Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il libro di Ti
Il libro di Ti
Il libro di Ti
E-book335 pagine4 ore

Il libro di Ti

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

In un piccolo villaggio nella Valle, sulle sponde del grande fiume Api, vivono Uccello-che-cerca e Piccola-piena. Sono ancora ragazzi ma il loro amore è già grande, e seppure lei sia promessa al capo di un altro villaggio, Uccello-che-cerca non ha nessuna intenzione di perderla. Lo dice a Giunco, fratello di lei, che non solo non crede che questo amore possa essere così totalizzante, ma tenta di dissuaderlo in tutti i modi. E poi, come se non bastasse, Piccola-piena è muta. Cosa se ne può fare, Uccello-che-cerca, di una donna senza voce? 
Può essere lui stesso a dargliene una. 
I segni che tracciano sulla terra, il loro piccolo segreto, li terranno uniti per tutta la vita e cambieranno per sempre il destino della Valle. 

L’autore vive nell’Alta Valle del Chiampo, in provincia di Vicenza, in una suggestiva contrada di montagna un tempo abbandonata e ora recuperata e trasformata in ristorante. È perito agrario e nella vita ha fatto il contadino, il lavoratore dipendente, l’agriturista e ora, con la famiglia, il ristoratore. 
È appassionato di Folclore locale, ama il fantasy ed è da sempre affascinato dall’archeologia e dalla civiltà egizia in particolare. Il libro di Ti è nato proprio da questa sua passione, un giocoso tentativo di dare risposta alle mille domande sull’“inizio” delle cose: della civiltà, della religione, della scrittura, dell’organizzazione politica. 

Ha già pubblicato La figlia dell’angelo (Anguana Edizioni, 2016).
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830677203
Il libro di Ti

Correlato a Il libro di Ti

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il libro di Ti

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il libro di Ti - Giancarlo Bertinazzi

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    NOTA

    L’alba del miracolo egizio resta misteriosa. La lunga gestazione dell’Egitto faraonico durante la Preistoria e la Protostoria non è tracciata che da documenti ancora troppo rari. Non ci sono che i tentativi incerti di un’umanità che scopre le forme tagliando la selce e, più tardi, iniziando a decorare del vasellame.

    Tuttavia, la civiltà faraonica si rivela improvvisamente del tutto formata; cioè, nel senso pieno del termine, offre in maniera prestigiosa, di primo acchito, le forme che saranno quelle di tutta la civiltà egiziana. Attorno all’anno 3000 prima della nostra era si è prodotta una mutazione, una delle più clamorose della storia umana. Ieri, era la Preistoria; improvvisamente, con Menes, si entra nella Storia. Di colpo sono nate l’istituzione faraonica, l’irrigazione sistematica e la scrittura. Esercizio scolastico tentare di scegliere fra i tre l’elemento motore. Chi vuole affermare il primato dell’economia cercherà la causa determinante nell’organizzazione coerente del drenaggio, che sbarra le acque con dighe e le ripartisce secondo le necessità. Si potrà del pari prendere in considerazione la scrittura, necessaria per portare lontano gli ordini, per annotare le osservazioni che lo stabilire un calendario richiede, per registrare il rituale e le prescrizioni religiose. Ma esiste anche un Faraone il quale, sulla tavolozza trionfale di Narmer, domina già con la sua statura l’organizzazione di un Egitto unificato…

    Jean Leclant in I faraoni – Il tempo delle piramidi

    BUR, Arte, 1984

    «Giunco…»

    «Sssh! Zitto, ché altrimenti volano via.»

    «Giunco, ti debbo parlare.»

    «Ma insomma, Uccello-che-cerca, proprio adesso mi devi parlare? È da molte lune che intaglio questo bastone apposta per l’occasione, ed ora, proprio qua, in mezzo ai papiri tu mi vuoi parlare, con il rischio di far volar via tutte queste belle anitre gonfie e pasciute. Proprio non puoi aspettare, Uccello-che-cerca?»

    «No, non ce la faccio più, Giunco! Fermati e ascoltami per carità. Ormai ho il cuore che scoppia e se non te lo dico ora, il mio cuore presto batterà così forte da far rovesciare la barca e da mandarci tutti e due in pasto a Sobek¹. Per Bes², Giunco, fermati, ti prego!»

