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E-book117 pagine1 ora

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Info su questo ebook


Anna ha cinquant’anni e la consapevolezza di aver vissuto una vita di sacrifici. Vittima di un marito che non la ama, ha ormai perduto se stessa. Mentre è ferma su un ponte a guardare il fiume scorrere sotto di lei, passa di là Donato, un uomo costretto sulla sedia a rotelle, che offrendole un semplice caffè la salva da un pensiero fin troppo suadente. Anna si ritrova con lui in un bar, a parlare di quella vita che a cinquant’anni le sembra vuota, cercando di ridarle senso, finché quello con Donato non diviene un appuntamento giornaliero, sempre al solito bar, alla solita ora e sempre al solito tavolino. Grazie agli incoraggiamenti dell’uomo, Anna riesce a riallacciare i rapporti dapprima con la maggiore delle sue figlie, Maura, e infine con la minore, Lucrezia. Si renderà finalmente conto di non meritare un uomo che la umilia e che non l’ha mai amata, riuscendo a uscire dal baratro di tristezza in cui era precipitata. Con il passare del tempo Donato diventerà un punto di riferimento, un’ancora di salvezza e una nuova occasione per amare di nuovo.
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2018
ISBN9788833280998
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    Anteprima del libro

    Mi permetta di offrirle un caffè - Elena Fanti

    Maria

    CAPITOLO 1

    Gli ultimi raggi del sole attraversavano la finestra, proiettando i ghirigori delle tende sulla parete del camino, dall’altra parte della stanza.

    Da diversi minuti Anna osservava quel lento declino, nel silenzio della casa. Era la prima volta che notava come il giallo pallido di quel piccolo triangolo di muro splendesse alla luce del sole. Quasi le venne da ridere, e lo avrebbe anche fatto, se non si fosse sentita così vuota. Ridicolo notare questo particolare solo ora, dopo oltre dieci anni che aveva tinteggiato le pareti. Non riusciva a spiegarsi come la luce del giorno, seppur morente, potesse far brillare in modo così intenso un colore di per sé tanto opaco, rendendolo addirittura piacevole alla vista. Anna cercava di trovare un significato nascosto in quella macchia di colore luccicante, di vedervi addirittura un paragone con la propria vita, senza successo, d’altra parte a scuola non era mai stata una cima e la filosofia non sapeva nemmeno cosa fosse. Aveva studiato in un istituto tecnico, dove le avevano insegnato a risolvere problemi concreti e ad avere a che fare con banche, aziende e conti. Le sarebbe piaciuto frequentare il liceo classico, ma le ristrettezze economiche in cui versava la sua famiglia l’avevano costretta a scegliere una scuola che le permettesse di inserirsi direttamente nel mondo del lavoro.

    Compiere cinquant’anni l’aveva scombussolata, stravolta, abbattuta.

    Aveva vissuto metà secolo, eppure le sembrava di non aver vissuto affatto.

    Che obiettivi aveva raggiunto nella propria vita? Come aveva riempito i giorni della sua giovinezza e della sua maturità? Guardandosi allo specchio, la mattina del cinquantesimo compleanno, aveva visto tutte le occasioni sprecate nascondersi fra le leggere rughe sul viso. Erano lì, le si mostravano per la prima volta, come rami restituiti alla terra dalle onde del mare: amori di gioventù, opportunità svanite, viaggi non fatti, amicizie ormai perdute... dolore.

    Anna si portò una mano al petto, là dove il cuore aveva tremato. Quanto aveva sofferto al fianco di un uomo che non amava e che l’aveva sempre disprezzata, certo che lei gli sarebbe sempre rimasta accanto come un fedele cagnolino?

    Si sentiva un’ombra in una vita sbiadita e monotona, in anni fatti solo di sacrifici. Il marito si era sempre preso il merito per i beni che avevano accumulato, ma Anna sapeva che se lei non avesse sgobbato come un mulo per mantenere la famiglia al posto suo, non sarebbe riuscito né a costruire case né a comprare terreni.

    Scosse il capo e chiuse gli occhi.

    Aveva cinquant’anni ed era piena di amari rimpianti.

    Le sue due figlie, Maura e Lucrezia, luce dei suoi occhi, la odiavano. La incolpavano di aver sopportato passivamente gli insulti del marito e, soprattutto, di essere stata incapace di difenderle, ma cosa avrebbe dovuto fare? Separarsi, forse? E poi? Senza un padre avrebbero sofferto il doppio!

    La verità è che sono una codarda, ammise infine. Predico bene e razzolo male.

    Alle figlie aveva sempre ripetuto che dovevano imparare a camminare con le proprie gambe, quando lei per prima non aveva fiducia in se stessa e nelle proprie capacità. Fin da ragazzina non era mai riuscita a vedersi senza un compagno da cui dipendere ed era sempre stata animata da aspirazioni molto modeste. Aveva imparato ad accontentarsi e non le era mai dispiaciuto cedere il passo agli altri, per poi guardarli mentre realizzavano i sogni che lei avrebbe voluto portare a compimento.

