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Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.2
Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.2
Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.2
E-book231 pagine3 ore

Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.2

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Info su questo ebook

Cos’è successo quel giorno?
Com’è possibile che non sia morta?
E che cos’ha a che fare questo con la persona che ama?
Sono molte le domande alle quali Vivian cerca di trovare risposta. Per farlo dovrà abbandonare gran parte delle sue certezze, seguire il suo cuore a dispetto dei rischi e della razionalità, intraprendendo un viaggio che non poteva nemmeno immaginare...
LinguaItaliano
Data di uscita11 ott 2018
ISBN9788829525317
Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.2

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    Anteprima del libro

    Oltre il tempo - Parte seconda - Vol.2 - Daria Reiani

    Tutti i diritti riservati

    © 2016 Daria Reiani – Oltre il tempo – Parte prima (prima edizione, vol.unico)

    © 2017 Daria Reiani – Oltre il tempo – Parte prima – Vol.1/2 (nuova edizione, vol.separati)

    © 2018 Daria Reiani – Oltre il tempo – Parte seconda – Vol.1

    © 2018 Daria Reiani – Oltre il tempo – Parte seconda – Vol.2

    Cos’è successo quel giorno?

    Com’è possibile che non sia morta?

    E che cos’ha a che fare questo con la persona che ama?

    Sono molte le domande alle quali Vivian cerca di trovare risposta. Per farlo dovrà abbandonare gran parte delle sue certezze, seguire il suo cuore a dispetto dei rischi e della razionalità, intraprendendo un viaggio che non poteva nemmeno immaginare...

    Oltre il tempo

    Parte Seconda -Vol. 2

    Ai lettori.

    Perché la dedica ve la meritate!

    "Alice: Per quanto tempo è ‘per sempre’?

    Bianconiglio: A volte, solo un secondo".

    Lewis Carroll

    Capitolo 1. Inconcepibile

    Non riaprii gli occhi.

    Provai solo una volta a sbirciare ma delle luci abbaglianti mi accecarono. Era un inferno. Continuavo a cadere, volteggiando su me stessa, completamente disorientata. Non riuscivo neanche a capire in quale direzione stessi precipitando. Per di più, era davvero certo che stessi precipitando?

    Volteggiai ancora e ancora, roteando a velocità impressionante in tutte le direzioni – o almeno così mi parve – in posizione fetale, mentre stringevo il dispositivo tra le braccia. Il vento furioso mi colpiva ripetutamente. Era come stare nel bel mezzo di una bufera, anzi peggio. Il frastuono mi assordava e nell’aria percepivo un pungente odore di bruciato.

    Trattenni il respiro, pregando che il tutto terminasse presto. Non ce la facevo più. Ma pian piano il vento si placò così come la sensazione di volare. Fui attratta verso il suolo e solo allora sentii nuovamente il peso del mio corpo. Appoggiai con i piedi su qualcosa di saldo e fresco. Attesi, ad occhi chiusi, fino a quando i rumori circostanti si placarono; poi tornai a respirare.

    Quasi desiderai non averlo fatto.

    Notai immediatamente qualcosa di strano nell’aria fetida: la gola iniziò a bruciarmi e fui colta da violenti spasmi e colpi di tosse. Inoltre le orecchie non accennavano a smettere di fischiarmi e la testa continuava a girarmi. Aprii piano gli occhi.

    Non capii ciò che vidi e ne ebbi paura.

    Mi ritrovai sulla roccia più strana che avessi mai visto: sembrava liscia anche se la percepivo ruvida e tutta, incredibilmente, assolutamente uguale, di un singolare colore grigio scuro luccicante. Sollevando lo sguardo, notai qualcosa che non avrei saputo nominare. Niente di ciò che vedevo era familiare. Indovinai solamente che quelle costruzioni dovessero essere delle abitazioni ma erano inconsuete: molto simili tra loro, grandi, chiare, perfettamente squadrate e curate.

    Con che materiali erano costruite? Dietro ve ne erano altre e, dietro ancora, una distesa sterminata di… che cos’era? Non lo sapevo proprio ma, qualunque cosa fosse, era inquietante.

    Pensai a delle lontane, altissime montagne – dalle forme più diverse ma tutte allungate e tendenti verso il cielo. Erano però innaturali. Cosa accidenti erano?

    Il cielo era coperto e anch’esso strano: grigio con inusuali scie biancastre, tonalità di ocra e riflessi multicolori.

    C’era il sole, eppure vi erano le nubi. Non capivo in che stagione fossimo, né se il tempo fosse bello o brutto, se fosse stato da pioggia o meno. Tutto sembrava mischiato in un risultato sconcertante.

