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Et in bona gratia. Un'indagine per il commissario Ludovico Ariosto
Et in bona gratia. Un'indagine per il commissario Ludovico Ariosto
Et in bona gratia. Un'indagine per il commissario Ludovico Ariosto
E-book358 pagine4 ore

Et in bona gratia. Un'indagine per il commissario Ludovico Ariosto

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Info su questo ebook

Febbraio 1522. Il Commissario estense Ludovico Ariosto dopo un estenuante viaggio, arriva a Castelnuovo Garfagnana e si trova costretto, fin da subito, a districarsi tra i complicati equilibri di una terra di difficile governo, selvaggia e infestata dai briganti.  A pochi giorni dal suo arrivo, un orafo viene trovato impiccato. Suicidio o delitto? Si propende per la seconda ipotesi. Ma chi può essere stato? Un ladro? Un familiare? Un bandito? Magari il famigerato Moro del Sillico? 
Ludovico si avvale dell’aiuto di Jacopo, il Baricello del luogo, che diventa il suo più fidato collaboratore, i “suoi occhi” e le “sue orecchie”.
E con lui, anzi, per mezzo di lui, analizza indizi, formula ipotesi, sonda l’animo umano, indaga… sempre con la segreta speranza di cogliere in fallo gli odiati antagonisti e porre fine ai loschi intrighi dei suoi potenti concittadini.
Ma non sempre la verità si trova dove la si cerca.
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2021
ISBN9788832281620
Et in bona gratia. Un'indagine per il commissario Ludovico Ariosto

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    Et in bona gratia. Un'indagine per il commissario Ludovico Ariosto - Lida Coltelli

    Copyright

    www.tralerighelibri.com

    www.garfagnanaingiallo.it

    © Andrea Giannasi editore

    © Tralerighe libri

    Lucca luglio 2021

    ISBN 9788832281620

    Dedica

    Alle mie amatissime figlie

    Livia e Iris

    CONTESTO STORICO DI RIFERIMENTO

    Alla fine del Medioevo, con la scoperta dell’America, si aprì un nuovo capitolo storico, caratterizzato da profondi mutamenti geografici e politici. S’innestarono nell’antica struttura feudale nuovi modelli di vita economica e sociale. Cambiarono le abitudini, i modi di vivere, le consuetudini alimentari. Si assisté a un notevole sviluppo delle arti e delle scienze ma anche ad una grave crisi religiosa, al grande scisma che dilaniò la Chiesa cristiana.

    l’Italia divenne, in questo periodo, l’epicentro di una significativa trasformazione intellettuale. Le corti si riempirono di artisti, scienziati, letterati e politici: Leonardo, Michelangelo, Boiardo, Ariosto, Guicciardini e Machiavelli, tanto per citarne alcuni. Nel contempo, però, si avviò verso una profonda crisi politica e sociale.

    La penisola italica, aveva tratto ben pochi benefici dalle scoperte geografiche che, invece, avevano sensibilmente arricchito Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda e Portogallo. Era stata, di fatto, tagliata fuori da tutte le conquiste coloniali e di conseguenza dai più dinamici traffici commerciali internazionali.

    Il Mediterraneo aveva perso d’importanza, in seguito allo spostamento dei commerci sulle rotte dell’Atlantico che collegavano Europa e America e mentre gli Stati europei incrementavano il loro potere politico e militare, gli staterelli italiani si preparavano a diventare le prede ambite e contese dei sovrani stranieri.

    L’equilibrio tra i vari staterelli e i quarant’anni di pace vissuti all’ombra dei Medici si erano retti più sulle diffidenze reciproche e sul timore delle mire espansionistiche di ciascuno che non su una sentita armonia e comunione d’interessi.

    Così quando Francia e Spagna si concentrarono sull’Italia, la fragile stabilità italiana, già traballante e sovvertita nel suo intimo, crollò nella collisione con le grandi potenze. I piccoli signorotti locali che a suo tempo avevano ritenuto una buona idea persino quella di chiedere il loro aiuto ( è il caso di Ludovico il Moro, ad esempio, o dei baroni napoletani per via degli Aragonesi), non si mostrarono in grado di opporre una valida resistenza e nel giro di pochi decenni molti Stati italiani caddero sotto l’odiato dominio straniero.

