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Oltre il tempo - Parte seconda - Volume 1
Oltre il tempo - Parte seconda - Volume 1
Oltre il tempo - Parte seconda - Volume 1
E-book236 pagine2 ore

Oltre il tempo - Parte seconda - Volume 1

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Info su questo ebook


Cos'è successo quel giorno? Com'è possibile che non sia morta? E che cos'ha a che fare questo con la persona che ama? Sono molte le domande alle quali Vivian cerca di trovare risposta. Per farlo dovrà abbandonare gran parte delle sue certezze, seguire il suo cuore a dispetto dei rischi e della razionalità, intraprendendo un viaggio che non poteva nemmeno immaginare...
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2018
ISBN9788827555330
Oltre il tempo - Parte seconda - Volume 1

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    Anteprima del libro

    Oltre il tempo - Parte seconda - Volume 1 - Daria Reiani

    Introduzione

    Stavo inaspettatamente comoda ma, probabilmente, in quel momento lo sarei stata anche su dei sassi appuntiti.

    Non percepivo alcuna esitazione in lui. La titubanza che avevo avvertito inizialmente era scomparsa per lasciare posto a pura determinazione.

    Nessun uomo mi aveva mai toccata prima di lui. Nessuno mi aveva mai fatta sentire nemmeno lontanamente come mi stava facendo sentire lui. Non avrei avuto parole per descriverlo.

    Era bellissimo.

    Non aveva mai osato in tal modo. Non mi ero mai sentita così viva. Capii quali fossero le sue intenzioni quella notte.

    Non lo avrei respinto.

    Il cuore mi batteva forte nel petto mentre venivo attraversata da piccoli brividi, in estasi.

    Si allontanò un poco, giusto il tempo di guardarmi negli occhi per un lungo istante… dopodiché le sue labbra furono di nuovo sulle mie, bramose, quasi violente. Il suo corpo premeva contro il mio, le braccia mi stringevano e le mani mi assaporavano, incandescenti; non erano mai state così imprudenti.

    Ma, oramai, aveva ancora così tanta importanza la prudenza?

    Mi ero dimenticata della presenza di Argo e Silveria, come più o meno di tutto il resto del mondo.

    Rimasi senza fiato quando percepii le dita vellutate insinuarsi sotto il mio sottile indumento...

    ALT

    Facciamo un passo indietro...

    Capitolo 1. Tenacia

    «Vivian, non ho solo visto la freccia. Io… l’ho fermata».

    Ci guardammo per un lungo momento, in silenzio.

    Impossibile… Probabilmente avevo frainteso.

    «Che cosa hai detto?», chiesi con un filo di voce.

    Mi ero forse immaginata le sue parole?

    Sospirò profondamente. «Non è facile da accettare, tantomeno da comprendere».

    In effetti ero abbastanza sbalordita.

    Chi era l’uomo che avevo davanti? Non bastava tutto quello che era già successo? Che dopo il tempo passato insieme, certa che fosse un umile abitante delle Highlands, si fosse infine rivelato il Conte in persona dello Inbhir Nis-shire? Non era stata sufficiente come prova da affrontare dato che la mia vera madre era stata assassinata proprio da un Conte e che questo fosse stato il mio peggiore incubo dall’età di otto anni?

    «Non avere paura», mi rassicurò.

    Realizzai di non averne. Più che altro mi sentivo disorientata, tesa. «Sei un mago?».

    Davvero non sapevo più a cosa credere.

    «Non esattamente».

    Mi lasciò il tempo di riflettere.

    «Se non sei un mago… cosa sei?».

    Di nuovo silenzio. Mi osservava in quel suo modo ambiguo, sembrava perso in qualche ragionamento.

    «È più facile se ci fermiamo qui», disse. Più che un suggerimento sembrava una conclusione.

    Realizzai in un attimo che non mi bastava.

    «Voglio sapere chi sei. Ti prego».

    «Ne sei sicura?».

    Decisi.

    «Sì».

    Gli occhi si fecero distanti. Si passò una mano tra i capelli e sulle labbra spuntò un mezzo sorriso. «Non ero preparato a questo», commentò, più a se stesso che a me. «Ritenevo fosse talmente…» – la fronte si corrucciò mentre cercava l’espressione giusta – «impossibile trovarmi in questa situazione che… non mi sono mai nemmeno preparato un discorso». Un altro respiro profondo. «Sei l’ultima persona che mi aspettassi di rivedere». Lo sguardo scintillò nel mio, intenso. «Cercherò di spiegartelo. Ma non qui».

