Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Vita di Dante
Vita di Dante
Vita di Dante
E-book1.461 pagine9 ore

Vita di Dante

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Una delle più importanti biografie del nostro sommo poeta, diventato simbolo dell'unità del popolo italiano e dEL suo riscatto dal dominio straniero.
Libro fondamentale nella ricca bibliografia dantesca, preceduto da una accurata CRONOLOGIA della vita e dei tempi di Dante .
LinguaItaliano
Data di uscita11 nov 2020
ISBN9791220219686
Vita di Dante

Leggi altro di Cesare Balbo

Correlato a Vita di Dante

Ebook correlati

Biografie culturali, etniche e regionali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Vita di Dante

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Vita di Dante - Cesare Balbo

    www.latorre-editore.it

    CRONOLOGIA

    A cura di Nazzareno Luigi Todarello

    1250

    Muore Federico  II di  Svevia,  l’ultimo  imperatore  incoronato  dal  Papa  a  Roma. L’Italia è divisa per l’opposizione fra la fazione ghibellina, favorevole all’imperatore, e quella guelfa, filo-papale. Il trono viene assunto dal figliastro Manfredi.

    1251

    I Ghibellini di Firenze, che è governata dai Guelfi, e la ghibellina Siena stipulano un patto di mutua assistenza.

    1255

    Guerra tra Firenze e Siena. Siena, sconfitta, deve firmare un impegno a non ospitare i fuoriusciti ghibellini di Firenze, Montepulciano e Montalcino.  Impegno che contraddice il patto del 1251.

    1258

    Siena non mantiene il patto del ’55 e ospita fuoriusciti ghibellini fiorentini, dopo un tentativo di rivolta contro il governo guelfo di Firenze.

    1259

    Siena ottiene l'appoggio di re Manfredi, che manda alcuni squadroni di cavalieri tedeschi comandati dal vicario regio, il conte Giordano d'Agliano, suo cugino.

    1260 

    4 settembre

    I  Guelfi  fiorentini (con aiuti da Bologna, Prato, Lucca, Orvieto, Perugia, San Gimignano, San Miniato, Volterra e Colle Val d'Elsa)  vengono  sbaragliati  a  Montaperti,  nei  pressi  di  Siena,  dalle  truppe  ghibelline di Siena e Pisa, supportate da ottocento cavalieri tedeschi e saraceni inviati da Manfredi. Tra i comandanti ghibellini c’è il fiorentino  Farinata degli Uberti. A Empoli, nel tardo settembre, si ritrova tutto il cosiddetto Parlamento Ghibellino per decidere la sistemazione degli equilibri politico - economici della regione. La riunione si tiene a Palazzo Ghibellino. I Ghibellini senesi e pisani chiedono ai legati del re svevo Manfredi di mettere ai voti la loro proposta: radere al suolo Firenze. Il capo dei Ghibellini di Firenze, Manente di Iacopo degli Uberti, detto Farinata riesce però a bloccare la votazione e a salvare Firenze.

    1265

    Dante nasce a Firenze sotto il segno dei Gemelli, un giorno tra il 14 maggio e il 13 giugno. Il padre è Alighiero II da Bellincione. La madre è Bella, figlia del giudice Durante degli Abati, che muore ancora giovane, lasciando, oltre a Dante, una figlia. Il padre,  un piccolo operatore finanziario, forse usuraio, si risposa con Lapa di Chiarissimo Cialuffi, dalla quale ha due figli: Francesco e Tana. Risulta morto nel 1283. Ha lasciato ai figli proprietà immobiliari che permettono loro di vivere tranquillamente. La famiglia fa parte della piccola nobiltà cittadina. Nonostante quello che Dante mette in bocca a Farinata degli Uberti in Inferno X 46-47: Fieramente furo avversi / a me e a’ miei primi e a mia parte , gli Alighieri non furono mai coinvolti nelle conseguenze degli scontri tra Guelfi e Ghibellini, segno che non erano tra le famiglie più in vista.  Sono però orgogliosi di un antenato, Cacciaguida, che visse tra il 1091 (o 1101) e il 1147 (o 1148), ordinato cavaliere dall’imperatore Corrado III e caduto in Terrasanta durante la seconda Crociata. Nei documenti il nome della famiglia si trova in varie forme: Alagheri, Alaghieri, Alleghieri, Aldighieri… Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante adotta Alighieri, che diventa il cognome definitivo.

    1266 

    Dante viene battezzato nel battistero di san Giovanni il 26 marzo, insieme a tutti i bambini nati nel 1265, come era usanza. Il nome di battesimo è Durante, come il nonno materno, ma viene da subito e definitivamente contratto in Dante.

    Manfredi  viene  sconfitto  e  ucciso  nella  Battaglia  di  Benevento  dall’esercito  francese  di  Carlo d’Angiò, chiamato in Italia dal papa, dopo anni di faticose trattative. I Ghibellini toscani ricevono un grave colpo.

    Dell’infanzia e dell’adolescenza di Dante non sappiamo nulla. Sicuramente frequenta una scuola per bambini: forse quella di un certo Romano, che ne aveva una nel quartiere di san Martino, vicino alla casa degli Alighieri. Impara a scrivere in volgare e poi passa al latino, la lingua della scienza. Negli anni successivi frequenta scuole superiori e frequenta gli intellettuali della città, soprattutto giovani poeti. Impara a scrivere in rima. Conosce Guido Cavalcanti, di vecchia nobiltà, grande poeta, di qualche anno più vecchio di lui, che diventa il suo principale amico. Impara anche a disegnare e conosce Giotto e Oderisi da Gubbio. Frequenta anche i circoli musicali della città e fa a amicizia con il musico Casella e con il  liutaio Belacqua, entrambi ricordati nella Commedia. Frequenta sicuramente la scuola di Brunetto Latini, anche se non sappiamo secondo quali modalità, se assiduamente come allievo a tutti gli effetti o saltuariamente. È probabilmente Brunetto Latini che gli insegna le lingue e la letterature provenzale e francese. Secondo Boccaccio studia anche varie scienze.

    1274

    Stando a quanto racconta Dante stesso nella Vita nova, incontra per la prima volta Beatrice, la bambina che diventerà la figura centrale della sua opera maggiore, allegoria della Grazia e della Teologia. Gli studiosi sono certi (quasi tutti) che si tratti di Bice Portinari, figlia di Folco, nobile e ricco cittadino di Firenze, andata poi sposa a Simone de’ Bardi e morta a ventiquattro anni il 19 giugno 1290.

    1277

    9 febbraio: contratto di matrimonio tra gli Alighieri e i Donati per Dante e Gemma, figlia di Manente e cugina di Corso e di Forese. Dante ha dodici anni. Di Gemma Donati non si sa nulla, neanche la data di nascita. Dante non parla mai di lei nelle sue opere. Quando, nel 1302, in seguito al rientro in città dei Neri, capeggiati da Corso Donati, Dante finirà esiliato, lei resterà a Firenze con i figli minorenni, protetta dal nome.

    1283

    Stando alla Vita nova, Dante incontra Beatrice per la seconda volta, mentre passeggia in compagnia di due amiche per le vie di Firenze. Hanno entrambi diciotto anni.

