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Anatomia della felicità
Anatomia della felicità
Anatomia della felicità
E-book299 pagine4 ore

Anatomia della felicità

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INDICE
INTRODUZIONE
Felicità. - Una condizione della mente e del corpo
CAPITOLO I - Profilo dell’infelicità
CAPITOLO II - Patologia dell’infelicità
CAPITOLO III - Le stazioni della vita
CAPITOLO IV - Gli strumenti della felicità
CAPITOLO V - Panorama della felicità
CAPITOLO VI - La religione
POSTSCRIPTUM
Felicità contro ansietà
LinguaItaliano
EditoreGIANLUCA
Data di uscita5 nov 2017
ISBN9788827511046
Anatomia della felicità

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    Anteprima del libro

    Anatomia della felicità - Martin Gumpert

    COVER

    MARTIN GUMPERT

    ANATOMIA

    DELLA

    FELICITA’

    A. Editore prima edizione digitale 2017 a cura di Gianluca Ruffini

    INDICE

    INTRODUZIONE

    Felicità. - Una condizione della mente e del corpo

    CAPITOLO I - Profilo dell’infelicità

    CAPITOLO II - Patologia dell’infelicità

    CAPITOLO III - Le stazioni della vita

    CAPITOLO IV - Gli strumenti della felicità

    CAPITOLO V - Panorama della felicità

    CAPITOLO VI - La religione

    POSTSCRIPTUM

    Felicità contro ansietà

    INTRODUZIONE

    Felicità - Una condizione della mente e del corpo.

