I segreti dei papi dalla loro scrittura
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Anteprima del libro
I segreti dei papi dalla loro scrittura - Evi Crotti
grafo-patologo.
LEONE XIII - Il cacciatore di anime
FIGURA n° 01
Stemma papale di Leone XIII
Vincenzo Gioacchino Pecci
Nato a Carpineto Romano (Anagni) il 2 marzo 1810.
Ordinato sacerdote il 13 dicembre 1837, consacrato arcivescovo nel 1843 e inviato come nunzio a Bruxelles.
È nominato arcivescovo di Perugia nel 1846, creato cardinale da Pio IX nel 1857.
Eletto Papa il 20 febbraio 1878.
Muore a Roma il 20 luglio 1903.
FIGURA n° 02
Un ritratto di papa Leone XIII
Nel 1878, alla morte di Pio IX, cioè alla fine di trentadue anni di pontificato, il più lungo della quasi bimillenaria storia della Chiesa dopo quello dell’apostolo Pietro, i cardinali avevano tutta l’intenzione di eleggere un Papa di transizione. Il cardinale Gioacchino Pecci, arcivescovo di Perugia e Camerlengo, sembrava avere questa caratteristica, in quanto sessantottenne ma cagionevole di salute. Lui stesso ebbe modo di dire a un collega porporato: «Qualora per disgrazia eleggessero me, presto ci sarà un nuovo conclave». Lo elessero dopo una clausura di appena trentasei ore, e il suo pontificato sarà il terzo per lunghezza nella storia della Chiesa: venticinque anni e cinque mesi. Morirà novantatreenne e ormai infermo nel luglio 1903.
Leone XIII è il Papa aristocratico che intesse con abilità un gran numero di relazioni diplomatiche, «dando vita – ha notato Guido Gerosa – a una politica estera tra le più acute di fine secolo». «Voglio fare una grande politica», dichiara poche ore dopo la designazione. Vorrebbe restaurare la Respublica christiana, gioca il ruolo di arbitro del conflitto tra Germania e Spagna per le isole Caroline e rilancia per la prima volta dopo la caduta del potere temporale il ruolo politico del papato sulla scena internazionale.
Ma Leone XIII è anche il Papa che prende coscienza del grave problema sociale: di fronte alla miseria in cui vivono gli operai, che monsignor Pecci ha modo di conoscere direttamente durante il periodo della nunziatura a Bruxelles, c’è bisogno di risposte nuove. Pecci ha un temperamento diverso rispetto a quello del predecessore e quando Pio IX condanna gli errori del liberalismo e della società moderna con il Sillabo, l’arcivescovo di Perugia afferma che esso «non va piantato come uno spauracchio in faccia al mondo». Da Pontefice, però, confermerà su molti punti l’insegnamento di Papa Mastai, attenuandone altri e favorendo fra i cattolici uno spirito favorevole alla ricerca.
Deciso a non lasciare nelle mani del marxismo la bandiera dei diritti degli operai, Pecci, Pontefice «prigioniero» del governo italiano risorgimentale, spera di far rinascere il prestigio del papato romano coinvolgendo le masse popolari e sottraendole all’influenza del socialismo. Nasce così, dopo una lunga e travagliata gestazione, la sua enciclica più famosa, Rerum Novarum, pubblicata il 15 maggio 1891. La Chiesa cattolica non può accettare né il liberalismo economico che sfrutta l’operaio in forme allora davvero disumane né il socialismo che vuole abolire la proprietà privata e propugna la lotta di classe. Il lavoratore viene difeso in quanto persona, ha diritto a un giusto salario che non può essere stabilito soltanto dalla legge della domanda e dell’offerta. L’economia stessa non deve essere una gara senza regole dove trionfa chi è più forte, ma deve tornare a dipendere dall’etica cristiana. Lo Stato deve fornire – secondo il Papa – un aiuto ai più disagiati, e padroni e operai devono dialogare e collaborare. Anche se nella sostanza l’enciclica ripropone a fondo il vecchio corporativismo cattolico, l’affermazione del diritto di sciopero e il parere favorevole alla nascita di un sindacato cristiano costituiscono un punto di non ritorno importantissimo, proiettato già verso il nuovo secolo.