    «E va bene, Uccello-che-cerca! Tanto lo sapevo che con te quest’oggi sarebbe andata buca. Pazienza! Sarà per un’altra volta. Dimmi, cos’è che tanto ti tormenta?»

    «È tua sorella, Giunco.»

    «Mia sorella? Non dirmi che ti sei innamorato di Lacrima. Ma se non ha ancora dieci piene! Suvvia, Uccello-che-cerca, con tutte le belle ragazze che ci sono al villaggio. Sii ragionevole, lascia perdere!»

    «Non è Lacrima, Giunco, è Piccola-piena. Guarda, solo a pronunciare il suo nome mi è venuta la pelle d’oca.»

    «Ma non puoi! Piccola-piena non parla, e poi è già promessa in sposa a Pa’-Nofer. Lo sai che mio padre è un dritto in questo senso, e che non preferirebbe mai un timido contadino a un temerario e tenace pastore di capre. Tanto più se questo pastore di capre è anche il capovillaggio di Thinis³, Pa’-Nofer. Scordatela, Uccello-che-cerca, se ci tieni ancora alla tua pelle.»

    «Beh! È da giorni che ci rifletto, ed ora ho proprio deciso! Senza Piccola-piena la mia vita non vale proprio niente. Sarei come un giunco spezzato che naviga silenzioso nella correte di Apifino a che l’acqua ed il proprio peso non lo mandano a fondo. Ho deciso che sposerò Piccola-piena, Giunco, e Piccola-piena, prima o dopo, diverrà la mia compagna.»

    1 Coccodrillo, ma anche il dio del fiume con l’aspetto di coccodrillo.

    2 Divinità minore, una sorta di genio famigliare, venerata in tutto l’Egitto come protettrice da malocchio e dalle forze del male.

    3 Località dell’Alto Egitto, nei pressi di Tebe.

    4 Nilo – anche lo Spirito del Fiume, il padre degli dei, un essere superiore, sacro, dispensatore di grazie.

    LIBRO DI TI

    Questa è la storia di Piccola-piena, la dolce, e di Uccello-che- cerca, il gentile.

    È la storia della loro esistenza travagliata e del loro incontenibile amore.

    È per volere del venerabile Bukankos, sommo sacerdote e maestro di Tuna, che mi accingo a ricordare della vita di Thot e di quella di Maat, la mia dolce sorella.

    «Quando io sarò tramontato all’occidente, ed i miei piedi non calpesteranno più la terra scura della Valle», mi ha ordinato il venerabile profeta, «… tu dovrai far rivivere Thot per premiarlo così del grande servigio che egli ha procurato al nostro popolo per mezzo della sua potente magia.

    So che molte azioni mie, e di tuo padre e di molti altri abitanti di Tuna⁵ e di Thinis sono meritevoli di biasimo e di disprezzo; per questo scriverai questo papiro soltanto dopo la mia morte, affinché la mia presenza non abbia a condizionare il tuo cuore e la mia autorità far vacillare il tuo braccio.

    Poiché sacra è l’arte di Thot e guai a colui che la dovesse usare per dar vita alla falsità e alla menzogna, che meglio sarebbe se il grembo di sua madre non lo avesse mai generato.»

    Ora Bukankos non è più. Egli è entrato nel regno misterioso di Kenthamentiu⁶, e il suo piede non è più tornato a calpestare la terra nera della Valle⁷.

    Ma anch’io intanto ho appreso dell’arte di Thot e, grazie al suo insegnamento ed alla pratica da me perfezionata in tutti questi anni, ora finalmente potrò liberare la mia mente a tempi lontani, quando tutto era ancora giovane e gli uomini e gli dei calpestavano insieme la stessa polvere scura della Valle ed insieme scivolavano sul fiume a caccia di anitre con il bastone da lancio.

    5 Località del Basso Egitto nei pressi di Menfi.

    6 Il primo degli occidentali, cioè il Dio dei morti; divinità a testa canina, in seguito identificata con Osiride, venerata fin dai tempi della prima dinastia.

    7 Gli egizi chiamavano la valle del Nilo Kemè, il nereggiante, la ricca terra scura alluvionale che si contrappone al Dashrè, la terra rossa del deserto che lo delimita.

    I

    Quanta parte v’è nella vita di un uomo che direttamente dipende dalla sua volontà?