    In Garfagnana:

    Nel 1512, Alfonso D’Este duca di Modena e Ferrara venne costretto a difendere i propri territori dalle mire espansionistiche del Papa Giulio II. L’ambizioso Pontefice aveva invaso, assieme ad altri territori estensi, anche la Garfagnana, pur non tenendola occupata.

    Nell’ottobre dello stesso anno, Lucca, traendo vantaggio dal conflitto e dalla conseguente debolezza di Alfonso, conquistò Castelnuovo.

    Il Papa furente, minacciò di marciare con i suoi eserciti contro gli arroganti Lucchesi ma la morte sopravvenuta nel febbraio del 1513 gli impedì di attuare i suoi bellicosi propositi. Tuttavia, qualche mese dopo, Lucca, allarmata dalla notizia di un grosso esercito estense pronto a riprendersi i propri possedimenti, si convinse dell’opportunità di trattarne la restituzione.

    Nel settembre del 1521 Papa Leone X, succeduto a Giulio II, ordinò ai Fiorentini di occupare la Garfagnana ma, ancora una volta, la morte del Pontefice offrì ai Garfagnini l’occasione di ribellarsi al potere di Firenze.

    L’8 dicembre del ’21 il commissario pontificio Bernardino Ruffo fu costretto a fuggire da Castelnuovo e gli Estensi tornarono in possesso dei territori occupati.

    Il 7 febbraio del 1522 Ariosto venne nominato Governatore della Garfagnana. Il 20 febbraio Ludovico, dopo un lungo viaggio, arrivò a Castelnuovo e prese possesso di quella Rocca che divenne la sua prigione per i tre anni a venire.

    La provincia era divisa in due diocesi e quattro vicarie, Camporgiano, Castelnuovo, Trassillico e le Terre Nuove ed era una terra di difficile Governo come ebbe più volte ragione di costatare il poeta.

    Sanare gli endemici problemi di un territorio economicamente deficitario, conteso tra troppi signori, infestato da ladri e briganti e, cosa non secondaria, abitato da gente orgogliosa e allergica alla sottomissione, avrebbe rappresentato un’ardua impresa e un’impegnativa sfida per chiunque, ma… per il letterato Ariosto rappresentò, soprattutto, un’immeritata infausta condanna.

    Era relegato in un paese in cui "accuse e liti sempre e gridi ascolta / furti, omicidi, odi, vendette et ire".

    Tuttavia si rimboccò le maniche, "Tornar a dietro ormai non m’è concesso" e, armato di buona volontà s’adoperò fin da subito affinché la situazione migliorasse.

    Passava molto del suo tempo a compilare registri, a scrivere dispacci, a tenere in ordine i conti…

    Era obbligato ad interessarsi di qualunque questione, dalle più futili, come il rubamento di un mulo o una fraude commissa di formaggio a quelle più gravi come le controversie con le Province confinanti (è il caso di Vagli contro Seravezza, nel territorio di Pietrasanta sotto la giurisdizione dei Fiorentini) o gli assassinamenti che erano all’ordine del giorno.

    Dalle stanze della sua vincolata dimora scriveva al suo Duca che sembrava non prestare troppa attenzione alle sue proteste. Le 157 lettere superstiti di Ludovico, sono una diretta testimonianza delle sue continue richieste di supporto e dei suoi tentativi infruttuosi di modificare favorevolmente un quadro globale così travagliato.

    Sempre nelle lettere, ricorrono i nomi dei banditi più temuti (il Battistino Magnano, il Bernardello e il Bertagnetto, il Costa, il famigerato Moro del Sillico…) ma anche degli illustri cittadini di Castelnuovo della fazione italiana che gli dettero un ragguardevole filo da torcere durante tutto il suo mandato ("il Bastiano Coiaio… il Pierino Magnani… et Evangelista Silici", tanto per citare qualche nome).

    Le lamentele epistolari coinvolgono anche la ristretta cerchia dei suoi collaboratori, i Capitani di Ragione, mossi soprattutto dai propri interessi, e i vari capitani dei balestrieri (se ne succedettero tre durante il suo mandato, primo dei quali fu quel Giovanni Navarra lo Spagniuolo verso il quale nutriva poca simpatia).

