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L'incertezza
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E-book222 pagine3 ore

L'incertezza

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Info su questo ebook

I fatti collegati a un omicidio efferato condotto con un modus operandi alquanto particolare, fanno emergere una vicenda in cui sono coinvolte due famiglie legate da un evento drammatico successo molti anni prima.

L'omicidio e la storia di queste due famiglie che si snoda su un arco temporale di 30 anni, porteranno a galla una serie di denunce di persone scomparse e mai ritrovate che scateneranno una serrata caccia al killer su 3 città del Nord Italia.

Sullo sfondo il ritorno costante del concetto di incertezza che impera sulle vicende di tutti i personaggi, coinvolgendoli in un andirivieni di alti e bassi emotivi che fanno da collante nell'intreccio delle loro vite lungo lo snodarsi del racconto.
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2018
ISBN9788827810668
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    Anteprima del libro

    L'incertezza - Giacomo Manini

    twitter.com/youcanprintit

    Capitolo I

    La catarsi

    E’ novembre inoltrato e le luci della galleria di negozi del centro commerciale cominciano a tingersi di note color rosso e oro. Percepisco come fosse mia l’agitazione della gente che mi passa vicino sfiorandomi di tanto in tanto; corrono tutti in quella direzione, là da dove provengono quelle urla strazianti. Questo fervore, questa eccitazione verso l’ignoto mi inebria, quasi fosse un attacco di pazzia che mi invade la testa; e pensare che tutta questa massa informe di corpi, questo gregge che mi passa a fianco, in momenti di normalità mi creerebbe fastidio. La routine trasforma l’umanità in bestie da soma: ognuno pensa a se, nell’incedere sordo e noioso della vita quotidiana, come fosse un naufrago su un isola deserta avvolto nell’involucro del corpo che gli fa da scudo, va proteggendo ciò che prova nel profondo, mostrando al mondo quello che crede il lato migliore, quello sociale e socievole. Oggi, proprio qui in questo attimo, io ho donato loro un minuto di diversità, li sto costringendo a uscire dagli schemi e sebbene per comune e gretto senso del pudore negheranno a loro stessi che ciò che hanno potuto vedere, in fondo, gli ha provocato un brivido di libidine, essi non potranno che essermi riconoscenti nel futuro per aver dato loro qualcosa da raccontare ai posteri e per aver liberato il mondo da un altro pezzo di immondizia bugiarda.

    Ho sempre avuto fin da piccolo la capacità di leggere la mente delle persone semplicemente guardando l’espressione dei loro occhi; carpirne le emozioni che sottendono alle verità nascoste, al di là di ciò che la socializzazione impone loro di mostrare al pubblico. Ricordo come fosse ieri la prima volta che compresi che mio padre stava mentendo a mia madre in merito ad un suo presunto viaggio di lavoro. Lei che all’epoca cominciava già a mostrare i segni di una malattia che di lì a qualche tempo l’avrebbe sottratta alle nostre due vite, la mia e quella di mia sorella di appena 2 mesi. Ero troppo piccolo per comprendere quello che mi stava accadendo: sentivo ribollire nel profondo un sentimento a cui non potevo dare un nome e che proprio per questa inconsapevolezza, si faceva gioco di me entrandomi dentro, prendendomi l’anima e tirandomi verso il basso dell’esistenza in un vortice di emozioni volgari e contrastanti. Ogni mio atto innocente di bimbo alla scoperta della vita era come stuprato dalle nefandezze che questo evento di estrema codardia dell’adulto che avrebbe dovuto farmi da faro nella nebbia mi provocava. Lui, pur consapevole delle condizioni di salute molto gravi di nostra madre, continuava imperterrito a mentirle e indirettamente a mentire a noi, per andare con quella sgualdrina da quattro soldi che aveva conosciuto in un vicino bar, nel lugubre, giallastro, quartiere di periferia in cui vivevamo. Perfino negli ultimi giorni di vita di mia madre, qualche ora prima che morisse, lui codardo dei codardi, le aveva mentito dicendole per l’ennesima volta che doveva partire e quando lei aveva esalato il suo ultimo respiro, lui era con la faccia tra le cosce di quella puttana assetata della disperazione di vite altrui.

