né macchie di caffè. Che schifo, non era un ufficio di Polizia quello! Trasferito nel buco del culo dell’Amministrazione per cui lavorava da ventitré anni, lontano dai suoi colleghi, dalla sua zona, dai 'suoi delinquenti' e con un cappellano come fratello in pattuglia. Quando ci pensava un sorriso increspava il suo volto di poliziotto: proprio a lui, un bestemmiatore nato!

    Fondamentalmente detestava tutti i ministeriali, civili o militari che fossero, equiparati professionalmente a quelli che, come lui sulla strada e con una divisa addosso rischiavano la pelle, ogni giorno. Godevano dei suoi stessi diritti e in un qualche modo erano la causa di quella riforma che aveva innalzato per tutti l’età pensionabile. Migliaia di scribacchini in doppio petto, migliaia di sedicenti colleghi che andavano per strada durante l’orario di lavoro per fare shopping o comperare il pane e il latte non per sé, ma per i loro padroni. Tutta gente impettita, con la puzza sotto al naso e mille privilegi perché asservita al potere. Gente raccomandata, 'regalata', che dall'obbedienza a quel potere traeva lustro e guadagno. Come diceva un suo amico erano solo " magnapane a tradimento!".

    Il Ministero era il tempio della forma, contro la sostanza di cui abbisognava il Paese. Il regno degli sprechi, di quella consuetudine lavorativa egoistica che continuava spudoratamente ad abusare della 'cosa pubblica', infischiandosene della tanto decantata sobrietà. Per questo era fuggito. Non avrebbe sprecato la sua vita ad aprire la portiera dell’auto blu che gli era stata assegnata!

    Alfio non era esattamente un bell’uomo, ma neanche brutto. Era uno che non passava inosservato: quarantatreenne alto, robusto, con cicatrici sul volto che ne solennizzavano l’impegno rappresentato dalla divisa. Solo una delle quattro cicatrici se l’era procurata in servizio durante una colluttazione, le altre erano la conseguenza di un carattere indomito e sfrenato che aveva contraddistinto la sua adolescenza. Il suo fascino era racchiuso nello sguardo penetrante e attento; gli occhi di un blu limpido, orlati da lunghe ciglia stonavano con il moro della sua peluria. Un 'ariano' dalla testa tondeggiante e calva. Si rasava ogni giorno, e non per estetica o ideologia; semplicemente odiava la sua calvizie, quella 'voglia di ginocchio' al centro della testa, che lo invecchiava ancor più di quanto meritasse. L’aspetto marziale s’addiceva alla sua uniforme, ma il cuore che dietro vi pulsava era di tutt’altra pasta. Orfano e dall'infanzia difficile, aveva ereditato dalla sofferenza quella sensibilità, quell'umanità che lo rendevano agli occhi dei suoi colleghi un buono, anche se spietato con i cattivi. Idealista, negli anni aveva compreso l’importanza del suo lavoro che non era più solo un compito, ma una vera e propria vocazione, rivolta al prossimo più che al fatidico 'ventisette' del mese!

    Era fermamente convinto che l’impegno di ognuno potesse fare la differenza e per questo, fino ad allora, era sempre stato in prima linea a dare l’esempio. Un miscuglio di ideali laici e religiosi governava il suo operato, oltre a una capacità non comune di scovare il marcio ovunque si celasse. Catturava senza tregua!

    Era uno che non si tirava mai indietro, che arrivava sempre. Uno che non permetteva a niente e a nessuno di calpestare la divisa che vestiva, quella stessa uniforme che d’ora in avanti non avrebbe più indossato!

    — Assistente Capo Perti Alfio? Oh, grazie a Dio siete voi, siete arrivato... e giungete a proposito, direi! Sarà pure una coincidenza, o un caso fortuito se preferite, ma per me il vostro trasferimento è provvidenziale. Piacere, sono Emanuele, il cappellano. Sarò il vostro collega, faremo coppia a quanto pare. Ah, a proposito di questo, vi dicevo, un intervento divino il vostro arrivo, perché è scomparso un uomo, un... 'novizio', diciamo, che tra qualche giorno sarebbe stato consacrato sacerdote. È molto strano, tutto il fatto è molto strano. Vi andrebbe una gita in campagna?

