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L'usurpatore
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E-book429 pagine6 ore

L'usurpatore

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Info su questo ebook

Gli ultimi anni del ‘200 sono durissimi per il già provato Impero Bizantino, recentemente ricostituitosi a Costantinopoli, sotto la spregiudicata e agguerrita famiglia dei Paleologi.
Quel che rimane delle ricche province d'Asia Minore è caduto nell’anarchia. Bande di razziatori turchi, avide di bottino e terre, saccheggiano ripetutamente le campagne, costringendo i cittadini dell’impero a tentare una disperata fuga verso la costa o ad arroccarsi dietro alle mura di antiche e solide fortezze.
Nel frattempo Karman Bey, signore musulmano di Mileto, aumenta il suo potere a dismisura e raduna un esercito abbastanza grande da convincere la corte di Costantinopoli a rispondere con ogni mezzo a sua disposizione. Il sogno turco di conquistare la “regina delle città” sembra poter diventare una triste realtà.
il Basileus Andronico II ripone le sue speranze nel giovane nipote Alessio Filantropeno, incaricandolo di porre definitivamente fine alla pressione nemica e conservare quanto rimasto, prima che sia troppo tardi. Alessio, euforico all'idea di mettere in mostra le proprie qualità come comandante militare, scoprirà che gli intrighi, i giochi di potere e la guerra hanno sempre un prezzo da pagare, e le sue illusioni giovanili andranno incontro ad una realtà amara.
LinguaItaliano
Data di uscita5 mar 2020
ISBN9788835380665
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    Anteprima del libro

    L'usurpatore - Emanuele Rizzardi

    Emanuele Rizzardi

    L'usurpatore

    Romanzo Storico

    UUID: 4e3bdcb9-4def-4ce3-91ba-b28d7305b38f

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    Prologo

    1. Verso l’Asia

    2. L’Armeno

    3. Teodoro e Livadario

    4. La guerra

    5. Osman

    6. Vecchio Castello

    7. Ninfeo

    8. Filadelfia

    9. Alleati vecchi e nuovi

    10. La lettera

    11. Tralli

    12. Nýsa

    13. Il Meandro

    14. Karman

    15. Due Colline

    16. Belisario

    17. Priene

    18. Lascaris

    19. Basileus

    20. Efeso

    21. Desideri

    22. Coraggio

    23. Usurpatore

    Epilogo

    alla mia famiglia,

    Prologo

    Tessalonica, gennaio 1324

    Quando riceverai questa lettera, mio caro Michele, potrei essere un cadavere, freddo e rigido, in una fossa comune. Chi ti scrive è Alessio Filantropeno, il tuo vecchio e logoro padre, o almeno quanto di lui rimane.

    Oggi sono venuti a casa dei soldati di Andronico. «Preparatevi Filantropeno, perché domani mattina a quest’ora verremo a prelevarvi e sarete scortato a Costantinopoli. Ordini del basileus», mi hanno detto, senza far trasparire troppe emozioni. «Che sia così!», ho risposto senza protestare e quasi sogghignando.

    Non ho alcun dubbio sul mio destino e in un certo senso vi anelo da molti anni. Sono stanco, il nero dei miei capelli ha lasciato totalmente spazio a un grigiore pallido, mentre la mia pelle chiarissima diventa sempre più insofferente ai raggi del sole, facendomi sentire un reietto rintanato in casa.

    Non sono per niente dubbioso sul perché il basileus mi faccia prendere per uccidermi proprio ora, dopo quasi trent’anni dal nostro ultimo incontro; la mia stessa esistenza è un affronto alle sue politiche fallimentari. Io sono la prova vivente dell’inettitudine, miopia e stupidità del nostro sovrano Andronico II Paleologo, per volontà di Dio, ma non certo mia. Me lo aveva detto, vedremo se ora avrà almeno il fegato di mantenere la parola.

    Gli occhi di chi, come me, ha ricevuto la carezza di una lama rovente sono molto deboli e questo sforzo di scrittura mi sta costando ben più di un dolore, perciò presta molta attenzione a queste mie parole e perdonami per eventuali errori; non è facile riassumere tanti fatti a distanza di molto tempo.

    Nonostante la mia vista sia appena un sussulto, quando chiudo le palpebre, riesco nitidamente a scrutare i campi di battaglia, i corpi aperti con gli intestini sparsi sull’erba, le smorfie contorte e disperate di chi cerca di sopravvivere, ma ha già una lama conficcata nell’inguine e non arriverà all’imbrunire. I prigionieri torturati, i saccheggi, gli stupri di massa, i cadaveri dei bambini ammassati come pile di sterco ai bordi della strada, avvolti nel fumo e nella polvere. Tutto questo è ancora vivo e vitale dentro di me, come se fosse passato appena un minuto.

