Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il tesoro dentro
Il tesoro dentro
Il tesoro dentro
E-book306 pagine4 ore

Il tesoro dentro

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Anna è una bella donna che ha perso il marito da due anni ed è ancora depressa. Ha ereditato una libreria antiquaria sull'orlo del fallimento e mal sopporta il caratteraccio di Amanda, la sua contabile. Due uomini la corteggiano da qualche tempo: Emil, uno scrittore danese che fugge da se stesso, e Alberto, un entusiasta imprenditore che si offre di aiutarla con la sua libreria in crisi. Inizialmente Anna pare destinata a destreggiarsi tra entrambi gli uomini, in attesa di capire di chi innamorarsi e di tornare alla vita. In realtà per uno dei due il cuore di Anna non è il vero obiettivo. Ci sono ben altri interessi in gioco. Così, mentre il passato bussa alla porta di Emil, due persone si faranno davvero male. Ma chissà che nei vaneggiamenti della stramba Amanda non si nasconda qualche indizio e la chiave per arrivare alla fine di una singolare caccia al tesoro. Un romanzo a tinte gialle e rosa, che affronta anche il tema della malattia mentale.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita5 ago 2019
ISBN9788833663197
Il tesoro dentro

Leggi altro di Elena Genero Santoro

Correlato a Il tesoro dentro

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il tesoro dentro

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il tesoro dentro - Elena Genero Santoro

    Elena Genero Santoro

    Il tesoro dentro

    Il tesoro dentro

    di Elena Genero Santoro

    Copyright © 2019 Elena Genero Santoro

    Collana Gli scrittori della porta accanto

    Pubblicato in accordo con Gli scrittori della porta accanto e PubMe

    Progetto grafico e Impaginazione: Stefania Bergo

    Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autore, ogni riferimento a persone o fatti è puramente casuale.

    Prima edizione 2016 Zerounoundici Edizioni

    Seconda edizione 2018 Gli scrittori della porta accanto per StreetLib

    Terza edizione 2019 Gli scrittori della porta accanto per PubMe

    Per essere informati sulle novità della collana Gli Scrittori della Porta Accanto visitate il sito: www.gliscrittoridellaportaaccanto.com

    UUID: 1a366ff6-b3dc-11e9-8595-bb9721ed696d

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    «Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine,

    perdita dell'individualità, della libertà,

    nel manicomio il malato non trova altro che

    il luogo dove sarà definitivamente perduto,

    reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento.»

    Franco Basaglia, 1964

    «In quei primi anni molta parte del lavoro consisteva nel parlare con i familiari o coi tutori per riuscire a cambiare lo statuto del malato, attorno al problema della restituzione dei diritti civili e delle possibilità economiche, di reddito.

    Questo sforzo era l'unico che ci permettesse di sottrarre l'esperienza delle persone alla totalizzazione psichiatrica. Gli internati dovevano essere riconosciuti come persone dotate di identità altra, che non si esauriva nel loro essere oggetti dell'istituzione e oggetti della psichiatria.

    Noi sostenevamo di non poterci neppure confrontare con loro, se prima non fosse stato loro restituito lo statuto di cittadini.»

    - da un'intervista a Franco Rotelli, 1978

    Prologo

    Si strinse a lui e intrecciò le dita della mano con le sue. Lui la lasciò fare, senza dire una parola. Camminarono vicini per le poche centinaia di metri che li separavano dal negozio, nella notte fredda e nera dell’inverno piemontese. L’aria tagliente sferzava i loro visi. Il sonno ormai era scemato del tutto. La strada era deserta e silenziosa. Non un’auto, non un’anima in giro. Solo la luce dei lampioni, macchie chiare, sfocate nella foschia.

    Da quella notte la sua vita era cambiata. Più tardi si sarebbe fatta delle domande, per capire come aveva potuto concedere la sua fiducia incondizionata a una persona tanto immeritevole. Per lo meno, se quella faccenda si fosse dimostrata vera.

