Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Di diabete si può... rinascere! Romanzo autobiografico
Di diabete si può... rinascere! Romanzo autobiografico
Di diabete si può... rinascere! Romanzo autobiografico
E-book191 pagine2 ore

Di diabete si può... rinascere! Romanzo autobiografico

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Elisa è una giovane pedagogista che, nel momento stesso in cui si trova a dover affrontare le conseguenze di una scioccante scoperta, l'essere affetta da diabete giovanile, riesce a vivere la situazione con imprevedibile positività, trasformando le sue iniziali angosce in coraggio e bramosia di riscatto. Nel giorno del suo rocambolesco ricovero, si innamora a prima vista dell'infermiere che si prende cura di lei, creando le premesse per dare vita a una storia d'amore tanto surreale quanto magica.
LinguaItaliano
Data di uscita13 dic 2017
ISBN9788827800621
Di diabete si può... rinascere! Romanzo autobiografico

Correlato a Di diabete si può... rinascere! Romanzo autobiografico

Ebook correlati

Biografia e autofiction per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Di diabete si può... rinascere! Romanzo autobiografico

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Di diabete si può... rinascere! Romanzo autobiografico - Nadia Capitani

    quotidianità.

    CAPITOLO 1

    L’antefatto

    L’anno nuovo era appena cominciato ed Elisa iniziava a maturare sempre più l’esigenza di poter tornare alla normalità, nella speranza che i disturbi degli ultimi giorni si trasformassero rapidamente in un fastidioso ma evanescente ricordo.

    Invece no, mentre un passo seguiva inesorabilmente l’altro e silenziosamente studiava l’incedere di quella goffa e stanca camminata, aveva sempre più chiara la sensazione che stesse per accaderle qualcosa di veramente preoccupante.

    Da quattro anni lavorava presso una nota Cooperativa Sociale di Sesto San Giovanni, nella periferia nord di Milano, dopo aver completato con intimo orgoglio gli studi presso la facoltà di Scienze dell’Educazione e anche quel giorno si stava dirigendo verso il posto di lavoro: una piccola comunità residenziale per minori con problemi di famiglia, come si usa comunemente definire questa tipologia di strutture.

    Il cielo era stranamente terso, come raramente capitava in quelle gelide giornate invernali, solitamente cupe e annebbiate; l’apparente trasparenza di quell’etere l’avvolgeva in un abbraccio di effimera leggerezza e limpidezza.

    L’inaspettato bagliore di quella giornata non le permetteva, tuttavia, di guardare al domani con altrettanta chiarezza e fiducia.

    Nella sua mente si rincorrevano pensieri contorti, intricati e disturbati da un’irrequietezza, che mai aveva percepito così radicata dentro di sé.

    Il pensiero di quello che l’aspettava, una volta varcata la soglia della struttura, sperava l’avrebbe distolta dai timori che l’attanagliavano riguardo alle sue condizioni di salute.

    Ormai da qualche giorno vedeva il suo corpo deperire lentamente ma inesorabilmente, l’appetito era ridotto quasi a zero, mentre la sete continuava a far ardere le sue labbra.

    Beveva senza alcuna possibilità di controllo litri e litri di acqua, come fosse divorata dall’afa estiva, e questo le provocava frequenti e repentine corse al bagno, per riversare in fretta e furia tutti i liquidi ingurgitati.

    Come se non bastasse, da alcuni giorni percepiva una costante irritazione nelle parti intime, che in nessun modo riusciva ad alleviare.

    Troppi ormai erano i sintomi di malessere per pensare che si potesse trattare di qualcosa di banale e passeggero e, mentre si occupava dei suoi piccoli fanciulli in bramosa attesa di cure e attenzioni, la sua mente era assillata da un turbine inconsulto di elucubrazioni sul da farsi.

    I sei minori che risiedevano nella comunità sembravano non cogliere il disagio interiore vissuto dalla loro educatrice di riferimento o, molto più probabilmente, facevano in modo che i loro bisogni primari sovrastassero e allontanassero, al di là di un sipario immaginario, qualsiasi altro malessere che percepivano aleggiare intorno a loro.

    Questo permise a Elisa di svolgere le sue attività con i piccoli ospiti della struttura in modo apparentemente spensierato, come se l’impegno lavorativo avesse per lei una funzione catartica.