    A vent’anni aveva trovato un buon lavoro come impiegata, ma l’idea di vivere da sola l’aveva terrorizzata. Desiderava una famiglia e dei figli, ma, soprattutto, voleva un marito che la amasse e la completasse.

    Chissà cosa sognavo all’epoca, pensò. La realtà è stata molto diversa da come me l’ero immaginata.

    Aveva vissuto ventotto anni di umiliazioni, con un uomo che si era rivelato perfido.

    Se ci ripensava, Anna sentiva un nodo stringerle la gola. Quanto era cambiato il suo carattere dal giorno in cui aveva pronunciato quel maledettissimo ? Si era ritrovata a essere non una moglie, ma una schiava al servizio della suocera. Si era rinchiusa fra le mura domestiche e aveva perduto tutte le persone care. Proprio lei, che a quindici anni sgattaiolava fuori di casa per andare a ballare con le sue amiche sulle note di Celentano!

    Le venne in mente l’amato fratello e Anna trattenne a stento un singhiozzo. Gabriele era morto da sette mesi e solo adesso si rendeva conto di quanto le fosse mancato in tutti quegli anni. Inseparabili fin da bambini, una volta adolescenti erano stati l’uno il sostegno dell’altra e avevano affrontato insieme la perdita prematura dei genitori, ma, dopo il matrimonio, Anna era stata costretta a tagliare fuori dalla sua vita anche lui. A suo marito Gabriele non era mai piaciuto e non voleva che si intromettesse per timore che minasse il loro rapporto. Era arrivato addirittura ad accusarla d’intrattenere con lui una relazione incestuosa. Un’insinuazione, quella, che l’aveva profondamente turbata e ferita e che l’aveva fatta sentire sporca, nonostante non avesse alcuna colpa.

    Avrebbe dovuto ribellarsi. Se n’era resa conto il giorno del funerale di Gabriele, quando ormai era troppo tardi. Invece, per amore di una famiglia che era diventata la sua prigione, aveva privato se stessa di un fratello e le figlie di un magnifico zio.

    Per tutti quegli anni la sua esistenza si era trascinata in una triste e vuota routine. Le sembrava, adesso, di aver vissuto un’eterna e immutabile giornata di pioggia. Una di quelle giornate indefinite, in cui il tempo sembra essersi fermato, soffocato da un cielo uniforme e cinerino.

    Da casa all’ufficio e dall’ufficio a casa: non aveva fatto altro per ventotto anni, percorrendo sempre la solita strada, senza mai cambiare nulla.

    Il suo lavoro però le piaceva, anzi, era la sua salvezza.

    Aveva continuato ad andare in ditta anche quando, per mesi, non aveva percepito lo stipendio, persino quando era stata ufficialmente licenziata, accettando di lavorare in nero. Non le importava di rischiare, perché al lavoro, fra i numeri della contabilità, aveva modo di non pensare al marito e ai suoi insulti, e nemmeno alle figlie, che le riservavano solo sguardi di malcelato disgusto e biasimo.

    Anna aveva imparato a vivere a testa bassa, ma ignorare non significa non sentire e ora le toccava fare i conti con ciò che negli anni aveva ingoiato e mandato giù a forza.

    Aveva cinquant’anni e si sentiva sola. Si rese conto che, alla fine, nonostante avesse un marito accanto, il suo incubo peggiore era diventato realtà. La solitudine era l’unica vera compagna della sua vita.

    Cos’ho fatto di male? si chiese, non riuscendo più a trattenere le lacrime. Sono stanca, stanca, stanca!

    Si alzò e abbandonò la cucina. Il sole era scivolato dietro i tetti delle case, ma i suoi raggi incendiavano ancora il cielo.

    Anna si fermò al centro del corridoio buio e guardò verso la camera da letto, dove il marito riposava. Si rese tristemente conto che anche il silenzio era diventato un compagno fedele. E pensare che da ragazza aveva amato così tanto cantare e ascoltare musica. Non aveva mai dimenticato quando, con le amiche, intonava le canzoni di Morandi dietro la chiesetta di San Martino.

    La musica avrebbe potuto consolarla, ma era fuori discussione accendere la vecchia radio del salotto, che era lì a prender polvere da chissà quanti anni. Aveva infatti imparato a sue spese che mentre il marito dormiva non doveva volare una mosca.

    Non voglio che i CD lasciati dalle mie figlie facciano la stessa fine dei miei dischi, si disse. Ricacciò indietro le lacrime e serrò con forza la mascella. Non avrebbe mai dimenticato i resti dei suoi amati vinili, gettati con disprezzo nel secchio dell’immondizia, insieme a tutti

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