    Inizia la sua carriera poetica con una tenzone con  Dante  da Maiano. Dopo un funesto sogno, scrive il sonetto  A ciascun alma presa e gentil cuore  in cui chiede conforto e consiglio ai maggiori poeti della città, tra cui Guido Cavalcanti. Di alcuni possediamo i sonetti di risposta.

    1285

    Dante sposa Gemma Donati. Ne avrà sicuramente tre figli: Pietro, Jacopo e Antonia (poi suor Beatrice). Forse bisogna contarne altri due, Giovanni e Gabriello, ma non si sa.

    Autunno: possibile partecipazione di Dante a una spedizione militare contro Arezzo.

    1286-87

    Dante è probabilmente a Bologna, dove, forse, frequenta le lezioni di quella Università.

    1288

    Possibile partecipazione di Dante a una nuova spedizione militare contro Arezzo.

    1289

    11 giugno

    Dante partecipa come feditore a cavallo alla battaglia di Campaldino contro i Ghibellini toscani guidati da Arezzo. I feditori  sono cavalieri d’attacco che sostengono personalmente il costo, considerevole, di cavallo e armatura. Questo vuol dire che Dante in questo periodo non ha problemi di denaro. Nella battaglia si distingue Corso Donati, fratello di Forese e di Piccarda, e cugino di Gemma, la moglie di Dante. In seguito alla vittoria di Campaldino Firenze amplifica il proprio ruolo in Toscana e in Italia.

    1290

    Muore Beatrice Portinari, moglie di Simone de’ Bardi, considerata da Dante la donna capace di ispirare i migliori pensieri. Dante racconterà nella Vita nova il suo sgomento.

    1291-1294/5

    Dante attribuisce alla crisi spirituale causata dalla morte di Beatrice il suo rivolgersi agli studi filosofici: Io che cercava di consolarme, trovai non solamente a le mie lagrime rimedio, ma vocabuli d’autori e di scienze e di libri: li quali considerando, giudicava bene che la filosofia fosse somma cosa (Convivio, II 12 5, 7).

    Si dedica agli studi teologici frequentando le scuole presenti a Firenze: Santa Maria Novella (domenicani: corsi teologici aperti ai laici e ricca biblioteca), Santa Croce (francescani: corsi di filosofia, grammatica e logica) e Santo Spirito (agostiniani, filosofia, grammatica e logica). Lo studio francescano di Santa Croce è considerato in questo periodo uno dei migliori in Europa, secondo solo a Parigi, Oxford e Cambridge.

    Legge il De consolatione philosophiae di Boezio e il De amicitia di Cicerone, probabilmente su suggerimento di Brunetto Latini.

    1292

    Giano della Bella è a capo di una rivolta del popolo di Firenze contro i magnati, cioè i rappresentanti delle famiglie aristocratiche. Giano della Bella è di nobile famiglia ghibellina, ma si fa guelfo e popolare per motivi politici. I nobili e grandi cittadini insuperbiti faceano molte ingiurie a' popolani [...]. Onde molti buoni cittadini popolani e mercatanti, tra' quali fu un grande e potente cittadino (savio, valente e buono uomo, chiamato Giano della Bella, assai animoso e di buona stirpe, a cui dispiaceano queste ingiurie) se ne fe' capo e guida (Compagni, Cronica, Libro I, XI).

    1293 (o 1294)

    Dante pubblica la Vita nova, opera visionaria e autobiografica, intensamente allegorica, nella quale racconta il suo amore spirituale per Beatrice e promette che scriverà per lei cose che non furono mai scritte per nessuna.

    Sono anni di crisi. Si rompe la solidarietà morale e letteraria con Guido Cavalcanti. Dante intrattiene relazioni che gli fanno conoscere la passione amorosa nei suoi aspetti più intensamente sensuali. Scrive le rime petrose, dedicate a una donna dura come pietra.

    18 gennaio

    Per volontà del priore Giano della Bella sono promulgati gli Ordinamenti di Giustizia che escludono dal potere i nobili. Il ceto produttivo borghese prende il potere a discapito della nobiltà feudale. Si fissa così il tipo di costituzione della Repubblica, basata sulle organizzazioni artigiane, le Arti, giuridicamente riconosciute come fatto sociale e politico. Ne deriva la duratura preminenza politica dell'oligarchia borghese, costituita dalle sette Arti maggiori, che sono le organizzazioni di categoria delle massime attività professionali e dei diversi rami dell'industria esportatrice: 1. Giudici e Notai, 2. Mercatanti o di Calimala (commercianti internazionali di panni lana di provenienza estera), 3. Arte del Cambio, 4. Arte della Lana, 5. Arte della Seta, 6. Medici e Speziali, 7. Vaiai e pellicciai. Ci sono poi quattordici Arti minori. Alcune categorie artigiane non hanno un’Arte propria e si iscrivono alle Arti esistenti: i pittori, per esempio, si iscrivono a Medici e Speziali, l’Arte a cui si iscriverà anche Dante per poter accedere alla carica di Priore.

    1294

    Marzo

    Dante incontra, forse come membro di una delegazione ufficiale, Carlo Martello, figlio di Carlo II d’Angiò, a Firenze per circa venti giorni in attesa del padre. Probabile segno che Dante ha incominciato a interessarsi alle vicende del Comune. Da una terzina del Paradiso possiamo ricavare che i due diventarono amici. Parla Carlo Martello: Assai m’amasti e n’avesti ben donde (Paradiso VIII 55).

    Ottobre

    Forse Dante è a Napoli, membro di una ambasceria inviata dal Comune a rendere omaggio al nuovo papa, Celestino V, che presto darà le dimissioni lasciando il papato a Bonifacio VIII. Dante dice nella Commedia: Vidi e conobbi l’ombra di colui, / che fece per viltade il gran rifiuto (Inferno III 60).

    1295

    Gravi incidenti in città. Giano della Bella è costretto a fuggire.

    6 luglio

    I Grandi ottengono un temperamento degli Ordinamenti di Giustizia del ’93: possono accedere alle cariche pubbliche anche i nobili purché iscritti a una delle Arti o Corporazioni, anche se non esercitano con continuità la corrispondente professione.

    Dante si iscrive all’Arte dei Medici e Speziali, una delle Arti Maggiori.

    Primo novembre

    Dante entra nel Consiglio dei Trentasei del Capitano del Popolo, in carica per un semestre, fino al 30  aprile del 1296.

    14 dicembre

    Dante prende la parola durante la seduta che il Consiglio dei Savi e delle Capitudini (i capi delle Arti) dedica a discutere sulle nuove modalità di elezione dei Priori.

    Bonifacio VIII, tramite il vicario imperiale in Toscana, Giovanni di Chalon, pretende la restituzione di diritti e di beni passati da tempo immemorabile in mano del Comune e di privati. Firenze manda a Roma un’ambasceria per trattare. 

    1296

    Maggio-settembre: Dante fa parte del Consiglio dei Cento, il più importante organo amministrativo del Comune.

