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Brescia Dantesca
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E-book42 pagine29 minuti

Brescia Dantesca

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Dante vide Brescia? Cosa raccontano di Brescia e dei bresciani le opere di Alighieri?
Questo breve e articolato saggio si muove tra luoghi e personaggi bresciani al tempo della Divina Commedia, per approfondire i fatti e chiarire le leggende.
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2021
ISBN9791220290203
Brescia Dantesca

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    Anteprima del libro

    Brescia Dantesca - Simone E. Agnetti

    10-16)

    Dante e Brescia

    Durante degli Alighieri (Firenze 1265-Ravenna 1321), detto, come tutti sappiamo, Dante, non fu solo uomo di lettere, ma anche cavaliere e politico, e di questo tratterò volendo cercare i principali punti di collegamento tra Alighieri e Brescia.

    Nel 1285 sposò, con matrimonio concordato, Gemma Donati, la cui famiglia fu tra le promotrici dell'esilio di Dante, donna da cui ebbe tre figli e una figlia. Dante, di famiglia aristocratica, iscritto all’arte dei medici e speziali, fu cavaliere in armi negli scontri tra Firenze e Arezzo -battaglia di Campaldino dell'11 giugno 1289- e contro Pisa -presa di Caprona, 16 agosto 1289-, successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II d'Angiò) che si trovava a Firenze. Attivo nella vita politica di Firenze, fu membro del Consiglio dei Cento dal maggio al settembre 1296 e Priore del Comune di Firenze dal 15 giugno al 15 agosto 1300. Proprio durante il suo priorato Dante approvò il grave provvedimento con cui furono esiliati, nel tentativo di riportare la pace all'interno dello Stato fiorentino, otto esponenti dei guelfi neri e sette di quelli bianchi, compreso Guido Cavalcanti. Questo atto gli costò molte inimicizie. Più tardi la Repubblica lo spedì come ambasciatore a Roma, nel tentativo di distogliere il papa dalle sue mire egemoniche, un'ambasceria in cui fu accompagnato da Maso Minerbetti e da Corazza da Signa. Dante si trovava a Roma, trattenuto da papa Bonifacio VIII, quando Carlo di Valois mise a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 i conquistatori imposero come podestà Cante Gabrielli da Gubbio, il quale apparteneva alla fazione dei guelfi neri e diede inizio a una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili al papa, fatto che si risolse con la loro uccisione o espulsione da Firenze. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, che colpirono inoltre numerosi esponenti delle famiglie dei Cerchi, capi dei guelfi bianchi, Dante Alighieri fu condannato, in contumacia al rogo e alla distruzione delle case. Il Libro del chiodo dell'Archivio di Stato di Firenze il 10 marzo 1302 riporta che:

    «Alighieri Dante è condannato per baratteria (corruzione), frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia».

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