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Le stelle di Sole
Le stelle di Sole
Le stelle di Sole
E-book321 pagine4 ore

Le stelle di Sole

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Info su questo ebook

Due vite in sospeso.
Un incontro atteso da trent’anni.
Una morte misteriosa, che chiede di esser compresa.
Gli amori: che finiscono, che cominciano. Forse.
Tra colline umbre, promontori toscani e cieli romani, passando per New York, le vite di Sole e Massimo scalceranno per uscire dalle macerie.
A che prezzo?
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2019
ISBN9788855170109
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    Anteprima del libro

    Le stelle di Sole - Loredana Conti

    TEMPERAMENTI

    I Romantici di Entheos

    Le stelle di Sole

    di Loredana Conti

    Photo copertina Pixabay

    ©ENTHEOS EDIZIONI srls

    Tutti i diritti riservati

    Isbn 978-88-5517-010-9

    Non so nulla con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare.

    Vincent van Gogh

    Il peggiore odio è quello che nasce dalla putrefazione dell'amore.

    Arturo Graf

    L’INIZIO

    1984

    Massimo 11 anni

    Annasole 10 anni

    " Guarda, Sole che riesco a fare. Ora io strillerò scemi e appariranno degli scemi."

    Va bene. Annasole lo guardò sorniona. Più piccola di lui di un anno, ma con un carico di vita così pesante da farla comportare come una saggia sorella maggiore. Da cosa li riconosco? Come faccio a sapere che sono scemi?

    Perché li chiamo e loro appaiono. Appaiono perché li ho chiamati.

    Ah ecco...

    Massimo guardò l’orologio.

    Li chiamerò tra due minuti esatti.

    Va bene.

    La cima della collina su cui si trovavano si affacciava su una strada di terra bianca. Margherite gialle si contendevano il primato della bellezza con farfalle dello stesso colore. A far da giudici inflessibili e imparziali steli di lavanda, papaveri, gelsomini e giacinti. L’aria profumava d’estate, di vacanza, di spensieratezza. Ma nessuno dei due giovanissimi amici era spensierato.

    Massimo guardò di nuovo l’orologio, si alzò in piedi, mise le mani intorno alla bocca per amplificare il suono e strillò:

    Scemiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

    In quel momento, sbucò dal curvone una macchina di grossa cilindrata, grigio scuro, e poi sparì alla vista dei due ragazzi in una nuvola di polvere bianca.

    Visto?

    Certo, ho visto. Una macchina.

    Piena di scemi.

    Annasole si mise a ridere. Massimo le era simpatico. Si erano incontrati dieci giorni prima davanti a un piccolo ruscello dove si andavano a rifugiare ognuno per un motivo diverso. Da quel giorno avevano preso l’abitudine di uscire alla stessa ora e di trovarsi lì. Passavano l’intero e lungo pomeriggio insieme. Loro due soli. C’erano soltanto due case abitate in quel tratto di campagna umbra. Entrambe all’interno della grande proprietà della famiglia di Massimo: una villa sfarzosa, con piscina, e un giardino talmente vasto da necessitare della presenza giornaliera di un dipendente. E l’altra, un tempo casa del fattore che ora abitava in un’ala della villa padronale, un piccolo casolare, con una modesta corte esclusiva, affittata ai genitori di Sole per intercessione del fattore stesso che ne era amico. Due mondi opposti, ma pieni di dolore.

    Perché sono scemi?

    Non te lo posso dire.

    Va bene. Non importa.

    Non ci credi?

    A cosa?

    Che sono scemi!

    Non lo so. Forse ci credo.

    Lo sono! esclamò con rabbia, battendo un piede per terra. Poi voltò le spalle alla bambina: non voleva che lo vedesse piangere. Lei si accorse del suo disagio e disse semplicemente:

    Va bene, ci credo.

    Manuele fai il bravo... potrebbe entrare qualcuno!

