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Il sogno del guerriero: Le prigioni di Sath
Il sogno del guerriero: Le prigioni di Sath
Il sogno del guerriero: Le prigioni di Sath
E-book262 pagine3 ore

Il sogno del guerriero: Le prigioni di Sath

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Info su questo ebook

Ares è in viaggio verso un pianeta lontano con l’incarico di capire l’origine di una misteriosa emissione di energia. Ma  la missione ufficiale nasconde il vero scopo del suo viaggio: trovare il pianeta di origine della sua gente. Un sogno e l’incontro con un veggente, esiliato su un pianeta sperduto e affascinante, cambieranno per sempre la sua vita. La galassia è quasi completamente sotto il dominio di un impero totalitario che schiaccia senza pietà ogni tentativo di rivolta. Solo uno sparuto gruppo di ribelli, sprezzantemente chiamati pirati dall’impero, ne contrasta lo strapotere.  Una pura casualità porterà Ares tra le fila dei ribelli. Il ricordo del sogno e l’intuito di Ares daranno ai ribelli un vantaggio in questa lotta, spostando l’ago della bilancia di questo impari scontro. Durante una battaglia Ares cade prigioniera e viene reclusa nelle prigioni di Sath. Scoprirà presto che non solo i ribelli ma anche il suo pianeta sono in pericolo a causa sua. Riuscirà a sfuggire ai subdoli tranelli che la attendono nelle prigioni di Sath? Riuscirà ad evadere dalle prigioni più sicure dell’Impero, da cui nessuno è mai riuscito a fuggire? Si realizzerà la profezia fattale dal veggente?
LinguaItaliano
Data di uscita26 dic 2017
ISBN9788827541593
Il sogno del guerriero: Le prigioni di Sath

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    Anteprima del libro

    Il sogno del guerriero - Stefano Veronesi

    Ringraziamenti

    I. Gilda

    Gilda Groves, la prima, e fino a quel momento unica donna appartenente alla corporazione dei guerrieri, aspettava immobile. Doveva quel privilegio all’esito di una gara che aveva disputato un anno prima a Moodpond, la capitale della Contea. Ogni anno la corporazione organizzava il torneo del Sanglier con lo scopo, neppure troppo nascosto, di reclutare i più abili tra i giovani balestrieri della contea. Usualmente la corporazione schierava i suoi due o tre pezzi migliori tra i partecipanti, sfidando la cittadinanza a batterli. Gilda aveva partecipato alla ventitreesima edizione del torneo, sempre vinto, nelle ventidue passate edizioni, dai balestrieri della corporazione. Non appena giunta a Moodpond si era resa conto di quanto fosse attesa e sentita quella manifestazione. Aveva visto uomini provenienti da tutta la contea equipaggiati di tutto punto. Stivali di cuoio della migliore qualità, abiti realizzati con panno di lana caldo e morbido, balestre costruite dai più affermati artigiani, faretre istoriate e decorate come non ne aveva mai viste, frecce perfette equipaggiate con punte da tiro o da caccia. Lei aveva dei semplici abiti da contadina, un paio di stivaletti che erano stati di sua sorella e, prima di lei, del fratello maggiore, una balestra realizzata dallo zio che di mestiere faceva il guardiacaccia, e frecce fatte da lei e suo padre nelle lunghe sere invernali.

    – Posso anche tornare a casa ed evitare una figuraccia di fronte a tutta la contea.

    Disse al padre che la accompagnava. Il padre la guardò negli occhi

    – L’abito non fa il monaco, ed una balestra di pregio non vale nulla nelle mani sbagliate. Non ti lasciare ingannare da tutto questo sfarzo. Non sei venuta qui per esibire, ma per vincere. Non c’è balestriere migliore di te nella contea. Gareggia senza timore reverenziale nei confronti di questi stupidi pavoni che sanno fare solo la ruota.

    Gilda rimase pensosa per un po, poi disse al padre

    – Gareggerò, ma non te la prendere se farò una brutta figura.

    – Non ho di questi timori.

