Confessioni di un pazzo
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Anteprima del libro
Confessioni di un pazzo - Simone Tomassini
UN INCONTRO PARTICOLARE
Pioveva a dirotto, quella mattina di metà giugno.
Era impossibile trovare un taxi e come solito ero uscita senza ombrello.
Bagnata fradicia e irritata, mi rifugiai nel primo Starbucks di Madison Avenue, e insieme a coloro che avevano avuto la mia stessa idea, me ne stavo in fila per l'ordinazione, quando la mia attenzione venne catturata dalla conversazione tra due uomini.
- Quando una donna dice di essere una santa, tu mettila a novanta. Aspetta e vedrai che non prega, ma canta. eccome se canta!
La mia risata spontanea fu la chiara risposta alla sfacciata convinzione con cui la frase venne pronunciata. Il solito sbruffone maschilista e un po' sfigato
, pensai. L'uomo si girò e con il suo sguardo ironico fisso nel mio mi sfidò.
- Ridi pure, ma è la verità. Anche se non mi aspetto davvero che una donna lo ammetta.
Lo strano cappello che indossava avrebbe reso buffo chiunque ma non lui. Sui trentacinque, alto poco meno di un metro e ottanta, lunghi e folti capelli castani, illuminati da riflessi chiari; grandi occhi scuri ombreggiati da ciglia lunghissime; una chitarra sulle spalle. Mi tese la mano e si presentò:
- Filo.
- Jennifer. Filo come Filippo? - chiesi con attenzione.
- No, Filo come chi vive sempre sul filo del rasoio.
Filo era attraente senza avere una bellezza appariscente, la sua presenza non passava inosservata, non si confondeva mimetizzandosi fra i vari volti; spiccava quel sorriso sornione tipico di chi, sicuro di sé e sempre padrone della situazione, sa di non dover dimostrare nulla a nessuno.
Mi resi subito conto della strana sensazione che si abbozzava in me di fronte a quello sconosciuto. Il suo sguardo sembrava scrutare al di là dell'apparenza. Provai anche un po' di soggezione, ma ero certa che fosse impossibile mentirgli perché avrebbe messo a nudo la verità oltre ogni sillaba.
Non ricordo più che fine fece l'uomo con cui stava conversando... Più tardi scoprii quanto fosse naturale per Filo catalizzare su di sé l'attenzione. Non se ne rendeva conto e di certo non faceva nulla affinché accadesse.
Fui sorpresa dalla mia naturalezza. Ligia alle regole imparate da mia madre, non ero solita dare confidenza agli sconosciuti, almeno fino a quel momento, quando mi ritrovai seduta di fronte a lui, sorseggiando un espresso macchiato. Le parole scorrevano e ancora non mi rendevo conto di essere testimone delle confessioni di un pazzo. La follia che traspariva dai suoi discorsi non era quella di un povero derelitto messo al bando dalla società, era tutt'altro: la totale convinzione di essersi sbarazzato di tutte le regole ipocrite di quella stessa società. Filo era padrone del proprio tempo e del proprio destino. Parlava con una convinzione travolgente.
- La mia scelta è stata un tetto di stelle, perché quando non hai nulla da perdere ogni paura svanisce per far posto alla libertà vera. Solo se provi cosa significa perdere tutto, sei sicuro di saperti rialzare, di averla conquistata, quella libertà« e lo paghi tutto il prezzo, senza sconti.
Non ero pienamente consapevole di quello che accadeva, ma quell'uomo avrebbe cambiato il mio modo di percepire il senso di ogni gesto e della mia vita futura. Quelle che mi erano sembrate comode sicurezze sarebbero diventate grazie a lui cose estranee e troppo strette per la mia nuova visione del mondo, perché lui mi avrebbe fatto percepire la banalità ipocrita delle regole che consideravo necessarie a far andare il mondo per il verso giusto, a renderlo un posto ordinato.
Chi incontrerà Filo ricordi questo mio avvertimento. Riceverà un dono e una condanna: il dono di avvicinarsi alla vera saggezza che appartiene solo ai folli, e la condanna di vedere senza filtri la mediocrità che ci circonda, pur senza avere la forza di rifiutarla con il suo stesso coraggio. Credo sia davvero indispensabile una certa dose di pazzia per essere tanto coraggiosi, ma povero chi dovrà subire il confronto con lui: non avrà altra possibilità che arrivare secondo« o arrivare due
, come direbbe lo stesso Filo.
- Quando il cielo piange, Filo non lavora. E sei fortunata, ho voglia di raccontare oggi... - così cominciò la mia amicizia con lui.
Avrei iniziato dalla cornice, prima di vedere il disegno completo.
IL FUTURO COMINCIA OGNI MATTINA
Qualche espresso più tardi, scoprii che avevamo in comune le origini italiane, ma a differenza dei suoi, i miei genitori erano americani. Era nato in una cittadina di provincia alla quale era molto legato e che allo stesso tempo gli stava stretta; sai, come quel maglione logoro che indossi comunque per sentirti a tuo agio nonostante tutto«
Era stato un bambino amante della compagnia, in grado, però, anche di stare da solo, e adorato dai nonni - forse le uniche persone verso le quali avesse mai provato senso di fiducia e appartenenza. Erano stati loro a trasmettergli onestà, generosità, fermezza, e la fondamentale capacità di affrontare senza timori fatica e difficoltà. La storia della sua vita non era l'argomento che preferiva e non gradiva certo le interviste; pur non ritenendo la nostalgia un segnale di debolezza, era evidente che non amava ripercorrere il passato, se non per evitare di ricommettere antichi errori.
