Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Mario Vergine
Mario Vergine
Mario Vergine
E-book175 pagine2 ore

Mario Vergine

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Narrativa - romanzo (120 pagine) - Incontrare la Madonna è senz'altro un colpo di fortuna. Se però ti innamori di lei, la faccenda si complica. E poi, come lo spieghi a tua moglie?


Mario, quarantenne intrappolato in una vita lavorativa e familiare senza sorprese, intravede una speranza di cambiamento nel suo licenziamento improvviso e nell'incontro con Maria, una misteriosa ragazza dalle doti fuori dall'ordinario. Si convince che la ragazza sia in realtà la Madonna in persona, e intraprende con lei una relazione amorosa tra il platonico e il profano, dissolvendo tutte le sue certezze per sostituirle con emozioni a lui sconosciute.

Mario dovrà così gestire i conflitti tra la sua vita da uomo adulto, fatta di doveri e responsabilità, e la chimera di una libertà ancora difficile da immaginare.

“Un romanzo che a suon di battute fulminanti denuncia uno stato esistenziale molto diffuso in questa nostra epoca, caratterizzato da un lavoro alienante che fa dimenticare i sogni che si avevano all’inizio." (Stefania De Matola, blogger)


Autore e musicista, Giuseppe Velasco si divide tra progetti in diversi settori dell'arte e della comunicazione (teatro, radio, web e audiovisivi). Nel 2015 ha scritto e diretto la commedia teatrale Soli al Mondo. Nel 2017 è uscito il suo primo romanzo dal titolo Cuore di Picche, pubblicato da Edizioni GoWare. Mario Vergine è il suo secondo romanzo.

LinguaItaliano
Data di uscita12 giu 2018
ISBN9788825406221
Mario Vergine

Leggi altro di Giuseppe Velasco

Correlato a Mario Vergine

Titoli di questa serie (7)

Visualizza altri

Ebook correlati

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Mario Vergine

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Mario Vergine - Giuseppe Velasco

    romanzo.

    1

    I tornelli girano, vorticosi, come i miei pensieri.

    Sono di nuovo in ritardo. Un ritardo cronico, incalcolabile. Inevitabile. Puntuale. Un ritardo a cui ho fatto l'abitudine. Anzi, direi che mi ci sono proprio affezionato. In ogni caso, ho smesso di combatterlo, tanto vince sempre lui. Non importa quanto mi affretti ogni mattino tra colazione, metropolitana, trenino, la signora lumaca che si trascina a rallentatore davanti a me, cazzo, fammi passare. Nonostante il mio impegno arrivo sempre almeno dieci minuti dopo l'orario di entrata. Non so come sia possibile, è una specie di magia.

    All'inizio, da neo-assunto, mi preoccupavo. "Stavolta si incazzano", pensavo. E in effetti si incazzavano sul serio.

    – Vergine, sta accumulando ritardi ogni giorno, da due mesi. Come mai?

    Bella domanda del cazzo, fatta apposta per sentirsi rispondere una minchiata. Ma non gli regalo la soddisfazione.

    – Mi dispiace, non succederà più.

    Promesse da marinaio. Diverso giorno, stessa storia: ritardo fisso e il passaggio del badge che fa scattare la lucetta gialla – la peggiore delle tre.

    Lucetta rossa: accesso negato.

    Lucetta verde: bravo impiegato.

    Lucetta gialla: brutto stronzetto ritardatario.

    Purtroppo gli ultimi due casi condividono lo stesso destino. Il tornello gira lasciandomi accedere agevolmente alle mie prigioni quotidiane. Ed è questa la cosa che mi fa più incazzare: sapere che loro mi lasceranno entrare comunque, nonostante il ritardo, negandomi ogni via di fuga. Negandomi ogni speranza.

    Ogni mattina, pochi secondi prima di attraversare la linea che separa il meraviglioso mondo esterno dalla maledetta sede aziendale, ripeto a me stesso la stessa frase stanca: Non ci posso credere, sto per passare ancora un altro giorno qui dentro. Un giorno intero. Voglio morire. Ma questo è davvero l'ultimo. Lo prometto.

    Ma come ho spiegato prima, le promesse non sono il mio forte.

    Qui dentro oggi è come ieri. Per otto lunghissime ore il tempo cessa di esistere, tutto si ripete con la cadenza di un pendolo inesorabile. Nessuna sorpresa.

    O forse no, aspetta, cosa succede stamattina? Ho preso due caffè ma sono ancora talmente intontito che mi serve qualche secondo per accorgermi del fiume di impiegati che si riversa dal corridoio centrale in direzione della sala conferenze. Tutti in fila come formiche diligenti. E io vorrei tanto pestarle tutte con il mio piede gigante: splatch!

    – Mario, sei arrivato adesso?

    Emma. La mia collega e dirimpettaia di cubicolo. Anche lei come gli altri si dirige verso il grande corridoio centrale, rallentando il passo per richiamarmi all'ordine.