    Intendo, quanto un figlio di donna può decidere della propria esistenza, e quanto invece egli deve accettare dal condizionamento degli altri, dal volere della natura, in fondo dal capriccio degli dei?

    «Niente egli decide! Tutto deve subire», affermavo io allora, esprimendo così la mia delusione verso la vita che, per la verità, mai mi è stata amica. Ma subito Thot, il bambino, mi rispondeva: «Tutto egli può, se vuole!

    La vita è nelle tue mani dal giorno stesso in cui gli dei te l’hanno donata. Tu sei al timone della tua barca: a te manovrar di remi come il pescatore che discende la corrente⁸, o lasciarti trasportare e travolgere nel suo vortice in prossimità delle rapide.» Così affermava Thot, l’uomo.

    Meketra aveva appena sedici piene quando le mascelle affamate di Sobek trascinarono suo padre urlante nella palude con il proposito di divorarlo fra le canne.

    Il corpo di Nebkanebo, detto lo zoppo, non venne più ritrovato e mio padre non ebbe neppure la consolazione di seppellire il proprio genitore nella Terra-rossa, e di proteggerne il Ka⁹ per il lungo viaggio nel regno del silenzio, come invece da sempre è in uso presso la nostra gente.

    Appena qualche luna più tardi, sua madre venne posseduta da uno spirito malvagio. Una notte il malefico, dopo averla prostrata nel corpo e nello spirito, la convinse a legarsi una pietra al collo e a gettarsi nelle acque di Api, promettendole l’illusione di un sonno tranquillo.

    Era ancora un bambino Meketra, e la sua virilità appena in grado di gonfiarsi, e la sua semente a stento di germogliare. Ma la dea ippopotamo¹⁰ quella notte fu molto vicina ad Orice-gamba-corta, che pure era giovane e mai ancora l’aveva invocata, perché quella notte la Valle di Orice-gamba-corta accolse il suo seme, lo scaldò e lo risvegliò dal suo torpore infantile, al punto di farlo germogliare.

    Così, il sedicenne Meketra si trovò da solo, senza genitori e con una moglie e un figlio da sfamare. Mio fratello maggiore morì dopo appena tre piene, ma molti altri figli ebbe mio padre dopo di lui.

    Quanta parte egli abbia avuto in tutto ciò, ancora non lo so comprendere. Egli crebbe prematuramente e, a sole diciotto piene, era già un uomo formato, forte nel corpo e risoluto nello spirito.

    Non così Thot, che pure la bizzarria, o la cattiveria degli spiriti notturni, aveva privato di padre e di madre.

    Il suo corpo non si curvò mai sotto il peso degli affanni, né dal suo spirito si dipartì la semplicità e la gioia che sempre lo avevano caratterizzato fin da bambino. Anzi, se dalla profondità della mia pochezza, qualcosa gli posso rimproverare, questo è proprio il fatto di non aver mai voluto abbandonare completamente lo stato di bambino, per indossare la dignità, la compostezza, la malizia della persona adulta. Anche nei rapporti con l’altro sesso Thot non si è mai comportato normalmente, quasi per niente attratto dalle doti femminili.

    Io, ad esempio, seppur nella mia travagliata vita sentimentale, ho sempre avuto una predilezione per le fanciulle dal seno minuto e dai fianchi sottili.

    Ricordo invece come il mio amico Antef cercasse di accattivarsi la simpatia delle donne più vecchie di lui e delle giovani vedove, mosso da chissà quali strani sentimenti.

    Thot, da parte sua, non dimostrava inclinazioni o preferenze particolari. Non perché le une o le altre lo lasciassero indifferente, semplicemente perché amava egualmente sia le une che le altre.

    «Ma se Piccola-piena non parla!» gli dissi quel giorno, giustamente convinto che una persona senza la voce è una persona incompleta e, nel caso di una donna, una donna per niente attraente.

    «Ciò che non può dire con la lingua» fece lui, quasi adirato per questa mia affermazione, «lo esprime molto meglio con gli occhi, con i gesti, col cuore.»

    Forse aveva ragione, ché infatti Piccola-piena aveva davvero dei modi e degli atteggiamenti assai dolci e gentili.