    Questi sono anni di grave crisi politica per Firenze. La definitiva sconfitta dei Ghibellini a Campaldino e il trionfo politico del Popolo Grasso (la ricca borghesia) con gli Ordinamenti di Giustizia, mette in minoranza la vecchia nobiltà feudale, che ottiene però l’istituzione di un nuovo organo: Ufficio della Parte Guelfa. Si tratta teoricamente di un organo privato, che ha lo scopo di difendere gli interessi delle famiglie aristocratiche, vecchie e nuove, ma presto si trasforma in un centro di potere autonomo, del quale non si può non tenere conto. Ben presto la Parte Guelfa si divide in due formazioni rivali capeggiate una dai Cerchi, ricchissimi ma di recente lignaggio, l’altra dai Donati, in decadenza economica ma di nobiltà più antica. La città, retta con poca giustizia, cadde in nuovo pericolo, perché i cittadini si cominciorono a dividere per gara d’ufici, abbominando l’uno l’altro. Intervenne che una famiglia che si chiamavano i Cerchi (uomini di basso stato, ma buoni mercatanti e gran ricchi, e vestivano bene, e teneano molti famigli e cavalli, e aveano bella apparenza), alcuni di loro comperorono il palagio de’ conti, che era presso alle case de’ Pazzi e de’ Donati, i quali erano più antichi di sangue, ma non sì ricchi: onde, veggendo i Cerchi salire in altezza (avendo murato e cresciuto il palazzo, e tenendo gran vita), cominciorono avere i Donati grande odio contra loro (Dino Compagni, Cronica I 20). Alle due fazioni aderiscono le altre famiglie nobili, ma anche rappresentanti del Popolo Grasso. Si tratta ormai di due veri partiti, che con i loro scontri influenzano il governo stesso della città. I Cerchieschi, quelli più ricchi, sono disposti a collaborare con il popolo e con i Ghibellini. Li guida Vieri de’ Cerchi, un commerciante prudente e poco propenso all’azione. I Donateschi, quelli più nobili, hanno carattere antipopolare, sono tracotanti e pronti alla spada. Li guida Corso Donati, cugino della moglie di Dante, uomo aggressivo, partigiano feroce e dalle decisioni fulminee.

    Dino Compagni racconta (Cronica I 20) che, in un giorno imprecisato dell’anno, Guido Cavalcanti, in un accesso d'ira, cerca di colpire Corso Donati con un dardo, ma fallisce il colpo, Giovani Donateschi lo inseguono con le spade sguainate, ma non riescono a raggiungerlo e lo colpiscono da lontano con lancio di sassi.

    1297

    Bonifacio VIII manda a Firenze il cardinale Matteo d’Acquasparta, con il compito di ottenere aiuto contro i Colonna, potente famiglia romana avversaria del nuovo papa.

    26 giugno

    Il Consiglio fiorentino dei Cento con larghissima maggioranza cede alla richiesta del papa di concedere per due mesi (poi prorogati fino a diciotto mesi) un aiuto militare contro i Colonna, che lo accusano di aver indotto Celestino V ad abdicare per impadronirsi del papato. I Colonna sono rivali acerrimi dei Caetani, famiglia della quale fa parte Bonifacio VIII.

    1300

    Aprile

    A Roma si scopre un intrigo di banchieri fiorentini presso la Curia. Parte un’ambasceria del Comune per indagare. Tre banchieri fiorentini protetti dal papa vengono condannati in contumacia. Il papa è furioso con quella città. Pretende che la condanna venga annullata. Firenze rifiuta.

    Primo maggio

    In piazza Santa Trinita, durante la festa di primavera Calendimaggio, giovani delle due parti assistono al ballo delle ragazze coronate di fiori. Sono ebbri sui loro cavalli. Sembra che ci siano degli spintoni. Una parola tira l’altra e si arriva allo scontro. Ricoverino de’ Cerchi, viene provocatoriamente mozzato del naso da uno dei Donateschi.

    I Cerchieschi prendono il nome di Guelfi Bianchi. I Donateschi quello di Guelfi Neri.

    I Neri accusano i Bianchi di intrattenere rapporti segreti con i Ghibellini esiliati.

    10 maggio

    Nel monastero vallombrosiano di Santa Trinita ha luogo un convegno segreto tra Corso Donati e i capitani di Parte Guelfa per concordare una sommossa contro il partito dominante a Firenze, i Bianchi. I convenuti decidono di mandare messi a Bonifacio per indurlo ad inviare Carlo di Valois a Firenze.

    15 maggio

    Bonifacio VIII scrive al vescovo e all'inquisitore di Firenze per affermare la suprema autorità papale su tutti gli uomini, soprattutto sulla Toscana, della quale si considera vicario imperiale.

    23 maggio

    Bonifacio VIII manda a Firenze Matteo d’Acquasparta: ufficialmente deve mettere pace tra Bianchi e Neri.

    13 giugno

    Alla vigilia dell'entrata in carica del priorato, i Consigli fiorentini cercano di restringere l'ingerenza giudiziaria del legato papale, Matteo d’Acquasparta, ai soli casi di natura religiosa, non politica. Dante è eletto priore.

    15 giugno

    Dante entra in carica come priore, insieme a cinque colleghi. La carica dura due mesi. Subito i priori confermano la condanna dei tre banchieri che avevano intrigato a Roma. Dimostrazione chiara di autonomia dal papa.

    23 giugno

    I Neri, comandati da Corso Donati, disturbano la solenne processione cittadina della vigilia di San Giovanni. L'orgoglio dei nobili è profondamente ferito nel vedere i tronfi commercianti che, a loro parere, si sono impadroniti delle loro glorie e si pavoneggiano nel loro potere e nella loro ricchezza. Li spintonano gridando di averli estromessi dal governo, loro che hanno dato la vittoria ai Guelfi a Campaldino. Ci sono disordini e scontri armati. L’offesa recata ai rappresentanti del governo è grave. Otto tra i più facinorosi dei Neri sono condannati all’esilio. Per non dare adito a critiche di partigianeria, i priori condannano all’esilio anche sette capi dei Bianchi, responsabili di azioni violente. Corso Donati e Guido Cavalcanti sono costretti a lasciare la città.

    27 giugno

    Matteo d’Acquasparta chiede che gli venga concessa la balìa, magistratura straordinaria con poteri dittatoriali da concedere in circostanze eccezionali e per breve periodo. Il Comune la concede ma con significative limitazioni.

    Metà luglio

    Matteo d’Acquasparta, alla finestra del suo palazzo in piazza san Giovanni, è sfiorato da una freccia di balestra che si conficca nel telaio. Il Comune gli offre, come risarcimento, una coppa d’argento contenente duemila fiorini. Il legato rifiuta.

    22 luglio

    Bonifacio VIII manda una lettera all’Acquasparta sollecitandolo a una azione drastica: scomunicare i reggitori del Comune e confiscare i loro beni.

    15 agosto

    Finito il bimestre, Dante lascia l’incarico di priore. I nuovi priori revocano l’atto di esilio per i Bianchi. Cavalcanti rientra in città, ma durante l’esilio a Sarzana, allora zona paludosa e malarica, si è gravemente ammalato e morirà entro pochi giorni. Il rientro dei Bianchi è visto dai Neri come un atto di grave partigianeria.