    E che dire del nuovo amico che le camminava di fianco? In poco tempo si era molto legata a lui. Averlo vicino era confortante. E se anche lui fosse stato un abbaglio?

    Non era quello il momento per pensare. Le riflessioni le avrebbe fatte in seguito. Ora doveva scoprire cosa significava il ritornello che aveva piantato in testa.

    Quando arrivarono nei pressi del locale intuirono subito che qualcosa non andava. La loro ricerca subì una improvvisa battuta d’arresto.

    La porta era aperta, l’allarme disattivato, nel silenzio innaturale di quella notte.

    Si scambiarono un’occhiata perplessa. Entrarono furtivi, timorosi di ciò che potevano trovare. Nessuno dei due aprì bocca, la tensione era palpabile.

    Nel negozio nulla si muoveva, così accesero la luce e si diressero dietro al bancone.

    Lì videro i corpi riversi di due persone in una pozza di sangue.

    Lei cacciò un urlo di terrore e nascose la faccia nel petto del suo amico, che la strinse più forte che poté.

    1

    27 dicembre ed era sopravvissuta. Natale era passato, era ormai dietro le spalle, se ne sarebbe riparlato non prima di un anno. Anna si rigirò nel letto, si coprì la testa col piumone e rimase a crogiolarsi ancora un po’ felice di doversi alzare, di doversi mettere in piedi e di tornare alla normalità. Indugiò solo per un attimo, il tempo di uscire da un torpore tutto sommato lieto e gradevole. Poi buttò giù le gambe, infilò le pantofole di pelo e mise a scaldare una brocca di caffè caldo, in stile americano. Aveva iniziato a bere quella brodaglia molti anni prima, perché piaceva a Francesco che all’epoca aveva studiato un anno a Boston. Dopo aveva continuato, forse per abitudine, forse per trattenere qualcosa di suo marito con sé, per immaginare che lui non se ne fosse mai andato, per sognare che lui fosse ancora lì tra quelle stanze, che potesse sbucare in pigiama dalla camera da letto, darle un bacio e bere un sorso di caffè pure lui. Anna sapeva che ciò non sarebbe potuto accadere eppure non avrebbe rinunciato a quel caffè perché se l’avesse fatto anche le ultime tracce di Francesco sarebbero svanite. Invece voleva illudersi ancora, credere che bastasse ripetere all’infinito i gesti compiuti insieme per impedire a Francesco di sparire dalle quattro mura in cui avevano abitato e dalla sua memoria. Voleva che tutto restasse impregnato di lui, dei segni che lui aveva lasciato, delle vibrazioni con cui aveva accarezzato tutti i loro spazi. Anna aveva persino evitato di far riparare il tavolo della cucina in legno di pino che lui aveva inavvertitamente graffiato con un coltello affettando il pane. In quei piccoli solchi tra le venature c’era Francesco, c’era il suo movimento, c’era la sua sbadataggine, c’era la sua vita.

    Comunque, era il 27 dicembre e lei era ancora viva. Le feste comandate, manna del commercio e del consumismo più bieco, avevano un effetto elettrizzante sulle famiglie con bambini e sulle coppie felici, ma erano uno dei momenti più duri per chi, come lei, si trovava a essere solo.