    Tese la mano, concedendomi la possibilità di scegliere.

    Lo avrei seguito anche questa volta?

    ***

    Riconobbi lo spiazzo non appena vi entrai. Era lì che ci eravamo incontrati quando lo avevo scambiato per un cacciatore.

    Avevamo camminato per un po’ nella foresta, battendo percorsi che non conoscevo. Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo alla notte in cui mi aveva portata a vedere la collina ricoperta d’erica, con Inbhir Nis illuminata sullo sfondo. Ripensandoci non era trascorso che qualche giorno da allora, non potevo crederci. Dimostrò quasi lo stesso distacco. Lasciò andare la mia mano non appena trovammo il sentiero ma di tanto in tanto si voltava come per assicurarsi che fossi sempre vicina.

    Il vecchio albero di salice era là. Chissà come c’era finito. Sotto vi era quella singolare roccia liscia: sembrava fatta apposta per sostare. In lontananza, il meraviglioso paesaggio dei miei ricordi prese vita così come il grazioso ruscello.

    «Ci sediamo? Ti va?», chiese gentile.

    Così facemmo.

    Si sistemò sulla roccia e presi posto al suo fianco.

    «Cercherò di spiegartelo», ripeté. «Non sarà facile. Ma voglio dirti la verità. Anche se sarebbe molto più semplice una bugia».

    «Le bugie sono più facili, sì».

    Da dove proveniva la mia fermezza?

    «Solo che…», esitò. Emise una risata secca, quasi sbuffando, ma non era divertito. «Ho una paura tremenda».

    «Di che cosa?».

    Mi guardò intensamente. «Non riesco a credere che tu sia qui».

    «Nemmeno io». Dietro il tono scherzoso in cui lo dissi ero seria.

    Ma se aveva paura lui, forse avrei dovuto averne anch’io? Eppure mi aveva rassicurata. Decisi di essere franca. «Sono in pericolo?».

    Si riscosse da chissà quale riflessione. «No», si affrettò a dire. Si sporse verso di me, prendendo lentamente la mia mano nella sua, rovente. Lo sguardo ardeva di sincerità. «Non ti farò del male».

    Suonò come una promessa. Gli credei.

    Annuii impercettibilmente. «Va bene».

    Recuperò una certa distanza. «Anche se non sai che cosa sono?».

    Ero tornata, affrontando la più grande delle mie paure. Non aveva ancora capito cosa fossi disposta a fare per lui?

    «So chi sei. Mi basta», sussurrai con un filo di voce.

    Sospirò.

    «John».

    Ah già, non era quello il suo nome.

    «Volevo dire, Lord Uilleam», mi corressi.

    Si accigliò. «Ti prego, non chiamarmi così».

    Passò una breve pausa.

    «Potresti farmi un favore? Continueresti a trattarmi da John… invece che da Conte Uilleam?».

    Lo adorai per la richiesta. «Ci proverò».

    Ci osservammo, ognuno perso nei propri ragionamenti. Notai che sembrava lievemente sollevato, ma poi si rabbuiò. «E poi, non è nemmeno quello il mio vero nome».

    Cosa?

    Mi dimenticai all’istante di ciò che stavo per domandargli.

    «Sai, abbiamo avuto la stessa idea…».

    Lo guardai senza capire.

    «Quando ci siamo incontrati dicesti di chiamarti Julian, come tua madre. Ebbene, io ti dissi di chiamarmi John... come mio padre».

    Capitolo 2. Stupore

    Mi concesse un altro momento per digerire ciò che avevo appena udito.

    «John è il nome di tuo padre?». Faticavo a mantenere la voce ferma, il cuore batteva come un tamburo. Quante certezze ancora stavano per essere infrante?

    «Sì».

    «Il tuo nome non è nemmeno Uilleam?».

    Si alzò per prendere un ramo secco lì vicino e scrisse qualcosa su un lembo di terra umida ai nostri piedi.

    Mi sporsi per leggere la scritta.

    «William… È il tuo vero nome?».

    «Sì». Riprese posto accanto a me, apparentemente tranquillo.

    Pensai che gli stesse bene. Mi piaceva. «È quello definitivo?».

    Cosa? Come potevo fare dell’ironia in una situazione del genere?

    Sembrò apprezzare molto. Sorrise sotto i baffetti corti. «Sì, è quello definitivo».