    In questo mondo i medici si trovano in una particolare condizione: essi non devono trattare con gente comune, ma con pazienti; ed un paziente non è un essere normale; è un essere che cova una malattia. Il medico non si trova davanti ad un uomo che viene a parlargli della sua vescichetta biliare, o della disfunzione della sua glandola tiroide; bensì ad un individuo che incomincia col dire: Non sono più io, oppure: Non posso più andare avanti così, oppure: Sono terribilmente infelice. Chiedere l’aiuto di un medico, al giorno d’oggi, è qualcosa che somiglia ad una dichiarazione di fallimento. È l’essersi resi conto di un guasto nel normale meccanismo dell’esistenza, un guasto che non possiamo riparare da soli. Il medico si mette all’opera e, in base alla sua conoscenza delle alterazioni fisiche, della natura del male, e considerando l’organismo come un’unità lavorativa, cerca di diagnosticare il caso e di fare un programma per la cura. Ma non sarebbe all’altezza del suo compito se non considerasse il cliente come un essere umano. Egli deve informarsi del suo lavoro, della sua famiglia, della sua posizione finanziaria, dei suoi interessi, delle sue difficoltà; deve adattare i risultati medici oggettivi ai desideri ed alle necessità di questa particolare persona. Il suo parere sarà di grande importanza per il destino del paziente: infatti è spesso questione di vita o di morte. La responsabilità e il potere del medico sono, quindi, ben gravi. Si può essere ottimi oculisti o chirurghi, e non capire il dramma della vita. Le operazioni tecniche del medico richiedono un’abilità ed una esperienza che spesso si possono trovare soltanto in medici specializzati; ma il vero medico sta dietro lo specialista, e dirige e coordina. il suo lavoro: è l’uomo di fiducia del paziente. Un chirurgo non ha bisogno di immedesimarsi con il malato di un tumore al cervello, mentre il medico che lo cura deve sempre identificarsi con lui. Questo intimo processo di identificazione è l’essenza della pratica medica. Il medico deve continuare a domandarsi: Cosa farei al suo posto ? Questo suo amalgamarsi col malato consente al medico di mantenere tranquilla la propria coscienza e di accettare la responsabilità di agire e di decidere per lui. E un tale concetto della medicina ci permette di penetrare molto più dei raggi X e degli attrezzi di laboratorio in ogni possibile segreto della vita. Naturalmente è necessaria la più benevola introspezione e comprensione delle vicende umane. Il patto fra medico e paziente è ben diverso da quello che lega un consigliere spirituale a un membro del suo gregge, o un maestro al suo discepolo: questi, infatti, sono prigionieri di premesse e discorsi morali educativi. Il medico, invece, non ha davanti a sé che il nudo paziente: egli non vuole influenzarne la mente o i principi morali, vuole riparare il suo guasto, incrementare le sue funzioni. Se riesce in tale compito, avrà contribuito alla sua felicità. E per questo, per ogni tipo di trattamento medico, la prova più importante consiste nell’osservare se, dopo il trattamento subito, il paziente è più felice. La maggior parte delle più recenti pubblicazioni sui conflitti emotivi è stata scritta da psichiatri: io non ho niente contro gli psichiatri, ma il loro modo di pensare è in misura più o meno grande influenzato da uno studio patologico della mente; essi non tengono conto delle oscillazioni fisiologiche che influenzano le emozioni nel loro insieme, e ancora meno dei disturbi extra-mentali. Il loro linguaggio non è molto comune, specialmente quando soggiacciono al dogma di una particolare scuola o teoria: è un gergo segreto che tende a spiegare ogni cosa, anche ciò che non si può spiegare, nel campo limitato della nostra conoscenza. Benché tale terminologia clinica mi sia familiare, ho cercato di non usarla in questo libro. Ho cercato