    Da quando sei partito per la tua campagna militare in Epiro, la nostra casa di Tessalonica non ha più alcun occupante, a parte me. So che ti eri duramente raccomandato perché tenessi almeno un servo, ma ammetto di averli cacciati via non appena hai varcato le bianche porte della nostra città. Devi perdonarmi, ma non ho mai sopportato che degli estranei mettessero le loro mani nella mia vita, sono sempre stato riservato e sto bene solo in compagnia del mio silenzio. Voglio restare solo, specialmente da quando è morta tua madre. Ma questo lo sai… sei mio figlio.

    Per questo ti invito a mandare qualcuno a casa in tua vece, perché un edificio vuoto, specialmente uno grande e spazioso, vicino all’acropoli e costruito con solida pietra attira come vespe prima i razziatori e poi tutti quei disgraziati che hanno la sfortuna di dormire sotto gli archi dei ponti o dei muri pubblici.

    Ma non ti scrivo solo per questo, lo faccio perché mi sento in dovere di darti qualche spiegazione su come siano andate veramente le cose fra me e Andronico, ora che siamo giunti alla resa dei conti. So bene di essere stato molto elusivo in tutti questi anni, ma la mia vita non è stata facile e non sono mai stato bravo a parlare di fatti dolorosi, inoltre non ho mai voluto mettere in pericolo la nostra famiglia, in particolare tuo fratello Graziano (ricordarlo coperto dalle piaghe della peste, mi riempie ancora di dolore), che fu concepito e visse i suoi primissimi istanti in un momento particolarmente delicato e pericoloso.

    Sappi che in questa lettera avrai solamente la verità, la pura, semplice e cruda verità. Ora che anche tu stai percorrendo le mie orme come soldato, fai tesoro delle mie parole, potrebbero tornarti utili in futuro, perché gli uomini cambiano volto con il tempo, ma i loro caratteri e pensieri restano sempre uguali, tramandandosi come un’eredità alle generazioni future. Ormai sei un uomo fatto e finito, alto, robusto e intelligente, ma devi imparare a camminare da solo, anche in un mondo difficile come il nostro. Ti darò consigli e ti farò rivivere le mie esperienze attraverso l’inchiostro, tutto ciò che non ti ho mai raccontato, nonostante i tuoi capricci di bambino, te lo dirò ora, da uomo a uomo.

    La mia storia inizia qui, in questa stessa città di sarti e mercanti nella quale ho passato praticamente tutta la vita.

    Tu eri ancora ben lontano dal nascere, io ero giovane e forte, con le spalle larghe e la schiena dritta ed ero uno stimato capitano al servizio dell’Impero dei Romani, quando ancora svettavano a testa alta le bandiere con l’aquila d’oro e la croce della nostra famiglia…

    1. Verso l’Asia

    Tessalonica, gennaio 1293

    Ricordo bene l’inverno del 1293 perché la neve scese fitta e pesante ben prima di quanto mi aspettassi, colpendo la mia armata mentre si trovava ancora accampata nell’alta Macedonia, reduce da lunghe scaramucce contro i Serbi e i Latini, nostri nemici antichi e potenti ieri come oggi.

    Faticammo non poco a percorrere le strade ghiacciate, trasformate in pantani, che ci facevano affondare fino alle caviglie, ma alla fine raggiungemmo la sicurezza e il caldo dei fuochi di Tessalonica. Spostare ottocento uomini in pochi giorni fu senza dubbio la mia impresa più grande, fino a quel momento, e non ne persi nemmeno uno nonostante i feriti e i malati fossero molti.

    Era mia intenzione farli riposare per tutto il periodo invernale e riprendere il conflitto in Epiro verso marzo, felice di poter passare del tempo con tua madre.

    C’eravamo sposati da pochi mesi, con una cerimonia frettolosa, quasi triste, perché la guerra ci consumava come tizzoni nel fuoco vivo e non c’era tempo per i piaceri della vita.

    Nonostante non dipendesse da me, mi sentivo in colpa; per questo spesi una fortuna per comprare una villa in una delle strade che portano all’acropoli e lì ci stabilimmo, insieme. Speravo bastasse a farle comprendere che non ero poi tanto negativo come marito.

    Era molto diversa dalla casa che sei abituato a vedere ora, perché il secondo piano era composto solamente da una piccola stanza da letto e il tetto era infestato da ogni genere di uccelli, ma aveva una bellezza rara che mi colpì al primo istante; ed era antica, fatta di pietre che ora non si trovano più, chiare ma con venature che ricordano l’ambra dei pini.