    Tornai alle case dinanzi a me, al di là della curiosa roccia liscia sulla quale ero capitata. Roccia che – realizzai – proseguiva a destra e a sinistra strisciando come un gigantesco serpente. Per un attimo mi venne il dubbio che fosse un drago assopito. Ma una cosa mi colpì più di tutto: gli alberi.

    O meglio, la loro assenza.

    Dov’erano andati a finire? E l’erba? Il mio sguardo era abituato a posarsi su distese di verde di ogni tipo; qui ve n’era pochissimo.

    La cosa che più somigliava a fantasmi di alberi erano dei tronchi – o pali? – spogli, dritti, levigati, grigi. Il grigio era proprio il colore predominante di quel mondo sconosciuto. Vi era solo una siepe verde opaco, anch’essa squadrata, oltre il serpentone liscio, prima della casa più vicina.

    Inoltre c’erano… come definirle? Delle grandi e stranissime rocce variopinte e multiformi, immobili. Erano pericolose? Ogni cosa era bizzarra, sconosciuta e spaventosa. Mi sentivo in pericolo e smarrita mentre ancora tossivo. Cercavo di respirare ma non era facile: era come se la gola si fosse stretta e incendiata, rifiutandosi di far passare l’aria. La testa continuava a vorticarmi e a dolermi, il cuore mi batteva forte nel petto e le orecchie mi rimbombavano alternando un fastidiosissimo sibilo.

    In più ero sola. Ma forse era un bene. Vulnerabile com’ero, non avrei saputo difendermi da nulla. Mi voltai. E davanti ai miei occhi si ripeté pressoché la stessa immagine.

    C’era tuttavia un particolare diverso: l’unico, oltre al cielo e ad altre siepi, a risultarmi un po’ più familiare. Cominciai a piangere ancora prima di rendermene conto e, senza smettere di stringere tra le mani il dispositivo, mossi qualche passo incerto verso l’oggetto della mia attenzione.

    Mi sentivo pesantissima e fu un grande sforzo ma raggiunsi la sponda del serpentone, aggirai una di quelle strane, grosse rocce colorate e alla fine riuscii ad abbracciare l’unica cosa bella che vidi in quello scempio. E piansi. Piansi silenziosamente. Sfogai la paura, la sorpresa e l’infinita tristezza, sorreggendomi all’esile tronco dell’unico alberello che avevo trovato.

    Chiusi gli occhi e strusciai la guancia sulla sua corteccia ruvida. Avrei voluto arrampicarmi ma stranamente era privo di rami. Aveva una piccola chioma non troppo fiorente, pareva gracile e poi… dov’erano le radici? In ogni dove il suolo era interamente coperto da quel materiale duro, grigio e insolito. Alla base era rimasto un piccolo quadrato di terra da cui spuntavano timidi ciuffi d’erba – anch’essi dall’aspetto sofferente e malaticcio.

    Mi fece un’immensa pena.

    Cosa ti hanno fatto? Cos’hanno fatto ai boschi? Alla terra?

    Spostando lo sguardo, mi accorsi che c’erano delle cose somiglianti vagamente a degli alberi ma non erano veri, non potevano esserlo; stranissimi, senz’altro morti. Nemmeno li riconoscevo come tali, solo qualcosa di simile. Tutto sembrava però perfettamente ordinato e preciso: uno strano contrasto in confronto allo scempio che i miei occhi vedevano.

    D’un tratto il senso di nausea si fece più forte e fui scossa da un improvviso conato di vomito. Dopo che mi fui un po’ ripresa continuai a fissare quel luogo privo di vita e indietreggiai istintivamente fino alla siepe più vicina – fitta e squadrata – alle mie spalle. Avvertii l’esigenza di nascondermi perciò mi acquattai, sparendo al suo interno.

    Erba! Oh, grazie al Cielo! Terra!

    Cercando inutilmente di trattenere i colpi di tosse, strisciai all’ombra di una sbalorditiva tettoia vitrea sospesa a mezz’aria sopra di me – l’avevo notata in quel momento e ne ignoravo totalmente l’utilità. Sembrava fatta di ghiaccio. Mi ritrovai in un avvallamento stretto delimitato dall’altro lato da un’alta collinetta di terra e da un’ennesima siepe posta in cima ad essa. Il fosso proseguiva per poi curvare da ambo i lati, sparendo alla mia vista. Mi sentii tutto sommato abbastanza protetta, nascosta da chiunque potesse vedermi o aggredirmi.

    Finalmente la tosse si placò e, lentamente, persi i sensi.