    Tuo marito dorme e Alessandra sarà persa come al solito dietro alle sue fantasie.

    I bambini...

    I bambini staranno giocando. Amanda, vieni qui, non fare la scontrosa...

    Quanto sei impaziente!, ma la bellissima donna bionda lo disse ridendo e si lasciò sfilare la maglia.

    Due lunghi occhi verdi osservavano quell’intreccio di mani e gambe con il cuore in frantumi.

    Perché non arriva la mamma? Perché è sempre così distratta?

    Altri due occhi, questi nocciola e grandi, in quel momento guardavano quelli dolci e malinconici di un viso caro, bianco, sofferente.

    Annasole, perché non aiuti la mamma per la cena?

    Perché mi ha detto che non serve. Che è meglio se sto con te.

    Una mano grande e magra strinse una mano piccola e delicata e la condusse verso un cuore lento.

    Le vacanze per Annasole finirono presto. Suo padre doveva tornare a Firenze per il solito ciclo di cure.

    Perché vai via!

    Dobbiamo tornare a Firenze.

    Te ne vai anche tu. Non è giusto. Vanno via tutti.

    Chi altro va via?

    Tutti. Tutti i miei sogni.

    Prima di Natale Annasole rimase orfana dell’adorato padre.

    Quello stesso Natale Massimo ricevette i costosi regali di Amanda e Paolo, suo marito. Per la solita festa gioiosa tra amici. Tra sguardi rubati. Tra carezze nascoste. A tutti, tranne che ai suoi occhi. Giurò eterno odio a quei due. Guardò la madre, così bella, eterea, distante e pensò che fosse anche colpa sua. E odiò un po’ anche lei.

    2013

    Massimo

    Anche questa giornata comincia con il dilemma che mi accompagna da mesi: vado? Non vado?

    Ho quasi 40 anni. Sono in quella fase della vita in cui cominciamo a guardarci indietro, scoprendo che la strada percorsa è probabilmente più lunga di quella ancora da percorrere. E che tutta la strada fatta non ci piace. Non ci piace affatto. Almeno a me non piace.

    Il lavoro: ore e ore appresso a obiettivi che non sono i nostri. Sono un imprenditore? Ok, sono un imprenditore. Teoricamente quello che faccio fa parte del mio obiettivo. O almeno: di un mio obiettivo.

    E non è così.

    Sono un uomo che ha impreso un’attività perché così ha fatto suo padre e il padre di suo padre.

    Magari avrei preferito fare l’attore. O il ballerino. O il maestro elementare. O lo scrittore. O il muratore.

    Quindi: vado o non vado?

    E se allentassi? E se delegassi? E se anche andasse tutto in malora? Cosa cambierebbe?

    Bella casa: moderna, confortevole, di prestigio. Centinaia di migliaia di euro su cui andare a dormire, su cui sedersi a mangiare, su cui sdraiarsi a guardare un film.

    Siamo tutti Paperon de’ Paperoni: viviamo in forzieri pieni di monete. Anche se le monete non si vedono. Ma sono lì: in ogni rifinitissimo mattone.

    I miei dipendenti … tutti Paperon de’ Paperoni, magari un po’ meno, magari con qualcosa da restituire alle banche, ma anche loro dormono dentro forzieri. Impiegano la loro vita al servizio della sicurezza, del tetto sulla testa, della stabilità.

    Che senso ha?

    Che senso ha impiegare la parte migliore della propria vita per immobilizzarla, per stabilizzarla?

    Che senso ha lavorare dodici ore al giorno per guidare un’auto da trecento cavalli: roba da far impallidire la fata di Cenerentola.

    O per comprare l’ultimo ed ennesimo servizio di piatti di bone china.

    Ah, sì: Lara. Una donna eccezionale. Avvocato penalista, dura come il marmo. In tutti i sensi viste le ore che riesce a dedicare alla palestra.