    Tua madre sembrava felice, anche se la sua innata timidezza e la giovanissima età di entrambi (ti ricordo che al tempo avevamo ventidue anni io e quattordici lei) ci rendevano difficile l’improvvisa convivenza. Erano le prime volte che avevo seriamente a che fare con una donna e non sapevo bene come comportarmi per farla sentire a suo agio, ma ti giuro che me ne preoccupavo ogni istante, anche se non lo dimostravo o molte volte sembravo preso solamente dai miei pensieri.

    Una notte, credo fosse il quindici di gennaio, mentre tua madre dormiva, io vagavo inquieto per casa come uno spettro, soffermandomi di tanto in tanto a vedere la neve che cadeva fuori dalla finestra. Faticavo spesso a prendere sonno quando faceva molto freddo e in qualche modo sono convinto che il gelo sia accompagnato dagli spiriti dei morti.

    Infatti, le visioni dei miei commilitoni caduti, o peggio, di quelli che avevo punito per un saccheggio o uno stupro, mi tormentavano come una lama nei polmoni. Mi domandavo se avessi fatto la cosa giusta o se fossi io ad essere debole, troppo sentimentale. In effetti, sono sempre stato un uomo pieno di dubbi.

    Improvvisamente i miei pensieri furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta, colpi pesanti e ben cadenzati ad un orario non esattamente consono.

    Dallo spioncino vidi un anello col sigillo dell’aquila imperiale dei Paleologi.

    «Sono il basileus Andronico, apri», disse una voce che fu subito familiare.

    Feci entrare lui e i dieci uomini che aveva come scorta. Erano infreddoliti e con i mantelli coperti di ghiaccio, i loro volti germanici sembravano più gelidi del vento delle loro terre.

    «Andronico, zio. Non mi aspettavo una tua visita oggi… e a quest’ora». Lo abbracciai calorosamente.

    «Mio caro Alessio!», disse lui, stringendomi le spalle con forza.

    Fece un cenno e le guardie ci lasciarono soli. Sedemmo insieme davanti al camino, su sedie rivestite in pelle di montone. A vedere mio zio senza corona e abiti da cerimonia, sembrava un semplice viandante, non il Sovrano dell’Impero.

    Stranamente non si lamentò per l’arredamento spartano, costituito solamente da pochi mobili in legno e nessun oggetto in oro o argento, nemmeno i calici, ma notò subito il pesante volume che avevo sbadatamente lasciato aperto sul tavolo, Gesta del generale Belisario , il mio libro preferito. Lo accarezzò con un dito.

    «Ti ho voluto fare una sorpresa, diciamo. Ho saputo dei tuoi successi contro i barbari e volevo congratularmi personalmente, sei il degno figlio di tuo padre, che Dio lo abbia in gloria», continuò, lodandomi con ammirazione. Nonostante fosse il basileus e sovrano dei Romani, amante del lusso e del bello, per me era semplicemente lo zio Andronico ed eravamo molto informali.

    Bevve un sorso di vino. «Sai, quando sono diventato basileus avevo più o meno la tua età, sono passati dieci anni ma nel mio cuore è volato solamente un giorno. Mi fa piacere vedere che il sangue della nostra famiglia sia sempre forte, tu sei giovane, eppure sei già famoso per le tue imprese. Un giorno i cronisti scriveranno di te, ci puoi giurare», mormorò Andronico.

    «Ti ringrazio, zio. Sei sempre troppo buono.»

    Vuotò il bicchiere. «Un ottimo vino. Come sta tua moglie… mmm… Teodora?»

    «Sì, si chiama Teodora. Dorme da diverse ore ma non temere di svegliarla, ha il sonno di un macigno. Sta bene, credo sia felice.»

    Tua madre… la amavo allora? No. C’era dell’affetto e della passione ma non ancora dell’amore. Quello sarebbe arrivato, anche se in quei momenti non me ne rendevo conto e non riuscivo a immaginarlo. Purtroppo i matrimoni dati da necessità politiche spesso non sono felici, ma io non posso che ritenermi l’uomo più fortunato; alla fine Dio mi ha benedetto, da questo punto di vista.

    Nonostante il vino e la piacevole compagnia sapevo che sarebbe successo qualcosa di importante, un sovrano non percorre miglia e miglia in inverno, prendendosi in faccia il ghiaccio e la neve, solamente per fare qualche complimento ad uno dei suoi nipoti, perciò aspettai con impazienza e il cuore che mi batteva come cento cavalli nel petto.

    «Ho fatto questo viaggio non solo per congratularmi, come avrai già intuito. Sto cercando un uomo disposto a rispondere alla chiamata del suo basileus», mormorò Andronico. La barba lunga e castana quasi luccicava per i riflessi del fuoco.

    «Lo hai trovato, zio.»