    Raggiunsero in una trentina di minuti un paesino alle porte di Roma, percorsero la lunga discesa che sfocia nel borgo antico. Sino a lì conducevano le tracce dello scomparso Bruno, aspirante prete. La sua autovettura era ancora parcheggiata sul selciato della piazzetta.

    — Diamine, proprio un bel posto, non trova? domandò il poliziotto guardandosi intorno.

    — C'è ancora molta magia in questi borghi. Se queste mura potessero parlare…

    — La storia perderebbe il suo fascino, no?

    — Già, o forse risulterebbe ancor più interessante!

    — Non c’ero mai stato da queste parti, lei sì padre? — chiese il poliziotto lasciando cadere la domanda con indifferenza.

    — No, no affatto, ma vi prego di chiamarmi Emanuele. 'Padre' sa di vecchio, e non che io non lo sia...

    Iniziamo male prete! pensò il poliziotto. Lo aveva condotto sin lì senza indugio, come se quella ex-mulattiera ora asfaltata, quella stretta e sinuosa stradina di campagna la percorresse ogni giorno per andare al lavoro, svoltando sicuro agli incroci senza segnaletica. O aveva un navigatore satellitare sottopelle o di certo mentiva!

    — Sono stato contattato dai Carabinieri questa mattina, che hanno rinvenuto l’autovettura a seguito delle mie note di rintraccio e ricerca. Inoltre — continuò il sacerdote — ho avuto una interessante conversazione telefonica col parroco locale. Don Italo asserisce che questo paesino sia stato un fulcro della cristianità. Apparizioni e miracoli in passato qui erano all’ordine del giorno!

    — Uh! — Voi non credete che fatti del genere possano accadere, vero?

    — Un tempo le avrei detto di no!

    — E ora?

    — E ora non so che dirle!

    — Quindi è accaduto qualcosa che vi ha fatto cambiare parere?

    — Non so veramente cosa sia successo!

    — Non siete l’unico sapete, capita a molti, anche se alcuni tentano disperatamente di dimenticare. Quella confusione, quel torpore che morde l’anima... Siamo talmente imbrigliati dal raziocinio che spesso ci rifiutiamo anche solo di guardare, figuriamoci poi comprendere. Io vi ritengo dei privilegiati, anche se a volte, per non dire sempre, è difficile gestire e metabolizzare l’immensa fortuna che vi ha riguardati.

    — Io non la definirei fortuna!

    — Comprensibile. Ma anche se fosse solo sfortuna vi è stato dato modo di riflettere!

    — Beh, con tutto il rispetto padre... ops, scusi, Emanuele... riflettere potrebbe essere compromettente per ciò che lei rappresenta!

    — Voi intendete la Chiesa Cattolica?

    — Intendo la religione, qualsiasi religione. Le pastocchie su cui avete imbastito e costruito il vostro divino mandato!

    — Pastocchie? Raccontatemene una!

    — La Bibbia ad esempio, dalla Genesi all’Apocalisse.

    — Ah, comprendo a cosa vi riferite, ma se questo è il vostro pensiero perché non includere anche il Nuovo Testamento?

    — In effetti, perché no! Visto che di Cristi nati da madre vergine, morti in croce e risorti ve ne sono più d'uno. Speciose incongruenze che la Storia riconosce e collega, e che la scienza continua a smascherare. Dottrine scippate, riciclate e aggiustate faziosamente, antecedenti a ogni presunta verità che voi insegnate!

    — Vi dico solo una cosa Alfio, una piccola ma concreta osservazione, su cui però vi prego di riflettere e per cui spero non vi offenderete. Nell’antichità la Conoscenza apparteneva a pochi adepti a cui era affidata e tramandata, unici eredi di pratiche e testi secolari.

    Custodi della dottrina, che continuavano a spendere la loro vita ascetica nello studio e comprensione delle Sacre Scritture, analizzando parola per parola, ogni virgola, ogni espressione che aveva a quell’epoca un suo etimologico e preciso significato. Accezioni stravolte e ridicolizzate dall’allegoria del tempo. La vostra, come quella di tanti altri, è solo presunzione che alberga nella superficialità. Leggete la Sacra Bibbia come fosse un romanzo, se non addirittura un fumetto e avete la pretesa, senza approfondire né impegnarvi, di carpirne i segreti, il significato più profondo. No! Non è così che funziona!