    Eppure non sarebbe dovuta andare così. Nei piani c’era tutt’altro, c’era una felicità condivisa, c’era l’idea di una famiglia, di un paio di pargoli. C’erano amici con figli piccoli da frequentare, c’erano serate trascorse a guardare film tutti insieme. Insomma, il progetto era ben diverso, non prevedeva alcuna forma di solitudine. Invece le cose erano andate a modo loro e la colpa era solo del destino. E adesso Anna si trovava dall’altra parte, nel mucchio di quelli che non appartengono a nessuno. Così, da due anni a quella parte, aveva iniziato a temere il Natale, festa che un tempo le piaceva persino. Quanti Natali avevano trascorso insieme lei e Francesco? Non se lo ricordava nemmeno. A pranzo a casa della suocera, dove contribuivano portando una pietanza e poi, per la maggior parte del tempo, se ne stavano seduti a fare gli sposini, rimpinzandosi il giusto. Oppure a casa della zia Rita, la sua seconda madre, a giocare a tombola. Tante volte Anna si era annoiata a Natale, prima. La tombola non la divertiva per niente e nemmeno la pinnacola. Aveva sempre pensato che il Natale fosse una festa deludente, che mille film alla televisione contribuissero a renderlo un evento sopravvalutato e che l’enorme aspettativa di cui era caricato fosse assurda. Alla fine, se tutto andava bene, era un giorno come un altro. Al limite, un momento di quiete in cui ci si concedeva di mangiare un po’ di più.

    Invece il Natale aveva anche un risvolto crudele, amplificava oltremisura la solitudine di chi, come lei, non aveva più una famiglia. Chi non aveva degli affetti doveva inventarsi qualcos’altro, cosa assai difficile dato che persino i centri commerciali erano tutti chiusi. E nemmeno andare al cinema o a un museo da soli era una prospettiva allettante.

    In realtà Paoletta, la sua amica più cara, l’aveva pure invitata a pranzo a casa sua, ma lei aveva declinato l’offerta. Paoletta era stata tanto carina, come sempre, ma lei non ce la faceva proprio a vedere scorrazzare per tutto il giorno la sua meravigliosa bimba di due anni, bionda e bella come un angioletto. Una bambina perfetta, la gioia di mamma e papà, che però lei mal tollerava perché incarnava tutti i suoi sogni infranti. Il piano originale era quello: un bambino con Francesco. Invece Anna aveva trentaquattro anni e non era genitore di nessuno.

    Tecnicamente sarebbe stata più che in tempo per rimediare. Però pensava che i figli dovevano farsi in due. Non avrebbe voluto essere una madre single, una madre per forza, ma non c’era un uomo nel suo orizzonte con cui sarebbe voluta stare. Dunque, niente marito, niente sogno di maternità. Il pacchetto della rinuncia forzosa era all inclusive.

    Dunque era il 27 dicembre e Anna era sopravvissuta. Si era svegliata la mattina di Natale col rimpianto di non essere un medico o una cameriera o comunque un operatore costretto a lavorare nel giorno di festa: sarebbe stato tutto più semplice. Apparteneva alla categoria dei commercianti, anche se il suo commercio nell’ultimo anno era stato davvero minimo. Rimpiangeva che la zia Rita l’avesse coinvolta in quell’affare, la gestione di una libreria che vendeva anche tomi antichi e volumi di un certo pregio. Un negozio per clientela scelta che avrebbe dovuto consentire a estimatori e ricercatori di trovare l’introvabile e, al contempo, di trascorrere pomeriggi ameni all’insegna dello studio nella quiete più totale, sui tavoli che il locale metteva a disposizione per i fruitori.

    Parole antiche era il nome originario dell’attività della zia Rita che in anni precedenti era stata persino redditizia e proficua. Quel posto, in via San Massimo, era stato frequentato a lungo da universitari e collezionisti. Ma poi un po’ per la crisi che aveva scoraggiato la gente dall’investire nel superfluo, un po’ per l’avvento di internet che aveva facilitato la vita agli studiosi, l’afflusso di clienti era calato in modo drastico. A quel punto la zia Rita aveva deciso di attrarre nuovi frequentatori aprendo, (previ noiosi corsi di formazione, autorizzazione dei vigili del fuoco, HACCP e iscrizione al REC), un angolo caffetteria all’interno dello stesso locale. Gli avventori avrebbero potuto dedicarsi alla lettura e scegliere il libro da acquistare sorseggiando caffè, tè o tisane. L’idea grandiosa della zia era di trasformare il suo locale in un caffè letterario, un raffinato punto di aggregazione, un ritrovo di eccellenza culturale nella Torino storica. Solo a investimento compiuto aveva compreso di aver trasformato quel posto in una specie di biblioteca, dove qualche studente trascorreva il pomeriggio a studiare in cambio di un misero caffè. Per cui, migliaia di euro investiti tra autorizzazioni e lavori di ristrutturazione e nonostante ciò gli acquirenti di libri antichi non erano aumentati. Peggio, erano diminuiti. Quello che era mancato alla zia era stato il tempo per organizzare delle iniziative: incontri, presentazioni, eventi. Inoltre, sebbene la posizione fosse giusta, vicino all’università, il locale non era ampio a sufficienza per ospitare chissà quante persone. A quel punto, però, la zia era morta all’improvviso. Tutto, adesso, era sulle spalle di Anna che, fino a quel momento, non era stata nello spirito di rinnovare nemmeno la sua vita, figuriamoci il locale.

