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Energia della fertilità
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E-book298 pagine3 ore

Energia della fertilità

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Info su questo ebook

Esiste un’energia della fertilità? Alla luce di una lunga esperienza professionale e personale, il dottor Cerusico ha compreso quanto la fertilità, intesa come capacità di avere figli ma anche come possibilità di esprimersi al meglio, dipenda dal livello energetico generale e dal giusto equilibrio tra salute fisica e mentale. L’approccio di Cerusico parte da forti certezze mediche e dati scientifici, allargando lo sguardo per osservare con attenzione elementi che spesso la medicina considera secondari. Un’impostazione che lo ha spinto alla creazione di un metodo unico ed originale, elaborato sulla base di indicazioni testate e studiate per accrescere fertilità e benessere. La definisce come una sorta di magic box: una scatola magica contenente strumenti che potenziano la salute e innescano la guarigione, curando il corpo e gli organi riproduttivi, ma anche lavorando sull’equilibrio emotivo e mentale di cui tutti abbiamo bisogno per realizzare i nostri desideri.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2022
ISBN9788863656428
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    Anteprima del libro

    Energia della fertilità - Fabrizio Cerusico

    1. ENERGIA DELLA FERTILITÀ

    Se non vuoi essere dimenticato non appena sarai morto e sepolto, scrivi cose che valga la pena leggere, o fai cose di cui valga la pena scrivere.

    — Benjamin Franklin

    Come sosteneva Cartesio: «Il dubbio è l’inizio della conoscenza». Di certo sono stati proprio i miei dubbi verso un’impostazione medica troppo focalizzata sui sintomi e troppo poco sul benessere generale delle persone a spingermi verso uno studio più ampio, che includesse anche lo stile di vita tra gli elementi importanti da prendere in considerazione.

    Ovviamente, e per fortuna, non sono stato il primo né il solo a imboccare questa direzione.

    Già negli anni ’70 il sociologo israeliano-americano Aaron Antonovsky cominciò a elaborare ricerche e teorie sulla relazione tra stress, salute e benessere. Il suo concetto più conosciuto è la salutogenesi, termine composto dalla parola latina salus, salutis (salute) e dalla parola greca genesi (origine, inizio, derivazione).

    La salutogenesi, in pratica, si occupa di tutto ciò che genera salute.

    Secondo Antonovsky, infatti, il classico approccio medico patogenico, dove l’interesse si concentra sull’insorgenza, sulla cura e sulla prevenzione della malattia, va integrato con un’attenzione maggiore verso ciò che accresce la salute fisica, psichica e spirituale.

    Il suo pensiero si basa sull’idea che salute e malattia siano due poli opposti tra i quali oscilliamo tutti nel corso della nostra vita. A seconda delle risorse e dei comportamenti che mettiamo in atto ci possiamo avvicinare al polo della salute, allontanandoci automaticamente da quello della malattia. Per farlo è necessario compiere scelte consapevoli che permettano di utilizzare al meglio le risorse interne ed esterne a disposizione, accrescendo la propria resilienza e la capacità di metterne a frutto le potenzialità.

    Questo movimento in direzione della salute sarebbe alimentato da quello che Aaron Antonovsky definisce Senso di Coerenza, che lui spiega come «un globale, sebbene penetrante sentimento che qualsiasi cosa accada nella vita essa può divenire comprensibile e può essere gestita. C’è anche uno scopo e un significato legati a ogni cosa».

    In parole semplici è una sorta di approccio positivo al mondo, che potenzia la capacità di usare al meglio le proprie risorse: le persone con un marcato senso di coerenza reagiscono in maniera flessibile alle sollecitazioni e possono attivare comportamenti adeguati alla situazione che stanno vivendo. Il Senso di Coerenza è quindi la nostra personale lettura della realtà: il modo in cui vediamo, pensiamo, sentiamo e viviamo la nostra vita. Ovviamente comprende anche i comportamenti che mettiamo in atto quando decidiamo di reagire a qualcosa.

    Come diceva Antonovsky: «La mia ipotesi è che la forza del Senso di Coerenza abbia conseguenze psicologiche dirette e, attraverso questa via, manifesti un impatto sullo stato di salute».