    Voi sapete solo riconoscerne il simbolismo rapportandolo alla realtà che vi riguarda, ma dimenticate che ogni tempo ha una sua realtà, una sua cultura e scrittura, che in ogni tempo la parola ha un suo peso, con uno specifico significato. Ma voglio venirvi incontro ammettendo che molti errori sono stati commessi. Vi svelerò un segreto... consideratela una confidenza, del tipo qui lo dico e qui lo nego! Il Male per molto tempo ha indossato la tiara come vicario di Cristo e, come capo indiscusso della dottrina, ha potuto così mischiare le carte. È stato furbo, molto furbo. Ha tenuto ben salde le redini del fondamentalismo, sfoderando anche la spada, all’occorrenza. Ha imposto falsità storiche ritoccandole nel tempo e non ha voluto riconoscere, volutamente, possibili verità concomitanti. Di fatto la sua furbizia e lungimiranza è stata tale, da gettare il seme per quel relativismo che ora corrode le basi del nostro credo. Eredità e Verità, queste sì che delegittimano ogni nostro sforzo e di cui oggi paghiamo pegno.

    Ma ora torniamo a noi, allo scomparso, Bruno. Quel prete, don Italo, mi ha anche confermato che questo paesino è stato raso al suolo durante la II Guerra Mondiale e che nessuno dei suoi abitanti è sopravvissuto. Per contro, la persona che stiamo cercando è originaria di questi luoghi. Ho fatto degli accertamenti in merito e ne sono certo, ma quel parroco asserisce che dai suoi libri Cogna Bruno risulta deceduto nel 1943. Secondo lui stiamo cercando un impostore.

    — Diamine... un prete che dà dell’impostore a un suo collega!

    — Quasi collega... Non gli ho detto chi era, né che avrebbe preso i voti a giorni!

    — Sarà un caso di omonimia. Come lei di certo sa, in questi paesini una volta erano tutti imparentati tra loro!

    — Già... accertato anche questo: non esistono due Cogna Bruno nei registri parrocchiali, ma non è stato possibile fare lo stesso accertamento negli archivi dell’anagrafe, in quanto nel conflitto andarono distrutti.

    — Allora potrebbe esser avvenuto un ultimo miracolo da queste parti e questo Bruno forse è risorto, come Cristo!

    — Non scherzate su queste cose, vi prego!

    Cercarono indizi per tutto il pomeriggio, ma dell’anziano novizio non v'era alcuna traccia. La casa dei genitori risultava abbandonata e, a dire dei vicini, che non sapevano neanche come questo Bruno fosse fatto, era sbarrata da sempre. Si era semplicemente volatilizzato. Don Emanuele prestava attenzione a ogni dettaglio, cercando appigli che dessero uno spunto di indagine, mentre Alfio furtivamente scrutava il suo nuovo collega cappellano. Era un uomo bruno di media altezza, un ometto tutto nervi, dalla incipiente calvizie, ma con barba e baffi folti e lunghi. Gli occhi piccoli e incavati sprofondavano tra le rughe concentriche, come due cheti laghi sul fondo di un cratere. D’un blu profondo, il suo sguardo era fisso e proiettato in avanti, così come il corpo leggermente ingobbito. Di età indefinibile, alternava l’energia di un quarantenne alla spossatezza di un settantenne, al pari della sua andatura e del volto mutevole, a volte disteso come il sedere di un bambino e subito dopo incartapecorito come quello di un vecchio. Il cappellano faceva congetture di varia natura sulla presenza del neo-adepto in quel luogo, dovuta secondo lui più a dei poteri extrasensoriali che si mormorava egli avesse. Non credete neanche a queste cose, immagino! — aveva obiettato il prete, con ghigno sardonico. Era evidente che si era convinto dell’impostura di quel novizio e di certo per lui non erano gli affetti ad averlo ricondotto sui luoghi della sua giovinezza, ma ciò che lì un tempo — e forse tutt’ora — vi accadeva. Si era lasciato sfuggire qualcosa su quel tale architetto e sulla chiesa eretta in quei luoghi, l’antica chiesa dei miracoli e delle apparizioni, commissionata nel medioevo da quel papa molto equivoco e bombardata per sbaglio dagli americani durante la II Guerra Mondiale. Vedete, lassù sul cocuzzolo, quei ruderi che si intravedono appena è tutto ciò che ne è rimasto... gli aveva indicato, additando la svettante rocca in rovina che ancora sovrastava il borgo antico. Alfio avrebbe voluto richiedere l’intervento della Polizia Scientifica, ma il prete, incupendosi, vi si era opposto con fermezza, asserendo che per i casi come questo la scientifica di certo non servisse a nulla. Ma soprattutto aveva ribadito e sottolineato che di tutto ciò di cui si sarebbero andati a occupare, nessuno, tranne loro e i rispettivi referenti al Ministero e in Vaticano, doveva venirne a conoscenza. Alfio aveva quella certa sensazione di 'poco chiaro', che da tempo aveva imparato a non sottovalutare.