di descrivere, con il linguaggio di ogni giorno, gli aspetti della felicità, e dell’infelicità., come esse appaiono nella quotidiana esperienza della vita di ogni medico, anzi della vita di qualunque persona che abbia occhio ed orecchio per le vicende del cuore umano. Perciò questo libro non vuole essere un sistematico questionario della felicità., né un piano di ricerche scientifiche. È piuttosto un diario riguardante la felicità, una cronaca di pensieri e di impressioni ricevuti in tanti anni di quotidiani contatti con gente infelice. Ed è, finalmente, la storia della lotta dell’autore con un profondo problema umano, che riguarda il suo destino, non meno di quello dei suoi lettori. Molto di ciò che sta per dire potrà. essere criticato; tuttavia egli spera di contribuire ad un nobile scopo : spera di far rivivere la parola felicità che, oggi, per la maggior parte di noi, è priva di significato di farla divenire qualcosa di tangibile, con carne, sangue e senso, qualcosa che noi possiamo aver avuto o perduto, ma che è concreta come il nostro corpo e le sue avventure sulla terra. La felicità è una condizione dello spirito determinata dal rilasciamento di tensione. L’infelicità è determinata da un inadeguato rilasciamento di tensione. Questa è la definizione più semplice e più chiara che io possa concepire. Essa pone il vecchio problema della felicità umana in termini biologici, a cui, credo, il problema appartiene. Felicità e infelicità sono, secondo me, fenomeni biologici; le loro aberrazioni e alterazioni devono essere capite e curate dal medico. La tensione e la distensione sono condizioni fisiche fondamentali che appaiono nel mondo organico ed inorganico; che influiscono su ogni processo naturale e ne determinano la vita ovunque, nelle cellule, negli organi, negli organismi, nei gruppi, nelle società. Per realizzare la distensione occorre la conoscenza o l’esperienza di essa. È felice chi può rilasciare al massimo la tensione con un minimo di lotta e di sforzo, senza s’offrire, né mentalmente, né fisicamente, sotto il continuo peso della tensione e del suo rilassarsi, che è la qualità più vitale del ritmo della vita. Un’esistenza senza sofferenze sarebbe, in realtà, una condizione statica e priva di vita che nessuno di noi sarebbe capace di sopportare da vivi, mentre tutti noi la desidereremmo fortemente da morti. Ma la vita, probabilmente oggi più che mai tende a produrre un aumento di sofferenza, e il potere di ridurla (così sembra a molti di noi) è in continua diminuzione, il nostro ritmo di squilibrio e di equilibrio è profondamente turbato, la maggioranza di noi è sempre più infelice e sempre meno felice. Una persona felice deve essere in pace con se stessa e con il suo ambiente; deve anche saper affrontare, superare e, se necessario, combattere qualunque cosa turbi questa pace. E deve sapere saggiamente usare le sue riserve fisiche ed emotive e andare avanti, finché gli è possibile, senza l’aiuto di illusioni, artifici, o carità. altrui. Solo i pochi esseri felici sembrano capaci di ciò. Il guaio è che la felicità, si può comprare, o almeno prendere a prestito, ad un prezzo che sembra spesso conveniente se lo si confronta con lo sforzo di crearsi la felicità, con le proprie forze e volontà. Possiamo ubriacarci ed essere felici, comprare un’automobile ed essere felici, assistere ad una partita di baseball, andare da uno psichiatra, in chiesa, e riusciamo, così, a rilassare la nostra tensione almeno temporaneamente. Tuttavia l’infelicità ritorna sempre troppo presto, troppo opprimente; il distendersi e il tendersi dei nostri nervi assumono il carattere di un’abitudine favorita da uno stato di ansietà. Il gioco libero e indipendente della mente e del corpo è turbato. Siamo infelici. Siamo malati. Una ricetta per la felicità si prescrive facilmente, ma difficilmente viene osservata:

    1) Prevenire le sofferenze fisiche.

    2) Prevenire la colpa.

    3) Non indulgere alle illusioni.

    4) Accettare la realtà della morte.

    5) Fare ciò che si desidera.

    6) Continuare ad istruirsi.

    7) Accettare i limiti delle nostre possibilità.

    8) Essere disposti a pagare per ciò che si ottiene.

    9) Essere disposti e capaci di amare.

    10) Evitare i segreti.

    Non c’è una di queste leggi che noi non violiamo varie volte nella breve durata della nostra vita, con o senza intenzione. Tuttavia queste infrazioni verranno sempre a far parte dell’infelicità che stiamo provando e che avremmo potuto evitare se fossimo stati più accorti. L’individuo completamente infelice è una persona malata, assillata dall’ansietà e dal senso di colpa, aggrappata a delle illusioni, timorosa o incurante della morte, una persona che lavora senza piacere, ignorante o pigra, inconscia delle sue riserve e dei suoi limiti, avara e maldisposta a offrire e a dare, oppressa da sospetti e segreti. Un medico deve trattare quasi sempre con gente infelice. Non esiste irritazione cutanea, ulcera, malattia di cuore, mal di testa che non conduca direttamente nella giungla della sofferenza umana, alla confusione, tensione, catastrofe imminente. Ogni paziente che ci siede accanto e ci parla con sincerità, rivela un complesso di disturbi che fa sembrare ridicola l’artificiale separazione della mente dal corpo, disturbi che non possono essere curati da qualche pillola. Come gli ingranaggi di un meccanismo imperfetto, così il difetto si adatta al danno e il danno al difetto. Il medico, con suo dispiacere, non può fare quasi niente per fermare questo meccanismo dell’infelicità perché troppo danno è già stato fatto e c’è troppo poca buona volontà ed energia per riparare. Questa persona sembra in trappola; il tempo corre velocemente in una sola direzione. L’esistenza di un uomo è un processo storico, un accumularsi del passato e del futuro prevedibile, che può essere corretto soltanto nei particolari, con grandi sforzi e con una grande pazienza. Noi non siamo mai soli con la nostra vita. Siamo come irretiti in gruppi, famiglie, legami atavici, obblighi e affetti, odi e aspirazioni, paure e speranze. Molto può fare una messa a punto dello stato del malato e il medico si trova in una condizione favorevole, quando si chiede soltanto questo da lui. Egli agisce come un tecnico esperto che risponde a domande precise sulla funzione di questa o quella parte. Ma sono molto pochi coloro che vogliono fatti concreti; la maggior parte dei pazienti chiede sollievo dalla paura, chiede di essere rassicurata, consolata, confortata, vuole nuove e più tenaci illusioni. Io l’ho finita con questo gioco da molto tempo. un lavoro demoralizzante ricostruire la vita di un peccatore che non vuole pentirsi; è una questione di preghiere e di cure caritatevoli, non di consigli scientifici. Per molto tempo si è abitualmente pensato alla fanciullezza come a un periodo felice. Oggi sappiamo di quanto ci siamo sbagliati. È vero che le responsabilità. imposte a un bambino sono relativamente più leggere di quelle di un adulto; nondimeno esse possono costituire in terribile peso. Essere puliti, mangiare, obbedire a regole senza l’aiuto della conoscenza, dell’esperienza e delle abitudini, costituiscono un gigantesco sforzo, reso sopportabile solo dalla salute e dall’energia, maggiori nel bambino, dal minore numero di memorie tristi, dalla maggiore innocenza. E sappiamo, ancora, quanti di noi sopportano per tutta la vita il peso di una prima infelicità, e come le prime offese siano profondamente radicate, quasi inestirpabili, e come crescano fra le radici di una malattia lunga quanto la vita. La maggioranza dei bambini sembra felice, perché pochi di loro sono fisicamente intaccati e perché le immense energie che sono insite in un giovane organismo crescente non sono ancora esaurite. Ma la coscienza della felicità, di cui purtroppo così spesso ci rendiamo conto soltanto alla fine di un periodo felice, la felicità consapevole, si può ottenere soltanto dopo aver raggiunto un certo stadio di maturità, o meglio, un certo stadio di saggezza. Sembra che siano più felici i vecchi che i giovani. Questa affermazione non è affatto sorprendente. La felicità deve essere raggiunta, è una mèta, un difficile compito, e solo alla fine della nostra vita possiamo decidere se è stata felice o infelice, quando siamo in grado di pesare con giustizia le nostre azioni e i nostri sbagli. Non c’è dubbio che si possa imparare ad essere felici, nessun dubbio che bisogna imparate ad essere felici in un tempo in cui l’infelicità è la malattia più diffusa sulla terra. Il fenomeno della felicità non è mai statico. Le sue fonti, il suo contenuto, le sue sfumature variano continuamente secondo le mutevoli forme delle tensioni, i mutevoli caratteri della storia umana. In questi tempi di crisi e di lotte, i turbamenti della felicità hanno le caratteristiche di una malattia; come malattie possono essere diagnosticate e curate. Il direttore di un periodico di grande successo, che si dedica alla diffusione del vangelo della fiducia e del successo, mi disse recentemente: Chiunque sia felice oggi, dovrebbe farsi esaminare il cervello. Cosa avverrà del mondo, se un uomo, che rappresenta la voce professionale del vivere fiduciosi, ha perduto la fede nella realtà della felicità ? Forse è rimasta qualche zona, dove la gente è ancora felice, pochi dimenticati, in mezzo a una generale atmosfera di nera infelicità. Ma ciò che noi cerchiamo e speriamo, è che uomini e donne maturi sappiano sfuggire alla confusione e alla ansietà di una vita discontinua e che sappiano trovare per loro stessi una nuova, migliore e più felice forma di esistenza, in cui essi si trovino a loro agio, non più stranieri, come la maggior parte di noi siamo, nel loro mutevole mondo.