    Che confusione. «Non capisco».

    «Lo so. Risponderò alle tue domande».

    «Perché tutto ciò?», chiesi confusa, «a quale scopo?».

    Parlò lentamente. «Uilleam è un nome più… appropriato per questo luogo, per questo… tempo. Inoltre, se mai qualcuno poco gradito venisse a cercarmi… in questo modo sarebbe un po’ più difficile trovarmi».

    Eravamo appena all’inizio e già mi stavo perdendo.

    «Non sono nato qui», aggiunse. «Non sono nemmeno cresciuto qui. Provengo da un luogo molto, molto lontano, dall’altra parte del mondo». Guardò dinnanzi a sé come se potesse vedere il posto di cui parlava, poi attese, scrutandomi pensoso. «Forse è meglio se tu fai le domande e io rispondo».

    Gli chiesi la prima cosa che mi venne in mente. «Se è vero… perché adesso non sei là?».

    «Perché non esiste ancora».

    Non avevo la più pallida idea di come apparisse la mia faccia e nemmeno me ne preoccupai, ma da come mi osservava non doveva essere delle più serene.

    «Il luogo da cui provieni… non esiste ancora?».

    «Ti avevo detto che non sarebbe stato semplice».

    Ammesso che non si stesse prendendo gioco di me, in cosa mi stavo andando a cacciare?

    «Sei sicura di voler continuare?».

    Pensai a quando mi fece una domanda simile, nel bosco, prima di portarmi a vedere il mare, e a come mi stesse lasciando di nuovo libera di scegliere.

    Lentamente, annuii. Cercai di riordinare le idee.

    «Torniamo alla freccia». Avremmo avuto tempo in seguito per approfondire. «Come hai fatto a fermarla?».

    Sospirò sembrando contratto, preoccupato e dubbioso allo stesso tempo. Si passò le mani sul viso – un gesto che faceva effettivamente quando era teso per qualcosa – e si massaggiò la nuca. «Solleva un braccio», disse infine.

    Altrettanto dubbiosa, eseguii.

    «Come hai fatto a farlo?».

    Che domanda era? «Non lo so. L’ho fatto e basta».

    «È la stessa cosa che succede a me. Più o meno».

    Aspettai che proseguisse, cercando di capire.

    «Dipende da più cose… da come mi sento, da quanto io desideri spostare un certo oggetto o meno. Ma non basta immaginarlo, devo volerlo. Rivolse lo sguardo verso gli alberi dinanzi a noi. «Ad esempio ora sto immaginando l’intera foresta bruciare».

    Rabbrividii.

    «Ma non è ciò che voglio», precisò rassicurandomi con lo sguardo.

    «Per fortuna», bisbigliai.

    Dall’angolo delle labbra spuntò quel sorriso stiracchiato che mi piaceva tanto. Prese un’altra gran boccata d’aria.

    «Inizialmente ero… praticamente fuori controllo. Mi c’è voluto molto allenamento per imparare a gestire il tutto. Ancora oggi ci sono volte in cui mi rimane difficile sollevare una foglia, in altre invece raderei al suolo...». Lasciò la frase in sospeso, studiando il mio volto. Forse stava cercando di non spaventarmi. «Dipende anche da altro ma, principalmente è legato a ciò che provo», concluse.

    Mi domandai per l’ennesima volta se non stessi sognando. «Sei sempre stato così?».

    «No. È ora che ti spieghi da dove provengono le mie cicatrici».

    «Non dalle battaglie che hai combattuto?», chiesi titubante.

    «La maggior parte sì... ma non queste», disse indicando i marcati segni diafani sul sopracciglio destro. Si alzò in piedi, voltandosi di spalle, e con mia sorpresa si liberò del mantello; dopodiché iniziò a slacciarsi la dalmatica...

    Curiosità e desiderio si confusero. Difficile stabilire quale delle due fosse a prevalere.

    Trattenni il respiro quando se la lasciò scivolare sopra la testa – inizialmente per il gesto in sé, poi per il numero spaventoso di sfregi chiari e scuri che gli ricoprivano il corpo. La spalla sinistra in particolare era martoriata. La cicatrice che risaltava più di tutte era là: grande, irregolare e violacea, con al centro un lungo solco delineato da segni di vecchie cuciture. Se la indicò.

    «Nemmeno questa lo è», disse piatto.

    Si voltò.