    Li aiutò nello svolgimento dei compiti, li guidò nell’organizzazione di qualche attività ludico-ricreativa e verso le diciotto e trenta attese con rassegnata soddisfazione l’arrivo del collega che la sostituiva.

    Emanuele lavorava da poco con lei, tuttavia Elisa era davvero entusiasta dell’efficiente organizzazione e dell’empatica collaborazione che si era instaurata con lui e l’intera équipe di educatori impegnati nella sua comunità.

    Da pochi mesi ne aveva assunto la guida, in qualità di coordinatrice del servizio, ma già l’iter professionale del suo gruppo di lavoro era perfettamente avviato e improntato su un discreto livello di competenza e assoluta dedizione.

    Terminato il turno di lavoro, quindi, s’incamminò verso casa e lungo il tragitto iniziarono a riaffiorare tutti i pensieri forzatamente soppressi nel corso del pomeriggio.

    Dopo un lungo rimuginare, alternato a diversi tentativi di rinviare l’inevitabile, si era finalmente decisa: l’indomani si sarebbe recata dal suo medico curante per chiedere un consulto ed eventualmente intraprendere un’approfondita indagine diagnostica.

    La serata trascorse lentamente e senza particolare entusiasmo, come se nulla fosse più importante di ciò che l’aspettava il giorno successivo.

    Neppure l’avvicinarsi dell’orario di cena le seppe dare uno stimolo, come solitamente si verificava a ogni precedente appuntamento culinario.

    Già, perché una delle più grandi passioni di Elisa era sempre stata la cucina.

    Non che la si potesse definire una chef de nouvelle cuisine ma, nonostante abitasse sola, una delle sue più grandi passioni era proprio quella di dedicarsi alla creazione di nuove pietanze, ricche di estro e inventiva, per le quali lei stessa si divertiva a fare da cavia.

    In quel momento, però, neppure la sua fervida immaginazione la sapeva destare dal mesto torpore in cui era immersa inerme ormai da giorni.

    Alle ventitré e trenta, dopo aver terminato un lungo zapping davanti a una tivù che non riusciva in alcun modo ad attirare la sua attenzione, decise di spegnere la luce del suo piccolo ma personalizzatissimo monolocale e lasciarsi cullare fra le braccia di Morfeo.

    L’appartamento in cui abitava era stato la sua prima vera conquista: l’aveva acquistato con un mutuo decennale acceso già durante il primo anno d’impiego lavorativo, subito dopo aver terminato con discreto successo il suo percorso formativo universitario.

    Scienze dell’Educazione era sempre stata l’unica facoltà che riconosceva potesse appartenerle e che riuscisse a darle il giusto supporto di conoscenze, nozioni ed esperienze utili a dedicarsi finalmente a quella che per lei era al tempo stesso una missione di vita, ma soprattutto una passione coltivata da sempre con grande gioia ed entusiasmo.

    Abitava sola ormai da tre anni e questo non la spaventava affatto, anzi, le regalava la gioia di un’indipendenza che da tempo rincorreva; d’altro canto non le mancavano amicizie, né diverse occasioni per trascorrere piacevoli serate in compagnia di colleghi, di ex compagni di università o di nuove più recenti frequentazioni.

    Il sonno non era mai stato un suo nemico, anzi, aveva da sempre avuto la fortuna di riuscire ad addormentarsi in pochissimi minuti.

    Anche quella sera, nonostante fosse assillata da numerosi e preoccupanti pensieri, si assopì senza eccesivo tentennamento.

    La notte trascorse serenamente, senza sussulti e, quando la sveglia di quel mercoledì mattina suonò puntuale come ogni giorno, al primo trillo Elisa si trovava già fuori dal letto.

    Nessuno in vita sua aveva mai dovuto chiamarla più di una volta, nemmeno sua madre ai tempi della scuola, per alzarsi e prepararsi per i diversi appuntamenti della giornata; questa volta, tuttavia, lo spirito con cui si trascinava verso il bagno era sicuramente diverso.

    Guardandosi allo specchio cominciava a non riconoscersi più: il volto marcatamente scavato e spento, senza più quella luce negli occhi, che la vitalità dei suoi ventotto anni le aveva sempre regalato; un timore soffocato dentro un’anima che urlava con rabbia una gran voglia di vita e di speranza, seppure strozzata in un vortice d’impotenza e di incertezze.