    Una tale trasfusione del benessere individuale nel benessere sociale, una condizione di salute nel senso più vasto e costruttivo, è proprio quello per cui lottiamo. Come la salute è più una riserva di energie in caso di shock, salute latente che non assenza di malattie vere e proprie, così la felicità è più che mera assenza di infelicità: è una positiva immunità e resistenza contro l’invasione della miseria. Perciò la felicità non è soltanto un problema psicoterapeutico, non è semplicemente una questione di forza spirituale: è una maniera di vivere in modo appropriato ed intelligente in tutti i campi aperti agli esseri umani. Soltanto cambiando noi stessi possiamo cambiare leggermente il fato dell’umanità: cercando di portare a compimento i nostri desideri e le nostre speranze, correggendo le nostre deficienze, proteggendo noi e gli altri dal male, rafforzando la gioia e la dignità della vita. Cercheremo quindi di analizzare le cause, la cura dell’infelicità e la tecnica per assicurare, preservare e ricostruire la felicità del paziente dei nostri giorni. Soltanto se scopriamo cosa è avvenuto della felicità in questo nostro tempo di generale scontento, soltanto allora possiamo sperare di sapere che cosa avverrà di noi. Quel direttore di rivista aveva ragione: dovremmo farci esaminare il cervello, visto che qualcuno di noi, a dispetto di tutto, è ancora felice. E tutti desideriamo essere felici. Esaminiamo, allora, la nostra mente.