    Decisamente non ricordo cosa di lei mi fece innamorare, e questo mi sconforta. Mi punii credo. Sì, pensandoci credo proprio sia così: mi son voluto punire.

    Non abbiamo niente in comune. Tanto io apprezzo il silenzio, tanto lei riempie i buchi liberi con rumorosi impegni. Bone china: esatto, l’ultimo servizio di piatti. Per l’ultimo party.

    Vorrei, davvero a volte vorrei accontentarla e fare tanto di quel rumore da farle passare la voglia di organizzarlo. Vorrei rompere a uno a uno quei lucidi, brillanti e perfetti piatti: il rumore sarebbe di suo gusto. Ma poi ricordo che son fatti con la cenere di ossa di animali e per pietà evito.

    Ogni domenica è un ricevimento: magistrati, politici, imprenditori (più di me: quelli veri, quelli che non dormono la notte perché non vedono l’ora di tornare in azienda).

    Tutta gente che le serve. Perché alla fine è questa la storia: ricevimenti, pranzi, o come diavolo li chiama lei, le servono per mantenere le maledette relazioni.

    Annasole

    Devo trovare il coraggio.

    Ogni giorno è quello appena passato e quello che arriverà.

    Posso dire con anticipo cosa succederà tra un attimo come tra un anno.

    Gli sono affezionata, certo! È una persona perbene. Mi ama. Dice di amarmi ancora.

    Ma che senso ha?

    Quasi non ci sfioriamo più da mesi.

    Ha tanta cura, non dovrei lamentarmi.

    Tante mie amiche mi invidiano: quest’apparenza di matrimonio perfetto mi fa più male che se si mostrasse chiaramente per quello che è: un fallimento.

    Un fallimento sentimentale.

    Un fallimento esistenziale.

    Lui si muove con disinvoltura in questo appiattimento della sua vita. Io invece non ce la faccio più. Ma ogni volta che provo ad affrontare l’argomento si chiude a riccio, dice che non ci manca niente, che siamo felici, che andiamo d’accordo. Che abbiamo costruito tanto.

    Cosa abbiamo costruito? Una casa. Ah, sì. Quella sì. Una prigione: inferriate, sistemi d’allarme, cani grandi come cavalli. Un’azienda.

    Che errore... Mai lavorare insieme al proprio marito!

    Se adesso lo lasciassi cosa mi metterei a fare? Lui è una brava persona... ma in questi anni mi ha intessuto intorno una ragnatela da cui mi sarà difficile uscire.

    1985

    Massimo si avventurò verso la casetta bianca, sulla cima della collina.

    Sentì dei rumori, grida di bambini, rimbalzi di pallone.

    Una voce femminile che richiamava all’ordine. Si avvicinò contento: era tornata! Forse erano venuti anche altri parenti o amici. Lo scorso anno c’erano solo lei, la mamma e il papà.

    Si avvicinò.

    Due diavoletti verdi come l’erba su cui si rotolavano ogni minuto, correvano dietro al pallone.

    Una giovane mamma continuava a sbracciarsi per avvertire che era pronta la merenda. Non era la mamma di Annasole. E l’uomo che uscì forse non era il padre. L’anno prima non lo aveva mai visto, ma lei glielo aveva descritto magro, magrissimo. E invece questo tizio era un omone ridente e orgoglioso, che mise un braccio intorno alle spalle rassegnate della moglie per consolarla della totale indifferenza ai suoi richiami da parte dei figli.

    Lo videro, gli si fecero incontro, gentili.

    Cercavi qualcuno?

    Sì, Sole. Annasole.

    Non c’è nessuna Annasole qui.

    Grazie, scusate.

    Corse via.

    L’ultimo sogno a cui si era aggrappato per un anno era rimasto vicino al ruscello. Troppo vicino al ruscello. Se l’era portato via.

    Non ebbe mai il coraggio di chiedere al fattore il nome di quella famiglia, ma per anni sperò di ritrovarla alla casetta. Fino alla prima cotta adolescenziale.