    DALL’INFERTILITÀ ALLA FERTILITÀ

    Quando mi trovo di fronte a una coppia desiderosa di avere un figlio, non penso a due macchine biologiche con un problema da correggere, ma penso a individui nella loro interezza. Persone che meritano di stare bene ed essere felici.

    Considerare il contesto più ampio, quello che definisce il benessere, mi ha consentito di rovesciare la prospettiva di studio e di intervento: dall’infertilità alla fertilità.

    Cosa posso fare per sviluppare e promuovere le potenzialità riproduttive di chi si rivolge a me? In primo luogo posso individuare i problemi funzionali e cercare di correggerli, offrendo conoscenze e strumenti in grado di migliorare l’efficienza dei singoli organi. Allo stesso tempo posso, anzi devo, soprattutto valutare lo stato di salute complessivo di quell’unità psicofisica che si esprime in un essere umano.

    Esiste un equilibrio ottimale per ognuno di noi, frutto delle nostre azioni, delle abitudini e dei pensieri che coltiviamo: come raggiungerlo e mantenerlo? Come far sì che da questo equilibrio scaturisca l’energia necessaria a sviluppare le potenzialità di una persona? Cosa posso fare per la fertilità?

    È questa la mia personale prospettiva di intervento: lavorare per qualcosa, la fertilità, non contro qualcosa, l’infertilità. Mi piace infatti pensare alle persone che si rivolgono a me come a dei compagni di viaggio verso una dimensione positiva, quella della vita e della salute. L’obiettivo è affiancarle in un percorso di cura che includa sia aspetti visibili e studiabili, sia elementi sommersi, rinchiusi nella memoria emotiva.

    Quest’ultima non è qualcosa di poetico e metafisico, ma un sistema neurosensoriale regolato da una ghiandola che ricorda molto la forma di una mandorla, l’amigdala. Piccola, ma immensa nelle sue funzioni cerebrali, l’amigdala ha la capacità di rilasciare ormoni che innescano reazioni di fuga o attacco, come adrenalina, noradrenalina, dopamina – le amiche Dopa e Mina, di cui parlerò in modo più approfondito nei prossimi capitoli – ed è in grado di mobilitare i centri del movimento, di attivare il cuore, i muscoli, l’intestino. Si può definire come l’archivio della nostra memoria. Lavorare su questo archivio consente di acquisire una maggiore consapevolezza di ciò che siamo e, di conseguenza, di ciò che vogliamo.

    Senza l’intenzione di sostituirmi a professionisti delle scienze che hanno a che fare con la psiche, so che molte delle risorse necessarie ad attivare la fertilità sono nella mente. Perciò, se si vuole partire per questo viaggio alla scoperta delle potenzialità del benessere, è necessario lavorare anche sui pensieri e sulle emozioni che si agitano dentro di noi.

    IL SENSO DI COERENZA DELLA FERTILITÀ

    Torniamo per un momento alle teorie di Antonovsky: più precisamente al Senso di Coerenza che ho già introdotto. Se lo immaginiamo come un quadro integrato di risorse e significati, possiamo affermare che chi è in armonia con il suo corpo e con la sua mente ha l’energia giusta per prepararsi a dare vita, e accogliere, il nuovo. Per questo, oltre a un supporto medico indirizzato agli organi coinvolti nei processi riproduttivi, è fondamentale accompagnare le persone lungo un percorso di cura del corpo e della psiche. In questo secondo caso, per cura intendo riguardo, attenzione, premura, ma soprattutto capacità di ascoltare e consigliare sulla base delle esigenze recepite e dell’esperienza maturata sul campo.

    Certo, quando una coppia varca per la prima volta la soglia del mio studio, l’obiettivo principale è quello di renderli genitori. Ma io so che, se vogliamo raggiungerlo, è necessario dirigerci insieme verso un traguardo ancora più alto e importante: accompagnarli verso uno stato di salute complessivo, capace di migliorarne in modo drastico la qualità di vita. Solo così saranno pronti a ritrovare la loro massima fertilità, sia sul piano medico che a livello mentale.

