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L’altro fantasy: Senza draghi né spade
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L’altro fantasy: Senza draghi né spade
E-book67 pagine59 minuti

L’altro fantasy: Senza draghi né spade

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Scaturita dal concorso “Riscontri letterari”, la raccolta L’altro fantasy – nonostante lʼattuale dilagare del genere fantasy in letteratura, illustrazione, cinema, televisione, videogiochi – è molto lontana ai luoghi comuni fatti di fate, maghi, elfi, orchi, draghi e quantʼaltro. Infatti, il tono generale dei racconti presenti nell’antologia rimane quasi sempre quello tra lʼonirico e il surreale
Consciamente o inconsciamente sembra aver influito colui che in Italia è stato il maestro del soprannaturale, Dino Buzzati. La piccola, strana magia nascosta dietro lʼangolo di casa, spesso con un velo malinconico, anche se non mancano elementi umoristici e di satira sociale. In contrapposizione a unʼestetica fantasy (e fantascientifica) sempre più imbottita di effetti speciali perfetti e roboanti, qui domina il silenzio. Un silenzio tra il poetico e lʼinquietante, tutto da leggere tra le righe.

Dario Rivarossa “ilTassista Marino” (nickname che onora i partenopei Torquato Tasso e Giambattista Marino) è piemontese residente a Perugia. Lavora come traduttore da inglese e tedesco, e per diletto anche dal latino o in latino. È inoltre giornalista, conferenziere, artista digitale. Ama il genere fantastico nelle sue varie declinazioni. Ha allʼattivo il romanzo Il Divino Sequel e il saggio illustrato Dante Fantasy (di prossima pubblicazione), entrambi per i tipi del Terebinto. Siti web:
https://tassonomia.blogspot.com sulla cultura rinascimentale e barocca,
https://bettertranslatethan.blogspot.com per le traduzioni,
https://www.behance.net/dariorivara869 per i lavori grafici.
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2019
ISBN9788834140772
L’altro fantasy: Senza draghi né spade

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    L’altro fantasy - Dario Rivarossa

    Note

    Prefazione

    Si fa presto a dire fantasy! Un genere letterario che ormai da parecchi anni fa la parte del leone in libreria e al cinema. Scaffali straboccanti nelle librerie, a detrimento della fantascienza spesso mestamente confinata in un angolo (ma anchʼessa ben rappresentata nel concorso del Terebinto, onore al merito). Scrittori fantasy dʼimportazione, come sempre, ma stavolta anche scrittori nostrani, anzi soprattutto una scrittrice, Licia Troisi. Così come è italiano un grande artista di questo stesso settore, Paolo Barbieri; vale la pena ammirare le sue illustrazioni fantasy per lʼInferno dantesco o lʼApocalisse. Senza contare la serie tv più cult del momento, Trono di spade. E infine il cinema: dalla monumentale epica del Signore degli Anelli di Tolkien è stata tratta una trilogia, e ci sta, ma sono stati ricavati tre film anche dal ben più snello volume dello Hobbit. Il genere impera. Detto tra noi, al netto delle astronavi, già la prima serie di Star Wars alla fin fine era una saga fantasy.

    Eppure.

    Eppure, se diamo unʼocchiata ai racconti inseriti in questa antologia, brillano per la loro assenza quasi assoluta proprio gli ingredienti più caratteristici del fantasy: fate, elfi, orchi, animali strani, draghi, oggetti magici, ricerche avventurose, alti destini, battaglie di cappa e spada. Sarà forse un caso dovuto ai mille fattori che hanno condizionato la partecipazione al concorso, ma il tono generale di questi testi – senza che ci si mettesse dʼaccordo – rimane quasi sempre quello tra lʼonirico e il surreale.

    Consciamente o inconsciamente sembra aver influito colui che in Italia è stato il maestro del soprannaturale, ossia Dino Buzzati. In comune con lui gran parte degli autori presenti nellʼantologia hanno il velo poetico, nonché malinconico, che avvolge le situazioni. A volte poi un’atmosfera non solo cupa ma tragica pesa sui personaggi. Compare in altri casi una più frizzante satira sociale, che è anch’essa comunque un tratto distintivo di Buzzati. E ancora, come nello scrittore bellunese, le trame sono spesso minimaliste, senza chissà che eventi clamorosi, ma lasciando al lettore il compito di ascoltare dentro di sé il silenzioso non-detto.

    Quindi buona lettura a tutti e, soprattutto, buon ascolto del silenzio.

    Dario Rivarossa

    Il Racconto di Fred

    di Alessandro Agnese

    L’ho conosciuto qui a Torino, Fred. L’ho notato subito: faccia distratta e postura di chi cammina a due palmi da terra. Per me è stato folgorante; mai m’era successo di vedere una cosa del genere. E lui s’è sentito osservato, lo credo bene, e allora, con voce fievole ma penetrante, m’ha chiesto se per caso avessi bisogno di qualcosa. «Certo che no», gli ho risposto, eppure non potevo fare a meno di continuarlo a fissare: con la sua pelle così chiara, trasparente, e quel suo goffo modo di stare dritto che sembrava un sacco vuoto, era più magnetico di Palazzo Carignano.

    Eravamo in piazza Carlo Alberto e di gente ce n’era un po’, solo io, però, prestavo tanta cura alla sua forma. Vagabondava malinconico per la piazza come un’ape che danza per comunicar qualcosa agli altri, che però gli passavano attraverso come se lui non esistesse.

    Eppure era nudo e in nessun modo poteva passare inosservato.

    Dopo aver sentito la mia risposta, se ne è andato con uno scatto laterale; ha girato l’angolo di Via Cesare Battisti e poi l’ho perso di vista. Dopo qualche istante di stordimento, sbalordito da quella scena, mi sono incamminato nella nebbia mattutina; nel grigio che ricopriva tutta quanta la città. Era il primo giorno di università, ero euforico e speravo con tutto me stesso che ci fossero tante ragazze ad aspettarmi in aula.

    Sono passati diversi mesi prima che io lo rincontrassi. Di ragazze non ce n’erano poi molte nel mio corso e io di certo non ero il tipo che osasse corteggiarle. Le lezioni non erano male, eppure non mi coinvolgevano e restavo distratto per tutto il tempo a pensare a cose a cui non avevo mai pensato. Ai miei genitori, ad esempio, e al mare che a Torino non c’è. Cose a cui prima non davo valore, perché le avevo tutti i giorni, ora invece ce lo avevano perché ne sentivo la mancanza.

    Un giorno, in cui mi sentivo più solo del solito, sono uscito di casa presto e ho fatto un giro per la città quando il sole ancora non s’era svegliato. Abitavo in Via Lagrange, ai tempi, all’angolo con via Giolitti, e per andare a Palazzo Nuovo passavo sempre per Piazza Carlo Alberto. Quel giorno avevo tempo e potevo fermarmici e così mi sono fumato una sigaretta proprio sotto agli zoccoli del cavallo di Carlo che, visto così da sotto, era imponente quanto il monumento di Gengis Khan sulle rive del Tuul Gol. Tra le gloriose zampe dell’immobile perissodattilo c’erano una serie di bottiglie in plastica e numerose lattine d’alluminio, dalle quali sgorgavano liquidi che insozzavano di appiccicoso la base del monumento. Fissavo, fumando, quello sporco

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