    Da lì quei begli occhi nocciola sfumarono nella sua memoria, ma non furono cancellati. Solo messi in un angolino. Prezioso.

    Annasole quell’anno passò le sue vacanze estive in città. Ogni giorno pensava a un ruscello e a un bambino un po’ matto che però teneva a lei. Lei lo aveva capito. La cercava, l’aspettava. E le raccontava un sacco di storie improbabili.

    Ma non si lamentò di quella reclusione cittadina tra calura e turisti.

    Capiva sua madre: ogni cosa, ogni più piccola cosa era diventata difficile: era ancora incastrata in un dolore che le lasciava una riga al giorno intorno alle labbra e agli occhi. E aveva creato due solchi sulle guance su cui le lacrime trovavano velocemente la strada della terra.

    Per Annasole, l’accenno malinconico del suo temperamento diventò una totalità. E la fiamma che ardeva nel suo cuore si spense quasi del tutto. Divenne Anna. Soltanto Anna.

    Il sole era sparito dalla sua vita: lo volle far sparire anche dal suo nome.

    Ogni tanto due lunghi occhi verdi le sorridevano curiosi nella testa. E tristi. Era triste quel bambino, anche se rideva tanto e la faceva ridere tanto. Triste, divertente e rabbioso.

    L’adolescenza la passò stressandosi dietro a studi che non le piacevano, ma che le avrebbero fatto trovare un lavoro, per far contenta la madre.

    E quegli occhi verdi sfumarono nella sua memoria. Ma non furono cancellati. Solo messi in un angolino. Prezioso.

    2013

    Massimo

    No. Alzo bandiera bianca. Oggi non vado. Che vada tutto in malora. Avrò anche io il diritto di star male un giorno. I miei dipendenti mi mandano un foglietto rosa, e se ne restano a letto con la coscienza pulita.

    E io?

    A chi posso mandare il foglietto rosa? Il mondo andrà avanti anche senza i miei stramaledetti componenti elettronici. Più maledetti del servizio di bone china.

    Un amico mi ha detto delle cose strane sull’elettronica, l’elettricità... Non ho capito molto bene, ma qualcosa mi ha risuonato. Ora lo chiamo. Lui e la moglie sono simpatici, un po’ strani, un po’ esoterici. Ma sembrano così sereni. Liberi. Voglio approfondire. Mi hanno parlato di seminari di tre giorni che si tengono in Umbria e che potrebbero essere, a loro parere, un giusto approccio. Poi qui a Roma ci sono loro e altre persone con cui magari seguire un percorso più lungo, sempreché la prima impressione positiva mi si confermi con l’approfondimento.

    Potrei lasciare Lara alle sue porcellane, ai suoi ricevimenti e dirle che il medico mi ha segnato tre giorni in una clinica per esauriti. Le prenderebbe un colpo. Peccato che non ho il coraggio... sennò come scherzo sarebbe fantastico. Amore mio: sono esaurito. Potrei ucciderti durante il sonno, meglio che vada a curarmi. Sarà felice del mio allontanamento. Non mi sfuggono certe manovre. Le conosco come le mie tasche. Ma non mi interessano. Lei non mi interessa. Non mi è mai interessata davvero. È uguale alla madre. Le dirò che devo assolutamente andare a sistemare delle cose nella nostra casa in Umbria. Non mi accompagnerà mai: la odia. Troppa campagna, troppa natura. Troppo silenzio.