    28-29 settembre

    Il legato papale Matteo d’Acquasparta lascia Firenze, scomunica i priori in carica e lancia l’interdetto, cioè il divieto di accesso alle sacre funzioni, contro l’intera città.

    Novembre

    Forse Dante è a Roma.

    1301

    15 marzo

    Probabilmente Dante partecipa a un Consiglio e si oppone a un finanziamento richiesto da Carlo II d’Angiò per la riconquista della Sicilia.

    Primo aprile

    Dante è di nuovo nel Consiglio dei Cento, in carica  fino al 30 settembre.

    14 aprile

    Dante è tra i Savi che discutono la riforma del priorato.

    28 aprile

    A Dante è affidato l’incarico sine aliquo salario senza alcun compenso, di sovrintendere ai lavori di sistemazione della Via di San Procolo

    19 giugno

    Dante, membro del Consiglio dei Cento, si oppone alla richiesta del papa di prolungare il servizio di cento cavalieri fiorentini che il Comune ha inviato in Maremma contro gli Aldobrandeschi. Il Consiglio però approva.

    11 luglio

    Carlo di Valois, fratello del re di Francia  Filippo IV il Bello, entra in Italia. A Bologna incontra i Neri fiorentini. Il 3 settembre è ad Anagni.

    13, 20, 28 settembre

    Dante interviene al Consiglio dei Cento su vari argomenti tra cui la conservazione degli Ordinamenti di Giustizia.

    Primi di ottobre

    Una ambasceria di tre parte per Roma: Dante Alighieri, Maso di messere Ruggierino Minerbetti e Corazza da Signa. Hanno il comito di trattare con il papa per scongiurare l’intervento di Carlo di Valois a Firenze. Dino Compagni: Giunti li ambasciadori in Roma, il Papa gli ebbe soli in camera, e disse loro in segreto: 'Perché siete voi così ostinati? Umiliatevi a me: e io vi dico in verità, che io non ho altra intenzione che di vostra pace. Tornate indietro due di voi; e abiano la mia benedizione, se procurano che sia ubidita la mia volontà’ (Cronica II 4). I due partono. Dante è trattenuto. Il papa sollecita Carlo di Valois a muovere verso Firenze.

    Primo novembre

    Carlo di Valois entra in Firenze disarmato, dice che il suo compito è portare la pace. I Priori non si oppongono. Valois chiede i pieni poteri.

    5 novembre

    I Priori indicono una adunata di popolo per decidere sulla richiesta di Carlo di Valois. Il popolo gli conferisce i pieni poteri. I Neri, guidati da Corso Donati, rientrano in città.

    5-10 novembre

    Sotto la guida del furibondo Corso Donati, i Neri si scatenano e mettono a ferro e fuoco la città per sei giorni. Le case dei Bianchi sono saccheggiate, compresa quella di Dante, che è a Roma trattenuto dal papa. Il Valois ovviamente non fa nulla. I Priori sono impotenti.

    7 novembre

    I Priori si dimettono. Si instaura un governo di popolani Neri.

    9 novembre

    Carlo di Valois insedia il Podestà Cante de’ Gabrielli da Gubbio. Comincia l’ora delle vendette mascherate da legalità. Con una legge speciale si consente di avviare indagini sull’operato dei Priori degli ultimi due anni, nonostante che fossero stati già tutti sottoposti a indagine alla fine di ogni mandato, come da legge. In pochi mesi si emettono 689 condanne, di cui 559 a morte.

    1302

    27 gennaio

    Dante è condannato in contumacia perché non si è presentato davanti al Podestà per difendersi dalle accuse mosse contro di lui: 5000 fiorini piccoli di multa, due anni di confino e interdizione perpetua dagli uffici. Altri tre sono condannati insieme a lui lo stesso giorno. Le accuse per tutti e quattro sono basate sulla fama pubblica non su prove: baratteria (cioè corruzione), estorsione, opposizione per denaro a Carlo d’Angiò e al papa, turbamento della pace cittadina, congiura contro Pistoia.

    Febbraio

    Dante prende contatto con i fuoriusciti Bianchi e Ghibellini nel Castello di Gargonza.

    14 marzo

    Dante non si è presentato a pagare, quindi viene condannato a morte. La sentenza dice: se tornerà in città  igne comburatur sic quod moriatur sia bruciato col fuoco fino a che muoia. Con lui sono condannati alla stessa pena altri quattordici Priori. Gli Ufficiali dei Beni dei Ribelli si occupano di confiscare i beni dei condannati o di distruggerli. Moglie e figli di Dante restano in città, nelle mani della Fortuna, come scrive Boccaccio.

    8 giugno

    Nuovo incontro dei fuoriusciti, nella chiesa di S. Godenzo al Mugello. C’è anche Vieri de’ Cerchi. Si mette a punto un piano di guerra contro Firenze. Si attribuisce il comando a Scarpetta Ordelaffi, signore di Forlì

    Estate/inverno

    Dante è forse ospitato a Forlì dagli Ordelaffi, insieme ad altri esuli.

    1303/1304

    Forse Dante è a Verona, ospite di Bartolomeo della Scala, per sollecitare il suo appoggio alla causa dei Bianchi. Forse conosce anche il giovane Cangrande.

    Dopo qualche vittoria effimera, il fronte degli alleati contro Firenze subisce gravi perdite.

    1303

    2 ottobre

    Muore Bonifacio VIII

    22 ottobre

    Sale al soglio pontificio Benedetto XI, di antica famiglia ghibellina.

    1304

    2 marzo

    Entra in Firenze, ricevuto con grandi onori, il cardinale Niccolò degli Albertini da Prato, mandato a Firenze, come paciaro equanime, dal nuovo papa Benedetto XI. Ottiene la balìa cioè i pieni poteri temporanei. Invita i Bianchi esuli ad accettarlo come mediatore di pace. I Bianchi accettano tanta letitia con grande gioia, come scrive Dante stesso nella sua prima Epistola, scritta a nome del Consilium et Universitas partis Alborum de Florentia. Ma i Neri, capeggiati da Corso Donati, si oppongono, provocando tumulti e violenze.

    12 maggio

    Il fratellastro, Francesco, ad Arezzo accende un mutuo di 12 fiorini d’oro a nome di Dante, che è in difficoltà economiche.

    10 giugno

    Il cardinale da Prato, dopo aver subito un attentato, lascia  in segreto Firenze e lancia contro di essa un nuovo interdetto.

    20 luglio

    Nella battaglia della Lastra, a un paio di chilometri da Firenze, i Bianchi sono sconfitti. Vieri de’ Cerchi ha male organizzato l’impresa e i suoi hanno condotto male la battaglia.

    Intanto Dante si è allontanato dagli esuli bianchi e ghibellini, probabilmente essendo contrario alla opzione militare e sperando in un suo rientro a Firenze grazie al prestigio culturale. A volte, nel passato, era successo. Scrive una accorata lettera al popolo fiorentino, della quale parla Leonardo Bruni, suo biografo quattrocentesco, che incomincia: Popule mee quid feci tibi?. Scrive in questo anni il Convivio e il De vulgari eloquentia.