    La fitta corrispondenza, in particolare con il Podestà della fiorentina Barga e con gli anziani di Lucca, costituiscono la prova del suo impegno nel mantenere un dialogo costante e rapporti di buon vicinato con le potenze circostanti, alle quali spesso ricorse con forti richiami alla collaborazione nell’intervento sincronico atto a debellare la calamitosa piaga del banditismo garfagnino.

    Il suo mandato durò dal 7 febbraio 1522, data in cui fu nominato Governatore dal suo Duca Alfonso D’Este, al 31 maggio del 1525. Momento fortemente agognato dal poeta che, finalmente, potè far ritorno alla sua vita di un tempo e alla sua adorata Alessandra Benucci.

    NOTA INTRODUTTIVA

    Questo lavoro nasce come tributo alla mia terra d’origine e al tessuto socio-ambientale del mio paese che ha permeato tutta la mia esistenza e tratteggiato la mia personalità in modo indelebile.

    Ho, sostanzialmente, preso a pretesto la narrazione di un omicidio per ritagliarmi uno spazio privilegiato di contatto intimo con il mio retroterra culturale, che ha costituito l’impianto scheletrico sul quale si è poggiato tutto il mio processo di crescita, umano e intellettuale.

    L’intento era quello di dar vita ad un ibrido che ratificasse l’atipica convivenza tra realtà storica e fantasia narrativa e che costituisse un piacevole ritratto della società garfagnina con i suoi usi, costumi, memorie e antiche tradizioni… mantenendosi, però, il più possibile aderente al contesto storico di riferimento.

    Ho scelto, laddove è stato possibile, di avvalermi di personaggi contemporanei dell’Ariosto, realmente vissuti e storicamente collocabili nello spazio e nel tempo convenuto (come si può facilmente desumere dalle numerose lettere superstiti del poeta).

    Ciò nonostante, il ricorso a taluni personaggi immaginari si è reso, oltre che confacente al dipanarsi della trama, assolutamente indispensabile nelle situazioni di vuoto storico e, per ovvi motivi, in quelle critiche o scabrose.

    Dopo aver letto numerose missive e documenti del tempo, sia dell’Ariosto che di altri suoi contemporanei, e dopo essere entrata in contatto con il loro modo di esprimersi, mi stonava l’idea di far parlare i miei personaggi con un idioma troppo moderno.

    Nei dialoghi ho, quindi, stabilito di far uso di un linguaggio che si avvicinasse il più possibile a quello cinquecentesco, con tanto di inflessioni vernacolari e relativi errori, sia di pronuncia che di scrittura.

    Non avevo, tuttavia, la pretesa di fare un’opera filologica né l’intenzione di essere troppo incatenata alla forma linguistica. Ho pianificato, di conseguenza, alcune mirate modifiche alla struttura sintattica e morfologica delle frasi e limitato l’utilizzo dei vocaboli più aulici e desueti al fine di rendere più scorrevole la lettura e di facilitarne la comprensione.

    A supporto di questa mia iniziativa riporto qui di seguito, a titolo esplicativo, una delle tante lettere dell’Ariosto che risale ai primi giorni del suo mandato. Confidando che una breve occhiata al suo contenuto possa fungere da ulteriore chiarimento a giustificazione della scelta operata.

    (Al Podestà di Barga)

    Mag.ce tanquam frater onorande.

    Havendo lo Ill.mo mio S.re duca di Ferrara facta electione di me al governo di questa provincia sua di Car.na, e sappendo io quanto Sua Ex.tia è desiderosa che li sua subditi stiano in pace et habbino a conversare senza suspecto con li circumvicini e precipuamente con li subditi della Ex.sa rep. Di Firenze, attenta la integra amicitia che sempre fu et è fra prefata Ex.sa rep. e Sua Ex.tia, mi è parso essere mio debito nel gionger mio qui visitare con questa mia V.S. con pregharla che nelle occurrentie del governo di questi subditi ad noi dato voglia essere meco et io cum quella, sì che con ugni industria e possibilità ci sforziamo di ridurli in quella pace, unione e quiete in la quale li Ex.si et Ill.mi nostri S. sempre sono stati e di presente sono.