    Annasole

    Una mia amica di Roma mi ha consigliato di allontanarmi da lui per qualche giorno. Mi ha parlato di un posto bellissimo in Umbria, dove organizzano seminari particolari. È l’unica persona che non si è lasciata incantare da Fulvio. Ha capito bene che il nostro matrimonio è solo una facciata ben dipinta davanti a una maceria. Non mi ha fatto la solita morale sull’indissolubilità del matrimonio né dell’opportunità di restare insieme a un uomo con cui divido tutto. Tranne il cuore. Mi ha detto semplicemente che quello che non viviamo oggi lo perdiamo per sempre. Ma che da vivere resta moltissimo e nel momento in cui ne prendiamo coscienza abbiamo il dovere di viverlo. Che se non lo facciamo compiamo davvero un peccato verso lo spirito. E che vale la pena nutrire il corpo con pane e acqua pur di mantenersi liberi di nutrire con abbondanza e bellezza il nostro Io. Sono contenta di averla conosciuta. Fulvio farà il diavolo a quattro. Mi vorrà accompagnare. Gli dirò la verità: voglio capire. Voglio capire cosa devo fare della mia vita. E mi devo allontanare da lui. Mi sono informata: qui a Firenze ci sono molti gruppi che si incontrano tutte le settimane. Se mi piacerà il lavoro in Umbria, mi informerò: sarebbe carino avere un impegno fisso. Da sola.

    Il primo seminario si sarebbe svolto dopo un mese. Si iscrissero entrambi.

    Che problemi ci sono? Hai bisogno che senta Stefano?

    Perché devi sentire Stefano?

    Beh... se hai bisogno di una squadra edile, lui te la può fornire.

    Non ho bisogno di far lavori. Non ci sono problemi. Devo andare a vedere delle cose.

    Che cose?

    Lara, non riesci mai a uscire da un’aula di tribunale? Cose. Cose varie. Devo parlare con il fattore. Cose.

    " Non ti sto interrogando , voglio solo esserti utile."

    Mi sarai utilissima facendo a meno di me per qualche giorno.

    Ma proprio quei giorni devi andare? A ridosso del week end?

    Sì. Proprio quei giorni. Con l’occasione vado a respirare un po’ d’aria buona.

    Non puoi anticipare o posticipare di una settimana? Il 13 ottobre è il compleanno di mio padre, sai che gli organizzo sempre una festa qui da noi.

    Anche Paolo farà a meno di me. Nemmeno si accorgerà che non ci sono. Anzi, fai così: fai finta che io sia lì, lui ci crederà. Si fida ciecamente di te, di tua madre. Crede a tutto quello che gli raccontate tu e Amanda.

    Che ti prende.

    Niente. Non posso modificare la data. Regolati di conseguenza.

    Massimo, l’impegno che hai preso non sarà così tassativo!

    Basta! In quei giorni non contare su di me. Sposta la festa se vuoi.

    Lara si irrigidì. In genere Massimo era più accomodante. Faceva sempre quello che voleva lei. C’era un’altra donna? Non poteva crederci, non era il tipo, sempre così impegnato, pensieroso. A volte le ricordava la madre, quella donna così strana. Sempre assente con la testa. Che lo divenne in via definitiva anche fisicamente dieci anni prima. La trovarono al largo del bellissimo mare di fronte all’Argentario, dove la famiglia aveva una bella villa su un promontorio. Aveva spiccato il volo, e chissà quando si era accorta delle rocce che le si erano fatte incontro. E chissà se aveva percepito il mare lambire la sua gonna, avvolgerla e portarla via con sé. Questi non furono i pensieri di Lara, lei pensò soltanto che la suocera, che non era vissuta abbastanza per diventarlo in vita, era una svitata che si era buttata da una rupe. E che il figlio cominciava a somigliarle troppo.

    Fulvio, voglio andare da sola.

    Perché? Io verrò con te, non ci sono discussioni. E poi che razza di seminario è! Da quando ti interessi di queste sciocchezze!

    Se le ritieni sciocchezze che vieni a fare?

    Perché non mi va che vai sola.

    Sono due ore di macchina. Non duecento.

    Non è per quello.

    Per cosa allora? E comunque le discussioni non ci sono senz’altro. Andrò sola. Ne ho bisogno. Ho bisogno di allontanarmi Fulvio. Ho bisogno di allontanarmi da te.

