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Angelo vendicatore
Angelo vendicatore
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E-book233 pagine3 ore

Angelo vendicatore

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Info su questo ebook

Thriller - romanzo (157 pagine) - Chi è la donna al volante? Chi è Dalila? Ma soprattutto: chi è Angelo Vendicatore?

Angelo non è solo un operaio, è anche un assiduo frequentatore di night club e di donne di dubbia moralità. Non certo un eroe, di sicuro non un cuore puro. No, Angelo è diverso, mantiene un basso profilo per non dare a vedere cos'è capace di fare. Ma è pur sempre un uomo che rimane ammaliato dalla bellezza di Dalila, una prostituta di cui si invaghisce, una donna che soffre per la scomparsa di una collega.
Angelo la troverà dentro un'auto in fondo a un canale, e quello sarà l'inizio della fine.

Simone Pavanelli nasce a Torino nel 1976. Operaio nella vita, si divide tra le sue grandi passioni: la musica e la scrittura. Fa il suo esordio editoriale nel 2012 con Verità oscura. Nel 2014 arriva tra i primi dieci finalisti alla IV edizione del concorso Scriviamo insieme con Sette di denari – Una moderna lotta d'altri tempi.
Nel 2016 esce con La maledizione delle Pecore nere, che si aggiudica il premio speciale della giuria come miglior thriller alla VI edizione del concorso Scriviamo insieme.
Nel 2018 pubblica Il mistero delle cinque croci. Tutti i romanzi sono targati Edizioni DrawUp.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2019
ISBN9788825408843
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    Anteprima del libro

    Angelo vendicatore - Simone Pavanelli

    DrawUp.

    Prologo

    Qualcuno non ci pensa mai, molti neo-padri dovrebbero rimanere zitti o almeno collegare il cervello solo in certe occasioni.

    Nella mia vita ne ho viste di tutti i colori, ma ciò che mi rimane e mi rimarrà sempre impresso sono i nomi e i cognomi di certe persone. Me incluso.

    Sarei curioso di sapere cosa è passato per la mente del signor Topa quando è venuta al mondo sua figlia. Una bambina graziosa che già partiva con l’handicap di un cognome imbarazzante, se poi si vuole mettere un nome altrettanto stupido… Così mi sono trovato, alle elementari, con una compagna di classe che si chiamava Bella Topa. Ma il meglio doveva ancora venire. Alle superiori ero in classe con una bellissima ragazza di nome Nara. Suo padre, il geometra Bocchi, non credo abbia azzeccato bene il nome. All’appello era sempre un dramma per lei. Ora è un magistrato, e nessuno accosta più il suo nome a un’amante del sesso orale. Buon per lei, ma che vita di merda!

    A me è andata meglio.

    Mio padre Alfio ha fatto sempre l’elettricista sotto padrone. Dopo dieci anni di duro lavoro, tante ore e pochi soldi, ha deciso di mettersi in proprio tenendosi i contatti di molti clienti a scapito della sua vecchia ditta che ha chiuso due anni dopo. Il grande Alfio era un mago dell’elettricità e dopo aver aperto la sua attività, con tanto di portafoglio clienti colmo, ha pensato bene di prendersi una bella ciucca con sua moglie Anna e di scoparla tutta la notte per festeggiare la nascita della sua nuova impresa. Ora che ci ripenso, non è poi così bello descrivere il mio concepimento in questa maniera. E così, il 17 settembre del 1970 sono venuto al mondo. Alfio era al settimo cielo. La sua attività andava a gonfie vele ed era diventato padre di un bel bambino. Alfio Vendicatore, titolare della Impianti elettrici Vendicatore, si è convinto che fossi un dono del cielo e che in terra fosse atterrato un angelo con le mie fattezze. E mi ha dato il nome di questo simbolo asessuato dotato di ali e capelli biondi. Mi guardo allo specchio e noto le differenze con questi pennuti troppo cresciuti. Non sono biondo ma sono moro. Non ho le ali. Non sono perennemente depilato, ma devo radermi un giorno sì e uno no per non assomigliare all’uomo delle caverne. Non sono alto e snello ma sono piccolo e magro da far schifo. L’unica cosa che mi è rimasta è questo cazzo di nome che dovrò portarmi dietro fino alla morte. Bella lì Alfio! Ma collegare il cervello mai? Comunque mi presento, mi chiamo Angelo. Angelo Vendicatore.

    1.

    Settembre 1998

    Mi hanno sempre raccontato della bellezza del tornio a controllo numerico. Per me è solo una gran rottura di palle. Sono qui per sette ore e mezzo a guardare questo macchinario lavorare al posto mio. La mia unica mansione è caricare il pezzo grezzo e scaricare quello finito. Mitico.