    Rispose sicuro il padre. La gara era costituita da due prove: una gara di tiro tradizionale ed una partita di caccia al pedar, mammifero di grossa taglia di carattere schivo e piuttosto scontroso che viveva nel profondo del bosco. Avevano a disposizione 8 ore per ucciderne un esemplare o, in caso contrario, per uscirne indenni. Gilda ignorò gli sguardi carichi di ironia ed ilarità degli altri concorrenti, e neppure ascoltò i commenti e le battute della peggior specie che le indirizzavano. Non si soffermò a guardare i risultati degli altri nella gara di tiro neanche quando le esclamazioni del pubblico ne sottolineavano la precisione. Era concentrata sulla sua gara. E vinse. Contro tutti i pronostici e le attese batté anche i migliori balestrieri della corporazione facendo il maggior numero di centri. Ma il suo capolavoro fu la caccia al pedar. Quando venne dato il via alla caccia tutti i concorrenti si lanciarono nel bosco. Il frastuono era incredibile. Gilda aveva appreso dal padre a camminare nel bosco senza fare alcun rumore. Non le ci volle molto a far perdere la proprie tracce agli altri concorrenti e dopo una mezz’ora era nel silenzio assoluto del bosco, rotto solo dai richiami degli uccelli e dai passi felpati dei quadrupedi che lo popolavano. Fantasma per gli umani, animale per la foresta. Albero tra gli alberi insetto tra gli insetti una e indivisibile con la foresta. La sua morale verso essa era ferrea. Rispetto totale. Si uccide soltanto per i bisogni alimentari o per difesa. Nessuna uccisione inutile, nessuna sofferenza inutile. Quella era una piccola eccezione alla regola, un’uccisione non dovuta a bisogni alimentari. Dopo appena quattro ore aveva preso un esemplare di grandi dimensioni mentre il migliore degli altri partecipanti impiegò quasi sette ore. Per la prima volta dalla sua istituzione, la ventitreesima edizione del torneo del Sanglier fu vinto da una persona non appartenente all’ordine e per di più da una donna: Gilda Groves. Inutile dire che fu immediatamente reclutata, sebbene controvoglia, nell’ordine. Ma non avevano alternativa.

    Ora, ad un anno di distanza, attendeva immobile il suo primo avversario. La sensazione di immobilità era persino accentuata dal ritmico sollevarsi del suo torace ad ogni respiro, rilevabile soltanto da un occhio attento ai particolari. Gilda osservava minuziosamente il terreno dello scontro imminente, che aveva accuratamente scelto. Davanti a lei digradava dolcemente verso una bassa conca per poi risalire più ripido fino ad un crinale, distante appena un centinaio di metri da lei. Oltre il crinale declinava scosceso verso un fondovalle dove scorreva un piccolo ruscello a regime torrentizio. Gilda poteva sentire il terreno vibrare sotto i suoi piedi scosso ad ogni passo dalla enorme mole del rettile. La corporazione aveva acquistato sempre maggiore importanza da quando, circa trenta anni prima, erano comparsi i Megalon. Nessuno sapeva da dove fossero venuti, ma avevano rapidamente provocato una gravissima crisi. Prevalentemente erbivori non disdegnavano di attaccare ed uccidere animali di grossa taglia, uomini compresi. Si erano riprodotti rapidamente, razziando e distruggendo raccolti e colture, compromettendo l’economia di molti paesi. Un gran numero di botteghe artigiane erano state costrette a chiudere e, mancando gli apprendisti, l’abilità nel produrre manufatti fino ad allora comuni, si era persa. Il livello tecnologico ed artistico della loro civiltà aveva subito prima un brusco arresto e poi un netto regresso. Le poche risorse rimaste erano in gran parte destinate a sostenere la corporazione dei guerrieri, che aveva pagato un altissimo tributo di sangue per difendere quello che restava della loro civiltà. Gilda attendeva, con ansia ben dissimulata, che il rettile comparisse davanti ai suoi occhi. Era ormai molto vicino e periodicamente l’aria risuonava del suo richiamo, una specie di ruggito sordo e terrificante. Quello era il suo primo incarico, il suo battesimo sul campo e la ben dissimulata tensione che la attanagliava le faceva ignorare il freddo vento da nord che le sferzava la schiena, ma non le procurava alcun brivido. Tutto il suo essere era concentrato sul mostro, insensibile al resto del mondo. Indossava una leggera armatura ed un elmo di cuoio, dato che neppure la più resistente delle armature d’acciaio sarebbe stata sufficiente a reggere ai colpi di coda o alle mascelle del rettile. Ignorando come sempre le apparenze, aveva preferito la libertà di movimento ad una illusoria sensazione di protezione. Al suo fianco pendeva una corta spada, affilata per l’occasione mentre tra le braccia stringeva una balestra già armata con una freccia cava e contenente un potente veleno. Era l’unico proiettile che aveva. Pensava infatti che fosse del tutto inutile avere altre frecce, dato che si potevano contare sulle dita di una mano i guerrieri che in trenta anni di scontri erano sopravvissuti dopo aver fallito il primo colpo. La sua vita dipendeva da quella unica freccia, e dalla sua mira. Nella mente di Gilda risuonavano le parole del codice dei guerrieri: i rettili si uccidono con un unico colpo al cuore. Ma era proprio quella affermazione a turbarla e si era ormai convinta che la sua unica possibilità di sopravvivere fosse confutarla. Quella convinzione era nata da una coincidenza fortuita. Una settimana prima aveva infatti incontrato un amico d’infanzia che non vedeva da anni. Si erano messi a parlare, raccontandosi le loro vite. Gilda aveva raccontato a Martin come era entrata a far parte della corporazione, l’addestramento e le imprese dei guerrieri. Per ora degli altri, visto che non aveva ricevuto ancora alcun incarico ufficiale.