    A questo periodo risale molto probabilmente questo famoso brano del Convivio: Poi che fu piacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno – nel quale nato e nutrito fui in fino al colmo de la vita mia, e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto lo cuore di riposare l’animo stancato e terminare lo tempo che m’è dato–, per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende [l’Italia], peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga de la fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade (Convivio I 3-5).

    I movimenti di Dante nei primi anni dell’esilio sono scarsamente documentati. Gli storici desumono informazioni da allusioni contenute nella Commedia, ma si tratta in prevalenza di ipotesi. Dopo essere stato probabilmente a Verona, alla corte di Bartolomeo della Scala, forse è stato a Treviso presso Gherardo da Camino, a Padova dove ha visto Giotto che affrescava la Cappella degli Scrovegni. Poi a Bologna.

    1305

    14 novembre

    A Lione Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, è incoronato papa con il nome di Clemente V, che prende il posto del defunto Benedetto XI, restato incarica solo otto mesi. La sua elezione è stata decisa nel conclave di Perugia, durato ben undici mesi. I cardinali hanno scelto lui per accondiscendenza verso il re di Francia  Filippo IV il Bello. Il nuovo papa resta in Francia (anche senza formalizzare la sua decisione di non scendere a Roma): prima a Bordeaux, allora feudo inglese, e poi (1309) a Poitiers, direttamente dipendente dal re francese.

    1306

    Dante è il Lunigiana, ospite dei marchesi Malaspina.

    6 ottobre

    Dante, in veste di procuratore, stipula una pace tra i Malaspina e il vescovo-conte di Luni.

    1307

    È probabilmente in questo anno, o in quelli immediatamente precedenti, che Dante abbandona Convivio e De vulgari eloquentia per dedicarsi alla Commedia. Forse è di quest’anno la canzone Tre donne intorno al cor mi son venute (Gianfranco Contini però ne anticipa la composizione al 1302), nella quale parla dell’esilio come di un segno di nobiltà: L’essilio che m’è dato, onor mi tegno (verso 76). Ma nella stessa canzone parla di pentimento, di pace e di perdono: Onde, s’io ebbi colpa, / più lune ha volto il sol poi che fu spenta, / se colpa muore perché l’uom si penta. […] ma far mi poterian di pace dono. / Però nol fan che non san quel che sono: / camera di perdon savio uom non serra, / ché ’l perdonare è bel vincer di guerra (versi 88-107).

    Databile in questi anni, tra il 1306 e il 1308, è la canzone detta montanina che finisce con la richiesta alla canzone stessa, formula tipica del congedo, di dire ai Fiorentini che il suo autore (lo mio fattor) nutre solo pensieri di pace:

    O montanina mia canzon, tu vai:

    forse vedrai Fiorenza, la mia terra,

    che fuor di sé mi serra,

    vota d’amore e nuda di pietate;

    se dentro v’entri, va dicendo: "Omai

    non vi può far lo mio fattor più guerra".

    (Rime CXVI 76-82)

    1307-1308

    Dante è probabilmente in Casentino, ospite del conte Guido di Battifolle. Scrive una lettera al marchese Moroello Malaspina (Espistola IV).

    Dante è a Lucca, dove si sono nel frattempo trasferiti moglie e figli. A Lucca è ospite di una signora di nome Gentucca, ricordata in Purgatorio XXIV (versi 37 e segg.), della quale non sappiamo niente.

    1309

    6 gennaio

    Ad Aquisgrana, Arrigo di Lussemburgo è incoronato imperatore con il nome di Arrigo (Enrico) VII.

    Luglio

    Il papa Clemente V, che continua a soggiornare in Francia, dichiara il suo gradimento per Arrigo VII e promette che lo incoronerà solennemente a Roma. La data concordata è il 2 febbraio 1312.

    Agosto

    Alla Dieta di Spira, dopo fitti contatti diplomatici, l’imperatore decide di anticipare il viaggio in Italia. Scopo della discesa è restaurare l’autorità imperiale nella penisola dopo tanti anni di anarchia e di guerre. Il papa non si oppone, ma chiede garanzie che non si tratti di una discesa anti-guelfa.

    1 settembre

    Rassicurato, Clemente V emana la bolla Exultet in gloria, diffusa in tutta Italia, nella quale chiede a tutti di accoglierlo come restauratore della giustizia.

    1309-1310

    Forse Dante è a Parigi. Del viaggio parlano Boccaccio e Giovanni Villani.

    1310

    23 dicembre

    Arrigo VII imperatore entra in Milano con un esercito di tremila uomini. Molti signori italiani, tra cui Cangrande della Scala, lo accolgono con onore e si dichiarano pronti a servirlo. Le aspettative sono grandi.

    1310-1311

    Dante scrive tre lettere a nome di Gherardesca della Gherardesca, figlia del conte Ugolino e moglie del conte Guido di Battifolle, del quale il poeta è ospite. Sono le Epistole VIII, IX e X, indirizzate a Margherita di Brabante, moglie di Arrigo VII. Dante vede in lui il veltro del quale parla nel primo dell’Inferno, quello che dovrà uccidere la lupa, simbolo della avidità e della corruzione degli Italiani. L’illusione però dura poco. Milano si ribella per prima, a causa dell’appoggio dell’Imperatore ai Ghibellini, seguita da Crema. Brescia, Cremona, Reggio, Parma e Lodi. Arrigo VII si barcamena tra mille insidie, blandendo e minacciando. Poi però mette sotto assedio Cremona. Firenze finanzia i ribelli e spinge il papa francese e il re di Napoli Roberto d’Angiò ad allearsi contro Arrigo. Il progetto di restaurazione dell’Impero vacilla. Non può realizzarsi se non c’è accordo tra re di Francia, re di Napoli e re di Germania.

    1311

    31 marzo

    Dante è scandalizzato dal comportamento di Firenze e scrive ai suoi concittadini, forse dal castello di Poppi (in Toscana, alle sorgenti dell’Arno), annunciando su di loro il castigo divino.

    17 aprile

    Dante scrive ad Arrigo VII, invitandolo a lasciar perdere Cremona e a concentrarsi su Firenze, la vera radice del male italiano (Epistola VI): Tu resti a Milano passandovi dopo l’inverno la primavera1, e credi di uccidere l’idra pestifera con l’amputarle le teste? Che se ricordassi le grandi imprese del glorioso Achille, capiresti di sbagliare come lui, contro il quale la bestia pestifera, rinascendo le molte teste, per i colpi cresceva, finché quel magnanimo impetuosamente non attaccò la radice stessa della vita. Per estirpare alberi, infatti, non vale il taglio dei rami, che anzi di nuovo ramificano vigorosamente più numerosi, fin quando siano rimaste indenni le radici che forniscano nutrimento. Che cosa, o unico Signore del mondo, credi di aver compiuto quando avrai piegato il collo di Cremona ribelle? Forse che allora non si gonfierà inaspettata la rabbia o di Brescia o di Pavia? Anzi, quando questa rabbia anche flagellata sarà abbattuta, subito l’altra di Vercelli o di Bergamo o altrove scoppierà di nuovo, finché non si elimini alla radice la causa di questo tumore purolento e, strappata la radice di così grave errore, i rami pungenti insieme col tronco inaridiscano.