    Don Emanuele lo aveva invitato a bere qualcosa prima di rientrare a Roma, per brindare a quella nuova collaborazione, all’inusuale sodalizio tra un poliziotto e un prete. Alfio, di ritorno dal bagno, lo aveva ritrovato seduto fuori dal bar, il Caffè del Falco, nell’adiacente piazzetta in cui era stato improvvisato un tavolo per loro. Aveva già ordinato per entrambi e a lui, con suo grande stupore, la barista aveva servito il suo whisky bourbon preferito con tre cubetti di ghiaccio, il solito insomma! Interdetto, Alfio aveva alzato lo sguardo su quel prete che lo fissava con un ghigno ironico e divertito:

    — È di vostro gradimento, spero...

    — Ha preso informazioni su di me?

    — Certo, sarei stato uno sciocco a non farlo... ma non certo sulle vostre abitudini private! Ho tirato a indovinare, in questo bar non c’è molta scelta — ribadì il prete, continuando a osservarlo compiaciuto e sorseggiando pacatamente la sua grappa.

    — Quindi lei è anche un indovino. Ammetto che mi ha stupito!

    — Stupito? Beh, se vi meravigliate per così poco caro collega, cosa accadrà a breve?

    — Perché, cosa dovrebbe accadere a breve?

    — Vedrete, vedrete! Secondo voi è meglio se la facciamo rimuovere subito o attendiamo che lo scomparso ricompaia? — asserì interrompendo bruscamente l’allusione e indicando la macchina di Bruno.

    — Ho l’impressione che lei non creda a una sua ricomparsa, almeno non in questa vita!

    — Credete bene, purtroppo. Sono tempi difficili, molto difficili! Questo Bruno non è un impostore, anche se gli accertamenti dicono il contrario. Conosco personalmente chi lo adottò molti anni fa e, credetemi, non è di certo un ingenuo. Mi dicono che sin da piccolo avesse delle inspiegabili e sorprendenti doti. Io li definirei 'doni paranormali', ma non vorrei urtare la vostra suscettibilità. Temo che Bruno li abbia usati una volta di troppo, nel luogo sbagliato e male, e che il Male, quello vero, abbia vinto riprendendoselo.

    Che voi ci crediate o no, il Male, Satana, Lucifero se preferite, è tra noi e continua a inviare i suoi falsi profeti. A volte riescono nelle loro imprese, altre no!

    — Mi dice che non vuole urtare la mia suscettibilità, ma poi mi parla del Male come una entità reale, viva, in carne e ossa... addirittura mi ha confidato che avrebbe incarnato o traviato più di qualche papa…!

    — Perché è così!

    — E Dio cosa fa, sta in finestra a guardare?

    — No, ha già fatto fin troppo per noi poveri peccatori. Ci ha donato la vita per onorarlo, il Creato per rammentarlo. Ci ha resi liberi, liberi di fraintendere i suoi stessi insegnamenti. Le catene ce l’abbiamo messe noi! Vedete... voi, come altri, fate confusione. La vera astuzia del maligno non è stata solo quella di farci mangiare il frutto dell’Albero della Conoscenza, ma il negare quella Conoscenza, ridicolizzandola e svuotandola dei suoi contenuti. E in questo, senza ombra di dubbio, le religioni lo hanno agevolato, per affermarsi e imporsi. E la razza umana, per sentirsi svincolata e importante, lo ha aiutato.