    Andronico sorrise appena, come se immaginasse quella risposta. Affondò le dita sottili nei capelli ancora umidi, poi sospirò profondamente. «Viviamo in tempi duri come l’acciaio. Sei troppo giovane per ricordare le gesta di mio padre, che fu basileus prima di me, ma confido che la tua curiosità ti abbia portato a informarti.»

    Io annuii col capo, avevo anche qualche vago ricordo del suo viso duro e pronunciato, la barba che gli avvolgeva il mento come una fascia. Memorie annebbiate dalla mia mente di bambino.

    «Mio padre…», continuò Andronico. «Quando i veneti e gli altri Latini d’occidente ci hanno colpito alle spalle e hanno saccheggiato Costantinopoli, noi Romani siamo fuggiti in Asia, nella ricca città di Nicea. Da lì abbiamo pianificato la nostra vendetta, che il mio amato genitore ha avuto l’onore di portare a compimento. Abbiamo ripreso la nostra capitale e molte delle terre greche, fra cui questa bella città di Tessalonica, questo lo sai bene… ma!», si alzò di scatto, quasi colpito da una saetta e si mise con la schiena contro il camino.

    «Tutte queste campagne militari hanno dissanguato le nostre finanze e lasciato scoperto il fronte orientale. Mentre combattevamo in Macedonia, Epiro e Tracia, i Turchi dell’est si facevano più baldanzosi e iniziavano a minacciarci spudoratamente. Prima lanciavano qualche attacco isolato, uccidendo dei contadini e bruciando piccole fattorie, e noi non ci davamo peso. Poi hanno iniziato a colpire interi villaggi con bande di cavalieri armati, razziando e devastando, allora ci siamo appena infastiditi. Infine, si sono resi abbastanza forti da espugnare intere città, violando mura di pietra e presidi armati di veri soldati, con armi d’assedio e tecniche di guerra avanzate. Sono diventati una piaga ormai troppo grande.»

    Mi alzai e gli riempii il bicchiere. I suoi occhi scuri erano lucidi e sembrava quasi tremare. Bevve tutto d’un fiato, come se fosse l’ultimo sorso.

    «Mentre parliamo i confini dell’impero diminuiscono come le vergini con gli anni. Ora sono a Filadelfia, domani a Ninfeo, magari fra qualche giorno perfino a Nicea.»

    «Tutto questo deve finire, zio! Sappiamo quanti sono e chi li comanda, chi è il loro sovrano più forte?», domandai preoccupato. «Come si chiama il loro signore guerriero?»

    Andronico alzò le mani, come in segno di resa. «Molte migliaia, impossibili da contare, quei maiali si riproducono come formiche. Il signore guerriero più pericoloso però è un certo Karman, che nei suoi deliri da folle si vanta che sarà il nuovo basileus dei Romani. Deve essere molto abile e intelligente, perché i Turchi erano divisi da tempo.»

    «Divisi da PARECCHIO tempo», aggiunsi con enfasi.

    Andronico annuì. «Esatto. Ma quel maledetto sembra poterli unire tutti quanti sotto un unico vessillo. Benché molte tribù siano ancora indipendenti, è solo questione di tempo prima che accettino un sovrano più forte e autoritario. Se così sarà, noi non avremo alcuna possibilità di resistere, così concentrati come siamo a difendere il nord dagli Slavi e l’ovest dai Latini.»

    Mi sentii coinvolto in prima persona, colpito nell’orgoglio di cittadino dell’impero. «Zio! Non possiamo permettere che continui così! Dobbiamo spazzare via quelle vespe prima che facciano il nido», intervenni, afferrandogli una mano. Ero un soldato e non esisteva cosa peggiore per me di vedere la nostra gente e le nostre terre razziate da orde di stranieri.

    Andronico mi sorrise, era esattamente la reazione che si aspettava. Mi strinse il polso con decisione, come se avessimo sugellato un patto fraterno.

    «Goditi questi mesi di licenza, in primavera sarai capo di una spedizione per l’Asia. Non mi aspetto miracoli, cerca solamente di salvare ciò che rimane, non ho bisogno che ti lanci in imprese di riconquista che ti costerebbero solamente la vita. Assicura il confine e impedisci ai Turchi di strapparci altro territorio. La tua priorità sarà difendere la valle del Meandro e in particolare la città di Filadelfia, la capitale della regione.»

    Ricordo che, in quei momenti, l’idea di partire per l’Asia mi eccitava e terrorizzava allo stesso tempo. Avevo letto molto su quelle terre ma non avevo mai varcato lo Stretto dei Dardanelli e l’Asia per me era una terra quasi fiabesca, dove fatti reali si mischiavano a leggende e antiche storie.

    «Che uomini verranno con me? Non posso portare i miei, lascerei la Macedonia e Tessalonica esposte ad un attacco dei Serbi. Quei bastardi hanno un esercito di almeno seimila uomini», mormorai, tirandomi la barba scura e le basette dall’ansia, arricciandole con un dito. Andronico abbozzò un sorriso.