    Ma ora non c’era più tempo da perdere, Elisa lo aveva capito.

    Abitando sola, se le fosse successo qualcosa all’improvviso, uno svenimento o chissà che altro, chi e quando si sarebbe potuto accorgere del suo bisogno di aiuto?

    Uscì dal bagno e diede un’occhiata al suo appartamentino: era un monolocale semplice ed essenziale, ma arredato con grande cura e attenzione.

    Lo squadrò da cima a fondo come se pensasse, per un qualsiasi assurdo motivo, di non poterlo più rivedere.

    Elisa aveva scelto di arredarlo con un letto a soppalco, che da sempre aveva desiderato acquistare per la particolarità del design e della modalità di utilizzo: adorava raggiungere il luogo destinato tanto alla meditazione quanto al meritato riposo mediante una scala, simile a quella costruita da piccola per raggiungere la sua casetta sull’albero vicino casa, al di sotto del quale aveva posto, incastrato con millimetrica precisione, un divano-letto ricoperto di morbido tessuto a coste di velluto blu.

    Poco più avanti aveva disposto un tavolo di legno color ciliegio, attorniato da quattro sedie di medesima fattura, posizionato esattamente a ridosso della grande finestra che, trovandosi al sesto piano, regalava la visuale di un panorama davvero mozzafiato.

    Sul lato destro dell’appartamento, invece, erano disposti i due mobili che maggiormente accompagnavano le lunghe giornate di Elisa: una scrivania per il computer, perfettamente organizzata con tutti gli scaffali e i cassetti necessari a un comodo, quotidiano, utilizzo e un mobiletto porta-televisore, dotato di un ripiano dov’era posizionato anche un vecchio videoregistratore pronto all’uso.

    Nell’angolo a destra, separato da una scalcinata porta a soffietto color verde militare, si trovava il modesto cucinino, teatro di intime e appassionate elaborazioni gastronomiche, talvolta condivise con impavidi amici. Nell’angolo diametralmente opposto era posizionato il bagno, essenziale ma assolutamente funzionale.

    Conclusa la breve fase di rivisitazione del monolocale, si fece forza e decise che era giunto il momento di dirigersi, senza ulteriori esitazioni, presso lo studio del medico, che si trovava a poche decine di metri da casa sua.

    Lo avrebbe ricordato anche a distanza di anni: erano le ore nove e ventuno minuti quando varcò la soglia del piccolo studio, che quella mattina, per assurdo, sembrava ancora più angusto e stretto intorno a lei.

    «Buongiorno dottore!» esordì senza sapere bene da dove cominciare.

    Non si era certo preparata un discorso, seppure fosse abituata ad arrivare pronta a qualsiasi appuntamento. Già ai tempi dell’università, infatti, Elisa era solita presentarsi a ogni sessione di esame solo qualora si fosse sentita certa di saper esporre con discreta scioltezza la maggior parte del programma, in caso contrario optava per un rinvio.

    Non sopportava l’idea di ritrovarsi senza parole, il silenzio di fronte a persone estranee la imbarazzava e faceva in modo di non trovarsi mai in una situazione del genere.

    Iniziò a descrivere in modo succinto e sostanziale i disturbi che l’accompagnavano ormai da qualche settimana, cercando di riassumere il tutto con poche ma chiare parole.

    Quando le sembrò di aver esposto in modo esaustivo tutta la sintomatologia manifestatasi nei giorni precedenti, sollevò lo sguardo nel tentativo di incontrare quello rassicurante del medico, ma solo allora si accorse che quest’ultimo era già impegnato a compilare una relativamente breve quanto precisa serie di accertamenti, accorpati in un’unica richiesta di prelievo ematico.

    «Si sottoponga il prima possibile a questi esami e mi faccia avere al più presto l’esito» disse, congedandola con tono serio e al contempo accomodante.

    Tutto qua? pensò tra sé e sé Elisa, senza avere il coraggio di chiedere ulteriori delucidazioni a riguardo. Possibile che non mi voglia dire nulla di più?

    Nessun chiarimento, nessuna spiegazione, nessuna prescrizione terapica per alleviare i sintomi elencati.

