La Commedia Divina
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L’argomento della Divina Commedia di Dante Alighieri è un viaggio immaginario nei tre regni dell’Oltretomba (Inferno, Purgatorio e Paradiso), compiuto dal Poeta durante la settimana santa del 1300.
La durata del viaggio è di sei giorni e va dalla notte del 7 aprile al 13 aprile.
Lo scopo del viaggio è: ritrovare la via del bene smarrita, per giungere alla salvezza eterna.
Per raggiungere questo fine, Dante dovrà prendere conoscenza del male che contamina il mondo nell’Inferno, della purificazione e della misericordia di Dio nel Purgatorio, della gloria nel Paradiso.
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Anteprima del libro
La Commedia Divina - Francesco Aiello
Francesco Aiello
La commedia Divina
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Dante: vita e opere
Dante Alighieri nacque nel 1265 a Firenze da Alighiero di Bellincione e da Gabriella (detta Bella) degli Abati. La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà ed era possidente di case e terreni che le assicuravano un moderato
benessere. La madre morì molto giovane e il padre ben presto si risposò. Il giovane – il suo nome era Durante ma tutti ben presto iniziarono a chiamarlo Dante – fu educato dapprima nel convento di Santa Croce dai frati francescani, dove studiò grammatica e filosofia, e poi, nel 1287, retorica a Bologna. Si formò così una solida cultura, cui aggiunse la pratica delle armi, secondo la consuetudine dei tempi.
Aveva all’incirca nove anni quando vide in chiesa, durante la messa, una fanciulla, che chiamò Beatrice (secondo alcuni storici apparteneva alla nobiltà fiorentina e si chiamava Bice, figlia di Folco Portinari, andata in sposa a Simone dei Bardi), e che aveva la sua stessa età. La incontrò nuovamente a diciotto anni e se ne innamorò. La giovinetta però morì prematuramente e il suo decesso segnò per Dante un periodo di smarrimento. In seguito, per trovare conforto al dolore per la morte di Beatrice, si dedicò agli studi filosofici e, contemporaneamente, approfondì la sua cultura poetica leggendo i poeti latini, in particolare Virgilio, che considerò il suo maestro
, ma anche Orazio, Ovidio, Lucano, Seneca e Stazio.
All’età di venti anni sposò, per volere del padre, Gemma Donati, appartenente ad una potente famiglia, e da questa ebbe tre o quattro figli, Iacopo, Piero, Antonia, che diverrà monaca col nome di suor Beatrice, e, forse, Giovanni. In quegli anni frequentò con ammirazione il poeta Brunetto Latini, uno degli uomini più colti di Firenze, dal quale probabilmente apprese l’arte del ben parlare e dello scrivere elegante, indispensabile per chi volesse partecipare alla vita pubblica cittadina. Conobbe e frequentò pure i poeti Guido Cavalcanti, Guido Guinizzelli, Lapo Gianni e Cino da Pistoia, che proprio allora stavano inaugurando il nuovo modello di lirica d’amore che egli definì successivamente Dolce Stil Novo, la scuola poetica nata a Bologna nel XIV secolo.
La passione per la poesia non gli impedì – come capitò ad altri uomini famosi del suo tempo – di prendere parte attiva alla politica della sua città allo scopo di difenderne l’autonomia e ristabilire la concordia tra i cittadini. A quel tempo, infatti, Firenze era tormentata dalle lotte tra due opposte fazioni che si contendevano il potere: i Guelfi, favorevoli alle mire espansionistiche del papa Bonifacio VIII sulla Toscana, e i Ghibellini, sostenitori dell’imperatore.
Dopo che questi ultimi (cioè i Ghibellini) furono sconfitti, i Guelfi si divisero a loro volta in due fazioni: i Bianchi, sostenitori dell’autonomia del Comune, e i Neri, favorevoli all’alleanza con il papato.
Nel 1295 ebbe inizio la carriera politica di Dante che si schierò con i Guelfi bianchi e ottenne varie cariche pubbliche (fu tra i Consiglieri del capitano del popolo, fu tra i Savi che venivano interpellati per l’elezione dei Priori e fece parte del Consiglio dei Cento) finché, nel 1300, fu eletto Priore, cioè magistrato cittadino, la più importante carica del Comune di Firenze.
In quel periodo il papa Bonifacio VIII, approfittando del fatto che gli imperatori di Germania si disinteressavano dell’Italia, mirava ad imporre il dominio della Chiesa sulla Toscana, su cui vantava antichi diritti.
Dante si oppose più volte alle sue mire politiche senza farsi spaventare dalle minacce di scomunica. Inoltre cercò di porsi al di sopra delle lotte di potere tra i Bianchi e i Neri, proponendo di mandare in esilio i capi responsabili delle due fazioni e anche il suo migliore amico, Guido Cavalcanti. Ma la sua intransigenza politica finì per renderlo inviso a molti.
Di lì a poco la situazione precipitò. Mentre Dante si trovava a Roma, in missione diplomatica, a ben disporre l’animo di Bonifacio VIII verso la città, nel novembre del 1301 il pontefice incaricò il fratello del re di Francia Carlo di Valois, capitano generale della Chiesa, di scendere a Firenze con l’esercito allo scopo di far ritornare la pace tra Bianchi e Neri. Il legato pontificio, però, anziché pacificare le due fazioni, col consenso del papa, appoggiò i guelfi Neri che si impadronirono della città, si abbandonarono a saccheggi e ad uccisioni; subito dopo iniziarono a processare i maggiori esponenti dei Bianchi e a infliggere loro varie pene.