    Capitolo 2. Ascolto

    Un rumore forte mi svegliò di soprassalto.

    Ce ne fu un altro da qualche parte, poi un altro ancora. Erano sconosciuti quanto spaventosi, che mai avevo udito in tutta la mia vita.

    Mi ci volle un po’ per vedere nitidamente e per placare i sussulti. Non riuscii a fare lo stesso con il perenne senso di nausea che mi affliggeva da quando ero arrivata. In più non riuscivo proprio a respirare bene. L’aria era sempre intrisa di un vago odore aspro e maleodorante.

    Quando mi fui un po’ riavuta realizzai di essere nel medesimo posto nel quale avevo perso i sensi e di stringere tra le mani il dispositivo. C’era meno luce di quanta ne avessi vista in precedenza. Da quanto ero lì in quello stato? Ripercorsi mentalmente ciò che avevo vissuto, cercando di riordinare le idee, ripetendomi che non era un sogno.

    Percepivo dei suoni costanti in lontananza ma non sapevo da dove provenissero.

    Chiusi gli occhi, in ascolto.

    Ciò che udii – o meglio, che non udii – mi spaventò di più.

    No, non c’era vita in quel luogo. Non c’era il familiare fruscio del vento tra le fronde, né richiami di animali o semplicemente i dolci, rassicuranti cinguettii degli uccellini sui rami. Tutto appariva grigio e muto. O quasi. Appunto, dei suoni – o meglio rumori – c’erano ma lontani. Non avrei saputo identificarli.

    Poi una voce femminile attirò la mia attenzione; stava chiamando qualcuno. Afferrai solo una parola:

    William.

    Il mio cuore balbettò.

    «William!».

    La riconobbi.

    Brigid.

    Mi tirai su faticosamente e, guardinga, mi inginocchiai. Strisciai dentro i cespugli ma mi bloccai di colpo: qualcosa stava transitando – qualcosa di grande e assordante – non lontano da me, sul serpentone, dietro a quella roccia colorata, con i due strani cerchi scuri che rilucevano toccando terra in prossimità dei bordi. In più passò un gruppo di persone a breve distanza, accompagnato da un sibilo che mi fece vibrare le orecchie. Sembravano dei ragazzini. Iniziarono a correre. Non capii cosa dicessero ma subito dopo udii le loro risate che si allontanavano.

    Sbirciai fuori dalla siepe.

    Pareva tutto tranquillo. Per modo di dire.

    Senza separarmi dal dispositivo, mi sollevai in piedi. Violenti colpi di tosse continuarono a scuotermi, raschiandomi la gola in fiamme, ma li ignorai. Oltre a puzzare, l’aria era anche calda e soffocante. Il cielo nuvoloso presentava ora tonalità e striature multiformi mai viste prima. Perfino la luce del sole era strana. Mi soffermai a studiarla senza volerlo, cercando di capire cos’avesse di sbagliato. Avvolgeva ogni cosa, rendendo l’atmosfera oltremodo surreale e inquietante mentre lunghe e cupe ombre nere si propagavano ovunque.

    Un altro fragore mi fece tremare ma, di nuovo, non avevo la più pallida idea di cosa fosse, né da dove provenisse. Non sapevo niente di quel posto! Non sapevo neanche dove fossi capitata! L’unica consapevolezza era che fossi nel futuro, o almeno lo speravo.

    Brigid doveva essere vicina, sempre che non mi fossi sognata la sua voce.

    Mossi qualche passo fino a raggiungere l’alberello smunto e mi ci appoggiai, guardandomi intorno atterrita e prendendo a fatica gran boccate d’aria che sentivo comunque mancare.

    Nulla da fare, di Brigid non c’era traccia. E adesso? Avevo paura di uscire allo scoperto…

    Mi domandai nuovamente se avessi udito davvero la sua voce o se fossi ammattita immaginandomi tutto. Eppure mi era sembrato di aver sentito lei stessa chiamare Will...

    «Will», sussurrai quasi senza muovere le labbra.

    «William!».

    Sì, era la voce di Brigid, ne ero certa!

    Mi voltai in direzione della prima casa che avevo visto e, al di là del serpentone, scorsi qualcosa di ulteriormente inaspettato: un bambino.

    Aveva ad occhio e croce un paio d’anni, biondo. Indossava strani indumenti screziati e mi fissava con la bocca semiaperta.

    D’un tratto un mostro ruggente e spaventoso sfrecciò tra di noi facendomi sobbalzare.

    Istintivamente corsi verso il bimbo. Dovevo proteggerlo!