    Ecco, per me il senso di coerenza della fertilità sta in questa piena armonia tra corpo e mente. Un’armonia capace di alimentare energie nuove e piene di possibilità, che ci rendono capaci di portare la vita dove prima non c’era, impreziosendo il futuro con i nostri desideri, ma che, soprattutto, ci aiutano a dare il massimo in ogni fase dell’esistenza. Perché la fertilità non si limita alla ricerca di una gravidanza, ma è uno stato fisico e mentale che consente di stare al meglio, a prescindere dalla scelta di avere figli o meno.

    Essere più fertili, sentirsi più fertili, è una condizione fondamentale per vivere in modo più ricco e pieno. Centinaia, migliaia di esperienze e storie di pazienti me lo dimostrano da anni. E anche la mia storia lo dimostra, insieme alle loro.

    LA PROSPETTIVA GIUSTA

    Da dove cominciare questo viaggio verso una fertilità che non coinvolga solo il corpo?

    Io suggerisco di partire da tutto ciò che ancora non sappiamo.

    In medicina si usa il termine idiopatia per indicare una patologia di cui non si conoscono chiaramente le cause. L’infertilità idiopatica, ad esempio, è la condizione di chi non raggiunge la gravidanza dopo un anno di tentativi, nonostante tutte le indagini diagnostiche del caso mostrino una regolarità nell’ovulazione e nei parametri spermatici, oltre che una totale assenza di impedimenti fisici che possano giustificare un mancato concepimento. Secondo il Registro Nazionale sulla Procreazione Medicalmente Assistita, istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, il 15,1% delle coppie che sceglie tecniche di fecondazione assistita ne è affetta.

    E gli altri? Considerando anche il numero di coloro che rinunciano a diventare genitori senza nemmeno prendere in considerazione altre strade, si stima che la casistica totale possa raggiungere il 25%. In pratica, una coppia su quattro non riesce ad avere figli, ma le cause rimangono ignote. Le ragioni di un’apparente infertilità possono essere molte: alcune visibili e diagnosticabili, altre più insidiose e nascoste. A volte, perfino, impossibili da spiegare con le attuali tecnologie.

    Escludendo le diagnosi errate, gli studi sull’argomento ipotizzano molte possibili ragioni dietro ai numerosi casi di infertilità inspiegabile: cause psicosociali o legate a condizioni strettamente soggettive, come l’ansia per un bambino che non arriva; la ricerca in età avanzata di una gravidanza; l’uso e l’abuso di farmaci, di sostanze stupefacenti o alcolici; l’inquinamento ambientale; il fumo di sigaretta; le convinzioni errate e limitanti riguardo all’alimentazione da seguire; risposte immunologiche anomale e impreviste e, più in generale tutti gli squilibri psicofisici ma di difficile diagnosi.

    La scienza ha cercato di andare ancora più a fondo, analizzando anche l’aspetto genetico: sono state così individuate altre possibili spiegazioni, come danni al DNA nel seme maschile, oppure fecondazioni in vitro con scarse performance di coppia nella fertilizzazione o nello sviluppo dell’embrione, tali da impedire di fatto il concepimento e la gravidanza. Insomma, se una gravidanza non arriva, le cause potrebbero essere molte e, per la maggior parte, difficili da vedere e definire. Come agire sull’invisibile, allora?

    Io ho scelto di provarci facendo leva su qualcosa che può sembrare altrettanto invisibile ma che, una volta sperimentato, si rivela estremamente concreto: il benessere psicofisico. Così, studiando e indagando con un approccio senza pregiudizi tutto ciò che ci aiuta a stare meglio, sono arrivato a capire cosa favorisce e cosa ostacola la ricerca di un bambino.

    SIAMO MOLTO DI PIÙ DI UN INSIEME DI PEZZI

    Per molte delle persone che si rivolgono a me, scoprire che la loro apparente infertilità non ha cause evidenti da un punto di vista medico è uno shock. La mancanza di un problema specifico, da risolvere all’istante con un medicinale o una cura, li spaventa e disorienta: se il loro ostacolo non si trova nelle ovaie, nell’utero, negli ovociti, nei testicoli, nella prostata o negli spermatozoi, dove devono andare a cercarlo? A chi si devono rivolgere?

    È una domanda comprensibile; nel corso dei secoli – specialmente nel corso del ventesimo secolo – la medicina tradizionale è diventata sempre più complessa e il corpo di conoscenze mediche si è suddiviso in branche specialistiche concentrate sulle singole parti, da curare e trattare in modo separato.