Dopo tanto tempo, ora capisco bene quante possibilità e pensieri affollino il mondo di Filo; per questo non concede nulla al passato.
In realtà quelle prime ore insieme furono anche l'occasione per raccontargli un po' di me e della mia vita. Lui ascoltava come se il tempo gli appartenesse, come se l'ascolto delle mie parole fosse la cosa più importante. Nonostante le domande attente e precise, e il suo sguardo impenetrabile ma interessato, mi pareva banale raccontare la solita storia fatta di studio, un lavoro lontano da casa, un monolocale nell'East Village, una relazione come tante, stanca e in bilico - gli stessi argomenti tratti nelle interminabili telefonate tra amiche sembravano troppo insulsi e scontati messi di fronte a un uomo che dava l'impressione di aver già vissuto almeno un paio di vite.
La mattinata però volò. Avevo parlato tanto e mi era rimasta addosso la curiosità di conoscerlo meglio, incurante degli sguardi che la gente gli lanciava. Quando Filo mi vide sbirciare con impazienza l'orologio, non pensò che mi stessi annoiando, come avrei fatto io se mi fossi trovata nella stessa situazione. In verità avevo semplicemente dimenticato un appuntamento di lavoro di due ore prima. Apparve sin da subito contagiosa la sua abitudine di non curarsi del tempo, anche se in realtà lui non lo ignora, lo possiede evitando di esserne posseduto.
- Non vivere con il tempo a tracolla. L'importante è scegliere di fare qui e ora ciò che tu hai scelto. Sempre che si tratti davvero di una scelta tua. In caso contrario, il tuo problema è comunque un altro e ben più grande, e non riguarda di sicuro il tempo… - pronunciò con un sorriso accennato.
Quanto mi piacerebbe riprendere la conversazione« se glielo chiedessi mi prenderebbe per una che abborda gli sconosciuti nei bar«
pensai alzandomi e salutandolo titubante. Mi sorpresi dell'importanza che stavo già dando all'opinione che quello sconosciuto potesse farsi di me. Puntuale arrivò lo strano sorriso che avrei col tempo imparato a riconoscere.
- Potresti venirmi ad ascoltare domani pomeriggio, alle quattro, sul ponte di Brooklyn - con queste parole volle togliermi dall'imbarazzo.
Eh già« non si chiede il numero di cellulare a un uomo così... sarà lui a decidere il prossimo incontro, non per dimostrare il suo potere; al massimo perchè allergico a qualsiasi tipo di condizionamento. Del resto, anche io sapevo che non mi stava affatto corteggiando. Lui piuttosto intuì subito scattare in me la solita convenzione femminile che impone di non ammettere mai di non avere niente di meglio da fare che accettare un appuntamento al primo tentativo, e infatti sorrise divertito quando risposi: Se posso volentieri, sai il lavoro«
. Sapeva benissimo che ci sarei andata e aveva ragione.
Quella sera, nel mio minuscolo appartamentino come da standard newyorchese - non per questo meno stretto nei momenti d'insofferenza - ripensavo alla giornata, a Filo e alle emozioni provate. Com'è strana la vita. Quando meno te lo aspetti ti mette di fronte a delle sorprese che da quel momento in poi ti segneranno per sempre«
, pensai, e in sintonia con le mie riflessioni, tirai fuori il dvd di 'Sliding doors'. La mia sensazione era identica a quella di Gwyneth quando riesce a prendere la metro al volo e la sua vita cambia. Non volevo illudermi, ma in quella città mi sentivo irragionevolmente meno sola.
C'è chi dice che New York sia un po' come il parente tollerante e comprensivo che ti lascia vivere a casa sua quando la tua non ti appartiene più e ti fa sentire fuori posto« Ma sei pur sempre un ospite, e se non trovi qualcuno che scelga di stare in tua compagnia, il senso di solitudine se ne sta comodamente appollaiato sulla tua spalla come unico compagno di vita.
Per tutta la mattinata non feci altro che pensare a cosa mi sarei dovuta aspettare dal nostro secondo incontro. Mi pongo sempre questo genere di domande anticipando i tempi e senza lasciare il giusto corso alla spontaneità. Non avevo ancora compreso pienamente che i soliti prevedibili meccanismi sociali per un uomo come Filo non hanno alcun valore.
Il pomeriggio seguente, con una calcolata quanto inutile mezz'ora di ritardo che lui non notò perchè non mi stava affatto aspettando, arrivai sul ponte di Brooklyn. Splendeva il sole e una piacevole brezza regalava un cielo limpido. Restai, come sempre, affascinata dal mix di persone d'ogni razza e colore che percorreva il ponte più bello e vivo del mondo; ciclisti che sfrecciano pericolosamente urlando