    I primi periodi, schivavo ogni forma di relazione sociale come primitivo schema di difesa interiore; mi sentivo condannato in una vita dentro la quale non avevo deciso io di entrare.

    Un venditore di telefonia mi riporta al presente dal viaggio che avevo intrapreso nelle giungle dei miei pensieri: cerca di catturare il mio interesse presentandomi l’ultima meraviglia in materia di tariffe, gigabyte e altre diavolerie; nel suo modo di parlare c’è qualcosa di falso, di finto, di posticcio, con quell’enfasi che mette in tutte le sillabe finali delle parole che lui ritiene importanti al fine della conclusione dell’affare che mi va proponendo. Glielo hanno insegnato in uno dei vari corsi di vendita tutti uguali, dove cercano di rifilarti l’idea che bastano alcune ore d’aula per apprendere una serie di nozioni preconfezionate, che se utilizzate in modo pedissequo e robotizzato sono in grado di trasformare un nerd nel migliore dei venditori. Sarei quasi tentato di dargli una testata sul naso per fargli pagare tutte le ingiustizie che mi sento addosso, vere o presunte che siano, ma mi fermo non tanto perché mi interessi qualcosa di quel derelitto senza speranza anzi, mi verrebbe voglia di aspettarlo fuori e spezzargli la vita lentamente fino a sentirgli esalare l’ultimo respiro, quanto perché qualcosa di lui mi ricorda me: siamo entrambi legati all’esistenza da un profondo senso del dovere che per lui significa una carriera da venditore e per me, uccidere corpi senza anima.

    Ricordo come fosse adesso la prima volta che successe, che emozione provai: finalmente dopo anni di incertezze riguardo la mia natura, dopo mille titubanti paure, ecco presentarsi, davanti ai miei occhi la via di fuga, la porta per la mia salvezza. Se ci penso, sento ancora sulle dita quella sensazione inebriante di umido caldo e oleoso data dal sangue che sgorgava lentamente dalle sue viscere e con flusso continuo, come un rivolo d’olio proveniente da una vicina auto officina che bagna il canale di scolo di una fogna a cielo aperto, mi lordava la punta delle dita e da lì gocciolava sulle mie scarpe, mentre gli toglievo la vita guardandolo morire dentro dalla prospettiva dei suoi occhi. Qualche minuto prima percepivo in lui rabbia, sgomento, incredulità, tutte emozioni banali, scontate in quel frangente, e poi alcuni secondi prima che lui lasciasse questa vita, d’improvviso il nulla: non ero più stato in grado di capire, eppure lui era ancora lì davanti a me, a occhi aperti che respirava, seppur a fatica. Non era svenuto; era vigile, attento più che mai all’attimo per evitare che la vita sfuggisse alla vita. Più lui si aggrappava all’ultimo istante, più io non riuscivo a leggergli dentro e in quel preciso momento avevo compreso che la morte è l’unica, vera invenzione delle invenzioni. La morte rappresenta per me l’incertezza per eccellenza e in tal senso è ciò che dà stimolo alla vita. In quell’istante io non ero stato in grado di capire che cosa gli passasse per la testa, di leggergli nel pensiero: era come se la morte, per riserbo, avesse steso un velo tra i due mondi. Mi ero sentito normale, avevo provato desiderio di vivere e non più voglia di morire e quel desiderio proveniva dall’istinto di uccidere, che dopo tante peripezie aveva preso il sopravvento su di me. La morte lenta sotto forma di omicidio cruento, era la mia via di fuga per una vita normale: finalmente mi sentivo guarito dentro, pronto a intraprendere un cammino all’insegna del desiderio di vivere. Io che non ero stato in grado di costruirmi un percorso come tutti fino a quel momento, improvvisamente a 22 anni avevo capito che per me vivere felice avrebbe significato farlo uccidendo.