    Comunque a me pareva lo stesso una persona a metà, per cui cercai di insistere. «Prendi Tuia o Anik…», dissi, «… e lascia mia sorella a Pa’-Nofer, che lui è di bocca buona e non apprezza certo le parole quanto la carne.»

    Per poco non mi colpì con uno schiaffo violento.

    «Io amo Piccola-piena», dichiarò, «e ti biasimo, Giunco, quando parli in questo modo di tua sorella.

    Forse che quando giaci con Ape-sottile, nascosto dietro le barche, attento a non farti udire dai pescatori, la tua compagna ti pare meno bella o attraente perché non parla? O non sono quelli i momenti che più s’imprimono dolci e belli nella tua mente?»

    Chissà come aveva fatto a scoprirmi nascosto lungo il fiume, sdraiato sotto le barche rovesciate. Ero convinto comunque di aver capito.

    Però, che dritto questo Uccello-che-cerca.

    Dopo tutto Piccola-piena fisicamente non era proprio niente male e, a ben pensarci, anche a me interessava assai poco sentire la voce di Ape-sottile, quanto piuttosto accarezzarne e baciarne il corpo sudato. Più tardi compresi che Uccello-che-cerca non intendeva esattamente questo.

    Lo guardai soddisfatto strizzandogli d’occhio, ma subito lo ripresi: «Ma allora, perché ti intestardisci tanto a metterti contro Pa’-Nofer?»

    «Perché l’amo!» rispose. «E prima o dopo Piccola-piena diverrà la mia compagna, dovessi uccidere Pa’-Nofer per riuscirci.»

    Non capii. Ma era soltanto colpa mia: allora, infatti, ancora non sapevo che cosa significasse amare.

    8 Nella valle del Nilo prevalevano venti settentrionali che permettevano di risalire il fiume (verso sud) a vela; per scenderlo invece (verso nord) le imbarcazioni dovevano fare affidamento sui remi.

    9 Chiamato anche Doppio. Lo Spirito, la forza vitale dell’individuo, fisicamente inconsistente, trasparente ed evanescente, una sorta di fantasma. Raffigurato con due braccia sollevate verso l’alto. È, fra tutte le entità del defunto, quella che ha il compito di intraprendere il viaggio nell’Oltretomba per sottoporsi al Giudizio di Osiride.

    10 Tueris, divinità avente l’aspetto di un ippopotamo femmina, protettrice delle partorienti.

    II

    Ora che con il pensiero ripercorro all’indietro la strada della mia vita e, come il falco alto sulla Valle, scorgo particolari altrimenti nascosti o celati alla vista del giovane cacciatore impedito dagli avvallamenti e dalla boscaglia dell’età immatura, ora soltanto riesco a discernere quanto Uccello-che-cerca fosse diverso da tutti noi.

    Tre doti particolari aveva Thot, che lo distinguevano da tutti gli altri suoi coetanei: una memoria eccezionale, un interesse senza limiti per qualsiasi fenomeno e soprattutto una bontà d’animo del tutto sconosciuta in noi ragazzi della sua stessa età.

    Il nome dell’infanzia che il villaggio gli aveva attribuito era Uccello-che-cerca, e questo appunto per via della sua continua caparbietà nel trovare risposte ad ogni cosa, tanto simile alla solerzia con cui l’ibis cerca il verme fra il limo della Valle.

    Ma più di ogni altra cosa – poiché anche Bukankos, ad esempio, parimenti non amava accontentarsi di ciò che a prima vista parrebbe normale, sempre alla ricerca di spiegazioni e di perché –, più di questa insolita curiosità, dicevo, la dote che colpiva di lui era la sua bontà d’animo.

    Egli infatti, era tanto buono e gentile che mai avrebbe preso a sassate nemmeno la rana equat¹¹, sempre così fastidiosa se nascosta di notte fra le stuoie del tetto o sotto i vasi dell’acqua.

    Fu proprio per questo che quando mi disse, senza esitare, che avrebbe ucciso Pa’-Nofer, scoppiai a ridere forte, rovesciando la barca e facendo volar via lontano tutte quelle anitre gonfie e saporite.

    «Ma hai presente Pa’-Nofer?» gli chiesi rotolandomi accanto a lui sulla sabbia calda. «Ti ricordi come ha ridotto il povero Ipu, soltanto perché il suo cane gli ha morsicato una capra?»