    – E tu cosa fai?

    Aveva chiesto a Martin.

    – In un certo senso la mia attività è molto vicina alla tua.

    Aveva risposto.

    – Ti ricordi delle tavole in cui avete studiato la posizione del cuore dei rettili?"

    Chiese a sua volta.

    – Certamente.

    Rispose Gilda.

    – Bene le ho disegnate io. Ho dissezionato molti rettili per studiarne la fisiologia ed ho realizzato quelle tavole.

    – I rettili si uccidono con un unico colpo al cuore.

    Aveva risposto meccanicamente Gilda. Martin l’aveva guardata con aria interrogativa.

    – No.

    Aveva replicato seccamente.

    – Non con un colpo al cuore….. Domani devo fare la dissezione di un rettile a circa due ore di strada da qui. Se vieni con me ti mostrerò perché.

    Aggiunse Martin in risposta allo sguardo incredulo di Gilda. Aveva acconsentito, presero gli accordi per il giorno successivo e si salutarono.

    – Porta la balestra ed una freccia….senza veleno!

    Le disse Martin andandosene. La mattina seguente erano andati sul luogo dove giaceva il rettile. Ad attenderli c’erano quattro uomini che Martin aveva assoldato per aiutarlo nella dissezione del grosso animale.

    – Sapresti individuare il cuore del rettile?

    Chiese Martin.

    – Certamente, tre dita a destra della freccia che lo ha ucciso.

    Ripose Gilda.

    – Bene, allora mettiti alla distanza da cui usualmente tirate ai rettili e colpiscilo al cuore.

    Gilda armò la balestra, si pose alla giusta distanza, prese la mira e scoccò. La freccia trafisse il corpo del rettile nel petto, piantandosi per circa i tre quarti della sua lunghezza tre dita alla destra dell’altra. Soltanto allora Martin prese una borsa di pelle contenente una incredibile serie di coltelli dall’aspetto affilato, ne scelse uno ed iniziò a tagliare il petto del rettile. Dopo averlo tagliato chiese agli uomini di divaricare il taglio e chiamò Gilda.

    – Riconosci il cuore?

    Le chiese.

    – Si - rispose lei – ma non vedo nessuna delle due frecce. Ho sbagliato di così tanto?

    – No, non hai sbagliato. Guarda.

    Dissezionò il costato e mostrò la punta della freccia a Gilda. Era nella direzione esatta del cuore, ma mancava ancora più di un palmo per arrivarci.

    – Capisci ora cosa intendevo ieri? Il cuore è troppo in profondità perché possa essere raggiunto da una freccia.

    – Però il rettile è stato ucciso.

    – Certamente, il veleno ha fatto il suo effetto, ma lentamente. Se ti chiedi che ne è stato del guerriero prova a guardare nella bocca del mostro. Se sei fortunata puoi trovarne ancora dei resti.

    Gilda rabbrividì e rimase silenziosa.

    – Se mi trovassi con una balestra in mano di fronte ad uno di questi mostri più che al cuore mirerei alla giugulare. E’ superficiale ed ha una luce paragonabile al mio braccio. Vi scorre molto sangue e il veleno agirebbe rapidamente.

    – Mostramela.

    Chiese Gilda. La condusse vicino al collo del rettile e le mostrò una zona sopra la spalla dell’animale.

    – Come la riconosco?

    Chiese Gilda che non vedeva alcun segno della presenza dell’arteria.

    – Ora è floscia perché il rettile è morto, ma da vivo dovrebbe essere gonfia e ben riconoscibile.

    – Dovrebbe? Non è incoraggiante.

    – Gilda non ho mai incontrato uno di questi bestioni vivo. Per fortuna. Mi baso su quanto succede in altri animali.

    Gilda discusse ancora con Martin, poi lo ringraziò, si salutarono e tornò in città. Prima di andarsene Gilda fissò ancora una volta il collo del rettile per fissare nella sua mente la posizione della giugulare, poi abbassò lo sguardo e si allontanò pensosa.

