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La sfida
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E-book213 pagine3 ore

La sfida

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Info su questo ebook

L'ultima cosa che Sebastian, duca di Brabourne, si sarebbe aspettato di scoprire era che la persona con cui aveva duellato quella mattina in realtà fosse una donna. La bella Juliet, infatti, aveva deciso di prendere il posto dell'irresponsabile padre sul luogo della sfida per difendere il buon nome della famiglia, e quel segreto non sarebbe stato scoperto se una ferita non avesse costretto l'affascinante duca a ospitare lo sfidante in casa propria. Conseguenze inattese si profilano all'orizzonte...
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2021
ISBN9788830525566
La sfida
Autore

Georgina Devon

Californiana, dopo essersi laureata in Storia si è arruolata nell'Aeronautica Statunitense. Sposata con un pilota di caccia, ha abbandonato la carriera militare per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.

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    Anteprima del libro

    La sfida - Georgina Devon

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Rake

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2000 Georgina Devon

    Traduzione di Alessandra De Angelis

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-556-6

    1

    Londra, 1819

    Il sole del mattino filtrava debolmente attraverso il fitto fogliame degli alberi. Green Park era ancora deserto a quell’ora; era troppo presto persino per vedere i domestici che si affrettavano verso le loro destinazioni.

    «Signorina Juliet, vi supplico, ripensateci» insistette Ferguson. La sua voce ferma infranse il silenzio mattutino.

    Juliet Smythe-Clyde gli lanciò un’occhiata in tralice mentre, per il nervosismo, agitava le dita dei piedi negli stivali da cavallerizzo di suo fratello, troppo grandi per lei. «Meglio questo che un duello tra mio padre e quel demonio del duca» obiettò.

    L’alto cocchiere con i favoriti grigi che gli incorniciavano il viso magro la guardò severamente, accigliandosi. «Il padrone è un uomo maturo. Voi siete uno scricciolo di ragazza, e non dovreste combattere le sue battaglie.»

    «Ora basta discutere» tagliò corto Juliet, battendo i piedi per cercare di sistemare meglio le punte. Si tolse la giacca che calzava a pennello al fratello e che invece, addosso a lei, sembrava una vestaglia da camera. «Prendete questa e piegatela con cura. Sapete bene che a Harry potrebbe venire un colpo apoplettico se la vedesse gualcita.»

    Ferguson fece una smorfia di disapprovazione, ma obbedì e appoggiò con attenzione la giacca sul sedile della carrozza. Hobson, il panciuto maggiordomo, porse alla sua giovane padrona una scatola che conteneva due pistole da duello.

    «Sono entrambe cariche, signorina» la informò. «Vi ho provveduto personalmente.»

    Juliet ne prese una e la soppesò con aria grave.

    «Fermatevi finché siete in tempo, ve ne prego» la supplicò Hobson.

    Ferguson scosse la testa, guardando l’altro con espressione solidale. «Gliel’ho ripetuto più volte anch’io da quando è iniziata questa storia» si lamentò rivolgendosi al maggiordomo. «Eppure non intende sentire ragioni...»

    «Devo farlo» ribadì Juliet con voce rotta dall’emozione. La paura che aveva tentato di tenere sotto controllo fino a quel momento minacciava di avere la meglio sulla sua forza d’animo. «Qualcuno deve pur proteggere mio padre da questa follia.»

    «Qualcuno che non dovreste essere voi, signorina» protestò garbatamente Ferguson. «Non siete stata voi a convincere vostro padre a sposare quella donna.»

    «Però ho promesso a mia madre di badare a lui» sussurrò Juliet. Il ricordo di ciò che la madre le aveva chiesto in punto di morte le procurò una dolorosa stretta al cuore. Se n’era andata da appena un anno, ma a Juliet sembrava che fosse spirata il giorno prima.

    Rammentava perfettamente la scena in ogni dettaglio: sua madre era a letto e la luce del sole conferiva un colorito solo apparentemente sano alle sue guance incavate. La malattia e i dolori lancinanti che la straziavano ininterrottamente avevano consumato il suo corpo, e Juliet non aveva potuto fare a meno di sentirsi sollevata quando aveva capito che la fine era vicina. Non sopportava più di vedere la sua adorata madre soffrire tanto.

    Quando le aveva fatto cenno di avvicinarsi al letto e l’aveva pregata di prendersi cura del padre, un uomo estroso e irresponsabile, costantemente immerso nei suoi esperimenti scientifici, Juliet gliel’aveva promesso. Non aveva avuto cuore di negare alla madre quell’ultima consolazione. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per alleviare, seppure in minima parte, le sue atroci sofferenze.