Gioacchino Pecci aveva una grande passione per il latino e la letteratura, fu l’ultimo dei Papi ad essere socio dell’Arcadia, con il nome di Neandro Ecateo, fu un ottimo poeta, capace di svegliare nel cuore della notte, per una rima mancante, l’anziano monsignor Tarozzi, Segretario delle lettere latine, che aveva voluto far alloggiare in una stanza non lontano dalla sua per averlo sempre a disposizione. Una volta, già novantenne, si era svegliato nel cuore della notte a causa dell’insonnia e si era messo a comporre carmi. Non trovando il «piede» di un verso, Leone XIII si precipitò a bussare alla stanza di Tarozzi dicendo: «Monsignore, ci aiuti: non riusciamo a trovare un piede». Il prelato latinista, mezzo confuso, incominciò a gridare: «Oh Dio, oh Dio, il Papa ha perso un piede!».
Pecci è stato l’ultimo dei Papi moderni a dedicarsi all’hobby della caccia anche dopo l’elezione. Nei primi anni di pontificato aveva fatto mettere un roccolo con gli appositi richiami nei giardini vaticani. Leone XIII però era solito rimettere in libertà gli animali così catturati. Coltivava personalmente una vigna, composta da tre piccoli appezzamenti, e lì si recava a zappare ma anche a pregare e a comporre le sue poesie latine. Un’abitudine che conserverà anche negli ultimi anni, quando sarà costretto a muoversi nel palazzo apostolico e nei giardini con un’apposita portantina. Un pomeriggio il Vaticano fu gettato nello scompiglio quando si sentirono esplodere vari spari provenienti dalla vigna. Si temette un attentato. Era invece accaduto che il Papa avesse dato ordine a un gendarme della guardia pontificia di esplodere alcuni colpi in aria per impaurire i passeri che insidiavano la sua vigna.
Uomo di spirito oltre che di profonda cultura e di animo nobile, aveva chiesto a un noto pittore un ritratto da regalare ai suoi familiari. Il quadro non riuscì molto somigliante e prevedendo che i parenti non lo riconoscessero, il Papa lo accompagnò con un biglietto nel quale aggiunse di suo pugno una frase detta da Gesù agli apostoli, tratta dal Vangelo di Matteo: «Ego sum, nolite timere» («Sono io, non abbiate paura»).
Negli ultimi tempi della sua lunga esistenza era ormai immobilizzato su una poltrona. Ma non aveva perso la prontezza di spirito. Nel 1902, già novantaduenne, aveva ricevuto un vescovo americano venuto dagli Usa a fare la visita ad limina. Considerata l’età avanzata del Pontefice, il prelato aveva detto: «Dato che non ci rivedremo più su questa terra, addio Santità, addio…». E il Papa: «Eccellenza, ha forse un brutto male?».
Profilo grafologico
Anche se la cultura calligrafica del tempo può penalizzare l’interpretazione grafologica per alcuni tratti grafici comuni alle scritture dell’epoca, tuttavia ci sono nella scrittura di Leone XIII degli elementi che, sfuggendo ai modelli, ne personalizzano il grafismo rendendolo unico come del resto unica è anche la sua personalità. Anche i Papi non sfuggono a questa meravigliosa possibilità di identità individuale. Il temperamento è un tratto indelebile che non si cancella mai; in esso ritroviamo il bagaglio genetico ed i fattori ereditari che danno un imprinting alla persona, mentre il carattere si modifica a seconda dell'esperienza che la vita ed il ruolo assunto nella società ci impongono.
Leone XIII, con la sua scrittura accurata, con il gesto sobrio, il tratto regolare e la costante inclinazione verso destra, segnala una personalità calma, portata ad elaborare con acume ed acuta intelligenza i problemi per trovare soluzioni finalizzate allo scopo.
FIGURA n° 03
Scrittura sine data. Nella scrittura si rileva la tendenza a staccare le lettere tra loro, espressione di abilità analitiche e di minuziosità su ogni particolare, e a presentare gesti fuggitivi in fine di parola verso l'alto a sinistra, a rappresentare un pensiero acuto e nello stesso tempo idealistico.
Avvalorato in ciò anche da una volontà tenace, ma non testarda, sa mitigare i dissapori e tessere bene per porre gli incastri giusti al momento opportuno (grafia costantemente inclinata verso destra ed aste rette e parallele prevalenti). Analisi più che sintesi, memoria e concretezza, ordine e metodo investono un po' tutto il suo modo di porsi come rappresentante di Cristo sulla terra, ma anche come uomo in mezzo agli