    Ora rivedeva nella sua mente le immagini di quel giorno combattuta da due opposti sentimenti: obbedire al codice, alla tradizione, oppure alla ragione, alle prove di fatto mostratele da Martin. Tra non molto sarebbe stata costretta a decidere, o gli eventi avrebbero deciso per lei.

    Il corso dei suoi pensieri venne improvvisamente interrotto da un fortissimo ruggito del rettile, che costrinse Gilda a riprendere rapidamente il controllo di se stessa e della situazione. Ormai era vicinissimo e dal crinale davanti a lei iniziò a comparire la testa che in breve emerse completamente. Il rettile fece ancora qualche passo verso il crinale facendo sobbalzare sempre di più il terreno sotto i piedi di Gilda. Poi si fermò a fiutare l’aria. La sentì prima di vederla, volse piano piano la testa verso Gilda e la fissò con i suoi occhi da rettile, rimase un attimo fermo come ad identificarla, poi mosse velocemente verso di lei. Gilda si aspettava quel comportamento. Si era volutamente posizionata sopra vento in modo che potesse fiutarla immediatamente e si dirigesse subito verso di lei così che lo scontro avvenisse dove lei aveva scelto. Per ora tutto si svolgeva secondo i suoi piani, ora la teoria aveva cessato il suo compito per lasciar posto all’azione. Come vide il rettile venire verso di lei il panico la attanagliò. Non riusciva più a muovere un muscolo, un sudore ghiacciato le bagnò la schiena. Venne sopraffatta dall’istinto di fuggire ma le sue gambe sembravano di piombo e non si mossero come se i muscoli non le obbedissero più. Non riusciva neppure a respirare e stava con la bocca aperta e immobile aspettando forse che l’aria entrasse da sola nei polmoni. Il rettile si avvicinava veloce, era ormai ad una cinquantina di metri da lei e spalancava minacciosamente la bocca irta di denti aguzzi.

    – Respira – si disse – RESPIRA!

    Finalmente riuscì ad inspirare una boccata d’aria. Tossì, come se fosse emersa dall’acqua dopo una prolungata immersione. Quell’aria fresca la risollevò. Riprese l’autocontrollo, strinse la balestra e tolse la sicura poi molleggiò leggermente sulle gambe. Il rettile era ormai a meno di trenta metri. Venti. Quindici. Si gettò a bocca spalancata su di lei. Solo allora Gilda scattò verso la sua destra e in avanti, si portò di lato rispetto al rettile che ormai lanciato verso la sua posizione di attesa non riuscì a modificare la traiettoria del suo attacco. Imbracciò la balestra e la puntò verso il rettile. In quel momento la vide. Aveva ragione Martin, la giugulare gonfia di sangue per lo sforzo sostenuto dal rettile si stagliava nettamente sul collo pulsando al ritmo del cuore del mostro. Non ebbe dubbi. Prese la mira, tirò il grilletto, gettò la balestra e corse più velocemente che poteva lontano dal rettile. Non vide se avesse colpito il bersaglio ma lo spruzzo di sangue che la colpì le confermò che aveva fatto centro. Sentì la terra sobbalzare sotto di lei quando la testa del rettile colpì il terreno proprio dove era un attimo prima, sollevando ciuffi di erba e terra. Si volse mentre correva e vide la cocca della freccia spuntare dalla giugulare del rettile che stava rialzando la testa imbrattata di terra per rivolgerla ancora verso di lei.

    – La coda – si disse – devo evitare la coda.

    Si accorse infatti che la coda dell’animale stava sferzando l’aria nella sua direzione. Un colpo di coda di quei bestioni era altrettanto mortale di un morso. Non c’era niente in grado di resistere a quei colpi di maglio, ossa comprese. Modificò la sua traiettoria ancora più a destra in modo da evitare il colpo. Correva ormai col cuore in gola ma doveva andare avanti. Quando la coda del rettile fu a due passi da lei si buttò per terra, schiacciandosi al massimo al suolo. Sentì la carezza della pelle del rettile che passava sul corpetto di cuoio, si rialzò e corse ancora via dal mostro. Finalmente trovò il coraggio di voltarsi. Il rettile era agonizzante a poca distanza da lei. Aveva vinto. Ormai era a distanza di sicurezza. Si sedette vinta da una stanchezza che sembrava atavica e osservò gli ultimi istanti di vita dell’animale con la testa tra le mani, ancora incredula di essere uscita indenne dallo scontro.