    Alla fine non mi lamento più di tanto. Ho quasi ventotto anni e lavoro in una fabbrica leader nel suo settore con tanto di contratto a tempo indeterminato. Abito in un monolocale in centro storico a Ferrara e non ho nessun mutuo sul groppone. Tutto quello che prendo me lo sputtano come voglio.

    La macchina mi richiama all’ordine e mi sputa fuori l’ennesimo pezzo. Faccio due calcoli e mi rendo conto di essere avanti con il lavoro. Il bello di lavorare a cottimo è che più fai e più ti pagano. Ogni macchina ha un tempo che, moltiplicato per i pezzi che fai, ti dice per quanto tempo hai lavorato. Quando arrivi a sette ore e mezzo vai a pari. Se vuoi guadagnare puoi farne di più. Arrivando a fare il lavoro di nove ore ti ritrovi con il centoventi per cento della produzione e ti cucchi la maggiorazione in busta. In pratica: ho il tempo di fare la mia produzione con tanto di cottimo e fumarmi un paio di cannoni in bagno con estrema tranquillità. E sì. Non ho tanto da lamentarmi.

    Non faccio in tempo a rilassarmi che vedo il mio minuto capo squadra che viene verso di me. Quasi mi stavo dimenticando che oggi è Santa Bustina, patrono mensile dello stipendio.

    – Ciao Cavaliere dell’apocalisse. Oggi è giorno di paga. Contento? Chissà quanto ci sarà in questa busta.

    Il povero vecchio Franco. Il prossimo mese se ne va in pensione e si toglie dalle palle, lui e il soprannome che mi ha messo. Piccolo, grosso e ignorante come una pacca nell’acqua. Almeno è un buon diavolo. Vorrei dirgli che sono capace di calcolarmi da solo l’importo del mio stipendio, ma così gli rovinerei la giornata. Secondo i calcoli che ho fatto ieri dovrei prendere un milione e settecentocinquantamila lire. Più o meno.

    Prendo la busta e faccio finta di annusarla per dargli soddisfazione.

    – Speriamo che sia bella gravida. Ho bisogno di soldi – gli dico.

    – Voi giovani ne avete anche troppi. Quando avevo la tua età dovevo spaccarmi la schiena per pochi spiccioli.

    Ed ecco la frase d’effetto del vecchietto che si tuffa nei ricordi. Poi ci sarà il famoso salto del fosso per la lunga e altre cazzate simili. E infatti arrivano inesorabili, farciti di racconti di vita vissuta.

    Mi tiene lì per cinque minuti raccontandomi la sua storia che conosco ormai a memoria. Finalmente se ne va e apro questa stramaledetta busta: un milione settecentoquarantottomila lire. Mi hanno fregato due sacchi. Figli di puttana. Meno male che stasera me la vado a godere come dico io.

    In effetti, non mi va male. Oltre a questo stipendio faccio dei lavoretti in nero come elettricista. Mio padre mi passa sempre qualche vecchietto che ha bisogno di qualche piccolo lavoro in casa. Così, per la modica cifra di quindicimila lire l’ora, mi sorbisco l’anziano preoccupato che il lampadario non funziona e mi faccio il secondo stipendio per sputtanarmelo, anche quello, come voglio.

    Guardo l’orologio: mezzogiorno e mezzo. Prendo e vado in bagno a farmi la mia cannetta. Tanto per oggi ho finito. Quando tornerò pulirò la macchina e andrò a cazzeggiare aspettando l’una e mezzo per uscire. Poi a casa a dormire perché stasera si va a figa. Non vedo l’ora.

    2.

    Sono le undici e mezzo di sera e l’asfalto sfreccia sotto la mia Clio nel silenzio notturno. Questa macchinina l’ho presa l’anno scorso. Mi sono fatto convincere dalla pubblicità in televisione. Me la ricordo ancora: cosa vuoi di più dalla vita? I soldi? Le donne? Il potere? Ho tutto, ho Clio.

    I soldi li ho, le donne pure ma il potere zero. Alla fine mi rimane la mia Clio Up. Milledue climatizzata. Avrei potuto comprarla senza finanziamento, i soldi li avevo grazie ai miei lavoretti in nero, ma ho preferito non rischiare. Non vorrei mai che il nostro caro governo si chiedesse come ho fatto a comprarmi una macchina senza un finanziamento con solo la mia paga. È anche vero che finché ti compri un’utilitaria nessuno si fa domande, ma quando ti prendi un macchinone qualcuno se le fa e viene a battere cassa. Per me, l’importante, è restare un piccolo uomo in questo grande mondo.