    Inoltre anche lei si rendeva conto che qualcuno avrebbe dovuto badare a suo padre una volta che la mamma non ci fosse stata più. Che il padre non potesse essere lasciato in balia di se stesso era evidente a tutti.

    Juliet sospirò, afflitta da quel ricordo penoso e dalla propria impotenza. Non era riuscita a impedire che il padre si risposasse con la signora Winters, ma adesso poteva almeno evitare che perdesse la vita a causa di quella donna scellerata. Juliet contava sul fatto che neppure un uomo spietato come il duca di Brabourne avrebbe cercato di uccidere un giovane che aveva preso il posto dell’uomo con cui avrebbe dovuto battersi in duello.

    Oltre a voler proteggere il padre, Juliet era convinta che il torto fosse del duca, che aveva sedotto la moglie di un altro uomo. A maggior ragione, quindi, l’onore avrebbe dovuto spingerlo a sbagliare di proposito la mira, cosicché nessuno si sarebbe fatto male.

    Juliet raddrizzò le spalle e fissò la pistola che teneva in pugno. Se non altro, essere cresciuta in campagna le aveva permesso di imparare a sparare. Era in grado di prendere la mira e di centrare il bersaglio con la stessa abilità di un uomo, benché si dicesse che Brabourne era letale con la pistola in pugno quanto con la spada, grazie al suo proverbiale sangue freddo.

    Uno scalpitio di zoccoli in avvicinamento attirò la sua attenzione. Tre uomini a cavallo si fermarono sotto una maestosa quercia a poca distanza dal gruppetto di cui faceva parte Juliet. I tre indossavano cappotti pesanti, cappello a cilindro e stivali lucidati alla perfezione. Juliet li conosceva tutti di fama e uno di loro anche di vista.

    Quattro giorni prima, infatti, vestita da uomo, aveva fatto visita a lord Ravensford, uno dei secondi di Brabourne, per chiedergli se sarebbe stato disposto ad apportare una piccola variazione agli accordi e ad anticipare il duello. Il nobiluomo, troppo sorpreso dalla visita di un ragazzetto che si era presentato alla sua porta a tarda sera e senza invito, aveva acconsentito senza sollevare obiezioni, anche se per tutta la durata del colloquio aveva guardato il giovanotto imberbe con aria sardonica.

    Quanto agli altri due, Juliet non li aveva mai visti prima. In società lord Perth era noto come un libertino che non si curava di rispettare le regole. Juliet immaginò che fosse l’uomo accanto a lord Ravensford, altrettanto alto e imponente. Non prestò grande attenzione a costoro, tuttavia, perché non era lì per incontrare loro.

    Il terzo uomo smontò da cavallo con un balzo elegante che rivelava la sua forza e la sua agilità. Juliet aveva sentito dire che il duca era un donnaiolo e un gaudente di prima scelta. Alto e snello, aveva spalle ampie e fianchi stretti. Quando si tolse la redingote e la giacca azzurra, restando in camicia bianca e calzoni aderenti, Juliet poté ammirarlo in tutta la sua prestanza fisica. Aveva capelli neri e un naso aristocratico, e lei sapeva, perché le era stato detto con voce sognante da qualche sua conquista, che aveva anche occhi di un azzurro cupo e profondo, ereditati dai suoi antenati irlandesi per parte di madre.

    Juliet distolse lo sguardo, scossa da un improvviso brivido che somigliava alla paura, ma conteneva anche un qualcosa d’indefinibile e molto più emozionante. Fece un respiro profondo e si asciugò sui calzoni i palmi delle mani madidi di sudore. Per qualche secondo rimase immobile, assorta, fissando nel vuoto e chiedendosi se sarebbe sopravvissuta al duello. Fino a quel momento non si era concessa neanche un attimo di debolezza, ma superò in fretta quella momentanea incertezza perché lord Ravensford si stava dirigendo verso di lei.

    Il sole splendeva sulla sua chioma ramata, facendola splendere come una moneta da un penny appena coniata. Il mento quadrato con una fossetta nel mezzo, i luminosi occhi verdi e un fisico scultoreo facevano di Ravensford un uomo decisamente attraente.

    «Allora, ragazzo, dov’è Smythe-Clyde?» l’apostrofò con impazienza. «Siete stato voi a comunicarmi la sua richiesta di anticipare l’incontro.»