    Il giorno di Natale Anna si era alzata tardi. Aveva lavorato fino alla sera del ventiquattro, o meglio, era rimasta in negozio finché aveva potuto, osservando dalla vetrina l’andirivieni in strada. Era un anno di crisi, quello, e la gente rinunciava ad acquistare persino i pensierini per amici e parenti. Tuttavia c’era stato parecchio movimento, fuori. Qualcuno era anche entrato nel suo locale per un caffè rapido. Solo uno, un signore distinto e benestante, si era fermato per scegliere un paio di volumi da regalare. Così Anna aveva avuto tutto il tempo di fare gli auguri ad amici e parenti più o meno lontani tramite Facebook e Whatsapp. Il telefono non aveva fatto che squillare, anzi, era arrivata quasi un’invasione di saluti, commenti, richieste di ogni tipo, anche da parte di persone con cui lei aveva un rapporto a dir poco superficiale. Un riflesso virtuale di quello che avveniva fuori, nel mondo reale: affollamento, partecipazione.

    Anna sapeva che tutto ciò sarebbe terminato entro l’ora di cena e così era stato. Il tempo di chiudere il negozio e la folla in strada si era diradata. Anche il telefono era diventato muto da un minuto all’altro. Completati tutti i saluti agli amici presenti nella rubrica e terminate le operazioni di rito della vigilia, ognuno si era rifugiato nella propria abitazione e si era dedicato alla sua vera vita. Lei era rimasta sola. Persino Paoletta aveva smesso di scriverle messaggini. Se lo aspettava, ma era stata comunque dura.

    Gli alcolici non l’avevano mai attirata, ma in compenso gli ansiolitici l’avevano supportata in numerose occasioni. Anche quella sera aveva preso un sonnifero ed era andata a dormire, cercando pace almeno nei propri sogni. Se fosse stata stanca per il lavoro intenso, almeno si sarebbe goduta un meritato riposo. Invece non aveva avuto un granché da fare nei giorni precedenti alle feste, salvo attendere che succedesse qualcosa. Non era accaduto niente. Se persino il negozio di intimo al di là della strada non aveva venduto un solo capo in più del minimo mensile, figuriamoci quanti tomi storici poteva rivendere lei. Pensava sempre più spesso che l’alternativa era chiudere, ma non avrebbe saputo a chi cedere un posto del genere.

    Inoltre Anna guardava con angoscia alla successiva tornata di tasse, che la attendeva proprio dietro l’angolo e si domandava con quali soldi avrebbe potuto fare fronte alla spesa. Al mondo non c’era nessuno che la aspettava, a parte il fisco.