    «Certo che ho presente Pa’-Nofer» rispose lui calmo, sdraiandosi sul dorso e lasciando che le formiche gli attraversassero il corpo. «Ma io amo Piccola-piena e so che anche lei mi vuole bene.»

    «E come fai ad esserne tanto sicuro? Forse Piccola-piena te l’ha confidato?» gli chiesi sarcastico.

    «Sì», rispose, «io e lei ci vediamo ogni notte sotto il sicomoro, dietro la tua casa. Io la aspetto e lei viene e rimane là con me fino al mattino.

    A volte sorride e gioca come facevamo da bambini, altre è triste ed i suoi occhi dolci si riempiono di lacrime e brillano più dell’astro Shotis¹².

    È per Pa’-Nofer che è triste.

    Il suo cuore non l’ama. Tuo padre ormai ha deciso, ma lei non si vuole rassegnare. E nemmeno io mi rassegnerò.

    Forse una di queste notti scapperemo via, lontano da questo villaggio e dai pascoli di Pa’-Nofer.»

    Io mi ero fatto improvvisamente serio.

    Volevo bene a Uccello-che-cerca, forse più che a mia sorella, e sapevo che un simile gesto avrebbe causato seri guai ad entrambi.

    Ma sapevo pure che Uccello-che-cerca, fra le tante sue doti, aveva anche il gran brutto difetto di essere testardo, testardo e cocciuto più di un onagro¹³ e capace di portare a termine i propri propositi, per quanto pericolosi o strampalati potessero sembrare.

    «Beh! Intanto c’è tempo», cercai di dire. «… Mia sorella andrà ad abitare nella capanna di Pa’-Nofer soltanto alla prossima piena. Ora ci sono troppi lavori da fare nei campi e mio padre è troppo furbo per rinunciare a due braccia forti. Tanto più che la scorsa inondazione è stata magra.

    Quest’anno occorrerà lavorar sodo per innalzare le dighe e costruire canali più lunghi.

    Vedrai che fino alla prossima piena ne succederanno di cose.

    Magari t’innamori di Ibi o di Tuia. Ormai sono cresciute e non sono proprio niente male.»

    Così si concluse la nostra conversazione a riguardo di Piccola- piena e di Pa’-Nofer, sulla spiaggia di Api.

    Uccello-che-cerca pareva che neanche più mi stesse ad ascoltare, tutto preso com’era a segnare strane figure sulla sabbia calda.

    Era sempre stato un vero artista nel disegnare le piante e gli uccelli del fiume e spesso ero rimasto sorpreso, come inebetito nell’osservare quella sua abilità.

    Ma quella volta non stava disegnando qualcosa di particolare. Solo scarabocchiava per terra tracciando segni senza senso. O almeno così io pensavo allora.

    «Ma hai presente Pa’-Nofer? Ti ricordi come ha ridotto il povero Ipu soltanto perché il suo cane gli ha morsicato una capra?», berciò lui d’improvviso con voce grossa, male imitando la mia intonazione.

    Allora lo afferrai per i fianchi e lo feci rotolare sulla sabbia fino al limitare dell’acqua, mentre lui rideva forte e continuava a ripetere «… Ma hai presente Pa’-Nofer?»

    «Che bastardo che sei», imprecai mentre gli immergevo il capo nel fango. «… Hai una memoria eccezionale. Ma come fai a ripetere sempre esattamente ciò che gli altri dicono?»

    Lui mi guardò, ma non rispose nulla e sgusciò nell’acqua agile come un orbettino.

    Così lo inseguii e giocammo un po’ a rincorrerci nell’acqua bassa lungo la riva.

    Eravamo talmente presi a ridere e a scherzare che nessuno dei due vide Sobek scivolare lentamente nella corrente e nuotare con un’agilità del tutto inimmaginata verso di noi.

    Non è la prima volta che un ragazzo inesperto, o anche un abile pescatore, lasciano le proprie gambe fra le fauci terribili del dio del fiume.

    Stavamo lottando allegramente poco lontano dalla riva, gridando forte e cercando di immergerci a vicenda la testa nell’acqua, era un gioco che facevamo spesso e che il più delle volte mi vedeva vincitore, quando una violenta scarica di pietre e di bastoni ci fece bloccare con l’acqua che ci arrivava ormai alle spalle.