Il poeta non era ancora ritornato in patria quando, nei pressi di Siena, venne informato della nuova situazione politica di Firenze e della sua condanna: il pagamento di una enorme multa di 5000 fiorini piccoli e l’esilio per due anni con l’accusa di essersi appropriato di denaro pubblico (27 gennaio 1302). Deluso e sdegnato, Dante non si presentò a Firenze né per discolparsi né per pagar l’ammenda; pertanto contro di lui fu emanata una seconda sentenza (10 marzo 1302) ancora più dura: la confisca dei beni e la condanna a morte se fosse rientrato in città.
Cominciò così il doloroso esilio del poeta fiorentino, costretto a non rivedere più la sua amata Firenze, nonostante i suoi ripetuti tentativi di rientrare in città. In un primo tempo, infatti, partecipò ai tentativi dei fuorusciti bianchi di entrare in città con la forza; successivamente si allontanò da essi dopo dissidi, per i quali fu addirittura accusato di connivenza con gli avversari. Pertanto decise di far parte per se stesso
, iniziando così il suo esilio che lo portò a peregrinare tra le varie corti dell’Italia settentrionale, dove i principi ospitarono lui e i suoi figli.
Seguire Dante nel suo pellegrinaggio non è facile. Si sa che il suo primo rifugio fu a Verona, presso Bartolomeo della Scala, e in seguito in Lunigiana, ospite dei marchesi Malaspina. I signori ospitavano uomini di cultura per ricavarne prestigio, ma anche per servirsene per vari compiti, come le funzioni di segretario e diplomatico.
In questo periodo Dante, giacché le città italiane erano lacerate da lotte civili e da violenze, si convinse di essere investito da Dio di una missione: indicare all’umanità la via della rigenerazione e della salvezza eterna nella città celeste, ma prima ancora la felicità di questa vita
nella città terrena. Per questo motivo si dedicò al lavoro letterario di ispirazione religiosa, politica e morale: tra il 1304 e il 1313, nonostante i continui spostamenti da una corte all’altra, scrisse il Convivio, il De vulgari eloquentia, l’ Inferno, il Purgatorio e il De monarchia.
Nel 1315 Dante poteva ritornare a Firenze, purché si presentasse umile e pentito e riconoscesse le proprie colpe. Ma il poeta rifiutò quelle condizioni, ritenendole infamanti e disonorevoli. Pertanto continuò a soggiornare nelle corti dei signori. Fu parecchi anni a Verona, ospite di Cangrande della Scala, dove si ricongiunse con la moglie e i figli e, successivamente, a Ravenna, presso Guido Novello da Polenta, dove terminò il Paradiso, circondato dalla fama di altissimo poeta.
Mentre ritornava da Venezia, dove era stato mandato come ambasciatore da Guido Novello, contrasse la malaria e morì nel 1321. Con grandi onori funebri fu sepolto a Ravenna nella chiesa di San Pier Maggiore (oggi San Francesco), dove tuttora riposa.
LE OPERE
Dante ha scritto diverse opere di poesia, filosofia e scienze. Ricordiamo le principali.
Il Convivio è un testo scritto in volgare con il quale l’autore intendeva stimolare l’amore per lo studio. Convivio
significa banchetto
: nell’opera, infatti, Dante intende offrire un banchetto di sapienza non ai dotti, bensì a quanti non abbiano potuto dedicarsi agli studi. L’opera è dedicata essenzialmente ad un pubblico capace di rivolgersi alla cultura disinteressatamente, per puro amore di conoscenza e non per motivi di lucro come fanno gli intellettuali di professione.
De vulgari eloquentia (La lingua volgare) è un trattato scritto in latino sull’origine della lingua volgare ed è destinato ai dotti. Dante vuole dimostrare la dignità letteraria dell’italiano volgare, ma un volgare illustre
, che nasce dalla scelta delle parti migliori dei diversi linguaggi regionali.
De Monarchia (La Monarchia) è un’altra opera in latino rivolta ai dotti. Si tratta di un trattato politico sulla distinzione tra il potere spirituale, che è proprio del Papa, e quello temporale che deve essere affidato all’Imperatore. I due poteri devono essere separati, ma entrambi – Papato e Impero – devono collaborare per il bene degli uomini, desiderosi della felicità terrena e di quella eterna, che consiste nel possesso di Dio, unico vero bene.
Quaestio de aqua et terra (Questione dell’acqua e della terra) è un trattato di argomento geografico e religioso scritto in latino.
Le Rime sono una raccolta di poesie comiche e burlesche, scritte in volgare fiorentino e vive nella cultura del suo tempo. A queste, in seguito, si sono aggiunte le rime petrose, chiamate così perché dedicate ad una madonna di nome Pietra, una donna bella e insensibile alla passione amorosa.
La Vita Nova è una raccolta di liriche giovanili, in prosa e in poesia, in volgare fiorentino, nelle quali Dante racconta la storia del suo amore spirituale per Beatrice. Fu chiamata Vita nuova per indicare il rinnovamento spirituale determinato nel poeta da un amore eccezionale.
LA DIVINA COMMEDIA
Dante iniziò a comporre il suo grandioso poema a partire dal 1306-1307, durante gli anni del suo esilio. L’Inferno e il Purgatorio furono pubblicati dall’autore tra il