    Verso sera, il giorno di Natale, aveva meditato di tagliarsi le vene. La attirava l’idea di svuotarsi di tutto il sangue che aveva in circolo e con esso di tutto il malumore e il tormento che covava. L’allettava la visione di fare uscire da sé tutto il marcio e tutto il dolore. Aveva riempito una vasca di acqua bollente fino all’orlo. Ma invece di ammazzarsi ci si era buttata dentro, optando per un bagno rilassante. Era rimasta a mollo per un’ora buona. L’acqua calda le aveva sciolto i nodi della schiena e anche qualcuno di quelli che aveva nell’anima. Succedeva sempre, per fortuna. Il calore gradevole e consolatorio del bagno per contrastare il freddo fuori e il freddo dentro. Da quando Francesco se n’era andato non c’era giorno in cui Anna non avesse aperto i rubinetti per trascorrere qualche mezz’ora serale nella vasca. Le serviva per schiarirsi le idee, e la aiutava a rappacificarsi con la realtà. La vita poteva tradirla, ma la vasca colma di schiuma avvolgente e profumata al gelsomino le sarebbe sempre rimasta fedele. Insieme al vapore svaporava anche la sua rabbia.

    A Santo Stefano le cose erano parzialmente migliorate: Anna era uscita per fare un po’ di spesa. Le incombenze la aiutavano a sopravvivere. Paoletta le aveva telefonato e l’aveva invitata a cena a casa sua.

    E poi era arrivato il 27. Anna entrò in negozio rassegnandosi a trascorrere una nuova giornata in parziale solitudine. Magari avrebbe letto un libro.

    Se fosse entrato qualcuno a prendere anche solo un caffè avrebbe scambiato quattro chiacchiere. La zia Rita, che aveva trasformato Parole antiche in quel posto ibrido, era un tipo eccentrico, aveva sempre delle idee originali, ma il senso degli affari non le apparteneva, anche se lei era convinta del contrario ed era pure fiduciosa che prima o poi le sue proposte avrebbero trovato un mercato. Si opponeva alla più banale regola del marketing: anziché esporre ciò che l’utenza richiedeva, si prefiggeva di rendere appetibili le cose che lei aveva voglia di offrire. Non sempre ci riusciva. Forse non si poteva pretendere altro da una donna del genere, vissuta in un’epoca in cui per certe mogli il lavoro era un passatempo. La zia aveva aperto quel negozio per non rimanere in casa a fare la calza, visto che di figli non gliene erano arrivati. Il marito, il defunto zio Carlo, era un uomo d’affari che viaggiava spesso e lei doveva pure impegnare le sue ore in qualche modo. Aveva messo su quell’attività quasi per noia e pazienza se non era redditizia, non le serviva per vivere. Eppure, all’inizio, un certo giro se l’era creato. Il tracollo era arrivato dopo.

    E poi c’era Amanda, quell’odiosa contabile che la zia Rita aveva assunto dieci anni prima e che campava grazie a Parole antiche e a pochi altri incarichi. Anna l’aveva ereditata insieme a tutto il resto. Amanda era strana, una zitella secca di circa quarant’anni che vestiva sempre di nero e indossava cappellini a dir poco bizzarri. La sua presenza era annunciata dalla nuvola di profumo che si portava appresso, una fragranza soffocante, incensata e irrespirabile mista al fumo. Infatti, qualunque cosa indossasse, non si separava mai da un borsellino a tracolla in cui teneva le sue sigarette. Amanda svolgeva il suo lavoro senza infamia né lode, anzi, tutto sommato in modo dignitoso. In compenso aveva sempre una critica pronta e tante volte aveva fatto intendere che lei sì che avrebbe saputo come risollevare le sorti del negozio, ma poi, interrogata sui dettagli, se l’era cavata ogni volta con un discorso vago e nessuna delle sue fragili ipotesi era mai parsa fattibile. Anna la tollerava male. Ma la zia Rita le era davvero affezionata, ripeteva che viveva da sola e non aveva una famiglia, aveva avuto una vita complicata e meritava comprensione. Il ricordo della zia era l’unico motivo per cui Anna non la cacciava, tuttavia non riusciva a simpatizzare per lei. Negozio a parte, Anna la teneva volutamente a distanza.

    Fino alle dieci non si vide un’anima. Il cielo era plumbeo e per strada il viavai era ripreso a pieno regime, ma nessuno si fermava, nemmeno un passante per un caffè. C’erano bar molto più forniti di brioches e di alternative gastronomiche, in quella zona, e la gente li preferiva al suo bancone semi-spoglio. Non c’era da stupirsi.