    In pratica, lo studio sempre più approfondito dei singoli ingranaggi molecolari di un sistema complesso come l’essere umano ha reso difficile pensarlo attraverso una visione unitaria. Per ogni pezzo del nostro corpo che non funziona a dovere abbiamo uno specialista da consultare: se il problema è nello stomaco c’è il gastroenterologo, se si trova nel cuore il cardiologo, e così via. Ma se non riesci a essere fertile, e lo specialista non riscontra problemi evidenti sul piano fisico, che fare?

    Forse l’unica soluzione è quella di riconoscere che il limite principale della medicina tradizionale sta nella sua vastità e nello scarso raccordo tra le varie branche. Per mia esperienza è stato decisivo tornare al punto di partenza, considerando di nuovo il corpo nella sua interezza.

    Quando parlo di punto di partenza mi riferisco proprio alle origini della professione medica, circa 2500 anni fa. In fondo, fu proprio Ippocrate a introdurre il concetto, innovativo per l’epoca, secondo il quale la malattia e la salute di una persona dipendono da specifiche circostanze che riguardano la persona stessa. Sulla base delle sue teorie era indispensabile studiare l’intero stile di vita del malato per poterlo curare, analizzandone abitudini alimentari, caratteristiche psicologiche, ambiente e relazioni sociali, contesto geografico di appartenenza con relative caratteristiche atmosferiche.

    A quei tempi la scuola di Cnido incoraggiava il lavoro sperimentale dei medici greci itineranti, di cui si parla anche nei poemi omerici; le loro osservazioni risultarono le prime, in area ionica, ad avere un carattere scientifico compiuto e costituirono una base molto importante per tutta la medicina successiva. Ippocrate era interessato e favorevole sia allo studio clinico che alla sperimentazione, tuttavia fu anche il primo a svelare i limiti di queste attività. Infatti, pur mostrandosi fiducioso del fatto che potessero portare a grandi scoperte, ne criticava una grande carenza: non riuscivano a produrre un quadro scientifico complessivo, capace di mettere ordine nell’infinita varietà dei fenomeni con i quali il medico si deve confrontare.

    Secondo lui, solo una conoscenza più ampia poteva rendere un medico veramente tale. Una conoscenza in cui il dialogo con il paziente consenta di includere anche mente e anima nella visione complessiva della persona che si ha di fronte.

    UNA MEDICINA NON ESCLUDE L’ALTRA

    Al pensiero di Ippocrate si ispira anche il giuramento che ogni medico presta prima di iniziare la sua professione. Uno dei suoi passaggi recita: «Giuro di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale».

    Da medico posso dire che continuo a trovare i concetti espressi da Ippocrate di profonda bellezza e di grande attualità. Hanno ormai qualche millennio sulle spalle, eppure potrebbero essere frutto di riflessioni contemporanee. Il dibattito mondiale sulla salute globale, intesa come diritto umano inalienabile, sembra nascere proprio da una riscoperta del padre della medicina. Basti pensare alla sua visione dell’essere umano come parte di un ampio sistema sociale influenzato da fattori di varia natura; o all’idea della salute come approccio integrato che considera processi biologici, economici, politici, culturali, sociali e ambientali. Se salute e malattia sono il risultato di questi processi, è indispensabile tenerne conto quando ci si relaziona a un paziente.

    Per chi è legato a un approccio istituzionale verso la medicina non è facile capire appieno questo mio interesse nei confronti di una visione complessiva della persona. Gli stessi pazienti talvolta restano spiazzati dall’attenzione che presto all’armonia globale, psicofisica, e soprattutto alla spiritualità, per risolvere specifici problemi di fertilità. D’altra parte, il concetto di armonia globale non sempre è visto di buon occhio da molti colleghi. In questi casi, la domanda che aleggia nell’aria è: perché non mi limito al mio campo di specializzazione e lascio ad altri professionisti diagnosi e trattamenti relativi al loro settore?

    Mettiamola così, non voglio invadere terreni che spettano ad altri, voglio semplicemente arricchire l’offerta del mio di terreno, cercando i migliori contributi, senza pregiudizi e con un unico criterio: la sola medicina valida è quella che aiuta le persone a stare meglio.