    Dentro di sé Elisa immaginava che il medico avesse già abbastanza chiaro il quadro clinico, ma non capiva per quale motivo non avesse voluto metterla al corrente della situazione; troppo preoccupante o incerta, per poterne parlare con una paziente che in fondo neppure conosceva?

    Elisa, infatti, era da sempre un’atleta e, nei tre anni in cui si era trasferita a Sesto San Giovanni, mai aveva avuto bisogno di consultare quel medico. Da quando aveva dieci anni, calcava i parquet di numerose palestre dislocate qua e là lungo tutta la Lombardia, affrontando sfide pallavolistiche a diversi livelli: dai dieci anni fino ai quindici in Prima Divisione, dai sedici ai ventiquattro in Serie D e attualmente nella Serie C, con una tangibile possibilità di raggiungere addirittura la tanto agognata promozione nel campionato nazionale di Serie B.

    Fatta eccezione per qualche insignificante distorsione alla caviglia, Elisa non aveva mai dovuto aver a che fare con alcun tipo di specialista in campo medico e non si era mai imbattuta in nessuna patologia che non fosse una banale influenza.

    Ripercorrendo a ritroso il tragitto che l’aveva condotta ad affrontare il primo step della giornata, Elisa si sentiva da un lato più leggera e sollevata, per il fatto di non aver ancora ricevuto alcun tipo di notizia preoccupante, dall’altro già ansiosa all’idea di doversi recare l’indomani presso l’ospedale per il fatidico prelievo.

    E se quell’appuntamento si fosse rivelato il preludio di una qualche tragedia?

    L’ottimismo che l’aveva sempre accompagnata, tuttavia, riuscì a farle tornare un accenno di sorriso, come se l’aver superato indenne il primo appuntamento di quella giornata l’avesse comunque catapultata in una condizione più favorevole.

    D’altro canto sin da piccola le amiche che frequentavano la sua stessa palestra e che condividevano con lei i duri allenamenti di pallavolo, l’avevano soprannominata Pollyanna, proprio come la protagonista di un cartone animato in voga negli anni ’80, che raccontava la triste storia di una piccola ragazzina sfortunata, capace di affrontare le difficili sfide della vita con grande coraggio, entusiasmo e ostinata abnegazione.

    Diciamocelo pure, Elisa non incarnava in alcun modo la figura di un’eroina, nulla della sua anonima esistenza faceva di lei un personaggio dalle particolari abilità o virtù, ma nonostante questo, nel suo piccolo, si era sempre dimostrata in grado di fronteggiare qualsiasi imprevisto della vita con temperamento, audacia e un pizzico di sana, allegra follia.

    L’iter del mattino precedente si ripropose imperterrito e puntuale l’indomani: solita sveglia, soliti preparativi, solita uscita da casa; questa volta, però, la destinazione era diversa: l’ospedale. Chiamò, premendo il solito pulsante, l’ascensore e attese con curiosità l’apertura delle porte. Già, perché ogni mattina era possibile imbattersi nei più stravaganti individui di qualsivoglia etnia, essendo quel condominio abitato da numerosissimi stranieri, provenienti dalle più svariate parti del pianeta.

    La stravagante e molteplice varietà di personaggi presenti costituiva ai suoi occhi un affascinante e curioso puzzle di culture, tradizioni, usanze e caratterizzazioni sociali di incomparabile attrattiva.

    Giunta al pian terreno, privata della gioia di poter condividere la discesa dei piani con qualche condomino, salutò rapidamente Piera, la portinaia, e si incamminò verso l’ospedale.

    Piera risultava agli occhi di Elisa un personaggio piuttosto anomalo e anticonformista; non rispecchiava in alcun modo il tradizionale cliché della portinaia pettegola, invadente e ficcanaso, anzi, era molto simile a lei: ligia al dovere, puntuale, disponibile, sorridente, ma allo stesso tempo riservata e discreta.

    Una volta giunta a destinazione, attese pazientemente il proprio turno, stringendo tra le mani il bigliettino che indicava l’ordine di arrivo. Quella mezz’ora che la separava dall’esame tanto atteso le parve un’eternità.

    Iniziò a osservare cautamente i volti dei numerosi pazienti accalcati nella sala d’attesa del laboratorio cercando di immaginare, per ciascuno di loro, quale fosse il motivo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1