    – Sì, proprio ora. Ma che succede? C'è una conferenza? Un workshop? Non ho ancora controllato il calendario…

    – Mi stupirei del contrario – commenta con il suo tono da saputella che mi fa tanto prudere lo scroto. – In ogni caso non sarebbe servito, questo non è un evento calendarizzato.

    Un brivido gelato mi percorre la schiena, è la mia reazione naturale ogni volta che sono costretto a subire questa oltraggiosa terminologia impiegatizia. Quella di cui Emma e gli altri colleghi vanno ghiotti. Evento 'calendarizzato'. Brrr.

    – Insomma, di che si tratta? – le chiedo come se mi importasse davvero.

    – È una convocazione straordinaria. Ce l'hanno comunicata circa venti minuti fa via email. Immagino che tu non abbia ancora controllato la tua casella di posta elettronica.

    Controllare le email è quello che faccio ogni giorno per otto ore di fila qui dentro. Perché mai dovrei cominciare prima ancora di arrivare?

    – No, mi è sfuggito di mente – mento. – Convocazione, eh? E cosa devono dirci?

    – Non si sa. Qualcosa di importante, credo, visto che riguarda tutti gli impiegati del Campus.

    – Ho capito, sarà la solita cazzata sui risultati trimestrali – sentenzio mentre mi incanalo docilmente nella corrente di impiegati che trottano verso l'oblio.

    2

    La sala conferenze è la più grande del Campus: praticamente un piccolo auditorium, con quasi trecento posti a sedere. Impersonale e asettica, tra le sue eleganti poltrone grigio topo, lo schermo bianco lucido per le proiezioni, il soffitto plumbeo e l'aria stantia, sembra di stare dentro un plastico di architettura funzionalista degli anni sessanta. Se gli altri uffici si limitano a riempirmi l'anima di tristezza, la sala conferenze mi invita a considerare seriamente il suicidio come valida alternativa. Per questo evito sempre di entrarci. In otto anni sarà capitato al massimo cinque volte, e sempre sotto minaccia di nota disciplinare dal manager di turno.

    Trecento posti sono tanti, ma l'azienda conta più di mille impiegati in totale, di cui circa seicento soltanto in questa sede. Ed eccoli riuniti qui oggi, tutti insieme, per celebrare chissà quale santa messa in culo. Spero soltanto che facciano in fretta, comincia a fare caldo, qui dentro.

    Sul pulpito non si è ancora fatto vivo nessuno, si vede solo un microfono eretto stagliarsi contro lo schermo che trasmette trionfante l'icona di un Microsoft Windows d'annata. Brusio leggero in sala. Segni di vita flebile, composta, mai eccessiva. Ne approfitto per guardarmi intorno. Non avevo mai visto tutti gli impiegati insieme, neanche alle cene di fine anno – anche perché le diserto puntualmente. È uno spettacolo indecente, peggiore di quanto immaginassi: un gregge uniforme di pecore ammassate, volti pallidi, sorrisi sterili. Dio mio, penso, che cazzo ci faccio io qui in mezzo, tra queste facce tristi? Che sia anche io come loro? Credo di no. Spero di no. Io non sono un impiegato triste, vero? No, non lo sono. Io sono un impiegato incazzato.

    – Cazzo, quanti siamo – mormoro a bassa voce.

    – Eh, seicentotrentadue, se non sbaglio – ribatte Emma con la sua voce da centralinista.

    – Li hai contati così? A occhio? – le chiedo stupito.

    – Ma che dici. È il numero ufficiali di impiegati Gehlt.

    Mah. Decido di dedicare a Emma uno sguardo attento della durata di circa sei secondi. Non mi capita spesso di vederla a figura intera, lei, amazzone moderna, paladina del terziario avanzato, mezza donna e mezza scrivania. Sposata, due figli di tre e cinque anni, sveglia quotidiana alle sei del mattino, colazione proteica, sessione di jogging nella palestra del Campus tre volte a settimana. Fidelizzata al brand, Emma rappresenta l'agnello sacrificale modello per una multinazionale come la nostra: entusiasta, intraprendente e, come a loro piace tanto dire, 'restless'. Ovvero, indefessa. Ovvero, fessa. Certo, i suoi due anni di maternità – quasi consecutivi, per ottimizzare i tempi – hanno forse pesato leggermente sul bilancio aziendale. Ma la nostra eroina ha ripagato la ditta lavorando sempre alacremente come una tedesca. E in effetti Emma è tedesca. Bavarese, per la precisione. Unica nota dolente della sua vita professionale: dover dividere l'ufficio con un impiegato lavativo, ritardatario e con la capacità di attenzione di una bertuccia: me.

    A proposito, salve a tutti. Mi chiamo Mario. Mario Vergine.

    Finalmente un rappresentante del management si palesa – i manager veri li riconosci dalla camicia inamidata, l'orologio da quindici etti al polso e la pancia prominente che balla sopra la cintura di pelle in fibbia dorata. È vero, quella pancia non è un bello spettacolo. Ma i nostri eroi non possono permettersi il lusso di prendersi cura del proprio fisico, sono troppo impegnati a escogitare nuovi modi per metterla nel culo al resto dell'umanità.