    Dopo l’inevitabile stupore iniziale mi sforzai di mantenere un’espressione impassibile anche se, dentro di me, mi sentivo morire. Un dolore denso mi invase, così come la rabbia. Dio solo sapeva quanto aveva sofferto. Era una persona buona – adesso ne ero certa – non poteva esserselo meritato.

    «Chi è stato?», domandai in un sussurro, cercando di controllare il tono di voce.

    Si rivestì in silenzio, evidentemente meditabondo, e tornò al mio fianco. «Anch’io ho una storia da raccontare». Si inumidì le labbra, lo sguardo perso davanti a sé. «Anni fa, delle persone… hanno cercato di uccidermi».

    Cercai di ignorare il brivido che quell’affermazione mi aveva provocato, inutilmente.

    «Come diamine faccio a spiegartelo in maniera semplice?», mormorò.

    «Perché volevano ucciderti?».

    «Hai sete? Vuoi dell’acqua?», chiese di punto in bianco, indicando la bisaccia che aveva appoggiato al tronco sulla nostra destra.

    Cercai di intuire i suoi pensieri. Voleva forse cambiare discorso?

    «No, grazie».

    Continuava a guardarmi, sembrava in attesa. Fece cenno di voltarmi e così feci.

    Qualcosa mi coprì la visuale e sobbalzai, arretrando fino al limitare della roccia. Poi rimasi esterrefatta.

    Capitolo 3. Rivelazione

    Era sospesa a mezz’aria, perfettamente immobile, là dove un attimo prima c’ero io.

    Anche William era immobile. Mi scrutava impassibile.

    Tornai a osservare il banale oggetto come se fosse uno dei più pericolosi al mondo. Lui sollevò la mano destra a distanza e, lentamente, la bisaccia si avvicinò.

    Incapace di trattenermi mi alzai in piedi con uno scatto, stringendomi nelle braccia. Cercai istintivamente il suo sguardo; lo trovai calmo e rassicurante. Mi sforzai di non arretrare ulteriormente.

    «Unisci le mani», disse con voce vellutata.

    Obbedii, anche se avevo iniziato a sudare freddo.

    Ruotò la mano…

    Era sconvolgente. Mi ritrovai a ridere.

    Avvicinai incredula le mani alle labbra e bevvi. L’acqua mi scivolò giù per la gola: fresca, dissetante, reale.

    Afferrò la fonte della mia incredulità e tornò a sedersi. Feci lo stesso, involontariamente inquieta.

    Ci guardammo seri.

    Di nuovo parlò lentamente. «Che tu ci creda o no, provengo dal futuro». Attese un momento, scrutando la mia espressione. «Quelle persone volevano… questo», dichiarò sollevando la mano davanti a sé. «Il mio potere, Vivian».

    Silenzio. Tutte quelle domande che mi vorticavano in testa… eppure non sapevo cosa dire.

    «Ti starai chiedendo come ho fatto ad arrivare fin qui».

    Era una delle mie curiosità, ovviamente. Annuii.

    Sorrise mesto. «Me lo sono chiesto anch’io. Non sai quante volte».

    «Pure Brigid ha questo… potere?»

    «No».

    «È davvero tua madre?».

    «Sì, lo è».

    Bene. Un altro piccolo pezzo di fondamenta al quale aggrapparmi. «Ma se non è magia… che cos’è?», bisbigliai, come timorosa che qualcuno ci sentisse.

    «Noi la chiamiamo scienza».

    «Scienza», ripetei incerta. Riflettendo, capii che non avevo mai udito quella parola ma una simile. «Assomiglia a scientia. Significa conoscenza». Lo dicemmo contemporaneamente.

    «Sì, esatto». Accennò un sorriso. «Non sappiamo esattamente da dove derivi questo potere. Finora abbiamo solo avanzato delle…».

    Attesi che proseguisse.

    «Scusa, sto cercando le parole giuste… idee. Finora abbiamo avanzato delle idee», disse terminando la frase in sospeso.

    «Abbiamo?».

    «Io, mia madre. Mio padre, a suo tempo». Spostò lo sguardo dinanzi a sé. «Era un uomo di conoscenza. Un uomo di grande conoscenza. Ha speso tutta la sua vita per questo». Calò un breve silenzio. «Era stimato per il suo lavoro, apprezzato. Buono…».

    Avvertii la sua tristezza.

    «Il suo scopo era trovare nuovi modi per curare le persone. Potere e denaro non gli interessavano granché ma… quando arrivi a questo, in ogni tempo, non

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