    Sulla riva un ragazzino, poco più grande di mia sorella Lacrima, e con la pelle scura come il carbone, continuava a gettarci sassi addosso e non solo sassi ma anche qualsiasi altra cosa gli capitava sottomano, come rami spezzati, cocci di vaso, palle di fango.

    «Se ti prendo», gli urlai mostrando alti i pugni. Ma il piccolo, senza neppure degnarci di una parola, persisteva nel suo dispetto, davvero poco simpatico e piacevole da parte sua.

    Fu la voce di Uccello-che-cerca a raggiungermi invece, confusa e concitata come mai l’avevo udita prima.

    «Sobek! Presto alla riva, Giunco.»

    Mi girai verso il centro del fiume appena in tempo per scorgere una corrente leggera seguita appena da due occhi freddi e crudeli.

    Raccolsi il coraggio a due mani e nuotai veloce fino alla riva vicina.

    Uccello-che-cerca stava già correndo sulla spiaggia ed ora anche lui aveva preso a lanciar pezzi di legno e manciate di fango alla volta di Sobek.

    Gli dei quel giorno furono clementi con me, perché riuscii a correre fuori dall’acqua appena in tempo per non abbandonare le natiche fra le mascelle affamate del mostro del fiume.

    «Grazie, amico» dissi al piccolo, uno straniero a giudicare dal colore della pelle e dai tratti del viso molto differenti dai nostri, che mi aveva salvato la vita.

    Il ragazzo ci guardò dal profondo di due occhietti vispi ed allegri, ma dal suo labbro non uscì parola.

    «Io sono Uccello-che-cerca», fece Thot, «e questo è Giunco.» Ma il piccolo, quasi inebetito, continuava a fissarci senza batter ciglio.

    «Uccello-che-cerca», sillabò lentamente Thot indicandosi col dito.

    Il piccolo allora spalancò la bocca e con il suo magro dito ci indicò la vuota cavità che si apriva fra due file candide di denti robusti.

    Un tuffo al cuore ci colpì entrambi.

    Il fanciullo era muto, incapace di parlare come la dolce Piccola- piena.

    Uccello-che-cerca afferrò istintivamente il disgraziato per le spalle e gli strofinò il naso sulla guancia in segno di grande amicizia con le lacrime agli occhi, al che l’altro rispose strofinando il proprio naso su quello di Thot.

    È bello vedere come i ragazzi facciano presto ad intendersi al di là della razza o della lingua che parlano.

    Per loro non esistono distinzioni di colore o di accento, tutti accomunati dal medesimo amore per la vita e dalla stessa incontenibile bramosia di correre e di giocare.

    Uccello-che-cerca si sedette sulla sabbia calda, imitato dal fanciullo e da me. Spazzò con il palmo della mano la grigia polvere della superficie e con le dita tracciò un segno ondulato, simile alla superficie di Api mossa da un vento sottile.

    «Fiume», disse. «Api… acqua», ed indicava ora il fiume alla nostra destra, ora il disegno davanti a noi.

    Gli occhi del fanciullo si illuminarono di gioia ed il suo capo incominciò a muoversi ritmicamente, segno che aveva capito.

    «Noi qui» disse Uccello-che-cerca, facendo un segno sulla riva del fiume. «Tu?»

    L’altro non rispose.

    Uccello-che-cerca allora cancellò il disegno del fiume e questa volta tracciò per terra i segni di una, due, tre, dieci capanne circondate da una palizzata di frasche. Non ci voleva molto a comprendere che quello era Tuna, il nostro villaggio.

    «Tuna», disse infatti Uccello-che-cerca, indicando i contorni delle capanne più vicine.

    «Noi Tuna… tu?»

    Allora il ragazzo si chinò a sua volta sulla sabbia, dimostrando di avere compreso esattamente ciò che Uccello-che-cerca voleva sapere da lui.

    Tracciò con il dito una lunga linea che lentamente si allontanava dal nostro villaggio, proprio dalla parte donde il dio Ra¹⁴ scompare la sera. E là, ad occidente di Tuna, chissà a quanti giorni di cammino, egli disegnò i contorni di una strana capanna, la casa sua ed il villaggio della sua gente.

    Poi, sopra il proprio villaggio tracciò

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1