    Juliet si sforzò di controllare l’improvviso rossore che minacciava di imporporarle le guance. «È...» cominciò, interrompendosi subito per poi riprendere a parlare con un timbro di voce più profondo. «È malato. Sta così male che non è riuscito ad alzarsi dal letto. Tuttavia l’onore richiede che incontri Brabourne, ed è per questo che, in qualità di padrino, io prenderò il suo posto» dichiarò, guardando lord Ravensford con aria di sfida.

    Ravensford rivolse a Juliet e ai domestici uno sguardo scontento. «Dov’è l’altro secondo?» sbottò irritato. «E il medico?»

    «Non c’è un altro secondo. Quanto al medico, Ferguson può tranquillamente farne le veci» rispose lei indicando il cocchiere.

    Lord Ravensford sbuffò e guardò attentamente Juliet. «Siete solo un ragazzo. Brabourne rifiuterà di battersi con voi» obiettò. «Se Smythe-Clyde è troppo vile per affrontare le conseguenze dei suoi atti, che accetti il disonore.»

    Juliet strinse una mano a pugno lungo il fianco. «Vi assicuro, milord, che mio... che Smythe-Clyde non ha alcun timore di battersi con il duca. Tuttavia è malato. E per evitare che questa faccenda venga rimandata alle calende greche sono stato autorizzato a prendere il posto di Smythe-Clyde contro il duca.»

    Ravensford scosse la testa. «Gli riferirò la vostra proposta, ma dubito che accetterà.»

    Senza darle modo d’insistere, il conte girò i tacchi e si allontanò. Juliet s’incurvò di colpo.

    «Mi sembra giusto» commentò Hobson, soddisfatto. «Neanche l’uomo più dissoluto e immorale d’Inghilterra accetterebbe di battersi contro un ragazzino, soprattutto se il diverbio è sorto tra lui e un altro.»

    Juliet dovette ammettere di aver sempre saputo che il suo piano era alquanto azzardato e probabilmente destinato a fallire. Tuttavia non poteva esimersi dal tentare di risolvere la questione senza che suo padre corresse alcun pericolo. Persino in quel momento, mentre osservava Ravensford e il duca che discutevano guardando nella sua direzione, Juliet si sentiva in dovere di fare qualcosa.

    Suo padre era ancora convinto che avrebbe dovuto battersi con il duca di lì a due giorni, secondo gli accordi originariamente presi. Impedirgli di presentarsi nel luogo convenuto era un altro ostacolo che Juliet avrebbe dovuto affrontare di lì a poco... subito dopo il duello. Ma si sarebbe limitata a procedere un passo per volta, decise. Ora aveva altro a cui pensare.

    Anche alla distanza a cui si trovava, si accorse che il duca aveva aggrottato la fronte mentre comunicava a Ravensford che non aveva intenzione di battersi con un sostituto.

    In preda al panico, Juliet lo vide prendere la giacca che si era appena tolto e allontanarsi da Ravensford. Obbedendo a un impulso irrazionale, sollevò la mano che impugnava l’arma, mirò e fece fuoco.

    Lo sparo infranse la quiete del primo mattino con un fragore assordante. Dal tronco della quercia più vicina a Brabourne partirono schegge di legno in tutte le direzioni. Il duca si voltò a guardarla con una mossa repentina.

    L’audacia del suo stesso gesto e il fatto di aver mancato Brabourne di un soffio inchiodarono Juliet sul posto. Neanche nel vedere il duca avanzare verso di lei riuscì a muovere i muscoli paralizzati dalla consapevolezza della bravata commessa. Paradossalmente, con l’ultimo barlume di raziocinio che le restava, anziché pensare a una giustificazione plausibile Juliet notò l’agilità energica e fluida con cui lui si stava avvicinando.

    Brabourne si fermò a meno di mezzo metro da lei e le lanciò un’occhiata di riprovazione. Tremando, Juliet si sentì trapassare dallo sguardo degli occhi azzurri più freddi che avesse mai visto.

    «Avete una mira eccellente o siete molto fortunato» esordì il duca, gelido. «Non so chi siate o per quale motivo vi sentiate in obbligo di sostituire Smythe-Clyde, ma a questo punto battermi con voi è diventata una faccenda personale. Qualunque cosa succeda ora, l’esito del nostro duello non avrà alcuna conseguenza sull’altro. Mi avete capito?»