    Attraversai lesta il serpentone e raggiunsi il piccolo, portandolo al riparo – così speravo – all’ombra di un’altra strana, lunghissima tettoia anch’essa notata in quel momento.

    Dov’erano i suoi genitori? Era qui da solo? Brigid era vicina? Possibile che stesse chiamando Will?

    Il cuore prese a battermi forte. Se davvero ero capitata nel futuro, lui era ancora vivo.

    Dovevo trovarlo.

    Capitolo 3. Certezza

    Qualcos’altro di grande ci sfrecciò accanto.

    Il rumore forte tornò a colpirmi insieme ad una ventata nauseabonda.

    Era la stessa cosa che continuava a passare oppure erano più di una? E che cos’erano? Erano pericolose?

    Avevo così tante domande.

    Mi accucciai, nascondendomi tra la siepe e la roccia colorata alla mia sinistra, stando bene attenta a non toccarla. Abbracciai il bimbo mentre in una mano stringevo sempre il dispositivo. Una volta constatato che non ci fossero minacce incombenti guardai lo scricciolo… e restai di sasso nel trovarmi davanti due grandi, brillanti, limpidi occhi di un azzurro vivo intenso.

    Rimasi per un lungo momento senza fiato mentre il piccolo continuava a fissarmi. Studiai attentamente il suo viso paffutello, concentrandomi sui lineamenti…

    Giunsi ad una conclusione: non solo quel bambino aveva gli stessi occhi di William, quel bambino era William.

    Ne ero sicura.

    Solo che, con mio totale stupore, era… un bambino, appunto.

    Com’era possibile? Ripensai a ciò che Brigid e John mi avevano detto, ovvero che il dispositivo mi avrebbe portata nel futuro, vicino a Will. Beh a quanto pare l’aveva fatto davvero, ma non avrei mai immaginato di trovarlo così giovane.

    Non ci sono parole per descrivere le complesse emozioni che mi scuotevano. Ero in un luogo, in un tempo a me sconosciuto e tra le braccia avevo William, bambino.

    Non ero certa di non essere impazzita o meno, non sapevo se ridere o piangere. Ma una cosa potevo affermarla: ero felicissima di vederlo vivo.

    Con il piccolo dito della manina candida indicò qualcosa sul mio volto. Solo allora mi accorsi di una lacrima che mi bagnava la guancia. Sorrisi triste, cercando di trattenere quelle che seguivano.

    Mi soffermai sul visetto angelico contornato da tanti, soffici, dorati riccioli familiari. Infine, incrociai di nuovo i suoi occhi.

    Era stupendo.

    Era lui.

    Lo strinsi, baciandogli la fronte, poi tornai a guardarlo.

    «Comunque vada a finire e checché dicano, ti ricorderò sempre, William. Ti vorrò sempre bene. Sempre», sussurrai e altre lacrime mi inumidirono gli occhi mentre il nodo alla gola si accentuava.

    Il dispositivo vibrò senza preavviso, iniziando a emettere il suono discontinuo e persistente che avevo già sentito e che non prometteva niente di buono. La vibrazione si propagò nell’aria, facendomi venire la pelle d’oca. Udii ancora chiamare in direzione della casa.

    Attraverso le frasche vidi una bella donna: snella, giovane, con lunghi capelli sciolti castano chiaro.

    Brigid.

    Ero andata fin lì per aiutarli, non certo per metterli in pericolo. Prima di avvicinarmi dovevo capire cosa stava succedendo.

    Appoggiai il marchingegno a terra e presi il volto del bambino tra le mani, sprofondando in quegli splendidi occhioni infantili.

    «Ora devi tornare dalla mamma. Va bene?».

    Non piangere.

    «Da bravo».

    Indicai l’abitazione e lo incoraggiai. «Va’ William, torna a casa».

    Esitò, poi si avviò a passi incerti mentre raccoglievo l’oggetto infernale, allontanandomi come doveva essere.

    Oltrepassò la siepe ma ricomparve subito dopo: l’espressione curiosa. Mi salutò con la mano.

    Lo guardai colma di emozione ma già non potevo più vederlo chiaramente. La vista mi si era annebbiata e non solo per il pianto. Le spaventose spirali – molto simili a trasparenti onde d’acqua sospese a mezz’aria – avevano cominciato a vorticarmi intorno.

    Al di là delle piante intravidi Brigid correre incontro a William e prenderlo in braccio. Probabilmente gli disse qualcosa. La voce era ovattata, distante.

    Il dispositivo riprese a diffondere quello strano suono e lei si guardò attorno ma, prima di voltarsi,

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