    Adpresso, perché alli dì passati un Iohan Baricha da Barga a tempo di notte venne a Castel.vo cum uno bandito di qui, et alchuni homini, di commissione di loro superiori, andando per pigliare dicto bandito, per caso ve si ritrovò in compagnia uno Baptistino forestiero ma che habitava qui, el quale feritte dicto da Barga, contra però la voluntà di tutti li homini di Castel.vo; e, sì come ho decto, essendo pur debito di noi officiali ridurre li subditi in bona pace, oltre che ne ho expressa e particolar commissione di tal caso dal mio Ill.mo S. Duca, pregho V.S. che in questo sia contenta di fare ogni opera dal canto suo per disporre ad accordo dicto suo da Barga con li parenti sui e questi di Castel.vo, dalli quali ne è riferito che si chiama offeso (e veramente ad torto, perché loro increscie tal caso quanto dir si può) acciò che inveterando non sortisca alfine maggiore male: e se ‘l delinquente fussi in mani nostre ne faremmo tale dimostratione che questo da Barga ne resterai satisfacto in modo che ancho V.S. conoscerebbe essermi dispiaciuto tale excesso; et in questo mi governerà secondo il consiglio e buon parere di V.S., et in qualunque altra mia occurrentia. Alla quale offerendomi dispostissimo sempre mi raccomando.

    Ex Castel.vo Car.ne, 2 martij MDXXII.

    E.M.V. tanquam frater Lodovicus Ariostus

    Duc.lis Com.s generalis in Car.na

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    Mercoledì 26 febbraio

    San Faustiniano Vescovo

    Anno Domini 1522

    Un freddo sudore imperlava la sua fronte.

    La transazione si stava rivelando più difficile del previsto.

    - Credete, messere… gliè tutto quel che m’è resto! Non poto trovar altro denario… almancho per lo momento!

    L’interlocutore, un elegante cinquantenne assolutamente tranquillo e padrone di sè, soppesava l’oggetto tra le mani e ne studiava la fattura.

    Era robusto ma asciutto, di bella presenza, con i capelli scuri appena segnati da qualche filo bianco.

    Ad una prima analisi, poteva facilmente rientrare nei canoni della persona rispettabile. Tuttavia, v’era qualcosa d’indefinibile in lui che metteva a disagio.

    Trasudava superbia e incuteva una sorta di timore reverenziale.

    Si muoveva con estrema disinvoltura e con gesti pacati e misurati, propri di una persona avvezza al controllo su gli altri e atta al comando.

    Lentamente, alzò gli occhi.

    - Questo squisito monile, gliè maledetto… mi fa venir la pelle accapponata… – cominciò, mellifluo, l’uomo – come ancho le cosette… che m’hanno ditto sullo suo conto e sulli facti che l’hanno menato ne le vostre mani!

    L’allusione era assolutamente inequivocabile. Sapeva più di quanto avrebbe dovuto.

    Che fare?

    - Imperhò… – e rimase un attimo in sospeso. – Imperhò, gli affari son affari! – sentenziò, viscidamente.

    Sentiva i suoi occhi derisori piantati addosso e un leggero formicolio prese a vessare la sua schiena, mentre con il pollice e l’indice continuava a tormentarsi il lobo dell’orecchio.

    - Ancho se, mi par di rammentare… – riprese, intanto, l’uomo – che codesto monile gl’era in buona compagnia di altri oggecti pretiosi…

    - Per intanto, contentatevi di questo!

    - Contentarmi, dite? – urlò furioso, l’esperto – Badate ad aggiunger prestamente ancho lo resto… – e soggiunse, subdolo – che voi ben sapete quanto valgono certe voci… e quanto danno poderebbero fare se giungessero all’orecchi di certe persone…

    Venerdì 28 febbraio A. D. 1522

    Santi Martiri di Alessandria

    Da quante ore era bloccato su quella maledetta seggiola? Ludovico aveva perso la cognizione del tempo.

    Sentiva impellente il bisogno di una pausa. Si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi.

    La vita gli aveva riservato ben pochi svaghi se paragonati alla buona dose di tribolazioni che gli aveva, a larghe mani, dispensato, soprattutto negli ultimi tempi.

    Dopo la morte del padre, tutto era andato a precipizio.