    Studio, mi informo, mi aggiorno, resto attento e vigile, ma non escludo a priori ciò che si rivela positivo per la salute e il benessere. Come ho già detto, il punto di vista di un settore specifico della medicina a volte può essere troppo limitato. Allargarlo significa valutare e recepire tutte quelle pratiche e quelle buone abitudini che si dimostrano utili per accrescere il benessere. Significa anche chiedere pareri e consigli ad altri esperti per saperne di più, confrontandosi e crescendo. Da medico, possiedo i mezzi per valutare il loro lavoro e scegliere eventualmente di integrarne alcune parti nel mio.

    Credo che solo una mente aperta consenta di trovare soluzioni sempre più efficaci. Che siano nuove o siano già note, ma riviste e migliorate, poco importa: che senso ha escludere determinati strumenti solo a causa di un’etichetta? Per me gli approcci vanno uniti, non messi l’uno contro l’altro. Anche Antonovsky, ad esempio, non ha mai proposto il suo approccio salutogenico come un’alternativa a quello patogenico. Sebbene i suoi studi si siano focalizzati su ciò che accresce la salute fisica e psichica, non ha mai negato l’importanza della scienza ufficiale, concentrata prevalentemente sull’insorgenza, sulla cura e sulla prevenzione delle malattie.

    Come non essere d’accordo con lui? Perché misurare e trasformare le differenze tra visioni e metodi in una gara o addirittura in uno scontro? Perché invece non valorizzare quelle differenze, rendendole un terreno di incontro e potenziamento reciproco? In fondo gli obiettivi sono comuni. Di solito le contrapposizioni servono a evidenziare torti e ragioni ma, quando si parla di salute, l’unico aspetto che conta è il benessere delle persone. Un benessere che, a mio avviso, può essere raggiunto solo attraverso una sinergia di punti di vista, metodi e studi, e, perché no, anche grazie a nuove prospettive sperimentali.

    UN PATRIMONIO DEL PASSATO DA RISCOPRIRE

    Chi non conosce il vecchio proverbio «l’unione fa la forza»? Poche e semplici parole, cariche di una saggezza che la complessità del mondo moderno spesso fa passare in secondo piano, anche nel campo della medicina. Come ho già accennato, l’evoluzione delle conoscenze ha alimentato la nascita di una moltitudine di discipline. Tuttavia in molti casi si tratta di discipline chiuse, incapaci di dialogare e di mettere a frutto la grande ricchezza di prospettive offerta dal confronto.

    Ogni approccio può contare sul proprio patrimonio teorico e metodologico, eppure, paradossalmente, rischia di ritrovarsi sempre più isolato, prigioniero delle sue convinzioni. A venir meno è la collaborazione, condizione necessaria per una strategia complessiva che metta al centro il benessere del paziente. E senza collaborazione e obiettivi comuni rimangono i dannosi estremismi, le scelte dogmatiche e gli inutili scontri di metodo.

    Le mie intenzioni nello scrivere questo libro sono chiare e vanno in una direzione opposta rispetto a quella della frammentazione dei saperi: se criticherò alcuni aspetti della medicina ufficiale non sarà per negarla o contrastarla, ma per arricchirla con punti di vista che possano potenziarne gli effetti, aggirando alcuni dei suoi limiti o dei suoi eccessi.

    È giusto, a questo punto, che un medico proponga anche soluzioni non ancora riconosciute dalla scienza ufficiale? Mi permetto di rispondere con una domanda, senza alcuna intenzione retorica: è giusto che un medico utilizzi al meglio gli strumenti della medicina ufficiale e quelli di alcune medicine alternative, se questi ultimi non compromettono l’efficacia dei primi? Messa così, la prospettiva è sicuramente differente: aggiungere senza danneggiare. Perché opporsi?

    Considero le medicine alternative, così come quelle tradizionali, un grande patrimonio per tutti noi: risorse preziose che vanno integrate e fatte collaborare sia per la cura e la prevenzione delle patologie, sia per il raggiungimento di uno stato di benessere che rappresenta un diritto fondamentale per tutti. Considerarle un grande patrimonio non significa però prendere tutto per oro colato. Anche in questo caso la

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