    Ma ecco di nuovo quella voce nasale che incalza:

    "Allora signore converrà con me che questa è una imperdibile offerta e solo per oggi lei è tra i pochi fortunati!"

    Sono tornato alla realtà a causa di questo sfigato: fino a poco fa mi stavo facendo cullare dalla tranquilla risacca dei miei ricordi e improvvisamente è come se fossi uscito da una sauna a piedi nudi, direttamente sulla neve. Decido di fuggire da quel terminator in giacca e cravatta che spara cazzate che suonano tipo: listini, fantastiche promozioni e tariffe speciali. Velocizzo il passo un po’ per fuggire da mister vendite ribelli e un po’ perché non voglio perdermi lo spettacolo dato dallo stupore delle persone che si stanno accalcando sulla porta di ingresso dei bagni degli uomini. Quanto è falsa l’umanità, pronta a rinnegare ciò che veramente la tiene in vita; il processo di integrazione sociale, la cultura, mettono una paratia tra ciò che ognuno di noi è nel profondo e ciò che deve essere, per poter vivere in mezzo agli altri. Ma la morte cruenta ci attrae tutti, perché è l’unica vera chiave in grado di aprire quella paratia; ed ecco che i nostri comportamenti di uomini in mezzo ad altri uomini si annullano, nel desiderio di stare almeno per qualche secondo a contatto con essa perché è lì che percepiamo, nella sua brutale semplicità, la nostra vera natura.

    Sono circa a una ventina di metri dall’ingresso del bagno degli uomini: è impossibile proseguire oltre perché la folla si è accalcata nel tentativo di vedere ciò che qualche minuto prima aveva sconvolto l’inserviente delle pulizie al punto da provocare in lei il desiderio di urlare follemente, prima di cadere al suolo priva di sensi. Una signora sulla sessantina, si rivolge a me con accento veronese stretto e mi domanda cosa sia successo e se io dalla mia prospettiva riesco a scorgere qualcosa. Leggo nei suoi occhi il desiderio di vedere e di capire, la speranza che qualcosa di molto trucido e macabro sia lì in scena davanti a lei e che dia un po’ di senso alle sue giornate. Ma ecco che prontamente la menzogna data dal processo di acculturazione prende il sopravvento:

    spero non sia successo nulla di grave a qualcuno, vomitato così senza pudore da quelle labbra tinte di un rossetto volgare da quattro soldi. Come si permette questa donnetta di mentire a me e all’umanità intera al cospetto di un capolavoro come questo? Non ha la minima idea di che servizio sto facendo a lei e ai suoi simili con queste mie incursioni nel mondo degli uomini per cercare di svegliarli dal torpore sociale nel quale si sono incarcerati con le loro mani. Io sono il Buonarroti del nuovo millennio e ciò che faccio, i miei capolavori li definirei, sono il più grande regalo che un essere umano possa ricevere e sono sicuro che Johann Wolfgang Goethe quando scrisse: ‘Senza aver visto la Cappella Sistina non è possibile formarsi un’idea apprezzabile di cosa un uomo solo sia in grado di ottenere’, sarebbe orgoglioso di me e dedicherebbe quella sua frase anche alle mie opere d’arte, oltreché a quelle del Maestro.

    State indietro per favore, lasciate libero il corridoio di entrata ai bagni per permettere alle forze dell’ordine di fare il loro lavoro, urla un uomo in divisa dal basso del suo metro e sessanta. Stanno transennando l’area circostante per evitare che i curiosi contaminino la scena del crimine. Percepisco in tutti un senso di frustrazione misto a rabbia nei confronti di quell’omino basso e tarchiato. Se ci fosse un motto che accomuna questa massa informe di persone sarebbe: ‘come ti permetti piccolo bastardo ridicolo di negarci il contatto con la verità!’