    «Conosci l’isola di Creta? Era il nostro bastione meridionale prima che i Latini d’Italia ce la rubassero… dannati bastardi.»

    «Certo che la conosco; cosa c’entra con questa faccenda?»

    Il basileus si strinse un pugno al petto, con fare vittorioso. «Di recente ho rinnovato un accordo con i Veneti, ci hanno permesso di reclutare degli uomini sull’isola a patto che non li useremo contro di loro. Sono riuscito a mettere insieme un piccolo esercito che voglio affidarti per la spedizione. Una volta finita la campagna, li insedieremo come coloni in Asia, per rimpiazzare i molti che sono morti o schiavi del nemico.»

    Io, al comando di un esercito di Cretesi, spedito in Asia, era tutto così elettrizzante. Ero giovane e sciocco, pensavo di sapere ogni cosa e invece non avevo ancora conosciuto una vera guerra e tutto il suo orrore. Chiamavo guerra qualche combattimento fra bande di soldati sulle colline quando si trattava praticamente di un gioco per bambini; non avevo idea di cosa mi sarei trovato di fronte e non avevo idea di quanto giocare alla guerra porti sofferenza e pianti, non gloria e onore.

    «Per la fine del mese di marzo recati nella città di Gallipoli, lì ci incontreremo ancora una volta prima della tua partenza. Ti darò delle navi per portare l’armata a Pergamo poi… beh sarà tutto sulle tue spalle. Hai carta bianca su come muoverti e cosa fare, ma tieni a mente il tuo obiettivo… ferma l’avanzata dei barbari, assicura la valle del Meandro e rendi i nemici incapaci di razziare vicino a Filadelfia.», borbottò Andronico.

    Mi immaginai, in una manciata di istanti, una cartina dell’Asia e cercai di capire quale fosse il posto migliore dove dirigermi, aiutandomi attraverso gli occhi dei libri. Andare via mare a Pergamo era comodo, forse troppo. Sarebbe stato meglio prendere la via terrestre, più lunga, ma che mi avrebbe fatto comprendere meglio come stavano le cose. Sarei entrato nel cuore di quella terra, l’avrei conosciuta e sviscerata per farla mia.

    «Non potrei fare vela per la città marittima di Dardanellia e marciare verso sud a piedi? Sarei più lento, è vero, ma avrei modo di reclutare altri uomini e consolidare il confine. Non posso dirigermi a Filadelfia senza sapere cosa succede in tutte le altre province», domandai a mio zio.

    Andronico si affossò nelle spalle e alzò una mano. «Come preferisci. Se deciderai di passare per Dardanellia o Cizico, potrai recarti a Pergamo seguendo la costa, da lì spostarti a oriente fino a Filadelfia. Ma stabilisci il quartier generale in un punto arretrato, magari a Ninfeo, è una città fortificata e in posizione strategica sul Meandro». Mi guardò con fare paterno, quasi preoccupato.

    Le mie fantasie di gloria e conquista stavano già volando, sapevo che non mi sarei limitato a preservare le terre, avrei fatto qualcosa di grandioso, avrei riconquistato tutta l’Asia con la spada e il vessillo dell’impero. Sarei stato io, il nuovo Belisario, e il nuovo Alessandro Magno. A pensarci ora, mi sento veramente ingenuo.

    «Ti ringrazio, zio. È un’opportunità immensa e ti giuro davanti a Dio che non la sprecherò. In pochi mesi l’eco dei miei successi arriverà fino alla fine del mondo.»

    Andronico mi sorrise pacatamente, quasi lo stesse facendo ad un bambino. Ad uno schiocco di dita la sua scorta comparve, quasi per magia, in tutta la sua severa austerità.

    «A presto Alessio, a presto», mormorò, poi uscì facendo entrare una ventata d’aria gelida e qualche sbuffo di neve che si sparse sul pavimento.

    La conversazione era durata, forse, una ventina di minuti ma dentro di me la ripetevo fino ad allungarla a ore e ore. Rivedevo il volto di Andronico, cercando di cogliere smorfie e pensieri ad uno scatto degli occhi o da una piega delle sue labbra sottili. Ogni altro pensiero era svanito.

    Corsi in camera da letto, inciampando nelle scale e svegliai tua madre scuotendole vigorosamente le spalle.

    Lei aprì appena un occhio, quasi fosse stata sfiorata delicatamente e mormorò qualcosa con la bocca serrata. Era una sorta di lamento contrariato, una preghiera di lasciarla dormire ancora.