    Dillo allora! Dillo subito! Invece di girare intorno alla cosa! Ma vai! Vattene pure. Vattene al diavolo già che ci stai.

    Fulvio...

    Ma lui uscì sbattendo la porta. Rientrò a mezzanotte. Si adagiò accanto a lei. L’abbracciò e le chiese scusa. E lei sentì quella catena diventare veramente troppo stretta: un urlo, un’offesa, addirittura uno schiaffo le avrebbero fatto meno male.

    Massimo

    Guarda che spettacolo! Ho fatto bene a venire prima. Voglio godermi questa pace. Proprio bello questo posto. Non so se uscirò da questi incontri con le idee più chiare, sicuramente tornerò con le orecchie meno stressate. E i polmoni rinfrancati. Ecco qua, la signorina dovrebbe essere l’addetta all’accoglienza.

    La stanza che gli diedero era molto spartana, ma confortevole. Un silenzio anche delle percezioni visive. Quello che ci voleva per la sua anima tormentata. In compenso la finestra si affacciava su una distesa verde e guardava il tramonto. Non seppe perché, ma si sentì felice.

    Annasole

    Sono un po’ imbarazzata. Per me è proprio una prova faticosa. Non sono mai andata in vacanza da sola. Sempre con mia madre, con le amiche e poi con Fulvio. Devo stare tranquilla: non mi mangerà nessuno. Che posto incantevole! Ma guarda gli ultimi raggi di sole come si insinuano tra i rami degli alberi! E che pace!

    La stanza che le diedero era semplice e comoda. E guardava il tramonto. Non se lo seppe spiegare, ma si sentì felice.

    L’appuntamento con la guida spirituale era alle dieci, dopo la cena. Gli ospiti, venti persone, si trovarono alle otto nel bel salone vetrato attrezzato per i pasti: avrebbero mangiato guardando le stelle la sera e godendo della natura il giorno. Anna entrò guardandosi poco intorno. In genere aveva bisogno di un po’ di tempo per rilassarsi negli ambienti nuovi. Talmente si guardava i piedi che andò a sbattere contro una schiena.

    Il proprietario si girò sorridente, non doveva avergli fatto un gran male.

    Scusi!

    Veramente sono io a dovermi scusare, ero distratta.

    No, mi sono fermato di botto. Ma certo, avrebbe dovuto tenere la distanza di sicurezza, naturalmente il tono fu scherzoso e gentile.

    Certo! La mia assicurazione coprirà tutti i danni, anche Anna si concesse una specie di battuta. La sua timidezza non l’aiutava.

    L’uomo le tese la mano:

    Piacere Massimo. Sa già dove sedersi?

    Piacere Anna. No, veramente no.

    Venga, sediamoci a quel tavolo, ci sono dei posti liberi ancora.

    Massimo

    La conosco. Ma dove l’ho incontrata? Mi è così familiare. A Roma? Non mi pare.

    Annasole

    Oddio... ma è Massimo? Sarebbe veramente incredibile. Mi è familiare. E quel modo scanzonato... beh, se è lui speriamo che non mi riconosca. Quando ci raccontavamo i nostri sogni, io mi vedevo astronauta. E lui mi diceva che non lo sapeva cosa avrebbe voluto fare, ma che sarebbe venuto sulla luna con me. E ora? Se fosse lui, cosa gli racconterei? Che la mia luna si è girata? Che la mia parte è sempre quella dove non batte il sole?

    Allora, considerando che è stata lei... anzi, facciamo prima: diamoci del tu. Dicevo: considerando che sei stata tu a venirmi addosso e che ormai siamo seduti allo stesso tavolo, posso farti una domanda senza timore che tu la prenda come un tentativo di abbordaggio.

    Va bene.

    A quel va bene Massimo ebbe un tuffo al cuore. Tornò indietro di quasi trenta anni. Un ricordo accantonato. Ma non cancellato. Non poteva essere...