    Le similitudini di cui voi prima parlavate sono esatte. Il simbolismo della Sacra Bibbia infatti è antecedente di almeno duemiladuecento anni dalla sua divulgazione. I Sumeri, con quello che viene denominato Il Cilindro di Adamo ed Eva, vi avevano già raffigurato la Genesi, con tanto di frutta e serpenti. C’è un dio pellerossa, un certo Manitù, che plasma dal fango come Geova l’uomo. Si è scoperto che Cristo è più vecchio di dodici anni e che probabilmente i Vangeli non sono stati scritti dagli apostoli. Addirittura è oramai certo che Cristo non sia nato il 25 dicembre... e allora cosa vogliamo fare, abolire o spostare il Natale? Visto che la storia è imprecisa o ci sono incongruenze accertate, si vorrebbe smantellare la storia stessa e renderla menzognera? Che senso ha, e per chi?

    — Per queste incongruenze molte persone sono morte straziate e altre continuano a morire su mandato di questa o quella religione!

    — Purtroppo è vero, ma come vi ho già detto c’è sempre il ditino del maligno in ogni fondamentalismo, o se preferite, la sua coda. Quando un credo diviene fanatismo è solo una aberrazione. Ma appartiene solo all’uomo questo travisare, questo degenerare e non al credo, qualsiasi esso sia! Queste incongruenze, per cui voi sareste disposto a smantellare o a sminuire la Sacre Scritture, possono avere varie spiegazioni. Ammettiamo che io sia Adamo, ai primordi del divenire umano: i miei figli generano altri figli, che vanno per il mondo a popolarlo. I figli migrano, uno va in Africa, uno in Asia, uno in America e un altro in Oceania. Questi generano altri figli, che in base al clima e alle leggi evolutive che ben conosciamo, morfologicamente cambiano e si adattano. Cosicché in Africa ora hanno la pelle nera, in Asia gialla e via dicendo, eppure sono cugini. Sviluppano lingue proprie, usanze e culture. Ma ancor più religioni proprie, un modo diverso di rapportarsi a Dio. Ma l’insegnamento iniziale è lo stesso per tutti. Nulla a che vedere con scippi e interpretazioni varie. Come vedete, le possibili ipotesi e obiezioni sono tante, e purtroppo tali resteranno!

    Il viaggio di ritorno fu molto istruttivo. Don Emanuele gli aveva fatto un sunto sugli usi e costumi di quel nuovo ufficio istituito da poco e praticamente composto da due operatori, loro due appunto. Sono tempi difficili, molto difficili! — continuava ad affermare il religioso. Quella S stava per Speciale, Ufficio Speciale dei Rapporti con il Vaticano. Alfio non aveva capito bene di cosa e di così speciale si sarebbero andati ad occupare, visto che di persone ne scomparivano a decine ogni giorno, ma dall’atteggiamento serioso e visibilmente preoccupato dell’abate, aveva dedotto che il vescovo Servus della Confraternita dei Tredici Mariani, padre adottivo nonché confessore spirituale dello scomparso e con cui avevano appuntamento quella sera, non doveva andare molto a genio al suo collega. Infatti, a conferma di ciò, don Emanuele gli aveva telefonato all’ultimo minuto, asserendo di non poter presenziare all’incontro per un malore improvviso che lo costringeva a letto. Ribadendo l’importanza di quell’appuntamento per la soluzione di quello che continuava a definire uno strano caso, gli aveva consegnato la via e il civico, aggiungendo con ironia: Sarete ospite della Abbazia Nera di Servus!.

    Alfio era giunto sul posto, ma quello che riusciva a vedere al di là della rigogliosa recinzione perimetrale, tutto poteva sembrare tranne che un luogo di culto, tanto meno un'abbazia, nera o bianca che fosse. Titubante, cercava di decifrare le strane sensazioni che continuava ad avvertire, formicolii che gli intorpidivano i pensieri. Stava per schiacciare il pulsante del citofono quando una voce, da dietro la grigia porta di ferro, anticipandolo lo invitò a entrare. Spinse il portone che dava sul giardino, convinto di trovarvi dietro il padrone di quella voce, ma non c'era nessuno. Un ghigno mostrò il pallore dei suoi denti, come quello della ghiaia bianca sparsa sul vialetto, che condusse il suo sguardo nella penombra sino alla sagoma scura di un uomo seduto, che venti metri più in là lo stava attendendo.