    Dopo alcuni minuti trovò la forza di alzarsi e di andare a cercare la balestra. Al termine di una breve ricerca la vide sul terreno tra la coda, che il rettile aveva ripiegato verso la testa come per dormire, e la testa. Anche l’arma era uscita indenne dallo scontro, soddisfatta Gilda la raccolse e si avviò verso il vicino paese da cui stava ormai affluendo un corteo di persone festanti per l’esito favorevole dello scontro, come sostenevano alcuni, ma soprattutto per lo scampato pericolo, che nessuno nominava ma che tutti avevano in cuore.

    II. Un abbrraccio mortale

    Bip….Bip….Bip…

    Il rumore risuonava lontano nella sua testa, scomparve Gilda con l’enorme rettile, scomparve il paesaggio, i cittadini festanti, gli alberi. Le briciole del sogno furono per un istante sostituite da uno sfondo nero, poi come da una densa nebbia comparve la sagoma sfumata del coperchio della culla che si apriva. Avvertì distintamente la puntura dell’intramuscolo ed il bruciore caratteristico del nervil. Era una sveglia d’emergenza dunque ed il motivo doveva essere serio. Una volta ancora provò l’effetto, odioso, del nervil. Il suo cervello divenne perfettamente lucido in una manciata di secondi mentre il suo corpo rimaneva ancora intorpidito dal lungo riposo in posizione quasi fetale nella culla, come veniva chiamata l’unità di riposo utilizzata negli altrimenti interminabili viaggi interstellari. Ares si issò a fatica fino al bordo della culla infastidita dal suono continuo dell’allarme e guardò verso il quadro di comando. Quello che vide non le piacque per niente. Tutte le spie che poteva vedere stavano lampeggiando, non ci doveva essere neppure un parametro di rotta nei limiti tollerabili. Vincendo il torpore delle sue membra si appoggiò al bordo della culla e saltò giù. Ne venne fuori una goffa parodia di salto che terminò in una rovinosa caduta sul pavimento della navetta, poi con sua grande sorpresa Ares scivolò verso il fianco sinistro dell’astronave. Capì improvvisamente quello che stava accadendo. Arrancando contro la forza che la costringeva contro la fiancata della navetta raggiunse a fatica il sedile di pilotaggio, vi salì non senza difficoltà ed allacciò le cinture. Almeno non sarebbe più caduta. Imprecò guardando il quadro di comando in tutta la sua completezza. Poi urlò:

    – Navigatore, situazione !

    La risposta non si fece attendere con la calda e sensuale voce di Lund Brider, il suo attore preferito, unica frivolezza che si era concessa durante l’allestimento della navetta.

    – La navetta è fuori rotta. –

    Rispose il computer con la voce di Lund.

    – Ed il pilota automatico non riesce a correggere la rotta attuale.

    – Per fortuna che me lo dici. - Pensò Ares con una punta di sarcasmo.

    – La deviazione è dovuta ad una forza di attrazione gravitazionale a 265 gradi rispetto alla rotta attuale.

    – Navigatore pilota manuale. Direzione opposta alla forza rilevata.

    Rispose Ares. Avvertì, dalla forza che ora la schiacciava contro lo schienale del sedile di pilotaggio, che la rotta era mutata secondo le sue richieste.

    – Navigatore motori al massimo.

    Ordinò Ares.

    – Analisi origine della forza.

    Chiese senza troppa convinzione. La voce di Lund rispose con la sua sensualità rendendo surreale la situazione

    – La forza è dovuta ad una massa di circa 3.5 masse stellari standard concentrata in una regione inferiore a 2 unità astronomiche. Probabile sorgente: buco nero.

    Ares impallidì. Ci mancava pure un buco nero. Non sarebbe stato facile uscirne indenni. Vincendo il panico che la stava prendendo chiese al Navigatore la situazione della rotta. Lund rispose con calma serafica

    – La navetta si sta avvicinando al buco nero alla velocità di 0.5 metri al secondo. Tempo stimato per raggiungere l’orizzonte degli eventi 6 ore e 43 minuti.

    Senza le cinture Ares sarebbe sobbalzata sul sedile.

    – Non e’ possibile!

    Esplose a voce alta Ares.

    – I motori sono al massimo e non riesco a vincere l’abbraccio mortale della sua gravità.

    Rimase un attimo in silenzio, poi decise che doveva tentare il tutto per tutto. Era inutile preservare l’integrità della navetta nella prospettiva di morire comunque.

    – Motori al 115 per cento.

    La risposta di Lund non si fece attendere

    – Attenzione rischio di surriscaldamento, i motori riporteranno danni irreversibili tra 32 minuti.

    – Andranno arrosto comunque con tutta la navetta se non riusciamo ad allontanarci dal buco

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