    Basso profilo.

    L’Adriatica per Argenta è vuota come al solito. Solo le sue numerose buche continuano a tenermi compagnia in questa serata. Fortunatamente mi sono fatto un pisolino pomeridiano, almeno stasera sono sveglio. L’unica cosa che m’infastidisce è l’andare a lavorare domani mattina. La sveglia alle cinque m’indispone, ma posso sempre marcare visita per una volta.

    Lascio la superstrada e mi dirigo verso uno dei miei locali preferiti: l’Obsession.

    Arrivo al parcheggio del locale che è quasi mezzanotte. Lascio il mio cellulare in macchina nel portaoggetti e vado verso la scalinata che mi porterà in questo luogo di piacere e depravazione. Mi accendo una sigaretta prima di entrare e tiro fuori la tessera del locale. Entro e la mostro al cassiere-guardarobista che mi sorride e mi dà la drink-card.

    Nel locale c’è già il pienone. Le ragazze sculettano e ballano la lap-dance.

    Adoro i nigth club. C’è gente di tutti i tipi: dai ragazzini che spendono la loro paghetta per vedere un po’ di figa, al vecchio sessantenne che rimane soddisfatto della sua erezione. Tutto come programma.

    Nel night club devi sapere come muoverti. Se non stai attento rischi di lasciarci mezzo milione di lire senza essertene accorto.

    La prima volta che ci sono venuto ero con degli amici che conoscevano il posto. Prima di entrare mi avevano spiegato diverse regole per non essere spennato:

    1: mai portarti il bancomat.

    2: tieniti solo i soldi per farti un paio di privè ma niente di più.

    3: aspetta il più tardi possibile per fare i privè, perché durano di più.

    4: mai fissare le ragazze, altrimenti vengono subito lì.

    5: mai offrire da bere alle ragazze perché te lo ritrovi nel conto.

    6: se una ragazza si siede al tuo tavolo e ti chiede di offrirle da bere, proponile un privè.

    7: se ti chiedono di fare subito un privè e non ne hai voglia, digli che lo farai dopo lo spettacolo.

    8: prova a chiedere il numero di telefono delle ragazze. Se te lo danno, vuol dire che si fanno scopare in privato.

    Sembrano tante regole, ma ti possono salvare la vita.

    Vado al bar e prendo una Beck’s in bottiglia. Non mi fido degli intrugli annacquati di questi locali. Mi appoggio al bancone e guardo chi c’è stasera. Molte ragazze le conosco, altre sono nuove. Evito di sedermi per non farmi adescare da queste sirene. Ce n’è una più bella dell’altra. Nei divanetti, i vecchi bavosi osservano tutte quelle curve sognando una notte di sesso con quelle fate. Se hanno abbastanza soldi, forse questa sera una di loro glielo prenderà in mano.

    – Ciao tesoro.

    Una voce femminile mi coglie alla sprovvista. Mi giro e vedo una mia vecchia conoscenza: Eva.

    – Ciao Eva. Ti vedo in forma.

    E lo è. Altezza media, bionda con occhi verdi e un fisico da urlo. Ha una sottoveste bianca trasparente sopra un intimo di pizzo bianco. Una terza di seno spunta dal decolté della sottoveste.

    Lei comincia ad accarezzarmi. Osservo il suo braccio destro pieno di laccetti colorati.

    In questo locale funziona così: ogni privè costa cinquanta sacchi, metà al locale, metà alla spogliarellista. I laccetti vengono dati alle ragazze da un buttafuori prima di entrare nei privè. Poi, a fine serata, fanno il conto e dividono.

    – Hai voglia di offrirmi da bere? – mi chiede.

    – Dai Eva, lo sai che non sono uno sprovveduto. Al massimo andiamo a fare un privè.

    Lei mi sorride. Non le ho mai chiesto da dove viene, anche se l’accento mi sembra quello di un paese dell’est. In fin dei conti non siamo qui per parlare, ma per fare ben altro.

    – Andiamo.

    La seguo. Scendiamo una piccola scalinata e siamo davanti a una tenda rossa con un omone enorme a fianco. Tiro fuori il cinquantino e lo do’ a Eva che lo passa al buttafuori. Lui le infila un altro laccio nel braccio. Un altro trofeo.

    Ci infiliamo in una saletta in fondo e mi fa sedere. È sensuale mentre si spoglia completamente. Si sdraia su di me e mi prende le mani facendole scorrere sul suo corpo scendendo giù fino alle sue parti intime. Non ha pudore nei miei confronti, anche perché ci siamo visti varie volte in privato a casa sua.