    Poi, alle dieci in punto, entrò un ragazzo che poteva avere la sua età o poco di più. Aveva i capelli di un biondo scuro, lisci, di lunghezza media, anzi, quasi lunghi, che gli incorniciavano il volto. I suoi occhi erano castani chiari con riflessi dorati. Aveva spalle larghe e braccia tornite, nonostante la figura nel complesso slanciata. Vestiva in modo sobrio, senza pretese. Indossava una maglia e un paio di jeans che mettevano in risalto i muscoli delle gambe.

    «Buongiorno» esordì. «Sto cercando qualche libro sulla storia di Torino. Mi serve per un articolo che sto scrivendo. Ha qualcosa per me?»

    Aveva un fisico da atleta e velleità da ricercatore. Parlava in italiano, ma aveva un accento duro, che sembrava tedesco. O qualcosa del genere.

    2

    «Storia di Torino? Che tipo di storia? Le interessava qualcosa inerente l’urbanistica o la sociologia? O la cronaca degli avvenimenti del passato?» Anna si sorprese a rispondere. Non si aspettava un cliente con esigenze complicate quel giorno.

    «Mah, mi interessa qualunque cosa, mi faccia vedere quello che ha… Tanto volevo analizzare la questione da molte sfaccettature per cui diciamo che, in prima battuta, mi va bene tutto.» Il ragazzo infilò le dita tra i capelli lunghi e li tenne tirati all’indietro. «Però non mi dispiacerebbe fare un’analisi urbanistica della città e del suo sviluppo dal primo impianto romano.»

    «Ottimo.» Anna gli voltò le spalle e si addentrò tra gli scaffali.

    Non poté fare a meno di domandarsi se l’avventore avesse scambiato il suo locale per una biblioteca. Possibile. Magari nel posto da cui quell’uomo proveniva non vi era alcuna differenza tra le due cose.

    Tornò pochi minuti dopo con tre tomi.

    «Per ora c’è questo, però se è interessato all’ acquisto», e sottolineò la parola acquisto, «di qualcosa di più specifico, posso tentare di procurarmelo. La avverto, non si tratta di testi di semplice e agevole lettura, comunque.» C’era un resoconto sul commercio a fine Ottocento, un volume sull’espansione urbanistica oltre Porta Susa e una storia della Fiat all’inizio del ventesimo secolo. «Insomma, sono tutti argomenti slegati tra di loro… Se deve fare un lavoro di ricerca di ampio respiro, forse le conviene andare in qualche biblioteca, all’Archivio Storico in via degli Stampatori o alla Biblioteca Nazionale in piazza Carlo Alberto… Insomma, lì avrebbe a disposizione tutti i libri del mondo e sarebbero assolutamente gratis. Gratis!»

    Ecco, l’aveva detto. Gratis. Al contrario, i suoi pochi volumi si pagavano. Meglio chiarire l’equivoco sul nascere che portarlo avanti a lungo. Meglio eliminare subito l’unico cliente nel raggio di miglia che illudersi di poter fare affari.

    Quello la guardò con aria spaesata, tanto che lei si chiese se avesse compreso ciò che gli aveva appena spiegato.

    «Non mi piacciono molto le biblioteche, non è lì che voglio rinchiudermi. Io voglio vivere questa città in tutti i suoi angoli! Questo posto per esempio», spiegò il tizio facendo un gesto ampio col braccio, «questo posto è torinese al cento per cento! Le volte a botte di questo soffitto, questo bancone, questi scaffali! Sarebbe magnifico per me poter scrivere il mio articolo qua, respirando aria italiana, la stessa aria che respirano tutti gli italiani e i torinesi che frequentano questo locale, e mangiando lo stesso cibo che mangiano gli altri italiani!»

    Anna lo squadrò

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1