    «A marzo partirò per l’Asia… verrai con me? Ti terrò lontana da ogni pericolo, te lo prometto. Troverò una casa a Ninfeo o a Pergamo per noi, ci trasferiremo lì per… non so quanto», le dissi, con fare eccitato, non mi pesava nemmeno lasciare la casa che avevo appena comprato. Ero così felice all’idea di partire che non valutavo nemmeno i rischi cui potevo esporla, semplicemente non ci pensavo, in un tripudio di puro egoismo.

    Lei mugugnò qualcosa, poi vidi la sua testa fare un cenno d’assenso nel buio. Non aveva capito, cercava solamente di farmi stare zitto, ne ero certo. Tornò a dormire, mentre io non potei prendere sonno. Pensavo e ripensavo a Karman, signore di tutti i Turchi e acerrimo nemico dei Romani.

    Avrei dovuto sconfiggerlo, si! Non era abbastanza cercare di fermare la sua avanzata, lo avrei distrutto in battaglia e avrei riportato l’impero al suo antico splendore. Fu il mio voto, quella notte.

    Partimmo per Gallipoli una mattina fredda, c’era un sole tiepido che illuminava strade di fango e pozze di acqua gelata. Lo spettacolo delle campagne coperte dalla brina dell’alba, con gli alberi secchi e appassiti, mi lascia sempre sgomento.

    Incamminarsi d’inverno è sempre stato uno strazio, come ben sai, e temevo i problemi del gelo e della neve più dei predoni, perciò pianificai attentamente l’itinerario in modo che ogni notte ci trovassimo in un villaggio abbastanza grande da farci ospitare dal governatore locale. Non comunicavo la mia parentela con il basileus per non attirare occhi indiscreti, ma mi facevo passare per un diplomatico di nome Arsenio, di ritorno da una missione ad Atene.

    Ti parlo di inverno, nonostante fosse già marzo inoltrato, perché quell’anno il bel tempo tardò ad arrivare e, anzi, neve mista ad acqua cadeva anche durante le ore più calde del giorno. Così, impiegammo più del doppio del tempo a percorrere una strada che normalmente si fa in pochi giorni a cavallo, percorrendo la costa meridionale della Macedonia e della Tracia, facendo anche una breve tappa nel grande borgo di Maroneia, famoso per il suo pane dolce, per prenderne un po’ di scorte per puro diletto.

    Viaggiammo in quattro, oltre a una scorta di dieci uomini che si tenne a distanza di sicurezza con cavalli veloci, perché una carrozza attira sempre l’attenzione dei banditi, benché quelle zone, anche allora, fossero relativamente tranquille e abitate da gente più avvezza al lavoro nei campi che alla rapina.

    Con me e tua madre viaggiava Maria, la sua serva personale, che le stava accanto fin dall’infanzia. Aveva un paio d’anni più di lei, e nonostante il mio ben noto odio per i servi, mi sforzavo di tenere chiuso un occhio perché lei la considerava una grande amica, quasi una sorella, e passavano il tempo insieme parlando di frivolezze, curando i fiori e facendo tutte quelle cose terribili che amano le donne e personalmente detesto.

    Era bassa e tarchiata, come tipico di chi viene dal sud, e aveva due grossi seni che erano per me una continua fonte di distrazione. La sua voce era stridula e acida, simile a quella di una vecchia capra; mi faceva desiderare di zittirla con la forza ogni volta che apriva quella bocca larga e sgraziata.

    Infine c’era Angelo, che tutti i miei soldati chiamavano lo Straniero, nonostante parlasse greco meglio di molti dei romani che abitavano nel Peloponneso o delle isole Egee, pulito e senza accenti.

    Era una sorta di sacerdote e medico, almeno questo mi aveva detto. Lo avevo trovato in un villaggio durante un’incursione nella Serbia meridionale, in quelle zone dove, nonostante il cambio di bandiera, la gente parla ancora un po’ di greco insieme ai dialetti locali e segue la nostra liturgia.

    Mi curò da una terribile dissenteria e come ricompensa domandò di essere arruolato nell’esercito del basileus. Mostrai immediatamente un’immensa riconoscenza per l’aiuto ricevuto, che divenne, con il passare dei mesi, vera e genuina amicizia. Aveva una trentina d’anni, la faccia quadrata e i capelli chiari, tipici del nord, ed era molto villoso.

    Figlio mio, so che non sei ancora molto esperto di fatti militari e forse ora starai ironizzando, ma ti assicuro che in una guerra fanno più morti la dissenteria, la peste e le intemperie, che spade, lance e frecce, perciò non stupirti della mia scelta e del fatto che gli dovevo la vita, sinceramente.

    La sua saggezza era grande ed era vero quel che diceva: «sono in grado di curare le ferite del corpo e dell’anima»; perciò ritenni indispensabile portarlo nella mia nuova campagna, non solo perché mi ci ero profondamente affezionato.