    26 aprile

    Cremona si arrende. Arrigo ne distrugge le mura e mette sotto assedio Brescia che resisterà per quattro mesi arrendendosi solo a settembre.

    1311-1312

    In seguito Arrigo passa da Pavia e arriva a Genova, dove cerca inutilmente di mettere ordine tra le famiglie in lite. A Genova muore sua moglie Margherita di Brabante. Ormai tutta la Lombardia è contro di lui. Arrigo procede in nave per Pisa, tradizionale nemica di Firenze, dove è accolto con entusiasmo dai Ghibellini della città. Tratta con Roberto d’Angiò re di Napoli, riceve sostegno da Venezia, parte per Roma dove dovrebbe essere incoronato imperatore. Ma strada facendo viene a sapere che il papa ha cambiato idea: ha deciso di restare in Francia. Arrigo arriva a Roma, che è divisa: i Colonna sono dalla sua parte, ma gli Orsini sono con il re di Napoli. Arrigo entra in Roma con la forza, tenta invano di espugnare Castel sant’Angelo, tenuto dagli Orsini, per cui non può accedere a San Pietro.

    1312

    29 luglio

    Arrigo espugna il Campidoglio e in Laterano si fa incoronare imperatore da tre cardinali. Minaccia guerra al re di Napoli, vassallo ribelle. Roma è caotica e pericolosa. Si ritira ad Arezzo e organizza l’attacco a Firenze.

    2 settembre

    Firenze si sente minacciata e decreta una amnistia generale per i Guelfi (riforma di Baldo d’Aguglione). Questo per compattare le forze cittadine. Per via delle lettere di marzo e aprile, Dante è escluso dall’amnistia.

    A metà settembre Arrigo inizia l’assedio di Firenze. Siena, Bologna, Lucca e altre città mandano uomini in aiuto della città toscana. L'imperatore dispone di circa 15.000 fanti e 2.000 cavalieri, contro 64.000 difensori. Durante sei settimane di assedio Firenze non smette i suoi commerci. Molti fuoriusciti si aggregano alle truppe imperiali e compiono saccheggi. Dante non partecipa. Alla fine Arrigo VII toglie l’assedio.

    1313

    In questo anno papa Clemente V sposta la sua corte ad Avignone, ma pone la sua residenza e quella della Curia a Carpentras, nel Contado Venassino (feudo pontificio). Dante considera questo l’ultimo e più grave gesto di sottomissione del papa al re di Francia. Clemente V è messo dal poeta tra i simoniaci che lo chiama pastor sanza legge (Inferno XIX 83). In effetti usò il suo potere per arricchire sfrontatamente la sua famiglia: alla sua  morte lasciò per testamento ai sui famigliari un terzo dell'intero Tesoro pontificio, come se fosse suo.

    13 marzo

    Arrigo si ritira a Pisa dove emette le Constitutiones pisanae, che riaffermano il principio che tutti gli uomini sono soggetti all’Impero, che ha valore universale. Ma il fronte degli oppositori si è ormai allargato e organizzato. Il papa è ostile. L’esercito si sta sfaldando per mancanza di denaro. E Arrigo ha un attacco di malaria.

    8 agosto

    Tra mille difficoltà Arrigo riesce comunque a muovere un possente esercito contro Carlo d’Angiò dichiarato vassallo ribelle e condannato a morte.

    24 agosto

    Un nuovo attacco di malaria uccide Arrigo VII, all’età di trentotto anni, a Buonconvento, presso Siena.

    La triste fine di Arrigo amareggia fortemente Dante, che ha contato sulla sua venuta per vedere risanata la vita politica italiana, a partire da quella fiorentina, e per ottenere giustizia per se stesso. Non c’è dubbio però che il poeta si è accorto da subito degli errori dell’Imperatore, primo di tutti il suo fidarsi del papa francese (il guasco) Clemente V. Infatti non è senza significato che, dopo la partecipazione appassionata alle prime vicende che hanno dettato al poeta le lettere del marzo e dell’aprile 1311, non abbiamo altri documenti che attestino il suo interesse.

    1315

    19 maggio

    Minacciata dall’alleanza tra le ghibelline  Pisa e Lucca, sotto il dominio di Uguccione della Faggiola, la guelfa Firenze decide, come nel 1312, di concedere amnistia ai fuoriusciti. Questa volta Dante non è escluso. Amici e congiunti si sono dati da fare. Per godere dell’amnistia bisogna pagare una multa non ingente. Ma bisogna anche sottomettersi al rito della oblazione in San Giovanni. Dante decide di non aderire. Nella Epistola XII, indirizzata a un amico fiorentino di cui non conosciamo l’identità, scrive: "Dalla vostra lettera, che ho accolto con la dovuta riverenza e con affetto, ho appreso con animo grato quanto vi stia a cuore il mio rimpatrio: per la qual cosa cresce la mia riconoscenza verso di voi. […] Se io volessi piegarmi a pagare una certa somma di danaro e a sopportare la vergogna dell’oblazione, potrei esser assolto e rientrare in patria. […] Questa dunque è la revoca generosa, con la quale Dante Alighieri è richiamato in patria, dopo le sofferenze d’un esilio di quasi quindici anni? Questo gli ha meritato un’innocenza a tutti evidente? Questo il sudore e l’indefessa fatica negli studi? È lontana da un uomo vissuto nella Filosofia una così dissennata viltà di cuore […]. È lontano da un uomo apostolo di giustizia, dopo aver patito ingiuria, pagare del suo denaro agli stessi che furono ingiusti con lui, come fossero suoi benefattori. Non è questa, o Padre mio, la via per ritornare in patria. Ma se ne sarà trovata un’altra, da Voi prima o poi da altri, che non deroghi alla fama e all’onore di Dante, io mi metterò per essa a passi non lenti. Se per nessun’altra di tali vie si può entrare in Firenze, io in Firenze non entrerò mai".

    29 agosto

    A Montecatini Firenze è sconfitta da Pisa e Lucca alleate. Il Comune, con provvedimento dei Priori e del Gonfaloniere di Giustizia, concede una nuova amnistia, che prevede il confino per i condannati a morte in cambio di una garanzia in denaro. Dante non risponde.

    15 ottobre

    Il Comune rinnova la condanna a morte per Dante e la allarga ai figli. La condanna prevede anche la confisca o la distruzione dei beni.

    9 novembre

    Il vicario Ranieri di Zaccaria emana una bolla in cui conferma la condanna di Dante e dei suoi figli, da decapitare se cadranno in potere del Comune. In questo periodo Dante, figli e moglie sono molto probabilmente a Verona, ospiti di Cangrande della Scala, nei confronti del quale Dante mostra grande riconoscenza, inviandogli i canti appena scritti, che li legga prima di tutti, e dedicandogli  il Paradiso.

    1319?

    Dante si trasferisce con la famiglia da Verona a Ravenna, dove è ospite di Guido Novello da Polenta (evento databile tra il 1318 e il 1320). Il trasferimento non è dovuto a rottura con Cangrande della Scala, con il quale Dante resta in ottimi rapporti. Negli anni 1318-1320 non abbiamo documenti che attestino attività di Dante, tranne appunto lo spostamento a Ravenna. Sicuramente è tutto preso dal completamento della sua opera maggiore. È lecito pensare che si senta ormai lontano dalle vicende di Firenze, anche se i primi versi del XXV del Paradiso ci dicono che la speranza di tornare nella sua città non è del tutto spenta: ritornerò poeta. Ma è per meriti poetici che vorrebbe tornare, non chiedendo perdono a chi lo ha ingiustamente condannato.