    Il tono era autoritario come il suo aspetto, eppure il timbro profondo della sua voce suscitò in Juliet un rimescolio interiore che avrebbe potuto descrivere solo come eccitazione. Sconcertata dalla propria reazione, si rimproverò dicendosi che non sarebbe dovuta cadere vittima del fascino leggendario di uno dei più famosi dongiovanni d’Inghilterra. La sua iniziativa impulsiva avrebbe dovuto avere lo scopo di ferirlo per impedirgli di battersi con suo padre, non di lasciarsi conquistare dal suo sguardo e svenire ai suoi piedi. «Capisco perfettamente» replicò dunque, sollevando il mento con aria di sfida.

    «Bene. Perth andrà a chiamare un medico. Ci batteremo non appena tornerà.»

    Juliet si sentì morire. Se il duca avesse riportato delle ferite non sarebbero sorti problemi, ma se fosse stata lei ad aver bisogno delle cure di un medico sarebbe stato un disastro. «Non c’è bisogno di un segaossa, vostra grazia» obiettò con spavalderia.

    Le belle labbra carnose del duca si incurvarono in un sorriso divertito ma tutt’altro che cordiale. «A voi servirà sicuramente, credetemi.»

    Juliet sbiancò. «Ferguson è più che sufficiente. È bravo come un qualsiasi medico.»

    Brabourne lanciò un’occhiata al servitore poi tornò a fissare Juliet. «Il vostro cocchiere?»

    Lei annuì.

    «Fate come volete» acconsentì lui con un’alzata di spalle. «La decisione è vostra.»

    Il duca si allontanò prima che Juliet potesse rispondere. Lei lo seguì con lo sguardo, notando il suo portamento altero e il suo fisico imponente. Cominciava a capire perché la sua matrigna si fosse lasciata conquistare da quel seduttore irresistibile. Nonostante la sua innocenza in fatto d’amore, Juliet era pur sempre una donna di ventitré anni e si rendeva conto che avrebbe avuto difficoltà a non cedere alle sue lusinghe se Brabourne l’avesse corteggiata. Per fortuna quella era un’eventualità assai remota, che con ogni probabilità non si sarebbe verificata neppure di lì a mille anni.

    «Signorina Juliet, usate l’altra pistola invece di ricaricare questa» intervenne Hobson, avvicinandosi. «Porta sfortuna riutilizzare un’arma con cui si è già sparato senza centrare il bersaglio.»

    «D’accordo» annuì lei. «A questo punto ho davvero bisogno di un colpo di fortuna.»

    «Ricordate quello che vi ho spiegato?» le chiese Ferguson, ansioso.

    Lei annuì. «Ci fronteggiamo, ci voltiamo le spalle e ci allontaniamo di venti passi, poi devo ruotare su me stessa e fare fuoco.»

    Juliet si morse il labbro inferiore, sentendo che la preoccupazione le divorava il cuore e i nervi. Avrebbe voluto correre via. Aveva le mascelle serrate, lo stomaco stretto in una morsa e le gambe rigide. Era una fortuna che non avesse fatto colazione quel mattino, rifletté, chiedendosi se anche gli uomini provassero lo stesso nervosismo prima di un duello; aveva la precisa impressione che Brabourne non provasse alcuna emozione.

    «È ora, signorina» la esortò Hobson premurosamente.

    Juliet lo guardò, e l’ansia dipinta sul volto del maggiordomo le fece tremare le mani ancora di più.

    Evitò di posare lo sguardo sul cocchiere, sapendo che avrebbe visto negli occhi di Ferguson la stessa paura che provava anche lei, e si disse che sarebbe stato meglio farla finita subito, avanzare a passo deciso e andare incontro a ciò che il fato aveva in serbo per lei.

    Tenendo la pistola lungo il fianco, Juliet camminò verso il duca, che a sua volta stava avanzando verso di lei. Brabourne aveva i capelli corvini legati in un codino; quella pettinatura era ormai passata di moda, ma lui era un tipo che seguiva regole proprie. Una ciocca sciolta gli accarezzava il viso, ma lui la ignorò, tutta la sua attenzione concentrata sull’avversario.

    Fino a quel momento Juliet aveva percepito del duca di Brabourne solo l’intensa aura di potenza che lo circondava; ora notò anche i particolari. Le sopracciglia scure e arcuate incorniciavano occhi di un intenso color indaco, dai cui lati s’irradiava una fitta rete di rughe sottili che testimoniavano di lunghe notti insonni dedicate ai più dissoluti piaceri. Le basette lunghe e scure sottolineavano il pallore del suo incarnato e le mascelle erano serrate in una

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