    Non è possibile! — bofonchiò sconcertato tra sé e sé. Fece alcuni passi in direzione di quella indefinibile sagoma, poi si fermò. Lo avrebbe dovuto sentire, avrebbe dovuto almeno percepire quell‘uomo allontanarsi, così come poc’anzi aveva udito il crepitante calpestio dei propri passi sulla ghiaia. Come aveva fatto? Impensabile quel repentino spostamento! Il tempo di spingere un portone e quell’uomo aveva percorso venti metri, e ora lo attendeva tranquillamente seduto. Tirò fuori le sigarette e l’accendino dalla tasca, prendendo tempo, per abituare lo sguardo all’oscurità circostante e individuare eventualmente un complice di quel bizzarro scherzo.

    — Venga, venga prego, si accomodi Ispettore. Mi scusi, ma qui non si può fumare, questo luogo è sacro! — Era la stessa voce che lo aveva invitato a entrare e apparteneva a quell’uomo che ora, a dieci metri di distanza, vedeva seduto su una sedia a rotelle.

    — Non sono un ispettore, ma un agente, lei è… Il vescovo Servus? — domandò il poliziotto, alquanto sospettoso e sconcertato per l’accaduto.

    — In ossa e poca carne, direi, Assistente Capo Perti Alfio. La stavo attendendo — rispose il vescovo, che sottolineando il suo nome e il suo grado svelava la sua intenzionale cortesia. Accennò a una stretta di mano. Di certo non si sarebbe inginocchiato per baciargliele, lui non era così riverente! Ma il vescovo, anticipandolo e ammiccando, mostrò le bende che le fasciavano completamente. Davvero quell’uomo era tutto pelle e ossa. Sembrava che la testa gli si fosse rattrappita tra gli occhiali e che da un momento all’altro quel naso aquilino potesse cedere sotto il loro peso. Completamente canuto, dalla folta chioma che gli lambiva le spalle, baffi e barba ben curati, rassomigliava a uno di quei personaggi biblici o a un mago di stampo medievale. Il suo sguardo attento e vivace stonava con quel corpo emaciato, infermo, dalle caviglie bendate che si intravedevano appena, sotto la copertina che lo copriva dalla vita in giù. Aveva già visto persone come lui, accompagnando da bambino suo padre negli ospizi in cui prestava volontariato. Ma avvertiva una strana contraddizione in quel vecchio: quell’uomo non era malato, seppur ne avesse le sembianze.

    — Noto che la mia persona la interessa molto.

    — Oh, mi scusi signor vescov… Eminenza, ero sovrappensiero.

    — E perché? Lei è un poliziotto, non deve scusarsi... osservare fa parte del suo lavoro!

    — Certamente Eminenza.

    — E poi, credo che anch’io sarei curioso se vedessi uno come me, pur non essendo un agente di Polizia. Mi scusi, ma a quest’ora amo stare in giardino, è la mia ora d’aria. Di giorno qui è irrespirabile tra auto e smog, ma se lei ha freddo possiamo rientrare!

    — Sono ben coperto, non si preoccupi.

    — Vuole un caffè, un tè?

    — Un caffè grazie, se non è troppo disturbo. — Un frate sbucò dall’ombra che avviluppava il retro della casa, prendendo l’ordinazione.

    — Le dispiace se le faccio qualche domanda di carattere privato? So che le domande generalmente le fa lei, come so che un buon poliziotto deve stare attento più a carpire notizie che a fornirle, ma vede io sono curioso per natura e…

    — Va bene Eminenza chieda pure.

    — Lei è ateo o crede che…?

    — Credo che al mondo ci sia troppa bellezza, per esser semplice casualità.

    — Lei crede in Dio dunque!

    — Credo in una entità superiore, che sicuramente è morta di parto. Ma ancor più credo in un tramonto, come in una alba che rischiara l’occidente come l’oriente!

    — Usa delle metafore, bene, anche se è insolito per un giovanotto come lei! Interessante. Veramente crede che Dio sia morto di parto?