    Salgono in due, sul palchetto, il gatto e la volpe. Lo sguardo torvo, grave, di chi ne sa di più di te. Mi accorgo che non indossano la giacca, brutto segno. Di solito i manager la tolgono quando vogliono farti credere di essere dalla tua parte. Se poi, come questi due, hanno anche le maniche della camicia arrotolate fino al gomito, come se stessero lavorando davvero, il passo successivo è facilmente prevedibile: sta per piombarti addosso un quintale di merda fumante.

    Mentre uno dei due si avvicina al microfono, l'icona di Windows proiettata sullo schermo dietro le sue spalle si trasforma per magia in un numero criptico, tipo cabala:

    91

    – Buongiorno. Innanzitutto vi ringrazio di essere tutti qui stamattina, nonostante la convocazione last-minute. Abbiamo aspettato fino all'ultimo momento prima di indire questo meeting straordinario, sperando che non fosse necessario. Ma purtroppo, non è stato così.

    Pausa.

    Quest'uomo dovrebbe scrivere sceneggiature per serie tv, è il mago del cliffhanger.

    – Non c'è un modo facile per dire quello che vi sto per dire, e in ogni caso non voglio girarci troppo intorno. Per cui vado dritto al punto e vi spiego subito il significato del numero che vedete alle mie spalle.

    Nel caso foste così tonti da non averlo già capito da soli.

    – Entro fine giornata, novantuno impiegati del nostro Campus dovranno lasciare l'organizzazione.

    Il brusio in sala monta. Le pecore sono evidentemente smarrite. L'oratore attende paziente che il belare si plachi, poi riprende la parola.

    – Ci dispiace molto. Questa decisione è pervenuta stanotte dalla sede centrale negli Stati Uniti. Come sapete, quest'anno l'azienda ha dovuto fronteggiare un drastico calo dei ricavi a livello mondiale…

    Bla bla bla. Nessuno gli presta più attenzione, ormai. E lui lo sa bene, proprio per questo ha deciso di fornire spiegazioni solamente dopo aver sganciato la bomba. L'obiettivo era infatti quello di assordare la platea con il frastuono della deflagrazione, in modo che nessuno potesse più ascoltare le cazzate che avrebbe fornito per giustificare la mattanza. Missione compiuta, Sergente!

    Guardo il numero dipinto sullo schermo. Novantuno. È un gran bel numero, lo ammetto. Novantuno licenziati su circa mille impiegati in totale, in pratica uno su dieci. Un impiegato su dieci, stasera, tornerà a casa senza più un lavoro.

    Novantuno. Un numero ragionato con sapienza certosina. Non è cento, né novanta; un numero tondo infatti avrebbe dato l'idea di un ordine cieco, dettato da sete assassina: – Fatene fuori cento!.

    No, sarebbe stato troppo forte. Novantuno, invece, trasuda sangue e lacrime. Come se avessero esaminato gli impiegati uno a uno, caso per caso, salvando tutti quelli che si potevano salvare, fino a constatare drammaticamente il totale delle vittime soltanto a fine processo, ossia novantuno. Un numero da martiri.

    – I criteri di licenziamento – continua il Sergente Maggiore pronunciando finalmente la parola magica – saranno comunicati singolarmente agli impiegati interessati dalla decisione. Contiamo di raggiungerli tutti entro le ore quindici di oggi. Vi ringrazio per l'attenzione.

    Click. Il microfono si spegne, il brusio si riaccende, ma con meno verve di prima.

    A quanto pare, le pecore sono già passate dalla fase iniziale dello sconcerto a quella dell'accettazione. Tempo qualche giorno, almeno per chi avrà conservato il posto di lavoro, questa mattinata cadrà nell'oblio. Meglio così. La memoria, in fondo, serve solo a rendere la vita più amara.

    La mandria si incanala verso l'uscita, composta. Io mi limito a seguirla, scomposto. Cerco Emma, ma non la vedo. Forse si è già defilata. In ogni caso, chi se ne frega, l'unica cosa a cui penso adesso è quel numero: novantuno. L'uno, in particolare. Lo vedo stagliarsi davanti ai miei occhi, come un palo contro cui sbatti il naso mentre cammini per strada sovrappensiero. Perché ho la sensazione di essere proprio io, quell'uno. E non mi dispiacerebbe affatto. In fondo, ho sempre desiderato essere il numero uno.

    3

    Corridoio, cubicolo, scrivania. Finalmente scarico la zavorra da pendolare che mi trascino dietro da ormai quasi tre ore e mi lascio cadere sulla poltroncina girevole. Ciondolo a destra e sinistra, come un beota. Rifletto. Cosa spero che accada, cosa spero che non accada. Perché anche se la speranza non ha alcuna vera influenza sulla

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1