    Nello scrivere questo libro, io non voglio assumere l’aria di chi ha risolto tutti i suoi problemi e conosce tutte le risposte. In realtà l’unica mia giustificazione, per avere scritto questo libro, sta nel fatto che ho avuto una gran parte di infelicità, ma che ho sopravvissuto fino ad oggi, riportandone soltanto poche ferite e cicatrici. Una volta un mio amico fu illuso da un libretto che pretendeva di presentare ai suoi lettori l’infallibile ricetta per vincere alla roulette di Monte Carlo. Aveva disperatamente bisogno di soldi, studiò per parecchie notti quel sistema piuttosto complicato e, finalmente, andò a Monte Carlo, dove, dopo qualche successo iniziale che rafforzò la sua fede nel libro, finì per perdere fino all’ultimo centesimo. Disperato, ricordando che l’autore della sua Guida del giocatore risiedeva a Monte Carlo, decise di chiedere il suo consiglio. Probabilmente aveva frainteso qualcuna delle sue regole. Dopo una lunga ricerca lo trovò, in pietose condizioni, che viveva in una indescrivibile miseria. Questa fu per il mio amico la fine della sua carriera di giocatore. Il lettore di un libro su come fare una cosa, ha il diritto di farsi delle domande sulla persona che pretende di conoscere i suoi problemi meglio di quanto faccia lui stesso. Difficilmente avrei cominciato questo libro in un periodo di acuta e profonda infelicità. Io sono medico, ho passato la cinquantina, sono nato a Berlino ed ho vissuto in America fin dal-1936. Mio padre era dottore; io crebbi nell’atmosfera di pace e di sicurezza di una casa civile, tranquilla. Soffrii parecchio, durante la mia adolescenza, perché non ero capito da alcuni insegnanti stupidi e autoritari. A i8 anni entrai nell’esercito germanico e trascorsi gli ultimi armi della Guerra Mondiale come soldato in Turchia. Mio padre morì una settimana prima che scoppiasse la rivoluzione del 1918. Studiai medicina ad Heidelberg e a Berlino ed alla fine dei miei studi sposai una mia collega. Mia madre mori. Ebbi una figlia. Praticai con successo la professione quale dermatologo e divenni direttore di una clinica. Hitler apparve sulla scena della Germania. Persi mia moglie nel 1933 e nel 1936 emigrai negli Stati Uniti, imparai l’inglese, passai attraverso varie formalità e incominciai la professione a New York. Circa quattro anni fa ebbi un attacco di cuore, da cui mi rimisi bene. Mia figlia si sposò l’anno scorso. La scorsa estate, per la prima volta dopo tredici anni, ritornai in Europa. Contemporaneamente attratto e respinto, mi tuffai in un intera catena di avventure emotive che scossero profondamente il tranquillo svolgersi della mia vita di ogni giorno. Questi fenomeni emotivi possono essere classificati come sintomi di ciò che oggi si chiama abitualmente climaterio maschile. Ora questo periodo critico sembra essere superato. Poche settimane fa ho fatto dipingere a nuovo le pareti del mio appartamento; ho gettato via tonnellate di carta e centinaia di lettere, ho lucidato gli ottoni, spolverato i miei libri e cominciato una nuova fase di vita, non molto diversa da quella di prima; pratico la mia professione, faccio qualche ricerca in ospedale, scrivo libri ed articoli, ma mi sento sollevato dal peso oppressivo di una confusione esterna ed interna. Questa è la tipica storia di un comune figlio del nostro secolo; storia che si ripete, con qualche variante, in molti paesi della terra. Sembra che gli incidenti più gravi della mia vita, guerra, perdita di denaro e di beni, servizio militare, fuga dal mio paese per sfuggire all’oppressione e alla morte, ricostruzione di una vita rovinata, abbiamo sempre agito come vigorosi stimolanti per aumentare i miei sforzi, abbiamo incrementato la mia maturità, la mia conoscenza e tolleranza, e abbiamo aggiunto umiltà, alla mia eccessiva opinione di me stesso, evitandomi una vecchiaia precoce. Senza questi incidenti e con l’eredità. di una sicurezza economica e sociale e ancor più di una sicurezza intellettuale, avrei smesso da molto tempo di vivere, in un senso non puramente fisico. Avrei smesso di attendere e di sperare in cambiamenti imprevisti e di conservare la profonda curiosità, che sembra essere un preciso elemento di misura della vitalità, di un essere umano. Fortunatamente io, fino ad ora, sono sfuggito ad atti di violenza, di ingiustizia o di tortura che, con ogni probabilità., non avrei saputo sopportare. Penso, tuttavia, che il fatto stesso di essere un medico mi fornisca mezzi non comuni di protezione contro numerosi baratri dell’esistenza. Uno degli scopi di questo libro è appunto quello di comunicare al profano qualche esperienza e qualche scoperta introspettiva che sono alla base della professione medica e che sono essenziali per il successo nella lotta contro i rischi della vita. Un saggio medico non può temere la morte o le malattie; queste sono necessariamente le sue intime nemiche e compagne. Egli conosce abbastanza bene i fatti biologici per sfuggire all’ignoranza irresponsabile e per rendersi conto dei limiti della conoscenza. Egli sa aiutare; e sa quando il suo aiuto sarà inutile. Il risultato è un misto di pronto scetticismo e di infallibile entusiasmo; e questa è un’ottima condizione per avvicinarsi, non solo ai problemi della medicina, ma anche alla vita in tutti i suoi aspetti. Un medico conosce la vita senza alcuna maschera di educazione e di pretesa; conosce la vita con tutte le sue paure, dolori e miserie, e conosce l’incredibile forza e facoltà. di recupero del cuore umano. Dignità, realismo e compassione, un sicuro istinto per le diagnosi, e facoltà di prevedere i fatti, sono gli strumenti principali di questa professione. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che egli sia bene attrezzato per affrontare le sue sofferenze. In realtà io mi sento spesso sgomento quando penso a come la gente osi comandare nazioni e fare la storia, senza imparare neanche le nozioni più semplici del corpo umano, le sue reazioni al riposo e al logorio, i suoi bisogni, le sue necessità e schiavitù, senza conoscere la condizione di benessere che fa la felicità e che è stata l’eterna mèta degli individui e delle società umane. La mia vita non è stata più facile della maggior parte delle vite che ho avuto occasione di osservare. Il mio carattere, la mia salute, la mia maschera emotiva, le mie doti e le mie deficienze, non sono diverse da quelle degli altri normali esseri viventi. È sorprendente osservare quanto si assomiglino, in contrasto con l’immensa varietà della natura, le avventure essenziali, le tendenze, i contrattempi, le speranze della gente. Cose incredibili, belle e brutte, sono successe a me e a voi. Io mi sono comportato bene in qualche occasione e mi sono vergognato di me in molte altre occasioni. Si può imparare ad accettare tutto questo senza confondersi o lasciarsi prendere dal panico. Si può imparare ad essere preparati alla lotta, a riconoscere la felicità quando arriva, e a goderne. Le principali fonti della nostra infelicità, in cui noi ci troviamo strettamente impigliati, sono la paura della morte e della sofferenza, e le illusioni che ci facciamo sulla vita. Capire che cosa ci tormenta è spesso, se non la cura, la principale condizione per essa. Nessun medico può aiutare un ammalato che rifiuta di farsi curare. Essere il mio dottore e, nello stesso tempo, il mio paziente è stato sempre il mio grande vantaggio. Un medico che non conosce personalmente la malattia può facilmente sbagliarsi nel curare gli altri. È stato affermato che circa i due terzi di coloro che consultano un medico non sono ammalati organicamente. Il che significa che nel loro organismo non si trovano specifiche alterazioni. Essi accusano nervosismo, insonnia, fatica, costipazione, mal di testa, mancanza di energia. Qualche anno fa questi disturbi erano considerati funzionali e non erano presi molto sul serio. Il punto di vista della medicina moderna è ben diverso. Si è sviluppato il concetto della medicina psicosomatica e si è scoperto con sorpresa quante malattie organiche incominciano come disturbi funzionali e quanto sia complesso il rapporto fra un disturbo emotivo e una malattia fisica. Ma qualcuno potrebbe non essere soddisfatto del concetto di malattia psicosomatica. La separazione della mente dal corpo ha confuso la medicina per molti secoli. Ciò dipende dall’aver male interpretato il pensiero filosofico. Non esiste che un solo individuo umano, un solo corpo, e ciò che accade nel cervello influisce sulle dita del piede, sulla pelle, sul cuore. Non c’è disturbo fisico che non cambi l’umore o la mente o viceversa. Noi possiamo studiare una particolare alterazione fisica e il suo decorso, localizzarla e darle un nome. Un osso rotto guarisce secondo determinate regole; un germe che ha invaso il nostro corpo può essere identificato e distrutto da determinati medicamenti o interventi. Ma anche quei disturbi che sono causati da un ambiente ostile hanno un decorso che dipende dalla nostra resistenza generale, dalla nostra abilità, nel lottare, dal nostro generale atteggiamento verso la vita e la malattia. Dipendono principalmente dalle condizioni della nostra mente, le quali dipendono, a loro volta, dal nostro stato di salute fisica. Non stiamo parlando di corpo e di digestione, o di corpo e di metabolismo. Faremmo grandi progressi nella conoscenza del nostro organismo, se dimenticassimo l’artificiale separazione della mente dal corpo e se considerassimo mente ed emozioni come funzioni parziali, come le funzioni dei sensi e dell’apparato digerente, di un sistema unito indissolubilmente: il nostro corpo.

    CAPITOLO I

    Profilo dell’infelicità

    Nosce te ipsum, (conosci te stesso), è una delle più antiche massime della filosofia umana. La necessità di conoscersi è oggi, come sempre, la base delle relazioni con noi stessi e con gli altri. Comunque noi chiamiamo una specifica scuola o sistema di cura, questa regola del conoscersi ne è il principio fondamentale. Qualcuna delle nostre tecniche può essere più opportuna e più realistica di altre. E alla fine scopriremo che vi sono parecchie vie per raggiungere ciò che gli psicologi amano chiamare realizzazione di se stessi, esattamente come vi sono parecchie vie per perdere se stessi. Il successo dipende dalla volontà e dalla convinzione con cui cerchiamo di conoscerci, oppure dalla persona che ci guida, se non sappiamo risolvere i nostri conflitti da soli. Un altro fattore è la situazione, il clima in cui ci

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