    La prima volta che sono stato con lei, fuori dall’ambito del night club, sono rimasto deluso dal suo approccio al mio arnese. Lo aveva preso con l’indice e il pollice meritandosi un soprannome: Duedita.

    Ma nel privè sa fare il suo mestiere. Se non sapessi cosa mi attende sarei tentato a farlo durare più dei quindici minuti canonici.

    Il tempo scade e lei mi chiede se vogliamo continuare.

    – Spiacente Eva. So già cosa farai.

    Lei mi tiene il broncio.

    – Potrei sempre cambiare. Non vuoi provare?

    Le sorrido e le accarezzo il viso.

    – Se volessi di più ti avrei chiamato in privato.

    Eva si lecca il labbro superiore.

    – Sicuro di non voler provare?

    – Di fronte al bar c’è un gruppo di ragazzi di appena vent’anni. Sono dei pivellini. Di sicuro ti faranno guadagnare molti laccetti.

    Adesso mi sorride. Si riveste e mi dà un bacetto sulla guancia.

    – Aspetto una tua chiamata.

    Mi dà il tempo di rimettermi a posto, poi mi prende la mano e mi porta fuori dal privè. Nulla è cambiato. Decido di prendermi un’altra birra, ma non voglio essere beccato ancora da una spogliarellista, almeno non subito.

    Giro per il locale e vedo una ragazza nuova. È piccolina e mora con capelli lunghi. Il viso è dolce e il fisico mozzafiato. Sale sul palco e comincia a ballare attaccata al palo vestita solo di un reggiseno e mutandine bianche. È snodata e sensuale. Al braccio ha più laccetti di Eva. Deve saperci fare.

    Mi faccio un giro e mi accendo una sigaretta. Ho solo un altro privè da fare e voglio scegliere una faccia nuova. Passa più di un’ora e non vedo niente di meglio della morettina snodata di prima.

    Aspetto che passi nella mia zona. Appena la vedo arrivare mi siedo su un divanetto libero. Lei mi vede e mi fissa. Le rispondo allo sguardo. Mi raggiunge e si siede sulle mie gambe.

    – Ciao. Io mi chiamo Denise.

    È molto carina. Ha solo poco seno, ma la cosa non m’importa più di tanto.

    – Ciao, io sono Angelo.

    – Ti stai divertendo?

    – Certo. Vedo che hai fatto molti privè.

    Lei si osserva il braccio.

    – Allora non sei nuovo in questo locale.

    – Sono un cliente quasi abituale.

    Lei mi fissa con i suoi occhi neri e ammalianti.

    – Hai voglia di divertirti un po’ con me?

    – Sono qui per questo.

    Mi prende la mano e mi trascina nel privè. Come prima, le lascio le cinquantamila lire che passano dalla sua mano a quella del buttafuori per avere in cambio il famoso laccetto.

    È una ragazza decisa. Mi butta su un divanetto e mi salta addosso dopo aver tirato la tenda. Avvicina il suo volto al mio come se dovesse baciarmi, ma so che non lo farà. Sento il suo profumo. Si spoglia velocemente e si sdraia su di me. Come Eva, prende le mie mani e le fa scorrere sul suo corpo. Le tocco le parti intime e lei mi spinge a penetrarla con le dita. Io non mi tiro indietro.

    Dopo venti minuti mi trovo super eccitato ma con niente in mano. Mi fissa e mi dà un bacio sulla guancia.

    – Dammi il tuo numero.

    – No caro mio, non posso.

    Ci rimango di merda.

    – Perché?

    – Perché no! Ho un ragazzo che amo. Va bene qui dentro, ma fuori non faccio niente.

    Vede la mia delusione sul volto. Mi sorride e si avvicina al mio orecchio.

    – Non dovrei dirlo ma con te faccio un’eccezione. In un paese che si chiama Vigarano, c’è un nigth in cui puoi fare anche sesso, ma solo il venerdì. Di sicuro troverai qualcuna disponibile per incontri privati.

    – Grazie per la dritta. Sai come si chiama il posto?

    – Eh no, caro, ho fatto già troppo.

    Le sorrido e usciamo dal privè. Mi dà un bacio sulla guancia e torna nella mischia. Io rimango lì in piedi. Mi guardo in giro notando che il locale si è svuotato.

    Resto a parlare con qualche ragazza che conosco fino alle due. Ormai i giochi sono fatti e le ragazze non mi chiedono più di appartarmi con loro. Alle quattro pago le consumazioni e me ne vado.

    Salgo in macchina e accendo il mio Nokia 5110. Grande acquisto questo cellulare. Per duecentocinquantamila lire mi sono comprato un telefono da urlo. Ci sono un paio di messaggi dei miei amici che

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