    Mi allontano e mi siedo ad uno dei tavoli del bar, proprio di fronte l’entrata dei bagni: questi sono i momenti in cui l’adrenalina comincia a defluire e lascia il posto a una sensazione di piacevole torpore, i momenti in cui io riconosco di aver fatto un ottimo lavoro, i momenti in cui percepisco di aver lasciato un segno nelle menti delle persone, di aver fatto vivere loro qualche minuto di sana, vera follia. Che sensazione idilliaca il fotogramma inchiodato alla mia mente come un quadro dai colori sgargianti, di quel corpo nudo seduto sul water, con la testa appoggiata al pulsante dello scarico, le labbra semichiuse. Quanta voglia avrei di essere di nuovo lì accanto a lui, di osservare di nuovo quei suoi occhi spalancati che negli ultimi istanti di vita, mi hanno negato l’accesso alla sua anima, non permettendomi di capire più nulla. L’oblio della morte imminente, è il più forte zampillo di vita che esista e io mi nutro di questa energia.

    Merry Christmas!

    Una voce metallica mi riporta per un istante alla realtà e io penso che sia l’ennesimo stratagemma commerciale del venditore di telefonia di prima che mi ha seguito fin qui perché sta applicando la regola appresa al corso di vendita: ‘non mollare mai’. Girando la testa mi accorgo in realtà che la voce robotica proviene da un albero di natale parlante, posizionato su un treppiede a fianco dell’entrata di un negozio di profumi, vicino al bar. Ma io ho ancora bisogno di stare nell’attimo eterno dei miei pensieri, non è ancora venuto il momento di chiudere questo capitolo della mia vita, il quindicesimo per precisione di dettagli. Si crea quasi un legame di affetto, direi di amore tra me e le mie vittime, perché così come nell’amore e nell’erotismo sono i pensieri che precedono l’atto, a generare un intenso desiderio, così anche nella danza della morte, i giorni che precedono la messa in scena della mia opera d’arte, per me sono pieni di emozioni così forti da eccitarmi al punto da fare quasi male, emozioni che per forza di cose devono sfociare nel contatto fisico. Per gli innamorati questo contatto fisico culmina con la penetrazione; per me il culmine sta nell’uccidere la mia vittima in un estremo atto di folle copulazione omicida. Io ho bisogno di stare vicino alle mie future vittime; dopo un primo istante, che io chiamo l’innesco, in cui provo nei loro confronti un impulso di rabbia incontrollabile, quando ho compreso che quello è il prescelto, in me sale quasi un sentimento di amore incondizionato che culmina con la morte. E allora comincio a muovermi nell’ombra delle sue giornate, lo seguo da vicino stando attento a non farmi beccare. E in quella forma di pedinamento, io scopro la bellezza della vita: mi cibo delle sue giornate, arrivo a conoscerne ogni singolo movimento. E poi, come se venisse dal nulla, io riconosco quando è giunto il momento per me e per loro. Sì perché sono convinto che la morte prepari il corpo e la mente a nostra insaputa già qualche giorno prima che noi moriamo ed è così che si crea quella danza di corpo, mente e anima tra me e le mie vittime. E’ come se ballassimo un tango a distanza, sento i nostri due corpi risuonare all’unisono. Ma questa danza a distanza non può proseguire all’infinito perché io ho bisogno di loro e loro di me.

    Ma non è stato così fin dall’inizio: durante le mie prime esperienze ero goffo, poco concentrato, mi facevo distrarre dalle emozioni e non riuscivo a godermi il susseguirsi degli attimi perdendo così una parte fondamentale di quell’energia che mi dà spinta, che mi dà vita. Poi, dal sesto omicidio in poi, le cose hanno cominciato ad andare sempre meglio grazie anche e soprattutto a lei: incontrarla e conoscerla ha dato equilibrio e forza al mio essere. Prima di lei, se ci rifletto, ero uno dei tanti, un po’ grezzo nel modo di esprimere la mia natura. C’era un distacco netto tra le mie due vite e questo si percepiva e generava in me quella meccanicità tipica di chi ancora deve trovare il solco dentro cui costruire il suo percorso. Dopo averla conosciuta, mi sono ammorbidito nei movimenti, ho reso più flessibili le mie convinzioni, rendendole più malleabili e così le mie due nature, le mie due vite sono penetrate l’una nell’altra e oggi da due, io sono diventato uno e la parte di me oscura, ha preso luce dalla parte di me sociale, donando al contempo a quest’ultima, quella parte fondamentale di oscurità senza la quale vivere sarebbe di una noia mortale.