    Prima la responsabilità d’occuparsi della sua numerosa famiglia e del fratello paralitico Gabriele. Successivamente il giogo del Cardinale Ippolito, la guerra con Venezia, i faticosi incarichi diplomatici, i perigliosi viaggi a Roma e le rocambolesche fughe per sottrarsi alle ire del Pontefice Giulio II…

    A tutto questo, si aggiungeva un lungo contenzioso per eredità familiari e un grave dissesto finanziario. Infine, l’ultima beffa. Il suo beneamato duca aveva stabilito di privarlo dello stipendio da cortigiano, sul quale ormai contava da molto tempo, costringendolo ad accettare, pena il suo sostentamento, l’ingrato incarico di Commissario Ducale in Garfagnana, una piccola Provincia a Nord della potente Lucca.

    Niente andava come doveva… il fato sembrava burlarsi di lui.

    E considerato il recente evolversi degli eventi, aveva indubbiamente di che lagnarsi!

    Aveva dovuto lasciare la sua Ferrara con i suoi affetti più cari e non passava giorno che non si disperasse per la lontananza dalla sua amata Alessandra.

    Il viaggio, poi, era stato inenarrabile. Pioggia, vento, gelo. Mai si era visto un simile scatenarsi di elementi. In alcuni frangenti aveva seriamente temuto per la sua vita e per quella di Virginio.

    Caro Virginio… quel fugace pensiero ebbe il potere di strappargli un leggero sorriso. La presenza del figlio era l’unica nota gradevole di quel rischioso e dissestato contesto.

    Si massaggiò lentamente l’arcata sopraccigliare e le tempie.

    Avvertiva una molesta sensazione di pesantezza. Spiacevole presagio di un latente mal di testa.

    Riaprì gli occhi e osservò sgomento i plichi sparsi sul tavolo.

    - Maledetti briganti! – sibilò a denti stretti, appallottolando una missiva e lanciandola verso la porta.

    Dulcis in fundo, infatti, la Garfagnana, per quanto bella e selvaggia, si prospettava come una terra di arduo governo e il compito che l’attendeva si delineava come tutt’altro che facile.

    Erano passati appena sette giorni dal suo arrivo. Periodo breve ma, senza dubbio, intenso, oltre che doloroso. Si era buttato a capofitto nel lavoro, cercando d’ignorare la pressante nostalgia e di trascurare lo scoramento.

    Peraltro, questioni urgenti necessitavano, continuamente, della sua attenzione.

    Le due fazioni di Castelnuovo, italiani e francesi, lo tenevano in continua apprensione e, anche dai paesi limitrofi, gli arrivavano notizie poco confortanti.

    Rapine, assassinamenti, scorrerie… fatti legati indissolubilmente a nomi che gli sarebbero divenuti familiari di lì a poco. Primo fra tutti, un certo Antonio Mazzei detto il Moro del Sillico che, sistemato nella rocca di Ceserana con i suoi, si destreggiava abilmente tra limite della legalità e libero arbitrio, imponendo la sua legge su tutto il circondario.

    Ludovico era stato costretto a fare di necessità virtù occupandosi, fin da subito, anche di questo genere di problemi, connessi soprattutto ai fenomeni di banditismo, così comuni in quell’impervia regione.

    Il quadro globale era talmente grave da costringerlo, seppur dopo soli sette giorni, ad emanare la sua prima grida che, ora, aveva appena ripreso in mano e rileggeva con molta attenzione:

    Contro i ricettatori de’ banditi.

    Per parte e comandamento del magnifico et generoso conte Ludovico Ariosto, ducal generale Commissario in Carfignana, per questa pubblica presente grida si notifica a ciascuno et huomo particolare… che non ardisca per modo alcuno di ricettare… né dar da mangiare, né bere, né aiuto, … in modo alcuno ad alcuno bandito del Stato dell’Illustrissimo Signor Duca nostro; né con detti banditi andare in compagnia, né menarli seco, né parlar, né…, sotto pena di ducati cinquanta…; et sia obbligato ognuno, subito che vederà alcun bandito, di andare con prestezza alla chiesa più prossima e di sonar la campana a martello; et sia obbligato ogni comune… di pigliar subito le sue armi, e seguitar detti banditi e pigliarli o ammazzarli, e pigliandoli condurli in le forze dell’offitio ordinario, overo del commissario; et chi mancherà di eseguire questo, cascare in la pena di ducati venticinque… ¹

    Die 27 feb. 1522

    Non che fosse realmente convinto che una grida potesse risolvere tutto! Tuttavia, minacciando ogni comune con pene pecuniarie per chiunque proteggesse un bandito e promettendo ricompense in denaro a chiunque lo denunciasse… almeno sperava di curare un tantino la piaga.