    Verso la fine del 1319 Dante forse è a Mantova per una dissertazione su acque e terre.

    1320

    20 gennaio

    Forse Dante è a Verona per presentare, nella chiesa di S. Elena, davanti a tutto il clero cittadino, la sua dissertazione De forma et situ aque et terre.

    25 agosto

    Giovanni di Virgilio, professore di grammatica a Bologna, invita Dante nella sua città. Dante declina l’invito.

    1321

    Notte tra il 13 e il 14 settembre

    Dante muore per un attacco di malaria.

    Negli ultimi mesi è andato a Venezia, forse più di una volta, come ambasciatore di Guido Novello da Polenta con il compito di evitare la guerra minacciata dalla Serenissima Repubblica a Ravenna. Ha dovuto attraversare le paludi di Comacchio e lì ha contratto l’infezione malarica.

    Dante è sepolto nella piccola chiesa di S. Pier Maggiore, a Ravenna.

    1350

    Giovanni Boccaccio, uno dei primi grandi ammiratori e divulgatori della Commedia, al quale si deve l’attributo di divina, consegna a suor Beatrice, la figlia di Dante monaca nel convento di Santo Stefano degli Ulivi, dieci fiorini d’oro, come risarcimento simbolico dei torti fatti da Firenze al padre.

    VITA DI DANTE

    SCRITTA

    DA

    CESARE BALBO

    CON LE ANNOTAZIONI DI EMMANUELE ROCCO

    EDIZIONE CONSENTITA DALL'AUTORE

    FIRENZE.

    FELICE LE MONNIER.

    1853

    LIBRO PRIMO.

    DANTE IN PATRIA.

    CAPO PRIMO.

    I COMUNI ITALIANI SEI SECOLI XII E XIII.

    . . . . . . Italia di dolore ostello!

    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    E, se licito m'è, o sommo Giove,

    Che fosti in terra per noi crocifisso,

    Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?

    O è preparazion, che nell'abisso

    Del tuo consiglio fai per alcun bene

    In tutto dall'accorger nostro ascisso?

    Purg.

    VI.

    Se Dante non fosse stato altro che poeta o letterato, io lascerei l'assunto di scriverne a tanti, meglio di me esercitati nell'arte divina della poesia, o in quella così ardua della critica. Ma Dante è gran parte della storia d'Italia; quella storia a cui ho dedicati i miei studi, che ho tentata in più guise, ma che non ispero guari di poter compiere oramai. Quindi è che non avendo potuto o saputo ritrarre la vita di tutta la nazione italiana, tento ritrarre quella almeno dell'Italiano che più di niun altro raccolse in sè l'ingegno, le virtù, i vizi, le fortune della patria. Egli ad un tempo uomo d'azioni e di lettere, come furono i migliori nostri; egli uomo di parte; egli esule, ramingo, povero, traente dall'avversità nuove forze e nuova gloria; egli portato dalle ardenti passioni meridionali fuori di quella moderazione che era nella sua altissima mente; egli, più che da niun altro pensiero, accompagnato lungo tutta la vita sua dall'amore; egli, insomma, l'Italiano più italiano che sia stato mai. S'aggiugne, che l'età di Dante è, rispetto all'insegnamento morale, la più importante forse della storia d'Italia; quella in che si passò dalle brevi virtù ai lunghi vizi repubblicani. E s'aggiugne, che colle opere, e collo scritto ei tentò di rattener la patria in su quel precipizio; e che cadutovi egli stesso più o meno, rimase pure in tutto lo scrittore più virtuoso che abbiamo: ond'è, che il nome di Dante tanto più risplendette sempre tra le generazioni successive, quanto più elle tornarono a virtù; e che non ultima fra le ragioni di patrie speranze, è il veder redivivo il culto e lo studio di lui. Questi furono i pensieri che mi fecero prendere amore all'opera; questi mi danno fiducia, che, anche adempiuta con forze troncate, ella possa riuscir non inutile nè ingrata a' miei compatrioti. E se ella giugnesse ad alcuno di quegli stranieri i quali ci restan benevoli per memoria de' nostri maggiori, spero appresso di loro qualche favore dal nome di Dante, il primo grande scrittore della prima lingua moderna, il quale aprì così all'Europa tutta quella carriera di lettere e civiltà che ella corse d'allora in poi. Del resto, io scrivo per gli uomini colti sì e curiosi di particolari, ma non propriamente per gli eruditi. A questi hanno già soddisfatto parecchi altri, e principalmente il Pelli e l'autor del Veltro*¹; ma parmi che sia pur da servire a que' tanti che amano legger disteso, e trovar raccolto ciò che altrove si accenna.

    Or, prima d'incominciare la narrazione d'una vita così continuamente frammista alle condizioni della propria età, sarà utile accennar le origini di esse. Nè mi saran d'uopo molte parole. La patria nostra s'è fatta felicemente studiosa delle sue memorie del medio evo; le quali, se non sono le più liete, sono certo delle più gloriose; e se talora vengono a fastidio, perchè risuscitate troppo sovente nelle opere d'immaginazione, sono pur fondamento di tutta la storia nostra, ondechè elle dovrebbero essere forse meno cantate che studiate. Quindi sarebbe opera perduta pei leggitori s'io attendessi ad insegnare loro ciò che i più hanno imparato già dal Muratori, dal Sismondi, dal Leo o da altri; e che, speriamo, impareranno in breve da tale, il quale seguendo con animo e fortuna maggiore la via contraria alla mia, salì già dallo studio de' tempi di Dante alla storia generale d'Italia.* Ad ogni modo, giova negli assunti speciali ricordare ciò che li riannoda alle cognizioni generali.

    Già allo sfasciarsi dell'antico Imperio Romano, l'Italia più infelice che non le sue provincie,* era soggiaciuta non ad una, ma a tre conquiste di barbari: prima i raccogliticci di Odoacre, poi i Goti, in ultimo i Longobardi. Cagione di questa sua privilegiata infelicità, fu l'essere stata antica sede dell'Imperio; l'aver mirato gli Italiani alla restaurazione di quello; e l'averla tentata gli Imperatori orientali. Secondo tristo effetto della medesima causa fu la divisione d'Italia in Greca e Longobarda fin dal 568; dal quale in poi la penisola non fu riunita più mai. Così mentre le altre nazioni europee conquistate una o due volte al più, ebbero agio d'immedesimarsi coi conquistatori per crescere in que' bei reami or ammirati di Francia, Spagna od Inghilterra; alla Italia, non fermatasi in niuna conquista, in niuna sventura mai, toccò la peggiore di tutte; quella di mutar sempre sventura.