    — Come giustificarlo altrimenti!?

    — E già, non ha tutti i torti... Lei è sposato?

    — Lo sono stato, ma con il mio lavoro, Eminenza.

    — Lo è stato. Vuol dire che non lo è più?

    — No. Sono stanco e amareggiato, largo ai giovani!

    — Non mi dirà mica che si sente vecchio!

    — No, ma penso che un uomo a una certa età si debba rimettere in discussione, o perlomeno io vorrei farlo. Ho accantonato troppe cose di cui ora vorrei occuparmi.

    — E cosa glielo impedisce?

    — Il sistema. Il semplice fatto che per mangiare bisogna lavorare.

    — E lei non è il tipo da combinare insieme le due cose, vero?

    — No, per natura amo farne una alla volta, a cui dedicare anima e corpo.

    — E ai figli, a una moglie... non ci ha mai pensato?

    — Chi è che non ci pensa?

    — Beh, c’è anche chi dona anima e corpo a Dio, con degli obblighi ben precisi!

    — Obblighi che ultimamente sono messi in discussione, Eminenza!

    — Così sembra figliuolo. E lei cosa ne pensa?

    — Penso che un prete è tale proprio per quegli obblighi.

    — Nel caso contrario, un prete sposato non sarebbe un buon prete?

    — Sarebbe un buon religioso, come un buon poliziotto o un buon infermiere.

    Fu interrotto dal frate che gli porgeva una tazza di caffè fumante. Alfio nel prenderla notò sul suo polso dei tatuaggi, appena visibili fra la manica del saio e il guanto. Quello strano frate, come un lebbroso, era coperto dalla testa ai piedi. Uno Zorro con tanto di maschera, gli mancavano solo cavallo e spada. Mollò la presa fingendo d’essersi scottato le dita e costringendo il frate a una mossa repentina per non far cadere la tazzina, gesto che svelò meglio sotto la manica buona parte di ciò che il furbo poliziotto voleva vedere.

    — Ottimo caffè! — affermò.

    — Lo sento dall’aroma, a me non è concesso... — ribatté con rammarico il vescovo.

    — Senta Eminenza, lei sa perché sono qui?

    — Perché lei fa parte dell’ufficio S e state indagando sulla scomparsa del mio figlioccio.

    Un tempo quell’ufficio era denominato con una P... Mai visto un ufficio così camaleontico!

    — Cosa? Ah… sì, sì è vero. È una sezione un po’ particolare!

    — Per l’appunto, era denominata proprio Particolare e non Speciale, in passato. Non lo sapeva? Cosa le hanno detto, che è un ufficio istituito da poco? Vedo che la politica è sempre la stessa, come la procedura. Quell’ufficio di particolare ha solo la promiscua cecità di chi lo dirige, null’altro, ed è di certo pericolosa oltre che nociva!

    — Non la seguo, Eminenza...

    — Come potrebbe! Lei si reputa un buon poliziotto?

    — Mi fa piacere pensarlo, anche se ho delle lacune enormi.

    — Di che natura, se è lecito?

    — Beh, non sono uno che vuole far carriera!

    — Adesso non la seguo io, cosa intende?

    — Scusi Eminenza, ma così le domande le fa solo lei, e so che non mi concederà molto altro tempo, vista la sua cagionevole salute. Don Emanuele mi aveva annunciato che questo colloquio sarebbe durato un’ora e non di più!

    — Ah, don Emanuele... già. È vero, ma lei risponda alle mie domande e vedrà che in poco tempo sarò molto esaustivo.

    — Sono entrato in Polizia ventitré anni fa. Allora non avevo una vocazione particolare per questo lavoro, amavo viaggiare. L’unica cosa che mi convinse a entrarvi, oltre alla forte ostinazione dei miei genitori adottivi e del mio padrino, fu la matematica!

    — Continuo a non seguirla!

    — Scherzo Eminenza! Fu il semplice fatto che facendo due conti, dopo diciannove anni, sei mesi e un giorno e cioè all’età di quarant'anni, avrei potuto andarmene in pensione.

    Lei ricorda le baby-pensioni? Il contratto che firmai allora era molto chiaro. Avrei donato

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