    Queste considerazioni finali sono la ciliegina sulla torta di una giornata iniziata nel migliore dei modi ed io sono contento, felice direi e con questa leggerezza nell’anima mi alzo in piedi e mi incammino verso l’uscita. É venuto il momento di riportare nell’ombra la mia seconda natura; essa ha preso la luce che le serviva, di più sarebbe deleterio e pericoloso e allora Merry Christmas anche a te mia quindicesima vittima sacrificale, Merry Christmas figlio di puttana e ricorda che a essere nocivo per la salute a questo mondo non è solo il fumo ma anche la menzogna.

    Capitolo II

    Chi sono io?

    Nei pomeriggi assolati di fine Novembre, un’ora prima dell’imbrunire, sulla superficie del lago di Garda si forma uno specchio che da certe angolazioni riflette le forme con contorni slabbrati e imprecisi. Tutto si è fermato oramai da qualche settimana: il frastuono dei giochi e delle scorribande estive, le colonne di auto di turisti alla ricerca di un piccolo fazzoletto di erba su cui rilassarsi, i profumi di griglia provenienti dai campeggi che si adagiano tutt’intorno alla costa come grasse matrone stese al sole, hanno lasciato il posto alla tranquillità dell’autunno inoltrato. Il mondo da queste parti si sta addormentando; persino i rumori sembrano chiedere il permesso prima di irrompere coi loro decibel negli istanti di vita sospesa che qua e là ravvivano il paesaggio assonnato.

    Da dove è seduta Lucia si intravedono due barche di pescatori che stanno rientrando nel piccolo porticciolo del paese dove abita da una quindicina di anni. Ogni pomeriggio, se non ha altri impegni impellenti, è solita scendere a piedi giù al lago per godersi la quiete che lo stesso le trasferisce. Si siede sempre sulla stessa panchina antistante la pista ciclabile e lascia che la mente vaghi senza meta, intanto che scruta le acque all’orizzonte alla ricerca di risposte corrette a una serie di domande che si rivelano di solito sbagliate.

    Si veste a caso, senza la minima cura nell’abbinare colori, toni e tessuti: per lei concetti quali desiderio, femminilità e voglia di esprimersi, sono elementi superflui in una vita che almeno in superficie sembra vissuta con grande distacco. Quello del vestire è uno dei tanti segnali più o meno espliciti che Lucia lancia al mondo, il suo modo defilato e a tratti anche un po’ codardo di gridare a chiunque le si avvicini 'lasciatemi in pace’. Ogni forma di contatto con gli esseri umani, soprattutto esponenti dell’altro sesso, le provoca da sempre non pochi grattacapi e da quando aveva 16 anni, questo fatto ha causato parecchi andirivieni di persone che si sono succedute nella sua vita con scarso successo. Sembra che nulla che ha a che fare con il materiale umano sia in grado di rimanerle appiccicato alla pelle.

    Vive una routine fatta di solitudine, silenzi e poca voglia di mettersi in gioco: meglio rimanere nell’ombra e tenere sotto controllo quel costante fastidio alla bocca dello stomaco provocato da un senso di colpa esagerato, che fa continue scorribande nella sua quotidianità e che le impedisce di vivere una vita normale fatta di alti e bassi, errori e successi. Le decisioni, le relazioni sociali e i progetti non hanno mai nemmeno sfiorato la sua breve esistenza: prendere decisioni per lei, siano esse le più semplici di natura quotidiana o le più complesse, è faticoso e debilitante perché decidere implica confrontarsi con il dubbio di avere fatto la scelta giusta. Affrontare una relazione di natura amorosa o di amicizia è un peso eccessivo perché significa doversi fidare del prossimo mettendo a nudo la propria anima.

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