    - Sperian almancho che, questa grida, serva a stanar uno qualche astuto lupo da le selve!

    Un leggero bussare alla porta lo fece sussultare.

    In un attimo si chiese se qualcuno avesse potuto udirlo parlare da solo, ad alta voce e… arrossì, violentemente.

    - Messer Ariosto – annunciò la serva, con un tono insolitamente solenne – C’è qui lo Cancelliero che vuol conferire con Voi!

    - Grazie Velia. Lassatelo passare, che lo ricevo sùbito…

    2 marzo A.D.1522

    San Quinto

    I Domenica di Quaresima

    Situata in una valle oblunga, laddove il torrente Turrite confluiva nel fiume Serchio e circondata da boscose colline, Castelnuovo, rappresentava, agli occhi di un qualunque visitatore occasionale, un incantevole luogo nel cuore della Garfagnana.

    Ma Ludovico non era un villeggiante qualsiasi e, soprattutto, non aveva selezionato per libera scelta la mèta del suo soggiorno.

    Di conseguenza, aveva trascorso quasi tutto il tempo rintanato nella Rocca, sua vincolata dimora, sordo a qualunque invito di carattere escursionistico.

    Tuttavia, dopo aver posato sullo scrittoio l’ennesino allarmante dispaccio, realizzò di colpo che, per quanto il paesaggio non esercitasse su di lui alcuna attrattiva, la conoscenza diretta del contesto ambientale in cui andava prestando la sua opera poteva, al contrario, rivelarsi di fondamentale rilevanza.

    Lo stesso cancelliere, durante la sua ultima visita, l’aveva esortato a facilitare i contatti con la popolazione e, in particolar modo, con i personaggi più in vista.

    - Ma se, in questi jorni addietro, altro non ho fatto che conversar amicabilmente con lor signori! Che non ponno certo ire da lo Duca a lagnarsi che son stato parco di omaggi e complimentationi! – aveva sbuffato Ludovico.

    - Non gli enno bastanti, caro Commissario, non gli enno bastanti… Eh, enno parecchie le persone dabbene a Castelnovo! E impoi, ancho la gente comune necessita di una po’ di consideratione. Badate Eccellentia, che la trascuratezza non produce mai benevolentia!

    A pensarci bene, poteva anche essere nel giusto!

    D’altro canto, a suo discarico, andava sottolineato che era stato talmente preso dalle innumerevoli beghe e dai convenevoli ufficiali che non aveva assolutamente avuto modo di dedicarsi, come avrebbe dovuto, alla perlustrazione del luogo e dei suoi abitanti. Con i quali aveva, in ogni caso, intenzione d’instaurare buoni rapporti.

    Quest’ultimo pensiero lo protesse lievemente da quel fastidioso e infido senso di inadeguatezza che si era impadronito della sua coscienza.

    Ma, in ogni caso, aveva ragione il Cancelliere: non potevano bastare fiacche attenuanti a legittimare il suo isolamento.

    Doveva obbligarsi a dissimulare la sensibile avversione che nutriva per quello status e costringersi ad entrare in contatto con quello che, volente o nolente, sarebbe stato il suo mondo per chissà quanti anni a venire.

    Si alzò di scatto e si diresse verso la porta. Possedeva solo una vaga idea di come si trascorresse la vita negli stretti vicoli della sua nuova residenza, pertanto reputò improvvisamente indispensabile e urgente porre rimedio a tale mancanza.

    - Antonino… lo mio mantello!

    Fu così che Ludovico decise, repentinamente, nonostante fossero già le 23h² e si avvicinasse il crepuscolo, di avventurarsi lungo le anguste viuzze del castello, portando con sé solo una piccola scorta di balestrieri.

    Camminavano appena da qualche minuto e già stramalediva la propria impulsività.

    Tanto più che, se anche aveva nutrito una qualche speranza di sentirsi ben accetto dalla popolazione, dovette immediatamente ricredersi, visti gli sguardi diffidenti che gli lanciavano tutti coloro che incontrava.

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