    «Non sono mai stato in Asia… non sono mai stato fuori dalla Macedonia, in realtà. Cosa ti aspetti di trovare? Hai mai sentito parlare di quelle terre?», mi chiese Angelo una mattina presto, poco prima che giungessimo a Gallipoli. Combatteva il freddo pungente tenendosi un ampio cappuccio in testa e bevendo avidamente da una piccola fiasca di vino.

    Io mi morsi il labbro inferiore. «Ho letto molti libri, ma non ci sono mai stato personalmente. So che l’Asia è la nostra terra più ricca, Nicea, Nicomedia, Pergamo, Ninfeo, sono città antichissime e notevolmente importanti. Da quelle zone arriva il grano per la plebe di Costantinopoli, il ferro per gli armaioli e i cavalli per gli allevatori della Macedonia. È anche la nostra riserva principale di soldati.»

    «Insomma, sembra davvero un posto importante», mormorò lo Straniero. A volte il suo tono sembrava involontariamente scherzoso.

    Io annuii. «Lo è, amico mio».

    «Se davvero è una terra così ricca e popolosa, perché non è stata difesa adeguatamente? Perché stiamo andando con un esercito solamente ora? Mi hai detto che la situazione è critica», domandò lui, più spaventato che incuriosito. Lo adoravo, perché era un uomo curioso e riflessivo, proprio come lo ero io.

    «Per questo è stato chiamato Alessio. È il generale più giovane dell’impero e non ha conosciuto una sconfitta in tre anni di guerra», intervenne tua madre, quasi sentisse il bisogno di difendermi. Quell’intervento lo trovai fuori luogo ma non la zittii, seppur infastidito.

    «Non vorrei mancarvi di rispetto, mia signora, ma stavo iniziando un discorso un po’ più ampio, a prescindere dalle capacità militari di vostro marito…», mormorò Angelo, abbassando le orecchie.

    Sospirai. «La verità è che non lo so… forse il basileus…». Fui interrotto da una voce fastidiosa come pestare una pozza di piscio a piedi nudi.

    «Guardate… Gallipoli!», disse Maria, allungando il braccio flaccido verso una finestrella. I miei pensieri su Andronico furono spazzati via dalla vista che mi trovai di fronte.

    Dritta davanti a noi si ergeva la città marina di Gallipoli, all’estremità di una penisola che dava da un lato sull’Egeo e dall’altro sullo stretto dei Dardanelli. Sottile e frastagliata, ha la forma di un bastone da passeggio con il pomello rivolto verso Costantinopoli e la punta verso le isole.

    Era il crocevia delle navi mercantili di tutto il mondo, che desideravano raggiungere Costantinopoli e il Mar Nero, oppure tornare indietro verso l’Italia o l’Africa. Anche a quella distanza si poteva vedere la vivacità del centro abitato, sentire i rumori della folla cittadina e l’odore pungente e acre dei numerosi porti. Una miriade di case dal tetto rossiccio sfidavano il cielo, accompagnate di tanto in tanto da un campanile bianco e sottile, con piccoli archi tondi sormontati dalle croci.

    Abbracciai tua madre e le sorrisi, ero felice di essere arrivato. Cercavo di mostrarmi calmo, anche se le mani mi vibravano come foglie al vento. Il momento fatidico della partenza era imminente e forse non mi sentivo pienamente pronto. Dovevo lasciarmi alle spalle casa, commilitoni, abitudini... tutto, tranne lei e Angelo.

    Lo Straniero rimase impressionato da Gallipoli e la paragonò a una perla nella sabbia; per me, invece, era una sorta di formicaio in riva al mare. La sua indubbia bellezza era resa malinconica dal traffico marittimo eccessivo e dai costanti rumori che davano una sorta di sensazione di transizione, come se tutto fosse destinato ad essere spostato e disperso dai flutti del mare di Marmara, come ghiaia al vento. O forse questa visione era influenzata dalla mia partenza e dai miei pensieri preoccupati.

    Entrammo da nord, dalla porta che conserva ancora una pavimentazione in pietra ed è percorribile anche nei momenti più avversi. La strada era piena di gente e carri di contadini.

    Le guardie, appostate su due torri perimetrali coniche, non ci notarono nemmeno in mezzo alla folla. Mi recai rapidamente al palazzo del governatore, una struttura antica e quadrata in marmo, costruita su una collina che dominava tutta la citta. La piazza interna aveva un obelisco di basalto al centro. Vedendo molte bandiere con l’aquila bicipite e tutta la zona gremita di soldati, capii che Andronico era arrivato prima di me.