    Ci siamo già incontrati prima?

    Annasole arrossì. Si sarebbe picchiata per quella sua debolezza: a quasi quarant’anni ancora arrossiva.

    Non lo so. Non ricordo. Girò lo sguardo nella sala, per mascherare l’imbarazzo. L’imbarazzo di aver detto una bugia, perché capì in quel momento che lui era davvero Massimo. E non perché si fosse presentato con quel nome, proprio perché era Massimo. Quel Massimo.

    Che strano. Hai detto che ti chiami Anna?

    Sì, Anna.

    Anna e basta?

    Cosa fare? Dirglielo? Decise che no, non glielo avrebbe detto.

    Anna e basta. Ah! Stanno portando da mangiare. Si sente un profumo buonissimo.

    Lui la osservò indagatore, e lei si pentì di aver accettato di sedersi accanto a lui. Massimo! Perché non gli diceva semplicemente quanto fosse felice di rivederlo? Perché lo stava incontrando in un suo ennesimo momento buio.

    Sì. Degli amici mi hanno detto che qui si mangia benissimo. La cuoca si chiama Marisa. Un genio in cucina.

    Buona notizia. Quando vado in vacanza buona parte del mio buonumore dipende dalla qualità del cibo.

    Anche per me! E del vino.

    No, io sono astemia. O quasi. E sai una cosa? Io e mio marito abbiamo una azienda vitivinicola. A Fir... in Toscana.

    Si rese conto che parlare di Firenze gli avrebbe dato ulteriori elementi di riconoscimento. Ma lui l’aveva già riconosciuta. Era sicuro: la donna di fronte a lui era Annasole. Sole. Si sentì ferito: non si ricordava di lui? Per niente? Eppure, in quei lontanissimi venti giorni avevano condiviso un’intimità quasi impossibile a quell’età.

    Per lui, ma era pronto a scommettere che fosse stato così anche per la bambina, erano stati gli unici momenti belli di quelle giornate.

    Sei sposata?

    Sì.

    E tuo marito non è qui?

    No.

    Anche io sono sposato. E mia moglie non è qui. Hai figli?

    Lei lo guardò negli occhi, in quegli occhi, ancora belli, nonostante piccole rughe a far loro da contorno, e gli comunicò con lo sguardo che magari era piuttosto indiscreto. Ma rispose:

    No. Niente figli.

    Ah. Io sì. Un bambino. Ha sette anni. Viziato. E sciocco. Ma spero che con gli anni cambi. Non aveva mentito né scherzato. Suo figlio, che pure amava, era totale proprietà materna: con tutte le conseguenze della situazione.

    È brutto che parli così di tuo figlio!

    Perché? Dico la verità. Del resto, ho poca voce in capitolo rispetto alla sua crescita, quindi non mi sento nemmeno troppo in colpa.

    Insomma...

    Perché?

    Beh, non hai voce in capitolo perché non la vuoi avere. Sei il padre, con tutti i diritti del mondo di intervenire sulle scelte educative di tuo figlio.

    Eccoti...

    Come?

    Massimo non le disse che in quelle parole aveva ritrovato la sua dolce e saggia piccola amica.

    Intendevo dire che mi aspettavo il rimbrotto.

    Bene, meglio che non aspettarsi niente. Siamo qui per fare un lavoro sulla coscienza. Aspettarsi un rimbrotto è quasi come ascoltare la coscienza.

    Che ci sei venuta a fare? Sai già tutto! esclamò con un gran sorriso amichevole.

    E lei rispose con un sorriso aperto, con quel sorriso dolcemente luminoso che aveva fatto innamorare Fulvio, e che la faceva apparire come un faro in mezzo al mare in tempesta:

    Chiederò uno sconto sul soggiorno allora.

    Mangiarono prelibati e genuini manicaretti. Non fu servito vino. Salvo richieste specifiche non sarebbe stato messo a tavola prima

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