    Succeduta la quarta conquista de' Franchi sotto Carlomagno, e stabilito un regno italico, se non indipendente, almen separato sotto un figliuolo di lui, parve l'Italia entrare nella condizione delle altre nazioni europee. Ma non seguì il fatto, impedito che fu dalla restaurazione dell'imperio operata da Carlomagno il dì di Natale dell'anno 800. Fu salutata probabilmente dalle speranze degli ingannevoli Italiani, e fatta forse con intenzioni d'ordine e civiltà: quasi i regni cristiani avessero quindi a raccogliersi intorno al maggior trono imperiale, e quasi il nome preso da Roma avesse a far risorgere la lingua, gli usi e l'antica civiltà di essa. Ma le restaurazioni delle cose troppo anticamente cadute non sogliono riuscire a gran pro; e tutto quell'ordinamento sognato a lunga durata, non esistè in fatti se non pochi anni. I regni Franchi se ne separarono in breve, e la Germania e l'Italia ne furono impacciate lunghi secoli; quella, d'un principe incoronato, acclamato fuori di essa; questa, d'un principe di schiatta, nascita, elezione ed interessi a lei stranieri. Fra le nazioni, come tra gli uomini, chi fa infelice altrui, fa tale sè stesso.

    Ma entrano nelle vie della Provvidenza anche le infelicità delle nazioni, e convien talora che soffra una per tutte. Così pensò già, così previde meravigliosamente Dante in quei primi versi da noi citati, che si potrebbon dire la spiegazione filosofica e religiosa di tutta la storia d'Italia. Imperciocchè, tra i dolori di questa, nacque la indipendenza delle sue città; da cui poi la civiltà universale. Già fin dall'età dei Longobardi, causa il mal governo degli imperadori greci, occasione la loro eresia iconoclasta, promotori i Papi, eransi liberate Roma, Venezia, Ravenna, e parecchie altre città con governo proprio e sotto i consoli. E durata variamente tale indipendenza sotto il manto pontificio, ma non estesasi di molto nella penisola dal secolo VIII all'XI, quando poi l'immortal Gregorio VII (l'Ildebrando tanto stoltamente vituperato!*) si rivolse, in occasione non dissimile dalla prima, contro gli Imperadori Franconi o Wibelini, usurpatori delle libertà della Chiesa, protettori d'ogni scandalo che si facesse in essa; allora anche le altre città italiane, quasi tutte si sollevarono, si liberarono, si costituirono in Comuni, e sotto ai Consoli. Fu compiuta tal rivoluzione in pochi anni, dopo la morte del santo e sommo Papa, tra l'ultimo decennio del secolo XI e i due primi del XII. Pisa, Lucca, Milano, Asti, Genova sembrano essere state delle più precoci a costituirsi da sè in Comune. Altre, rimaste fedeli nel parteggiar per gl'Imperatori, furon liberate per concessioni varie, o lasciate liberarsi. E così divise le città in parte della Chiesa ed Imperiale, erano libere tutte, queste non men che quelle, con poca differenza.

    Naturalmente, il primo Imperadore che sorse di grand'animo, non volle sopportare siffatte novità. E Federigo I era tal Imperadore. Guerreggiò a lungo; vinse, fu vinto; ed alla pace di Costanza, sancita l'almo 1183, i Comuni della lega di Lombardia serbarono sotto il nome di regalie la realtà dell'indipendenza, e a governo di essa i loro Consoli. Delle città che erano state per l'Imperadore, molte, perchè non fossero in peggior condizione, ebber le regalie da lui; altre se le acquistarono con altre leghe, poco appresso. E tra tutta questa conquista d'indipendenza, un'altra erasi fatta: i dialetti popolari delle città eran diventati lingua nazionale. Dicevasi lingua volgare, ed era la lingua italiana.*

    Della nascente ed operante indipendenza fu natural compagna la virtù; sia che da quella questa, o che da questa quella venisse; o meglio, che l'una e l'altra s'aiutassero e crescessero a vicenda. Certo, le tre immortali difese di Milano, la ricostruzione di lei pe' vicini allora non invidiosi, la concorde fondazione e poi la difesa di Alessandria, gli altri assedii non meno fortemente sostenuti, la lega di Pontida, e quella vera battaglia da eroi combattuta e vinta a Lignano, sono fatti che dovettero a un tempo e procedere da virtù, e generarla. Questa è senza contrasto l'età più bella della storia d'Italia; quantunque, per la decadenza della lingua antica e l'infanzia della nuova, ella rimanga men celebrata delle altre posteriori e minori. Sia poi per quel difetto di storici, o perchè quando è universale la virtù non si fa pompa di virtuosi, o perchè in una nazione concorde non risplende niuno qual duce, certo niun gran nome di condottiero o gran cittadino ci rimane di quei tempi, oltre a quello di Papa Alessandro III; ma restano invece immortali i nomi di quelle città.

    Del resto, la maggior parte degli storici moderni chiaman repubbliche quelli che noi abbiam qui chiamati Comuni. Ma comuni o città elle chiamavan sè stesse per lo più; e se repubbliche talvolta, elle non intendevan per tal nome ciò che ora, cioè un popolo che si regga senza principe. Riconoscevano la supremazia dell'imperadore e re tedesco in ogni cosa non compresa nelle regalie conquistate od ottenute; in queste sole erano lor libertà, lor diritti, lor vanto. Bensì poi, queste s'interpretavano in modo più o meno largo; e non solo diversamente tra l'Imperadore e le città, ma tra una città e l'altra, e tra i cittadini della stessa. Quindi continuavano la parte dell'imperio, e la contraria; e questa continuava a trovar per lo più sostegno e nome dalla Chiesa. Morti poi Federico Barbarossa e il figlio di lui Arrigo VI, e disputandosi l'Imperio tra Filippo di Svevia altro figlio di lui, ed Ottone di Baviera, perchè i partigiani delle case di Franconia e di Svevia dal nome primitivo di quella dicevansi ab antico in Germania Weiblingen o Ghibellini, ed i partigiani dei Bavari dal nome di molti di essi diceansi Guelfi, incominciarono i due nomi ad usarsi in Italia allo stesso modo tra i partigiani dei due Imperadori. Poscia, rimanendo indisputato Imperadore Federigo Il Svevo, ed incominciando egli nuove contese colle città e coi Papi, il nome di Ghibellino divenne quello della parte imperiale; e perciò il nome di Guelfo quello della parte contraria delle città, della libertà più larga, del popolo e dei papi. Vedesi così che Guelfi e Ghibellini non furon altro che nomi nuovi di parti vecchie già di due secoli, contandole non più che dal sorger della Chiesa e delle città contro l'Imperio. E Federigo II, uomo di poco o nulla inferiore all'avo, ed a malgrado la cessione delle regalie, potentissimo in Italia per aver redato dalla madre, ultima dei Normanni, il bel regno di Puglia e Sicilia; Federigo II, durante un regno di mezzo il secolo XIII, tentò invano sì di restaurar l'antica potenza imperiale, ma tenne alta la parte d'imperio contro i Guelfi, le città e i due gran papi Innocenzi III e IV. Finalmente, morto Federigo II, e prima disputandosi l'imperio fuor d'Italia tra Corrado IV figlio di lui, e Guglielmo d'Olanda, poi succedendo un lungo interregno, ed abbandonata così Italia a sè

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1