    Dopo essermi annunciato a un paio di servi, mi fu portato del pane e del vino. Un eunuco ci accolse e ci fece fare il giro degli edifici, prima di assegnarci delle stanze e dirci di tornare alle prime luci dell’alba del giorno dopo, perché il basileus era occupato. Tua madre e Maria ne approfittarono per recarsi al mercato, mentre Angelo si allontanò per comprare del vino in una taverna con l’insegna di un cinghiale.

    Il giorno dopo mi recai da solo nel luogo dell’appuntamento e lo trovai gremito di persone. Sapevo che sarebbe stata una procedura lunga e cerimoniosa, infatti Andronico arrivò solamente due ore dopo. Il tempo sembrava non finire mai e lo ingannavo immaginando la gloria delle battaglie future, così come un bambino gioca con innocenza nella sua mente. Osservavo anche i soldati, i servi e gli eunuchi che facevano le loro mansioni, in disparte, quasi fossi un reietto, e mi domandavo come si chiamassero e quali pensieri avessero. Due ore di attesa senza fare nulla sono davvero una lenta e straziante agonia.

    Improvvisamente i soldati, prima rilassati e rumorosi, si fecero silenziosi e si misero sull’attenti, disponendosi su due file distinte. In fondo vidi Andronico, alla sua destra il governatore di Gallipoli e alla sinistra il metropolita; purtroppo non rammento né i loro nomi né i volti anche perché avevo lo sguardo fisso su mio zio.

    Il basileus sembrava una persona diversa, avvolta nella porpora imperiale con il vestito ricamato d’oro che gli scendeva fino ai piedi e la corona tonda, tempestata di gemme fieramente salda sul capo. Orecchini di perle su entrambi i lobi. Sembrava un uomo imponente, un’emanazione divina, l’immagine più grande della forza dell’impero.

    «Alessio Filantropeno… vieni, vieni da me», disse con voce alta e limpida.

    Io rimasi spiazzato per un momento, perché non ho mai amato le cerimonie, ma lo seguii di scatto, come mosso da una spinta invisibile.

    Solitamente un’investitura ufficiale richiede anche molte ore, momenti scanditi da lunghe pause che conferiscono al tutto un’atmosfera solenne e rigida, come le statue di marmo dei nostri antenati. Fortunatamente, Andronico fece tutto molto velocemente, tanto che mi ritrovai doux d’Asia, comandante delle armate orientali, senza praticamente che me ne rendessi conto e per me fu un enorme sollievo, poiché non ho mai sopportato l’etichetta di corte.

    «Ora vai al molo a prendere possesso del tuo esercito. Io devo sbrigare un’importante faccenda, ma ti seguirò con il cuore e con le preghiere», concluse il basileus.

    «Questo è per me il più grande degli onori, mio signore. Obbedisco!», risposi, quasi balbettando, dimenticandomi perfino di inchinarmi.

    Ero diventato uno degli uomini più importanti dell’impero e non riuscivo ancora a comprenderne il motivo. Potevo essere veramente così abile da meritarmi tutto? Non si trattava solamente di un madornale errore? I miei sogni non sarebbero stati infranti come l’acqua colpita da una pietra? Fra tutti i veterani delle numerose campagne, perché scegliere proprio un giovane come me?

    Mentre mi tormentavo con queste domande Andronico si ritirò senza aggiungere altro, mentre un paio dei suoi soldati mi scortarono a destinazione. Non mi salutò nemmeno e, in un certo senso, rimasi deluso. L’immagine del basileus severo e distaccato stonava moltissimo con quella dello zio affabile e disponibile cui ero abituato. Era forse colpa mia? Oppure aveva pensieri cupi che gli consumavano la mente e gli rubavano il poco tempo a disposizione? Mi aveva nominato doux senza dirmi una parola.

    Mi accorsi di tormentarmi inutilmente con domande che non avrebbero comunque ricevuto risposta.

    Camminai rapidamente, con l’adrenalina che mi dominava e rischiai di scivolare sui ciottoli umidi delle strade almeno un paio di volte. Angelo, Maria e tua madre mi raggiunsero e restarono volutamente in disparte, come se volessero che quel momento di gloria fosse solo per me. Ero felice e si vedeva, la gioia mi si leggeva in volto come un libro aperto, capirono che era andato tutto come speravo.

    Al porto vidi molte navi ormeggiate e sentii il rumore degli uomini: schiamazzi, urla e risate grasse.

    Rimasi molto deluso quando mi fu presentato il mio fantomatico esercito. Fu il primo smacco che ricevetti e ti accorgerai, caro figlio mio, che sarà solamente il più lieve di tutti. Mi immaginavo, visto il numero dei nemici e la gravità della situazione, che avrei ricevuto almeno quattro o cinquemila soldati. Tutto sommato non mi sembrava un grosso esercito, giacché, da quanto sapevo, l’impero aveva

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